Il G.E. e la Cass., SS.UU., 6 aprile 2023, n. 9479

Di Bruno Capponi -

La sentenza delle Sezioni Unite 6 aprile 2023, n. 9479 è già sin troppo nota nei suoi vari passaggi argomentativi e prescrittivi: ci asteniamo dalla sua presentazione di massima. Osserviamo soltanto che la Corte, nella sua più autorevole composizione, ha dettato ex professo una serie di regole squisitamente processuali per garantire il rispetto del diritto eurounitario sulla tutela del consumatore nell’esecuzione forzata, allorché il titolo esecutivo sia un decreto ingiuntivo non opposto.

Gli operatori della giustizia si interrogano su come dar seguito alle prescrizioni della Corte.

Il breve commentario che segue è redatto sulla falsariga dell’“articolo per articolo”, e riguarda la parte del lungo dispositivo specificamente destinata al giudice dell’esecuzione. È soltanto un primo approccio ai tanti problemi aperti (o creati) dalla sentenza, nella consapevolezza che molti altri potranno manifestarsi nella sua pratica applicazione.

Fase esecutiva

Il giudice dell’esecuzione:

a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;

Il g.e. deve anzitutto verificare se il titolo esecutivo costituito dal d.i. non opposto presenti una qualsiasi motivazione circa il carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto sulla cui base il titolo è stato emesso; ma deve anche verificare (sebbene la Corte non lo dica) un profilo soggettivo, e cioè se l’esecutato rientri nella nozione di “consumatore” alla luce del diritto eurounitario. Il secondo controllo potrebbe rivelarsi più indaginoso non foss’altro perché di norma manca, in proposito, un riferimento testuale nel titolo (specie se si tratti di un decreto ingiuntivo). Il d.i. non opposto deve motivare sulle clausole di protezione, ma non spetta al g.e. il controllo circa la giustizia, la legittimità o la sufficienza della motivazione, se graficamente esistente (potrà trattarsi anche di una formula di stile o di un qualsiasi passaggio che dimostri la consapevolezza del giudice di aver conosciuto delle nullità di protezione).

Il g.e. deve compiere tali controlli in qualsiasi fase della procedura “sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito”: ciò pone il dubbio, presente del resto in vari luoghi del codice di procedura, se per “vendita” debba intendersi l’udienza (la prima fissata o quella effettivamente tenuta) ovvero l’ordinanza di autorizzazione, l’inizio del procedimento, l’aggiudicazione c.d. provvisoria, quella definitiva o addirittura la pronuncia del decreto di trasferimento, che realizza l’effetto traslativo. Fermo restando che l’espressione utilizzata dalle SS.UU. (che in motivazione non hanno neppure fatto riferimento all’art. 569 c.p.c., ma soltanto all’art. 530 c.p.c. e così alla sola vendita mobiliare: ma deve trattarsi di un mero refuso) è meno tecnica di quella utilizzata, ad es., dall’art. 495, comma 1, c.p.c. (ma v. anche l’art. 615, comma 2, c.p.c.), riteniamo opportuno far capo al provvedimento autorizzativo, che ufficialmente apre il sub-procedimento della vendita forzata. Ribadiamo che il g.e. compie la prima verifica senza poter entrare nel merito di quanto opinato dal giudice della fase monitoria, in conformità al principio secondo cui nell’esecuzione non può sindacarsi l’intrinseco del titolo (e quindi il g.e. dovrà procedere nell’esecuzione anche se non condivida la valutazione del giudice del monitorio). Secondo le SS.UU., il controllo del g.e. si estende dall’esistenza all’entità del credito, ma crediamo che la seconda operazione possa risultare utile soltanto nelle esecuzioni in cui sarà possibile un provvedimento di limitazione (es., riduzione del pignoramento), perché altrimenti ogni possibile questione sarebbe da rinviarsi alla fase di distribuzione forzata (es., pignoramento immobiliare di un unico cespite).

