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Il «filtro» presidenziale forgia i presupposti applicativi del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione: «gravità» del dubbio interpretativo e «serialità» quali argini alle rimessioni esplorative (o ipotetiche) e inutilmente dilatorie
Di Alessio Carosi -
Sommario: 1. La questione interpretativa e il decreto presidenziale d’inammissibilità. 2. Brevi note introduttive: la giurisprudenza «presidenziale» ridimensiona alcuni iniziali timori sul rinvio pregiudiziale. 3. La «gravità» del dubbio interpretativo e la «serialità» quali argini alle rimessioni «esplorative» (o «ipotetiche) e contrappeso benefico al temporaneo rallentamento del giudizio a quo. 4. Conclusioni: la centralità del «filtro» presidenziale nella definizione dei corretti contorni del rinvio pregiudiziale.
1. L’incidente interpretativo chiuso negativamente dal decreto presidenziale in commento originava da un’ordinanza di rinvio del Tribunale di Napoli Nord nell’ambito di un giudizio ordinario di cognizione avente ad oggetto una revocatoria fallimentare promossa da una curatela ex art. 67, comma secondo, L.F. ratione temporis vigente.
Con l’ordinanza di rimessione il giudice a quo chiedeva alla Corte di cassazione di esprimersi sulla seguente questione esclusivamente di diritto: «Dica la Corte di cassazione se l’art. 83, secondo comma, D.L. “Cura Italia”, nella misura in cui dispone, per il periodo che va dal 9 marzo al 15 aprile 2020, poi esteso sino all’11 maggio 2020 (c.d. “fase” 1 dell’emergenza epidemiologica da Covid-19), che “… è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali” debba essere inteso nel senso che debbano ritenersi sospesi, per il medesimo periodo, anche i termini di decadenza di cui all’art. 69 bis l. fall. o debba invece essere interpretato nel senso che detti termini di decadenza abbiano continuato a decorrere anche nel predetto periodo emergenziale».
Il dubbio interpretativo del giudice rimettente, dunque, cadeva sull’art. 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. «Cura Italia»), e specificamente sul comma secondo di detta disposizione in rapporto ai successivi commi settimo e (soprattutto) ottavo del medesimo art. 83 cit. con riferimento alla incidenza della complessiva disciplina emergenziale de qua sulla sospensione dei termini di prescrizione e di decadenza.
Il giudice partenopeo dava atto di un orientamento in via di progressivo consolidamento presso lo stesso ufficio giudiziario, orientamento secondo cui la maturazione dei termini di prescrizione e di decadenza, la cui scadenza si era verificata nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e il 15 aprile 2020 (poi esteso fino all’11 maggio 2020), non è stata impedita dalla disciplina emergenziale impartita dal comma secondo dell’art. 83 del Cura Italia: in primo luogo perché tale sospensione avrebbe riguardato i soli termini processuali, mentre quelli di prescrizione e di decadenza sono termini pacificamente sostanziali; in secondo luogo perché il comma secondo dell’art. 83 cit. – afferendo alla sospensione dei soli termini processuali – non avrebbe precluso il compimento dell’attività processuale in quanto tale (impedimento possibile, invece, alla luce, e alle condizioni, dei successivi commi settimo e ottavo) e, dunque, non sarebbe stata ostativa al promovimento dell’azione giudiziale necessaria ad impedire l’effetto decadenziale.
Il giudice a quo, tuttavia, contrapponeva a detto orientamento un’altra e diversa ipotesi ricostruttiva, a cui pure dedicava un certo sforzo argomentativo, la quale concludeva per l’estensione della sospensione di cui all’art. 83, comma secondo, del Cura Italia anche ai termini di prescrizione e di decadenza scaduti nel periodo tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020.
La questione esclusivamente di diritto sarebbe stata necessaria alla definizione, anche parziale, del giudizio perché, se risolta nel diverso senso indicato dal giudice rimettente, avrebbe provocato il rigetto della domanda proposta dalla curatela fallimentare in ragione della intervenuta decadenza di cui all’art. 69-bis, comma primo, L.F. ratione temporis vigente.
L’ordinanza di rinvio, dichiarata la sospensione del giudizio a quo e trasmessi gli atti alla Corte di cassazione, giungeva al vaglio della Prima Presidente, la quale, con ordinanza del 14 febbraio 2024, ne ha dichiarato l’inammissibilità ai sensi dell’art. 363-bis, comma terzo, c.p.c. per la non ricorrenza dei presupposti applicativi di cui ai numeri 2) e 3) del primo comma dell’art. 363-bis cit.
