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Il legislatore scrive “domicilio esclusivo” e il Supremo Collegio legge “foro esclusivo”: si perpetua l’orientamento antiletterale in tema di competenza per territorio nelle azioni in materia di proprietà industriale.
Di Domenico Capra -
1.- Sintesi del caso e del problema.
Una recente sentenza ha ribadito l’orientamento del Supremo Collegio in tema di competenza per territorio nelle azioni in materia di proprietà industriale.
Si tratta di Cass. 8 agosto 2024 n. 22453 [1] la quale ha stabilito il seguente principio di diritto:
«In tema di competenza territoriale nelle azioni in materia di proprietà industriale, il criterio concorrente del forum commissi delicti previsto dall’art. 120, comma 6, del D.L.gs. n. 30 del 2005 (codice della proprietà industriale) regola la competenza in favore del soggetto che ha subìto il preteso danno; esso può essere applicato solo in presenza di due condizioni coesistenti, e cioè che vi si sia stato o sia prospettato un fatto lesivo e che questo fatto sia stato lesivo di un diritto dell’attore; esso non rileva, invece, nel caso di azione di accertamento negativo della contraffazione, in cui l’attore non si pone come preteso danneggiato, in quanto non fa valere un fatto lesivo del proprio diritto, ma la non lesività della propria condotta rispetto al diritto del convenuto, restando in tal caso applicabile il foro del domicilio eletto dal convenuto titolare di un brevetto o di una registrazione, di cui all’art. 120, comma 3, del D.Lgs. n. 30 del 2005, in combinato disposto con il comma 6 bis della medesima norma, che prevale, ove vi sia stata elezione di domicilio, sui primi tre fori elencati dal comma 2».
Il centro della decisione è rappresentato dal quesito se sia o no possibile invocare (per la determinazione del giudice territorialmente competente) il luogo ove si è commesso il fatto dannoso (ex art. 120 comma 6 c.p.i.) anche nell’accertamento negativo della contraffazione. La risposta è negativa in quanto quest’ultima azione non è fondata su fatti che si assumono lesivi del diritto dell’attore, sì invece su fatti che si assumono non lesivi del diritto del convenuto.
Il che è anche condivisibile se per «diritto dell’attore» di cui al sesto comma dell’art. 120 c.p.i. si intende soltanto un diritto IP. Diversamente qualora si ritenesse che, fra i diritti dell’attore che si assumono lesi dai fatti rappresentati, possa trovare spazio anche, per esempio, il diritto al libero esercizio dell’iniziativa economica privata (leso dall’affermazione di un diritto IP altrui del quale si può dimostrare l’invalidità o l’indifferenza) o ancora il diritto di reagire contro una condotta denigratoria (che ben può essere integrata dal sostenere e propalare presso terzi – concorrenti o clienti – una violazione di diritti IP invalidi o indifferenti), sarebbe una questione da risolversi caso per caso quella di stabilire se in quella specifica lite si possa ritenere proposta un’azione di accertamento negativo che sia «fondata su fatti che si assumono lesivi del diritto dell’attore» e non su fatti che si assumono non lesivi del diritto del convenuto.
La risposta al quesito intorno alla possibilità di scegliere il foro del luogo del fatto, tuttavia, è indirettamente incisa da un altro aspetto che la Corte dà per pacifico, ossia il ruolo e l’esatta portata del terzo comma dell’art. 120 c.p.i..
L’interpretazione che la Corte dà ad esso origina tutti i problematici discorsi sulla “prevalenza” di un foro sull’altro che, a nostro sommesso avviso, non avrebbero alcuna ragione di esistere se si attribuisse al terzo comma dell’art. 120 c.p.i. il significato suo proprio, ossia quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, ancor più cogente in eclatante e chiarissima assenza di una diversa intenzione del legislatore e in altrettanto vistosa e chiarissima assenza di principi la applicazione dei quali al caso concreto possa ritenersi doverosa (anche oltre il tenore letterale della norma) là dove – come nel caso di specie – la lettera non consenta di ritenere l’attività ermeneutica attuativa di quei medesimi superiori principi comuni al, ed emergenti dal, sistema ordinamentale. Nessun principio (né processuale né sostanziale) posto a salvaguardia di nessun valore sorregge la possibilità di superare il chiarissimo (e facile) disposto normativo.
È noto invero che là dove l’applicazione piana della norma porti in concreto a risultati applicativi irragionevoli è precipuo dovere dell’interprete, nel singolo caso, far prevalere il sistema valoriale (magari individuando con il bilanciamento quale sia l’interesse meritevole di tutela) sul tenore letterale dando applicazione al principio.
Ma questo certamente non è il caso, poiché non si comprenderebbe quale possa essere il principio sull’altare del quale si sacrifica completamente la lettera, peraltro chiarissima, della norma. Il che è ancor più grave se si riflette sul fatto che il tenore letterale del terzo comma dell’art. 120 c.p.i. è diretta conseguenza di estrema chiarezza di idee in merito a principi ben noti alla scienza processualcivilistica e semplici a tal punto da essere raramente ribaditi.