Ci si può chiedere se il g.e. dovrà compiere tali verifiche anche qualora abbiano spiegato intervento nell’espropriazione altri creditori muniti di titolo, che, in base alla SS.UU. n. 61/2014, hanno autonoma legittimazione al compimento degli atti esecutivi. A nostro avviso, giacché al g.e. non compete – secondo l’attuale arresto delle SS.UU. – un controllo diretto sul titolo che formalmente regge la procedura, l’incidente di verifica non potrà che essere rimesso al giudice dell’opposizione tardiva a d.i.; ma, al tempo stesso, qualora l’esecuzione possa essere portata avanti da altro creditore titolato (e tale valutazione non può che competere al g.e., che ha la direzione della procedura), l’eventuale provvedimento di sospensione ex art. 649 c.p.c. non determinerà la sospensione della procedura esecutiva, che potrà appunto proseguire sull’impulso di altri legittimati.

b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;

È il caso di segnalare che non esistono “forme proprie del processo esecutivo” grazie alle quali il g.e. procede a una istruttoria sommaria (né esiste, a dire il vero, una istruttoria sugli elementi di diritto). Questa parte del dispositivo sembra dare per scontata l’esistenza di un potere che il g.e. istituzionalmente non ha, dovendo considerarsi del tutto eccezionali e non suscettibili di interpretazione analogica o estensiva quei casi di relativamente recente introduzione (controversie distributive, accertamento dell’obbligo del terzo) in cui il g.e. è chiamato a svolgere accertamenti incidentali interni all’esecuzione, al solo scopo di consentire il suo proseguimento e la sua finalizzazione. Per “forme proprie” si possono forse intendere le produzioni documentali (vale a dire l’impossibilità di procedere a una istruttoria orale per prove costituende), ma va segnalato che già il richiedere al creditore procedente copia del contratto, evidentemente prodotto in sede monitoria, espone pericolosamente il g.e. a ripercorrere a ritroso il cammino compiuto dal giudice della cognizione (v. però infra circa gli esiti di un simile “controllo”). A differenza di quanto statuito dalle SS.UU. con riferimento ai poteri del giudice della fase monitoria, non c’è qui un riferimento alla CTU, sebbene questo mezzo non sia estraneo alla prassi delle esecuzioni forzate (ad es. per la determinazione del valore del bene nell’espropriazione immobiliare o per il rispetto dell’ordine dei pagamenti nell’espropriazione presso terzi a carico dei Comuni).

c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;

Il controllo operato dal g.e. sulle clausole abusive può essere (beninteso, entro i limiti della cognizione possibile in sede esecutiva) positivo o negativo. Ciò, tuttavia, non ha nessuna conseguenza sul comportamento che il g.e. deve tenere: infatti, quale che sia l’esito del suo controllo (che non è “di merito” riguardando la mera esistenza di clausole abusive; è consigliabile che il g.e. non palesi il suo convincimento circa l’abusività delle clausole), il giudice dovrà semplicemente informare le parti e avvisare il debitore esecutato (la differenza è forse nel fatto che la prima attività sarà sempre possibile in udienza, per la seconda occorrerà un formale avviso nel domicilio eletto, che potrebbe identificarsi con la cancelleria allorché il debitore non sia assistito da un difensore tecnico) circa la possibilità di svolgere l’opposizione tardiva a d.i. Il relativo termine di 40 gg. decorrerà dal ricevimento della comunicazione di cancelleria ovvero, se il debitore sia assistito da difensore tecnico, dal rilievo del g.e. in udienza.

Insomma, questa prescrizione delle SS.UU. va letta nel senso che, ogni volta che si pone, in astratto, il tema della presenza di clausole abusive (ma, correlativamente, anche il tema della qualità di consumatore dell’esecutato) il g.e., quale che sia la sua valutazione di merito, arresta la sua attività in attesa degli esiti, anche di tipo sommario (art. 649 c.p.c.), dell’opposizione tardiva, perché soltanto quest’ultimo giudice ha competenza ad accertare l’abusività delle clausole e la qualità di consumatore del debitore esecutato. Sta di fatto che, decorso il termine di 40 gg. senza che il debitore abbia prodotto l’opposizione tardiva a d.i., l’esecuzione potrà riprendere il suo corso grazie a una semplice istanza rivolta al g.e. (non cioè grazie a un formale atto di riassunzione).