2. Più di qualche osservatore, nei primi commenti all’art. 363-bis c.p.c., aveva espresso il timore che il rinvio pregiudiziale potesse, da un lato, sollecitare il giudice del merito ad autoassolversi dal dovere di decidere e, dall’altro lato, impoverire la formazione orizzontale e dialogica del diritto mediante il contributo della giurisdizione nei suoi diversi gradi a vantaggio di una concezione verticistica della giustizia([1]). Si era inoltre criticato – oltre all’effetto vincolante della decisione interpretativa della Corte di cassazione e alla conseguente possibile violazione del principio della soggezione del giudice soltanto alla legge ex art. 101, comma secondo, Cost.([2]) – il sacrificio imposto allo ius litigatoris a beneficio dello ius constitutionis per via della sospensione impropria del processo a quo([3]).
Quelle diffidenze, pur autorevolmente argomentate, scambiavano a mio avviso i pericoli di un uso distorto del nuovo strumento processuale per effettive carenze genetiche dell’istituto perché([4]): altro è dire che il giudice del merito, confidando nel rinvio pregiudiziale, possa sentirsi indotto a decidere di non decidere; altro è dire che il legislatore non abbia preconizzato quei pericoli e che non abbia messo in piedi gli opportuni rimedi contro possibili derive autoassolutorie. Nel primo caso, saremmo, per l’appunto, al cospetto di un impiego abusivo della rimessione anticipata ex art. 383-bis c.p.c. da parte di chi ha la legittimazione a servirsene, contegno individuale certamente non condivisibile, ma non ascrivibile a difetto d’origine del mezzo processuale; nel secondo caso, invece, saremmo davanti ad un legislatore che non ha adeguatamente soppesato gli effetti dell’introduzione dell’istituto.
Tuttavia, non è quest’ultimo il caso del rinvio pregiudiziale.
Credo, al contrario, che il legislatore – forte anche di altre esperienze straniere o sovranazionali([5]) – abbia vagliato con molta cautela sia l’inserimento di uno strumento di nomofilachia preventiva sia le conseguenze che ne ha voluto far derivare: tra queste le più rilevanti appaiono essere sicuramente l’intervento anticipato della Corte di cassazione con effetto vincolante per il giudice rimettente (rectius, per tutti i giudici del processo a quo e per tutti i futuri giudici di un eventuale nuovo giudizio tra le stesse parti sulla stessa domanda) e la sospensione impropria del processo a quo in funzione di una decisione interpretativa la cui forza persuasiva dovrebbe generare l’effetto deflattivo e acceleratorio dei contenziosi vertenti su questione analoga (i.e. la nota oscillazione del pendolo tra ius litigatoris e ius constitutionis).
Che il legislatore avesse molto ponderato quel che si era determinato a fare affiora evidentemente dall’architettura dell’art. 363-bis c.p.c.: da un lato, il comma primo della norma in questione ha posto le condizioni applicative del rinvio pregiudiziale, sulle quali l’ordinanza del giudice rimettente ha l’onere di motivare; dall’altro lato, ne ha affidato il vaglio di ricorrenza al presidente della Corte di cassazione, il quale o «assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice per l’enunciazione del principio di diritto» o «dichiara con decreto l’inammissibilità della questione per la mancanza di una o più delle condizioni di cui al primo comma».
La struttura stessa dell’art. 363-bis c.p.c. fa intendere la centralità del ruolo ritagliato per il presidente della Corte di cassazione perché sarà proprio la sua discrezionalità, benché orientata dalla ratio fondativa del nuovo istituto e dai presupposti applicativi che quella ratio presidiano, a plasmare via via i requisiti applicativi del rinvio pregiudiziale e ad arginare l’eventuale abuso di esso da parte dei giudici del merito([6]).
«Via via» perché c’è da immaginare – ed è ciò che in effetti mi sembra stia accadendo – che tanto meno i giudici del merito si mostreranno parsimoniosi e cauti nell’impiego della rimessione pregiudiziale, tanto più le maglie del filtro presidenziale si faranno fitte e rigide([7]). D’altra parte, se è innegabile che un primo esame della prassi applicativa denunci un qualche eccesso da parte dei giudici del merito (tradotto: troppi rinvii pregiudiziali in poco più di un anno)([8]), è parimenti certo che il vaglio del Primo Presidente vi stia ponendo adeguatamente rimedio mediante la pratica di un crescente rigore.