I due problemi – ossia applicazione del forum commissi delicti all’accertamento negativo e “prevalenza” del così detto foro della registrazione – sono diversi e l’uno può (rectius deve) trovare soluzione a prescindere dall’altro, specie se la soluzione che continua ad essere (del tutto immotivatamente) affermata è vistosamente antiletterale e collide con letteratura scientifica che nemmeno tenta di superare.
Il problema principale affrontato dalla pronuncia è se sia applicabile alle azioni di accertamento negativo anche il criterio di competenza fissato dal sesto comma dell’art. 120 c.p.i..
Il secondo problema – che non esisterebbe se il comma terzo dell’art. 120 c.p.i. fosse interpretato per quello che dice – è quello della così detta «prevalenza» del così detto «forum registrationis»: foro che secondo la giurisprudenza prevale su tutti gli altri e che, invece, stando al terzo comma, è semplicemente uno dei fori concorrenti con quelli indicati dal secondo comma, e non prevale affatto sugli altri criteri di fissazione della competenza ma con ciascuno di essi concorre inevitabilmente a scelta dell’attore.
La scelta “ermeneutica” (le virgolette sono d’obbligo) per il superamento radicale della lettera della norma crea un problema, mentre l’applicazione piana e semplice della norma per quello che dispone realmente ne impedisce il sorgere. Nemmeno si può dire che si sacrificano i principi di base per ottenere un risultato attuativo di una sorta di giustizia sostanziale. Il che rende anche illogico l’errato approccio giurisprudenziale che si ostina a perpetuare la “prevalenza” di un “forum registrationis” che in realtà non esiste così come configurato dalla giurisprudenza restando uno dei fori alternativi.
Se proprio si sente la necessità di individuare una “prevalenza” (a causa della espressa salvezza prevista dal primo periodo del secondo comma in relazione al terzo comma) ci si può concentrare (appagandosi di questa poiché è l’unica conseguenza ipotizzabile sulla base della norma in discorso), sulla prevalenza del domicilio eletto in domanda e annotato nel registro su tutti gli altri domicili (reale o elettivi) che il convenuto possa avere.
Soltanto questo è il senso della disposizione che, repetita iuvant, non ha affatto il ruolo di introdurre un foro esclusivo, ma semplicemente un domicilio esclusivo fra più domicili che possa avere o avere eletto il convenuto.
Il terzo comma dell’art. 120 c.p.i. non stabilisce affatto un foro esclusivo, così come non disponevano in tal senso la legge brevetti e la legge marchi nel vigore delle quali questo orientamento si è formato.
La tesi corretta dovrebbe essere quella che si limita all’applicazione lineare dell’art. 120 c.p.i.: le azioni in materia di titoli IP possono essere instaurate anche (rectius, innanzi tutto) nel foro generale segnato dalla sede dell’impresa (o dalla residenza della persona fisica) convenuta, ovviamente a discrezione dell’attore che sceglierà fra quest’ultimo e quello del domicilio eletto in domanda, non potendosi prendere in considerazione (perché, questo sì, è stabilito dalla legge) né il domicilio reale né altri domicili eletti per altri rapporti o ad altri fini.
A noi questa interpretazione sembra coerente, oltre che con l’espresso e chiarissimo dato normativo, anche con il sistema civilistico e processuale che ruota intorno alla nozione di «domicilio».
Iniziamo dal dato normativo.
2.- Le norme del c.p.i. e le analoghe norme della legge marchi e della legge invenzioni.
Il secondo comma dell’art. 120 c.p.i. stabilisce che le azioni in materia di proprietà industriale si propongono davanti all’autorità giudiziaria del luogo in cui il convenuto ha la residenza (sede per i soggetti diversi dalle persone fisiche) o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, del luogo in cui ha la dimora, salvo quanto previsto nel terzo comma.
Il quale terzo comma stabilisce che l’indicazione di domicilio effettuata con la domanda di brevettazione e annotata nel registro vale come indicazione di domicilio esclusivo ai fini della determinazione della competenza.
Donde possa trarre fondamento normativo l’idea che l’elezione di domicilio presso il c.d. mandatario brevettuale determini, oltre all’esclusività del domicilio medesimo, anche l’esclusività del foro nella cui circoscrizione insiste quell’elezione, non è dato sapere, specie dopo che il secondo comma fa espresso riferimento al foro generale (ossia la residenza o la sede del convenuto).
L’art. 120 comma 3 c.p.i., infatti, discorre di « domicilio esclusivo » non di « foro esclusivo ».
Il domicilio non è il foro, e non dovrebbe spendersi nemmeno una parola sulla incommensurabile distanza tra i due concetti e sulla impossibilità di ricondurre l’uno all’altro, o, anche per lo stesso legislatore, di usare indifferentemente l’uno o l’altro.