Resta inteso che, in caso di intervento titolato, il g.e. non dovrà automaticamente arrestare la sua attività; sembra ragionevole credere che, nel momento in cui informa le parti del problema che riguarda il d.i. non opposto, il g.e. possa interrogare gli eventuali interventori muniti di titolo circa la loro intenzione di proseguire l’esecuzione forzata, e provvedere di conseguenza.

d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;

Non si tratta di una vera e propria sospensione e dunque non ci sarà un provvedimento reclamabile (cfr. art. 624 c.p.c.); siamo dinanzi a una mera dilazione degli atti in attesa che il giudice dell’opposizione tardiva si pronunci sulla sospensione del titolo ex art. 649 c.p.c. Qualora il titolo venga sospeso, ci troveremo dinanzi a una fattispecie di sospensione esterna ex art. 623 c.p.c. e il g.e. dovrà arrestare l’esecuzione, ancora con provvedimento non reclamabile; qualora invece il titolo non venga sospeso, sarà sufficiente una semplice istanza e non una vera e propria riassunzione dell’esecuzione per poter proseguire nel compimento degli atti, sino alla vendita o all’assegnazione che rappresentano la soglia oltre la quale la protezione speciale del consumatore non sarà più sperimentabile (almeno nelle forme di cui stiamo parlando).

In caso di intervento titolato, la vendita o l’assegnazione potranno essere compiute su istanza dell’interventore, senza necessità di dilazione.

(ulteriori evenienze)

e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);

Il giudice dell’opposizione a precetto è tenuto a “riqualificare” l’opposizione proposta quale opposizione tardiva a d.i., favorendo la traslazione del contenzioso al giudice competente. Quindi, l’opposizione a precetto si chiuderà con l’assegnazione del termine perentorio per la riassunzione, e non potrà mai essere recuperata nella sua sede pre-esecutiva (anche in caso di mancata riassunzione). Peraltro, l’opposizione a precetto e l’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo dovrebbero presentare oggetti diversi perché la prima non potrebbe occuparsi dell’intrinseco del titolo, che è invece l’oggetto istituzionale della seconda (occorre dunque pensare a un debitore che, sapendo di non avere più il termine dell’opposizione tardiva a d.i., spenda in sede di opposizione a precetto quelle stesse censure in astratto ammissibili soltanto nella prima opposizione). Ciò significa che i motivi proposti nell’opposizione a precetto, riferiti all’abusività delle clausole, saranno totalmente assorbiti dall’opposizione tardiva a d.i. ma non è chiaro cosa potrebbe accadere qualora, accanto alle contestazioni di abusività, l’opposizione a precetto presenti motivi diversi, a contenuto strettamente esecutivo. È forse prospettabile una separazione delle cause, all’esito della quale le questioni da abusività delle clausole trasmigrano dinanzi al giudice dell’opposizione tardiva a d.i., solo competente a conoscerne, mentre quelle propriamente esecutive restano di competenza del giudice dell’opposizione a precetto, che potrebbe mantenere tutti i suoi poteri, anche inibitori, legati alle contestazioni propriamente esecutive. Ma si tratta di evenienza che la Corte, all’evidenza, non si è rappresentata.

In caso di riqualificazione e conseguente translatio judicii, sembra lecito opinare che il giudice dell’opposizione a precetto non potrà esercitare i suoi poteri inibitori (art. 615, comma 1, c.p.c.), perché la sentenza della SS.UU. sembra porre un problema di competenza che non può non involgere anche i poteri “cautelari” i quali non potranno che essere esercitati dal giudice dell’opposizione tardiva a d.i. (art. 649 c.p.c.).

f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.