Il decreto che qui si commenta in breve ne è un esempio.
3. La Prima Presidente della Corte di cassazione – pur giudicando esistenti i presupposti della decisività della problematica ai fini della definizione del giudizio e della sua natura esclusivamente giuridica – ha disatteso l’ordinanza del giudice rimettente e l’ha valutata inammissibile per carenza delle condizioni applicative di cui ai numeri 2) e 3) dell’art. 363-bis, comma primo, c.p.c.
Il presupposto applicativo di cui al n. 2) del primo comma dell’art. 363-bis cit. è quello della grave difficoltà interpretativa.
Rispetto ad esso prime e significative indicazioni erano giunte già da un precedente decreto presidenziale di inammissibilità datato 3 novembre 2023 (numero di raccolta generale 30657/2023)([9]): lì, infatti, veniva affermato che la grave difficoltà interpretativa non può dirsi sostanziata dalla semplice «scelta tra ‘due soluzioni contrapposte’, benché implicanti operazioni ermeneutiche differenti» perché, se così fosse interpretabile quella condizione applicativa, «ogni questione interpretativa dovrebbe dirsi passibile di essere sottoposta, tramite l’istituto di cui all’art. 363-bis cod. proc. civ., alla decisione della Corte di cassazione, finendo con l’inaridire il compito di interpretare la legge, che è dovere indeclinabile di ogni giudice». Quel decreto presidenziale di inammissibilità del 3 novembre 2023 aveva pure posto l’accento sull’assenza «di specifiche decisioni da parte della giurisprudenza di merito», ritenuta indice significativo della carenza dei requisiti della grave difficoltà interpretativa e della diffusività del problema ermeneutico. Mi sembra che il concetto possa essere così sintetizzato: se una stessa questione di diritto è stata dibattuta in un numero rilevante di processi e se ad essa sono state date soluzioni frequentemente difformi, allora è verosimile che quel problema giuridico presenti una grave difficoltà interpretativa([10]).
Il decreto presidenziale che qui si annota ribadisce l’orientamento preso con il precedente provvedimento del 3 novembre 2024.
La Prima Presidente, infatti, ha sanzionato con l’inammissibilità l’ordinanza di rimessione perché il giudice a quo vi aveva posto a fondamento una astratta perplessità interpretativa basata su due diverse soluzioni del medesimo quesito giuridico, rispetto alla quale non si riscontra, però, un contrasto di giurisprudenza o la reale esistenza di un dibattito ermeneutico, tale da far intendere conseguita la condizione applicativa di cui all’art. 363-bis, comma primo, n. 2), c.p.c.
Ne esce confermata l’indicazione che l’esistenza di una pregressa esperienza giurisprudenziale sulla questione di diritto, connotata dalla reale contrapposizione tra orientamenti alternativi, è indice rilevante della grave difficoltà interpretativa([11]). Ma ne esce ribadita anche un’altra importante indicazione, ossia che il giudice rimettente ha il dovere (rectius, l’onere, se vuole scansare lo stigma dell’inammissibilità dell’ordinanza di rinvio) di richiamare quei contrapposti indirizzi giurisprudenziali, di illustrarli e di spiegarne le ragioni, insieme con le differenti e corrispondenti soluzioni interpretative, in modo tale da far affiorare con pienezza «la profondità della difficoltà interpretativa»([12]) e far cogliere perché l’una soluzione potrebbe in astratto essere preferita all’altra e viceversa([13]).
Mi pare se ne possa ricavare poi, sempre in termini generali, che, se quel contrasto giurisprudenziale o quell’effettivo dibattito interpretativo difettano, si è piuttosto al cospetto di una via interpretativa che il giudice del merito contrappone:
a) o ad un opposto orientamento giurisprudenziale già affermatosi, che il giudice stesso, non vigendo nel nostro ordinamento giuridico il principio dello stare decisis, si pone legittimamente il dubbio se disattendere o meno (e. astratta opzione interpretativa formulata dal giudice del merito vs un orientamento giurisprudenziale già intrapreso); o
b) o ad un’altra e diversa astratta opzione interpretativa, neanche emergente da un indirizzo giurisprudenziale, essendo la questione giuridica del tutto nuova o perché è nuova la disciplina o perché mai postasi in precedenza (e. astratta opzione interpretativa formulata dal giudice del merito vs altra astratta opzione interpretativa formulata dal giudice del merito).