Quello del domicilio è uno dei criteri (ossia uno soltanto fra due criteri) per individuare il foro territorialmente competente.
Il secondo comma, infatti, stabilisce che « le azioni previste dal primo comma si propongono avanti all’Autorità Giudiziaria del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio (…).».
La particella disgiuntiva « o » posta proprio fra la parola “residenza” e la parola “domicilio” deve indurre a non elidere uno dei corni della chiara alternativa, né può essere sottovalutata poiché depone senza possibilità di equivoci per una concorrenza di fori (ovviamente a scelta dell’attore).
I previgenti articoli 75 l. inv. e 56 l. marchi menzionavano solamente il domicilio (“tali azioni si propongono davanti all’Autorità Giudiziaria del domicilio del convenuto”) senza un riferimento espresso al foro generale (2). A una prima e non approfondita vista si poteva distrattamente attribuire un barlume di fondamento della tesi qui avversata, ma non è così, perché è noto che per escludere il foro generale è necessaria (oggi come allora) una norma che questo disponga, non essendo sufficiente una norma che discorra semplicemente (anche se soltanto) di domicilio.
Il foro generale è, infatti, fissato una volta per tutte dagli art. 18 e 19 c.p.c. e, pertanto, il fatto che sia ribadito espressamente dal secondo comma dell’art. 120 c.p.i. è sostanzialmente ad abundantiam.
Nemmeno nel vigore delle norme abrogate la giurisprudenza più attenta (3) e la dottrina sono mai giunte ad escludere espressamente la rilevanza del foro generale per l’individuazione della competenza territoriale nelle cause di nullità, o comunque in materia di titoli di proprietà industriale.
Neppure i diversi testi dell’art. 120 c.p.i. che hanno preceduto — a livello di progetto — quello definitivo ora in vigore contenevano in esordio indicazioni espresse diverse dal domicilio.
Insomma, non v’è stato alcun mutamento che abbia qualche effetto sotto il profilo qui studiato, poiché anche nel vigore delle abrogate leggi marchi e brevetti era doveroso concludere che quello del domicilio eletto fosse sì criterio determinativo della competenza per territorio, ma criterio che concorre elettivamente (sempre a scelta dell’attore come per regola generale) con gli altri della residenza (o sede) e, subordinatamente, della dimora. Né, peraltro, l’elevazione a esclusività del domicilio eletto in domanda sugli eventuali altri è senza spiegazione: si tratta, ragionevolmente, dell’esigenza che la reperibilità del richiedente debba avere un riferimento, appunto, non deambulatorio.
Nemmeno nel vigore di norme formulate senza alcun riferimento al foro generale era corretto disconoscere all’attore il diritto di proporre l’azione nel foro stabilito dagli art. 18 e 19 c.p.c..
Tanto meno lo è (dovrebbe esserlo) oggi con l’art. 120 c.p.i., che espressamente menziona, in principalità, il criterio della residenza (o sede).
La giurisprudenza è evidentemente scarsa sul punto specifico (trattato più che altro in casi di cause connesse o di mutamento del domicilio eletto in domanda o, come in quella che si annota, là dove vi sia da decidere quale foro prevalga) perché l’attore, persuaso o no che sia, conoscendo l’immotivato arbitrario approccio giurisprudenziale al problema, vi si adegua nell’interesse del proprio assistito, ossia soltanto per non far perdere a quest’ultimo tempo e denaro.
Il che è intellettualmente inappagante e quasi mortificante poiché si è costretti ad adeguare la propria condotta a un immotivato comando, per di più contrario ai principi di base e alla lettera della norma.
3.Il terzo comma dell’art. 120 c.p.i. e l’affermazione dell’esclusività del domicilio.
La affermazione di pretesa esclusività del foro per le cause in materia di titoli di proprietà industriale è affermata non da pochi autori come deroga ai fori generali (4), ravvisandosi nel terzo comma dell’art. 120 c.p.i. la base normativa dell’assunto (5), spiegando che in tal modo il legislatore avrebbe inteso fare chiarezza rispetto al passato (6).
Noi non ci stancheremo mai di ripetere che il terzo comma dell’art. 120 c.p.i. non discorre di foro esclusivo, sì invece di domicilio esclusivo.
Ed il principio per il quale l’elezione di domicilio non può portare all’individuazione di un foro esclusivo è pacifico in letteratura.
L’effetto che si ricollega alla elezione di domicilio sulla competenza è infatti solo un effetto positivo, in quanto viene individuato un ulteriore foro che concorre con quelli generali o speciali.
A seguito di una elezione di domicilio (7), i principī insegnano che si abbia sì una deroga della competenza ma, appunto, solamente nel senso positivo di aggiungere al foro o ai fori competenti un nuovo foro (8).