Occorre anzitutto comprendere a quale “giudice” faccia riferimento questa regola. Evidentemente, si tratta non del giudice dell’opposizione bensì del g.e. che operi nella fase sommaria delle opposizioni (proposte a esecuzione già iniziata), perché soltanto lo stesso g.e. può essere destinatario del connesso divieto di procedere alla vendita o all’assegnazione (sul punto, il testo del dispositivo non è perspicuo). Mentre, nel processo esecutivo, il termine di 40 gg. decorre dal rilievo del g.e. in udienza ovvero dalla comunicazione di cancelleria (e il g.e. non assegna nessun termine per la riassunzione), nella fase sommaria delle opposizioni (che in realtà fa ancora parte del processo esecutivo, presentandosi come cerniera tra esecuzione in atto e merito dell’opposizione), così come avviene per la proposizione del merito delle opposizioni, il giudice deve assegnare un termine che, sebbene le SS.UU. non lo specifichino, deve ritenersi perentorio. Si nota però che mentre nel caso dell’opposizione a precetto le SS.UU. pensano a una translatio judicii (coi problemi e coi limiti che abbiamo detto), nel diverso caso delle opposizioni esecutive non è chiaro quale sia la sorte dell’opposizione proposta, che resta in uno stato di pendenza occulta una volta esaurita la fase sommaria perché, evidentemente, per le SS.UU. tali opposizioni (che non si limitano all’opposizione all’esecuzione) non si identificano con l’oggetto proprio dell’opposizione tardiva a d.i.; infatti, nel caso di un’opposizione di terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.) quale valore potrà mantenere la prescrizione delle SS.UU. che stiamo commentando? Sarebbe stato necessario distinguere, ma evidentemente le SS.UU. non potevano riscrivere integralmente il Libro III del c.p.c.

Crediamo che il g.e., dopo aver segnalato alle parti il problema dell’abusività delle clausole e dopo aver assegnato il termine perentorio per proporre l’opposizione tardiva a d.i., non debba assegnare anche il diverso termine che di norma assegna (art. 616 c.p.c.), relativamente all’introduzione del merito dell’opposizione. Il dubbio viene però legittimo allorché l’opposizione esecutiva non si limiti al profilo dell’abusività delle clausole, ma riguardi anche aspetti propri dell’esecuzione forzata, e, in generale, in tutti i casi in cui non si tratti di opposizione all’esecuzione (art. 615, comma 2, c.p.c.). Crediamo anche che il g.e. non possa esercitare il suo potere sospensivo (art. 624 c.p.c.) per le stesse ragioni giusta le quali il giudice dell’opposizione a precetto non può esercitare il suo potere inibitorio (art. 615, comma 1, c.p.c.); ma anche in tal caso la conclusione va verificata alla luce dei motivi e dell’oggetto dell’opposizione, che potrebbero non limitarsi alla contestazione dell’abusività delle clausole.

Qualora il giudice dell’opposizione tardiva a d.i. non sospenda l’esecutorietà del titolo, il processo esecutivo potrà continuare, ancora una volta senza un atto formale di riassunzione non essendo prospettabile una formale sospensione. Qualora l’esecutato non introduca l’opposizione tardiva a d.i., logica vorrebbe che le relative questioni non potranno essere decise dal giudice dell’opposizione esecutiva, che però dovrebbe mantenere il suo potere decisorio per le altre eventuali questioni, diverse dalle nullità di protezione. Ma su questi profili le SS.UU. non offrono alcuna utile indicazione, lasciando comprendere che l’oggetto precipuo della loro pronuncia è stato l’opposizione tardiva a d.i., mentre l’esecuzione ha giocato il semplice ruolo di luogo di emersione del problema (che però non potrà essere risolto né dal g.e., né dal giudice dell’opposizione esecutiva).

In caso di presenza di creditori titolati, valgono le considerazioni già svolte retro.