Sia nel caso sub a) sia nel caso sub b) il dubbio interpretativo non è di regola suscettibile di approdare anticipatamente alla Corte di cassazione perché è il giudice del merito che deve cavalcare le diverse tesi, sciogliere il nodo e formare il proprio convincimento in ossequio al potere-dovere che egli ha di decidere([14]).
In altri termini, quel che il giudice del merito ha la facoltà di fare mediante il rinvio pregiudiziale è di interrogare preventivamente la Corte di cassazione affinché il giudice della nomofilachia formuli in anticipo un principio di diritto su un grave dubbio ermeneutico, che affondi le radici in un effettivo dibattito giurisprudenziale e (eventualmente) anche dottrinale, di cui il rimettente è onerato di dare compiutamente conto nei termini che ho poc’anzi espresso. Quel che al giudice del merito è precluso, invece, è il rendersi protagonista di un rinvio puramente ipotetico o esplorativo, ossia basato sulla astratta individuazione di diverse soluzioni interpretative, al solo fine di munire la propria decisione dell’avallo ermeneutico preventivo e vincolante della Corte di cassazione([15]).
Un altro dato di rilievo è il legame che il decreto presidenziale in commento – come già quello del 3 novembre 2023 – intravede neanche troppo velatamente tra il requisito della grave difficoltà interpretativa e quello della serialità.
Quella connessione già era venuta a galla con il decreto presidenziale del 3 novembre 2023 perché lì si descriveva la mancanza di una pregressa esperienza giurisprudenziale quale sintomatica non solo della non serietà del dubbio ermeneutico, ma anche della sua non diffusività. Volendo anche qui sintetizzare il concetto: se la questione non si è posta in un numero rilevante di processi di merito e non è stata ivi decisa, è verosimile che essa non abbia il connotato della serialità.
Con il decreto in commento, invece, la Prima Presidente pone il nesso tra grave difficoltà interpretativa e serialità su di una diversa dimensione, cioè sul primato che, tra le altre condizioni applicative (cfr., cioè, anche il numero 1)), quelle di cui ai numeri 2) e 3) dell’art. 363-bis c.p.c. esplicano per l’operatività concreta del rinvio pregiudiziale, anche in relazione alla sua ratio. Il decreto presidenziale in commento afferma infatti che tra i presupposti applicativi «la gravità interpretativa e la diffusività del contrasto sono di primario rilievo, perché direttamente incidenti sull’effetto virtuoso del non rallentamento della tutela giudiziale dei diritti cui è finalizzata la giurisdizione civile».
Il principio che se ne coglie è che l’interesse generale alla deflazione e all’accelerazione della giustizia civile è conseguibile per il tramite del rinvio pregiudiziale solo se l’intervento anticipato della Corte di cassazione è domandato con riguardo a questioni interpretative davvero complesse e diffuse, tali cioè da impegnare seriamente (i.e. complessità) un numero elevato di giudici del merito (i.e. diffusività). Solo al ricorrere di queste condizioni l’affermazione preventiva di un principio di diritto – vincolante per i giudici del processo a quo e (auspicabilmente) persuasivo negli altri processi su questione analoga – potrà al contempo soddisfare l’interesse generale alla deflazione e all’accelerazione della giustizia civile e giustificare il sacrificio inflitto al diritto in contesa dalla sospensione impropria del processo a quo.
Ma il decreto in esame predica anche altro perché arricchisce la serialità di un’ulteriore sfumatura.
Il decreto del 3 novembre 2023 – come già più sopra rimarcato – aveva rifiutato la diffusività del contrasto per l’assenza di una pregressa esperienza giurisprudenziale su di esso.
Quello in commento, invece, ha negato la serialità per via della limitatezza del segmento temporale di applicazione della normativa emergenziale di cui all’art. 83, comma secondo, del Cura Italia, il quale «porta ad escludere il rischio della diffusività e della riproducibilità su larga scala dell’ipotetico consolidarsi delle due diverse opzioni ermeneutiche ipotizzate dal rimettente».