Se il legislatore avesse inteso istituire un foro esclusivo, sarebbe stato doveroso fissarlo per legge ed espressamente.
Non è consentito, derivare in via interpretativa la statuizione di un foro esclusivo, in assenza di una norma che lo preveda espressamente, fra l’altro sulla base di una interpretazione contraria alla lettera della norma che si pretende di interpretare.
Il terzo comma dell’art. 120 c.p.i. riguarda la esclusività del domicilio eletto in domanda (e che risulti dall’attestato di concessione) rispetto al domicilio reale o ad altri domicilī eletti a diversi fini, appunto per la determinazione della competenza ex art. 30 c.p.c.. La norma stabilisce semplicemente che, fra i tanti domicili che un soggetto può eleggere, anche diversi dal luogo ove ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi (il così detto domicilio reale), quello eletto in domanda è domicilio esclusivo e “prevale” (nel senso che è l’unico che si considera) su tutti gli altri domicili (reale od eletti) ai fini della individuazione della Specializzata competente per territorio (e ai fini delle comunicazioni dell’UIBM, anche se questo aspetto non rileva nel discorso qui condotto).
Quale sia la norma che stabilisca che le azioni in materia di titoli di proprietà industriale non possano essere instaurate nel foro della sede dell’impresa (o della residenza della persona fisica), non è dato davvero sapere, mentre ne esiste una, chiarissima, che dispone esattamente in senso contrario.
È opportuno riproporre il pensiero di Tullio Segré, se non altro perché non sono reperibili opinioni diverse di pari autorevolezza: «Sulla competenza territoriale (…) l’elezione di domicilio influisce; ma il suo effetto è puramente positivo, nel senso di aggiungere un nuovo foro, per le cause che si propongono contro l’eleggente domicilio e che riguardano il rapporto o i rapporti giuridici ai quali l’elezione si riferisce.
Un effetto negativo, nel senso di escludere la competenza del foro o dei fori stabiliti dalla legge, l’elezione di domicilio prevista dall’art. 30 c.p.c. non genera, nemmeno quando è imposta dalla legge stessa, né quando la legge dichiara competente il foro del domicilio eletto.
Così in materia di ipoteche: benché la legge esiga che la nota di iscrizione ipotecaria contenga l’elezione di domicilio del creditore nella circoscrizione del tribunale in cui ha sede l’ufficio ove deve farsi l’iscrizione (art. 2839 n. 2 cod. civ.; art. 569 lett. b, cod. nav. ecc.), questa elezione non dà luogo a un foro esclusivo per le cause contro il creditore, che possono proporsi anche davanti al giudice della residenza o del domicilio generale del creditore.
Così in materia di brevetti industriali: quando la legge stabilisce la competenza del giudice del domicilio eletto nel registro (art. 75 R.D. 29 giugno 1939 n. 1127, sui brevetti per invenzioni industriali; art. 56 R.D. 21 giugno 1942 n. 929, sui brevetti per marchi d’impresa) questa competenza non esclude la competenza del foro della residenza o del domicilio generale del convenuto, o, quando sia il caso, del domicilio speciale dell’art. 20 cod. proc. civ. » (9).
Questo, a nostro avviso, sarebbe sufficiente per dimostrare l’errore in cui cade la giurisprudenza.
4.I principi civilistici, processuali e i fuorvianti precedenti.
Anche in prospettiva civilistica generale (10) si afferma che l’elezione di domicilio (strutturalmente assai vicina alla procura nel senso di avere anch’essa un momento esterno e uno interno (11)) avrebbe effetti processuali ormai piuttosto definiti, nel senso che « si risolvono sostanzialmente nella variazione della competenza territoriale », ma subito precisando che « la deroga alle regole generali sulla competenza non è assoluta: i terzi hanno la facoltà di convenire la controparte o presso il domicilio eletto o presso il luogo indicato dalla legge in via generale. (…) La variazione di competenza non è un effetto collegato dalla legge ad una determinata manifestazione di volontà del soggetto, ma è solamente una eventualità lasciata alla libera disponibilità dei terzi — attori».
Questa, a nostro avviso, è la corretta prospettiva.
La precisazione del terzo comma (che qualifica quel determinato domicilio eletto quale domicilio esclusivo), lungi dall’avere il significato di imporre un foro esclusivo, si giustifica essenzialmente per una ragione di respiro generale.
Domicilio, residenza e dimora indicano relazioni fra persona e luogo; residenza e dimora esprimono relazioni di fatto fra persona e un determinato luogo; con il concetto di domicilio si indica, invece, una relazione giuridica fra persona e luogo (12).
È possibile avere più domicili, ma una sola residenza (e una sola dimora) (13).
È pertanto del tutto normale, in via generale, che solamente per il domicilio si precisi che uno di essi sia esclusivo, poiché la residenza (come la dimora) è di per sé esclusiva.
Non possiamo nemmeno escludere che la ragione della maggior chiarezza dell’attuale art. 120 c.p.i. (rispetto alle leggi speciali previgenti) sia di natura eminentemente pratica: per esempio, porre fine alle discussioni (poc’anzi menzionate e sulle quali subito torniamo) originate da una distorta lettura che sembrava affermare che il criterio del domicilio eletto prevalesse (non soltanto sul domicilio reale, ma anche) sugli altri criteri di collegamento stabiliti in via generale.
Si trattava della lettura data da Cass. 30 ottobre 1974 n. 3325 (14) seguita poi da qualche altra ugualmente fallace.
La esatta portata di quelle sentenze era già stata suggerita da una corretta pronuncia di merito (resa in materia di marchi) (15) che in motivazione rilevava che i precedenti che appaiono confermativi dell’orientamento qui avversato devono essere apprezzati alla luce della singola fattispecie nel contesto della quale sono stati pronunciati. Il tutto si risolveva nell’indiscusso principio per cui la competenza territoriale nelle azioni di nullità del brevetto poteva (come può ora) essere ritualmente radicata (anche) in base all’art. 75 III co l. inv. (o 56 l. ma.) e che la competenza così determinata è insensibile alla divergenza (pur eventualmente sussistente già al momento della proposizione della domanda giudiziale) fra il domicilio indicato e il domicilio reale del convenuto.
Per l’appunto in tal senso la Suprema Corte ha affermato che l’indicazione del domicilio risultante dal registro prevale sull’eventualmente diverso domicilio reale ai fini della competenza territoriale.
Ma questa prevalenza fra diversi domicili non porta acqua al mulino della tesi qui criticata, ossia quella che esclude il foro generale ed afferma l’esclusività del foro del domicilio eletto.
Forse l’erronea lettura della massima (…l’indicazione del domicilio risultante dal registro dei brevetti prevale sul domicilio reale eventualmente diverso ai fini della competenza per territorio) ha contribuito ad alimentare gli errori.
Per vero, avrebbe dovuto essere evidente che la mancata menzione dei fori generali nella norma non avrebbe potuto avere la forza di elidere il rilievo di essi, per la sola esistenza degli articoli 18 e 19 c.p.c..
Eppure, la Corte di cassazione andava di contrario avviso (16) affermando espressamente che « Il fatto che il domicilio sia da solo enunciato, nel periodo di apertura del comma e quindi in posizione eminente nella norma, come criterio di individuazione della competenza, segna una non trascurabile differenza rispetto alla disciplina del foro generale delle persone fisiche dettata dall’art. 18 c.p.c., ove la residenza è considerata accanto e sullo stesso piano del domicilio ».
La motivazione è indubbiamente approssimativa e, oggettivamente, molto debole.
La sentenza prosegue sostenendo che «Non sembra, d’altra parte, che tale impostazione della norma costituisca un mero accidente letterale, superabile attraverso una ricostruzione esegetica che attribuisca agli altri momenti di collegamento, indicati nei successivi periodi del comma, una rilevanza paritaria rispetto a quello enunciato da solo e per primo. Al contrario, esistono serie ragioni sistematiche [enfasi aggiunta] per ritenere che la suddetta impostazione rifletta una specifica e peculiare mens legis, che ha inteso privilegiare il criterio del domicilio, attribuendogli “esclusività”, nel senso che gli altri criteri possono divenire rilevanti solo se e in quanto il primo non sia utilizzabile».
Se si ha la pazienza di proseguire nella lettura della motivazione, ci si avvede tuttavia che di queste « serie ragioni sistematiche » la Cassazione non riesce ad individuarne nemmeno una, essendo escluso che possa ritenersi tale semplicemente il discorrere dell’inserirsi della regola dell’esclusività del foro in « un più complesso quadro organizzativo, che mira a razionalizzare la gestione amministrativa della materia ed il relativo contenzioso ».
Questo artificio verbale resta un gioco di parole e non è, oggettivamente, ragione né seria né sistematica; basta infatti interrogarsi intorno al suo effettivo significato per rendersi conto della estrema difficoltà, e probabilmente dell’impossibilità, di individuarne uno.
Nulla sostiene l’orientamento in discorso: non la lettera né una ragione “sistematica” che potrebbe aiutare a ritenere tollerabile l’interpretazione antiletterale che, invece, è in primo luogo inutile e (facendo sorgere problemi di “prevalenza”) in secondo luogo dannosa.
Ci sentiamo di ribadire — con Trib. Milano 8 febbraio 1979 — che la sentenza della Cassazione del 30 ottobre 1974 n. 3325 (espressamente citata a sostegno da Cass. 21 marzo 1992 n. 3522, poc’anzi criticata), « neppure implicitamente ha negato che la residenza del convenuto possa costituire uno dei fori concorrenti nella determinazione della competenza territoriale nelle azioni di nullità del brevetto ». Senza inoltre rinunciare a ripetere – correttamente – che « tale ipotetica negazione non troverebbe alcun appiglio nella lettera della legge (…) chiaramente espressa nel senso di determinare una pluralità di fori concorrenti e alternativi ».