Questa affermazione sollecita, a mio avviso, una nota a margine. Infatti, che una questione interpretativa non sia destinata a porsi su larga scala solo perché la normativa su cui il dubbio cade ha coperto un limitato arco temporale è conclusione forse troppo affrettata. Il postulato avrebbe forse meritato di essere meglio puntualizzato e posto in relazione con la normativa oggetto del rinvio pregiudiziale nel caso di specie. La Prima Presidente, invece, lo ha risolto con poche battute, che rischiano di generalizzare un principio che andrebbe invece calato di volta in volta nella realtà della normativa oggetto dell’incertezza ermeneutica.
In altri termini, va bene il filo che lega grave difficoltà interpretativa e serialità, ma i due presupposti applicativi non devono giocoforza difettare entrambi per la declaratoria di inammissibilità del rinvio pregiudiziale. Nulla vieta che un problema interpretativo sia al contempo diffuso (per cui ricorrerebbe il presupposto di cui al n. 3) del comma prima dell’art 363-bis c.p.c.) e non grave perché su di esso il pur corposo orientamento pretorio è consolidato in una data direzione (per cui difetterebbe la condizione di cui al n. 2) del comma primo dell’art. 363-bis cit., pur esistendo quella di cui al n. 3)). E tanto basterebbe a colpire d’inammissibilità l’ordinanza di rinvio tenuto conto che le condizioni applicative di cui all’art. 363-bis, comma primo, c.p.c., per quanto suscettibili di essere elasticamente intese([16]), sono poste dalla legge come necessariamente concorrenti per il superamento del vaglio presidenziale.
Segnalo, per incidens, che il filo conduttore tra grave difficoltà interpretativa e diffusività del contrasto può essere esaminato anche da un altro e diverso punto di vista, cioè dall’angolo dell’incertezza interpretativa su una norma di nuova introduzione([17]). È evidente che, in un caso del genere, una pregressa esperienza giurisprudenziale non vi sia e che un contrasto interpretativo sia, al più, preconizzabile. Si potrebbe tranquillamente affermare (e nessuno potrebbe opinare granché) che, in un caso del genere, la remissione preventiva alla Corte di cassazione non sia ammissibile per mancanza della condizione applicativa della grave difficoltà interpretativa. Tuttavia, potrebbe darsi che la disciplina neo introdotta – per il settore (si pensi ad una nuova norma processuale) o per la materia (si pensi alla materia assicurativa o a quella bancaria o a quella consumeristica o a quella della responsabilità medica) in cui agisce – sia destinata a trovare applicazione in un numero rilevante di futuri contenziosi. In una ipotesi del genere, la prospettica diffusività del contrasto è certa, ma il grave contrasto interpretativo è solo ipotizzabile. In linea generale, il ricorso all’art. 363-bis c.p.c. dovrebbe continuare a dirsi inammissibile: vi è la serialità (certa o ragionevolmente tale, per quanto futura), manca la grave incertezza interpretativa (solo astrattamente predicabile). Tuttavia, non si può escludere un’altra soluzione, manifestazione di un approccio meno formalistico all’istituto de quo. Ossia, nulla vieta che si possa alludere alla grave difficoltà interpretativa e alla serialità come nozioni relativamente elastiche per cui, a seconda dei casi, all’espansione dell’una possa corrispondere l’arretramento dell’altra. Se così fosse, il rinvio pregiudiziale dovrebbe valutarsi ammissibile anche quando il dubbio interpretativo afferisca ad una norma nuova in settore o in materia intrinsecamente seriale. La rilevanza della grave difficoltà interpretativa, d’altronde, non potrebbe essere elisa del tutto, ma al massimo affievolita nel senso che il giudice a quo conserverebbe – a mio avviso – l’onere di dare adeguatamente conto: (i) del perché quella norma nuova ponga una seria incertezza ermeneutica; (ii) di quali sarebbero le diverse possibili letture; e (iii) del motivo per il quale ciascuna di quelle ipotetiche letture assurga al rango di alternativa degna di astratta preferenza. Quel che mi sembra impossibile da ipotizzare, invece, è una completa retrocessione della condizione applicativa della gravità del dubbio interpretativo a tutto beneficio della serialità([18]).
A questa soluzione meno rigoristica corrisponderebbe, con ogni evidenza, l’accentuazione della funzione deflattiva del rinvio pregiudiziale rispetto a quella nomofilattica([19]), la quale non sarebbe comunque né pretermessa né svilita, restando anch’essa ben presente nell’affermazione anticipata di un principio di diritto la cui forza persuasiva dovrebbe o scoraggiare il futuro contenzioso (i.e. efficacia deflattiva) o orientare i giudici che ne fossero investiti (i.e. efficacia acceleratoria).