L’anonimo annotatore della citata sentenza aveva sentito il bisogno di osservare, in relazione alla massima enucleata, che “non è esatto affermare che il domicilio indicato «prevale» su quello reale”. La pronuncia, infatti, si limitava ad analizzare se fosse ravvisabile una idonea indicazione del domicilio brevettuale laddove, nell’attestato di concessione, il domicilio risulti indicato con il solo riferimento al Comune.
Oggi l’art. 120 II co. cod. ind. espressamente indica come primo criterio quello della residenza (o della sede) del convenuto posto in via concorrente a quello del domicilio (che, se eletto in domanda, è esclusivo). Abbiamo ricordato che le norme delle (abrogate) legge invenzioni e legge marchi (rispettivamente art. 75 e 56) esordivano, al secondo comma, stabilendo che le azioni in questa materia « si propongono davanti all’Autorità giudiziaria del domicilio del convenuto », e che anche nel vigore di quella norma era comunque errato discorrere di foro esclusivo (17).
Possiamo convenire su ciò, che la lettera — come si è visto — aiutava a commettere quello che, comunque, una giurisprudenza attenta (18) continuava a considerare un grave errore, ossia l’obliterazione di tutti (incluso quello della residenza-sede) i concorrenti criteri generali (e non solamente il domicilio reale) per la determinazione del foro competente. Si è visto che anche in dottrina si affermava che il domicilio eletto non costituisse un foro esclusivo (19).
La formulazione della norma di cui all’art. 120 c.p.i. dovrebbe oggi — a nostro avviso — consentire di risolvere il problema in modo ancor più lineare: il secondo comma ripete e ripropone, elencandoli, i criteri generali della residenza o della dimora oltre a quello del domicilio, facendo salva, solamente per quest’ultimo criterio, la previsione del comma successivo in merito alla prevalenza del domicilio eletto in domanda, ovviamente fra tutti i domicilī che può avere un soggetto, primo fra tutti il domicilio reale.
Nessun riferimento alla residenza (per le persone fisiche, sede per quelle giuridiche) pacificamente essendo criterio concorrente espressamente ribadito dal secondo comma dell’art. 120 c.p.i., a differenza di quanto accadeva prima dell’entrata in vigore del codice.
La norma discorre espressamente — in modo del tutto consapevole — di « domicilio esclusivo »: memore, si deve ritenere, dei possibili fraintendimenti occorsi in passato, e quindi con la chiara volontà di non discorrere di « foro esclusivo ».
5.- Ulteriori ragioni a conferma della lettura proposta e conclusioni.
Vi sono altri argomenti (20) idonei a confermare la permanenza in vita del foro generale del convenuto anche nelle cause che hanno ad oggetto titoli di proprietà industriale, rinvenibili nella logica e nel principio di non contraddizione.
Un’interpretazione dell’art. 120 c.p.i. che conducesse al foro esclusivo, in un sistema che prevede come indefettibile in astratto l’elezione di domicilio in domanda (cfr. l’art. 185 II co. cod. ind. che si esprime stabilendo che « i titoli di proprietà industriale “contengono” ») farebbe risultare il riferimento al foro generale del convenuto del tutto pleonastico.
Interpretare il terzo comma nel senso dell’esclusività del foro, è, a nostro avviso, una evidente violazione del secondo che riafferma, a livello di principio, la centralità nel sistema del foro generale del convenuto. Il principio sarebbe violato perché, pur essendo, quel criterio, previsto espressamente dalla norma quale riferimento principale, finirebbe per non avere applicazione alcuna, là dove si tratti di «azioni in materia di proprietà industriale i cui titoli sono concessi o in corso di concessione».
Sarebbe, in altri termini, una interpretazione che avrebbe il risultato di cancellare un frammento di norma (la prima proposizione del secondo comma dall’art. 120 c.p.i.), ciò che una corretta attività ermeneutica evita.
Né varrebbe replicare che, potendo l’elezione — di fatto — anche mancare (pur in un sistema che la considera ineliminabile), la menzione del foro generale esplicherebbe la propria funzione solamente nell’ipotesi in cui la formalità dell’elezione medesima fosse (contrariamente a quanto prevede la norma) pretermessa (21).
Tale lettura invero non soltanto attribuirebbe alla norma un significato talmente esiguo e riduttivo da rendere impensabile che il legislatore possa averlo voluto (22), ma giustificherebbe l’instaurazione di un foro esclusivo, in deroga ai fori generali, senza una norma che espressamente lo stabilisca, in violazione degli articoli 18 e 19 c.p.c. e 120 II co. c.p.i..