Insomma, ci troveremmo al cospetto di uno scenario del tutto compatibile con la ratio del rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c., che è istituto al contempo di giurisdizione decisoria e di nomofilachia preventiva con funzione, per l’appunto, deflattiva ed acceleratoria.
4. La prassi applicativa del primo anno di vita del rinvio pregiudiziale offre tutto sommato rasserenanti alle iniziali preoccupazioni. Un qualche eccesso da parte dei giudici del merito era uno scotto pronosticabile all’atto dell’introduzione dell’istituto de quo. Tuttavia, si può osservare che i requisiti applicativi ex art. 363-bis, comma primo, c.p.c., da un lato, e la giurisprudenza presidenziale intorno ad essi, dall’altro, stiano arginando bene l’impatto di questo modesto abuso. Al punto tale che si può anche immaginare che tale abuso sia destinato ad un progressivo ridimensionamento.
Annoto che, con decreto del 7 settembre 2023 (numero di raccolta generale 15340/2023)([20]), la Prima Presidente della Corte di cassazione ha rimesso alle sezioni unite un rinvio pregiudiziale proveniente dal Tribunale di Salerno. Il giudice a quo, a monte dell’esercizio della facoltà di cui all’art. 363-bis c.p.c., non aveva attuato il contraddittorio tra le parti, sebbene tale previo passaggio venga espressamente richiesto dall’art. 363-bis, comma primo, c.p.c. L’ordinanza di rinvio non aveva fatto menzione di tale anomalia procedurale, la quale veniva segnalata alla Prima Presidente da una delle parti del giudizio di provenienza con una nota scritta contente la richiesta di declaratoria della nullità dell’ordinanza stessa. Così, alla questione interpretativa posta dal giudice rimettente (le conseguenze scaturenti dalla omessa indicazione, all’interno di un contratto di mutuo bancario, del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori, pure a fronte della previsione per iscritto del tanno annuo nominale (TAN), nonché della modalità di ammortamento “alla francese”), se ne aggiungeva un’altra, direttamente posta dalla parte del processo a quo. Su quest’ultima questione, ossia se il previo contraddittorio sia o non sia condizione di ammissibilità ulteriore rispetto a quelle testuali di cui ai numeri da 1) a 3) del comma primo dell’art. 363-bis c.p.c. e se la sua mancanza sia poi sanabile ex post dinanzi al collegio della Corte di cassazione, la Prima Presidente, pur fornendo indicazioni nel secondo senso, ha ritenuto di non statuire e di investire della rimessione pregiudiziale le sezioni unite «anche per l’intreccio con il problema della sorte dell’ordinanza di rinvio senza aver sentito le parti, un ambito normativamente assegnato al vaglio, sostanzialmente esclusivo, del Collegio allargato della nomofilachia».
È interessante perché siamo di fatto al cospetto di un rinvio pregiudiziale sul rinvio pregiudiziale (o, a dir diversamente, di «quaestio iuris interpretativa sullo stesso nuovo istituto processuale»([21])), rimesso dalla Prima Presidente al Collegio della Corte di cassazione, di cui si attende con interesse il responso.
([1]) Cfr. Capponi e Panzarola, Questioni e dubbi sulle novità del giudizio di legittimità secondo gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII (breve contributo al dibattito), in Giust. ins., 21 maggio 2021; Casaburi, Un utile ircocervo: la domanda cumulativa di separazione e divorzio (art. 473 bis.49 c.p.c.), in Foro it., 6, 2023, 1937 ss., spec. 1946; Capasso, Il rinvio pregiudiziale e il «vincolo» di troppo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2, 2022, 589, spec. nota 10.
([2]) Cfr. Scarselli, Note sul rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione di una questione di diritto da parte del giudice di merito, in Giust. ins., 5 luglio 2021, § 4.
([3]) Cfr. Scarselli, Note sul rinvio, cit., § 9; cfr. Capasso, Il rinvio, cit., 604-605. Cenni all’argomento anche in D’Alessandro, Il rinvio pregiudiziale in Cassazione, in Proc., 1, 2023, 66.
([4]) Lo avevo già osservato, se si vuole, in Carosi, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione e il fondamento dell’efficacia vincolante della decisione interpretativa, in corso di pubblicazione in Giust. proc. civ., 1, 2024.