Permanendo l’attuale assetto normativo, si deve concludere che il foro del domicilio eletto non può essere mai ritenuto il foro esclusivo delle azioni relative a titoli di proprietà industriale.
Le azioni relative a titoli di proprietà industriale, pertanto, possono essere instaurate a scelta dell’attore sia avanti alla Specializzata della sede della società convenuta sia avanti alla Specializzata del domicilio eletto.
La scelta del foro generale potrebbe essere un’utile soluzione là dove vi fossero anomalie o irregolarità nella annotazione nel registro, oppure nei casi di mutamento del domicilio eletto qualora, per esempio, non risulti annotato il nuovo domicilio, eletto successivamente al primo. In questi casi anziché discutere intorno a questioni di opponibilità del secondo o di perdurante efficacia della prima indicazione sarebbe utile poter tranquillamente (si fa per dire, vista l’immotivata opinione dominante) scegliere il foro generale così da evitare inutili e dannose eccezioni.
Con ciò abbiamo esaurito l’argomento relativo alla competenza territoriale; abbiamo cioè dato risposta, attraverso quella che riteniamo la corretta lettura dell’art. 120 c.p.i., al quesito in merito a quale sia il giudice avanti al quale instaurare la causa. Infatti, quanto sin qui sostenuto risolve il problema dell’intestazione dell’atto di citazione (ove si indica il giudice competente), non necessariamente il (diverso) problema della sua notifica.
Il terzo comma dell’art. 120 c.p.i. non prevede che l’indicazione in domanda valga elezione di domicilio esclusivo ai soli fini della determinazione della competenza, ma stabilisce che vale elezione di domicilio esclusivo anche per ogni notificazione degli atti nei procedimenti giurisdizionali.
Si potrebbe riproporre questione analoga a quella già affrontata, chiedendosi (a prescindere dal giudice competente) quale sia il luogo ove si debba procedere alla notificazione dell’atto al destinatario.
In generale si può ricordare che il contenuto dell’atto di elezione di domicilio, pur essendo tipico, può presentare una variante di un certo rilievo al riguardo: l’elezione può risolversi nella indicazione del solo luogo, oppure contenere anche l’indicazione di una abitazione, della sede di una azienda o di un ufficio, o di una persona presso la quale il domicilio è eletto (23). Soltanto in questo secondo caso è possibile la notifica, restando nella prima ipotesi efficace soltanto per la determinazione della competenza territoriale (nella nostra visione come foro alternativo), non potendosi notificare alcun atto in forma rituale ex art. 141 c.p.c. se manca l’individuazione di una persona o di un ufficio.
Se vi sia solamente l’indicazione di una località, l’indicazione vale soltanto ai fini della competenza e non della notifica.
La prassi insegna che in materia di titoli IP l’elezione del domicilio reca l’indicazione del consulente in proprietà industriale, sia società (in questo caso anche una serie di persone fisiche) sia persona fisica, e di un indirizzo.
Anche in questo caso la notifica al domicilio eletto (anche se esclusivo) non può essere ritenuta necessaria, ben potendo l’atto essere notificato a mani o nei luoghi dell’art. 139 c.p.c., non versandosi nell’unica ipotesi nella quale la notifica presso il domiciliatario è obbligatoria, ossia quella prevista dal secondo comma dell’art. 141 c.p.c.
Nemmeno per questo aspetto l’elezione di domicilio appare porre limiti alle alternative, come abbiamo ritenuto per la determinazione della Specializzata competente per territorio.
Per finire, dopo aver esposto le ragioni che fondano la tesi qui sostenuta, non è inutile mettere in evidenza le motivazioni con le quali la Suprema Corte ritiene di sostenere l’esclusività del foro.
Come si può chiaramente notare non v’è alcuna motivazione ma soltanto un dare per assodato che “le cose stiano così”.
Il punto è motivato al paragrafo 4.4. nel modo che segue: «Trattasi di disposizione [l’art. 120 terzo comma c.p.i. n.d.a.] dalla quale si evince che il perdurante favor per il convenuto, secondo i criteri generali, e coniugato all’esigenza di assicurare stabilità e certezza ai procedimenti a tutela dei diritti in materia di proprietà industriale, sol che si consideri che il domicilio eletto è vincolante per il convenuto (domicilio esclusivo), e che la modifica del domicilio eletto è soggetta ad un procedimento per il quale è richiesta una specifica forma di pubblicità» ([2]).
Questo non è motivare, specie se si sta affermando un foro esclusivo non disposto espressamente dalla legge.
Ancora una volta è forte il sospetto che si tratti di un artificio verbale.
Non è invero facile dare un significato concreto e applicativo a quelle poche righe perché non si comprende in che modo il foro esclusivo potrebbe assicurare “stabilità e certezza ai procedimenti a tutela dei diritti in materia di proprietà industriale”.
Ancor prima, non si comprende che cosa voglia dire effettivamente “dare stabilità e certezza” ai processi in questa materia. Anche non capendo bene che cosa voglia dire questa generica locuzione ci sentiamo comunque di affermare con forza che leggere la norma per quello che dice (ossia che i fori son tutti concorrenti a scelta dell’attore) non renderebbe certamente i processi “instabili ed incerti”. Anzi, è certo che il foro esclusivo inventato dalla giurisprudenza aumenta inevitabilmente ed evidentemente le eccezioni di incompetenza proprio sulla base dell’erroneo presupposto della esclusività.
Indubbiamente accettare che si tratti, banalmente, di fori concorrenti ridurrebbe di gran lunga “l’instabilità e l’incertezza” di un processo, il quale sarebbe invero definitivamente instaurato, una volta per tutte, e senza possibilità di eccezioni, nel luogo (consentito dalla legge e) scelto dall’attore.
Per tutte queste ragioni ci sentiamo di ribadire il nostro radicale dissenso rispetto alla lettura offerta dalla giurisprudenza.
[1] La sentenza del Supremo Collegio che qui si critica è commentata invece con favore da G. Ciccone, Un punto a favore del domicilio eletto nella “guerra” fra i criteri competenza in materia industrialistica, in Dir. ind., 2025, p. 197 ss.. Si veda anche G. Ciccone – F. Ghini, La competenza in materia di proprietà industriale nell’art. 120 c.p.i., in Dir. ind., 2021, p. 576 ss., in particolare p. 578-580 ove si legge che «La prevalenza del domicilio eletto sugli altri criteri è ormai affermata in modo unanime nella giurisprudenza».
« Le azioni in materia di marchi, i cui brevetti sono stati concessi o sono in corso di concessione, e le azioni in materia registrati presso l’ufficio internazionale di Berna, relativamente a quanto si riferisce ai loro effetti nel territorio dello Stato, si propongono davanti all’autorità giudiziaria dello Stato, qualunque sia la cittadinanza, il domicilio o la residenza delle parti.
Tali azioni si propongono davanti all’autorità giudiziaria del domicilio del convenuto; quando però il convenuto non abbia residenza, dimora o domicilio eletto nel territorio dello Stato, dette azioni sono proposte davanti all’autorità giudiziaria del luogo in cui l’attore ha domicilio o residenza; qualora né l’attore, né il convenuto abbiano nel territorio dello Stato il domicilio reale o il domicilio eletto, è competente l’autorità giudiziaria di Roma.
L’indicazione di domicilio annotata nel registro dei brevetti vale come elezione di domicilio ai fini della determinazione della competenza e di ogni notificazione amministrativa e giudiziaria. »
Questo il testo dell’art. 75 l. inv. (Regio decreto 29 giugno 1939 n. 1127):
« Le azioni in materia di invenzioni industriali si propongono davanti all’autorità giudiziaria dello Stato, qualunque sia la cittadinanza, il domicilio o la residenza delle parti.
Tali azioni si propongono davanti all’autorità giudiziaria del domicilio del convenuto; quando però il convenuto non abbia residenza, dimora o domicilio eletto nel territorio dello Stato, dette azioni sono proposte davanti all’autorità giudiziaria del luogo in cui l’attore ha domicilio o residenza; qualora né l’attore, né il convenuto abbiano nel territorio dello Stato il domicilio reale o il domicilio eletto, è competente l’autorità giudiziaria di Roma.
L’indicazione di domicilio annotata nel registro dei brevetti vale come elezione di domicilio ai fini della determinazione della competenza e di ogni notificazione amministrativa e giudiziaria. ». Sul punto si veda G. Ghidini – S. Hassan, Diritto Industriale Commentario, Ipsoa, 1988, p. 134 ss. e p. 458 ss., ove si dà per scontato che quello del domicilio eletto sia foro esclusivo. Era evidente, tuttavia, che la mancata menzione del foro generale non avrebbe mai potuto avere la forza di elidere il rilievo di esso, comunque imposto in via generale dagli art. 18 e 19 c.p.c.. Andava tuttavia di contrario avviso (e in modo assolutamente non condivisibile) Cass. 21 marzo 1992 n. 3522 in Giust. civ., 1993, I, 2501, sulla quale infra nel testo.
[2] Con questa apparente motivazione la Corte sente di poter così concludere: « Quindi in caso di elezione, il foro del domicilio eletto sarà senz’altro prevalente rispetto al foro generale indicato dal secondo comma, che – non a caso – prevede, quale deroga espressa al foro del convenuto, “salvo quanto previsto nel comma 3”.». Scrivere “non a caso” è un fuor d’opera: è evidente nella sintassi della frase che la salvezza si riferisce, appunto, a quanto prevede il terzo comma, ossia al domicilio non al foro. Il secondo comma discorre di domicilio quale criterio alternativo generale. Il terzo comma è utile per dire all’attore che, se eletto in domanda, quel determinato domicilio è esclusivo.