([5]) È sin troppo noto il parallelismo tra il rinvio pregiudiziale nostrano e la saisine pour avis della Cour de cassation di cui agli artt. L.441-1 ss. del code de l’organisation judiciaire, introdotta nell’ordinamento francese dalla legge 15 maggio 1991, n. 491. Parallelismo affermato dalla stessa relazione della Commissione «Luiso», par. 4.2, consultabile in https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/commissione_LUISO_relazione_finale_24mag21.ppd. Cfr. in dottrina Damiani, Il rinvio pregiudiziale in Cassazione, in Giust. proc. civ., 1, 2023, 58-59 e Capasso, Il rinvio, cit., 590. In senso parzialmente critico sul parallelismo in questione cfr. Capponi, È opportuno attribuire nuovi compiti alla Corte di Cassazione?, in Giust. ins., 19 giugno 2021; in senso critico cfr., se si vuole, anche Carosi, Il rinvio pregiudiziale, cit. Un altro parallelismo proposto – cfr. Barbieri, Brevi considerazioni sul rinvio pregiudiziale in cassazione: il giudice di merito superiorem non recognoscens, in Nuov. leg. civ. com., 2, 2022, 2022, 384-385; Santagata, in Aa.Vv., La riforma Cartabia del processo civile, Roberta Tiscini (a cura di), Pisa, 2023, 528 e in nota 12; contra il parallelismo in questione Carratta, Il rinvio pregiudiziale alla Cassazione e la decisione “soggettivamente complessa”, in Giur. it., 2, 2023, 469 – è stato quello tra il nostro rinvio pregiudiziale e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 TFUE. Su quest’ultimo istituto eurounionale cfr. Briguglio, Pregiudiziale comunitaria e processo civile, Padova, 1996 e cfr. anche D’Alessandro, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Corte di giustizia. Oggetto e limiti della pronuncia, Torino, 2012.
([6]) Cfr. al riguardo sempre Carosi, Il rinvio pregiudiziale, cit. Per un esame delle prime esperienze applicative in punto di «filtro» presidenziale, Briguglio, Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c. – Prima Puntata, in www.judicium.it, 6 giugno 2023; Idem, Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c. – Seconda Puntata, ivi, 14 giugno 2023; Idem, Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c. – Terza Puntata, ivi, 6 luglio 2023; Idem, Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c. – Quarta Puntata, ivi, 1° dicembre 2023; Idem, Esperienze applicative del rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 363 bis c.p.c. – Quinta Puntata, ivi, 22 dicembre 2023.
([9]) Cfr. per un commento al decreto presidenziale in questione Briguglio, Esperienze, quinta puntata, cit.
([10]) È verosimile che sia così, ma non certo. Cfr. Briguglio, Esperienze, quinta puntata, cit., il quale definisce infatti la pregressa esperienza giurisprudenziale quale «sintomo (non imprescindibile ma significativo) dei requisiti di “numerosità” e “grave difficoltà».
([11]) Cfr. sul punto Sgroi, in Aa.Vv., La Cassazione civile riformata, Bari, 2023, 27.
([12]) Questa è la pregnante indicazione che, a proposito della grave difficoltà interpretativa, giunge dal precedente decreto presidenziale del 3 novembre 2023, consultabile sul sito istituzionale della Corte di cassazione in https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/Rg.18326_2023_Decreto_PP_inammissibilit.pdf.
([14]) Tuttavia, sull’incertezza interpretativa cadente su norma nuova destinata ad agire in settore o in materia intrinsecamente seriale cfr. le precisazioni infra.
([15]) Nel decreto presidenziale del 3 novembre 2023, su cui cfr. retro, nota 11, si legge che «Sarebbe, infatti, improprio l’utilizzo del rinvio pregiudiziale da parte del giudice del merito ove rivolto unicamente a conseguire un avallo interpretativo dalla Corte di cassazione diretto a preservare la propria decisione da una diversa lettura ed applicazione delle norme ad opera del giudice dell’impugnazione».
([16]) Cfr. sul punto infra.
([17]) Cfr. sul punto le osservazioni di Briguglio, Esperienze, quinta puntata, cit., § 2. e poi § 3.3.
([18]) Briguglio, Esperienze, quinta puntata, cit., § 2.1., pur facendo intendere di ritenere possibile un’importante attenuazione del rilievo della gravità dell’incertezza ermeneutica, pone la condizione che «la nuova disposizione si presti ad un ragionevole, anche se non particolarmente difficile, dubbio interpretativo».