Il decreto ingiuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore dopo Corte di giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19): in attesa delle Sezioni Unite

Di Elena D’Alessandro -

Abstract: Il saggio esamina le decisioni della Grande sezione della Corte di giustizia del 17 maggio 2022 e i suoi risvolti applicativi in tema di efficacia del decreto ingiuntivo non opposto, quando l’autorità giurisdizionale del procedimento monitorio abbia omesso di esercitare – in toto o parzialmente- il controllo officioso sulla sussistenza di clausole abusive, nonché in riferimento ai poteri del giudice dell’esecuzione; temi, al momento all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La lunga (e prevedibile) marcia della giurisprudenza della Corte di giustizia verso le sentenze del 17 maggio 2022. – 3. La sentenza della Grande sezione nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19. – 4. Le conseguenze in punto di motivazione del decreto ingiuntivo (italiano ed europeo). – 5. Poteri del giudice dell’esecuzione e strumenti processuali a disposizione del consumatore in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite. – 6. Nostra proposta ricostruttiva. – 7. Possibili conseguenze in riferimento ai giudizi contumaciali. –8. Conclusioni.

1.Introduzione

Il 17 maggio 2022 la Grande Camera della Corte di giustizia dell’Unione europea ha emanato quattro sentenze interpretative concernenti i rapporti tra la Dir. 93/13 e il diritto processuale nazionale. Si tratta delle decisioni nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19, SPVProject e Banco di Desio e della Brianza, nonché nelle cause C-725/19 Impuls Leasing România; C-600/19 Ibercaja Banco, C-869/19 Unicaja Banco. La prima sentenza è quella che maggior eco ha avuto in Italia[1], in quanto suscitata da due rinvii pregiudiziali del Tribunale di Milano. Gli altri rinvii pregiudiziali erano stati invece posti in essere da giudici di Spagna (C-600/19 e C-869/19) e Romania (C-725/19). Benché solo la sentenza emanata nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19 si riferisca al procedimento monitorio[2], le quattro pronunce debbono essere lette congiuntamente, in quanto tutte contribuiscono a definire la latitudine dei poteri officiosi del giudice di rilievo dell’abusività, ai sensi della Dir. 93/13, delle clausole contenute in contratti tra consumatore e professionista da cui deriva il credito azionato in giudizio (in particolare: in sede monitoria) e quale sia l’ampiezza del sindacato del giudice dell’esecuzione sopra un titolo giudiziale (in particolare: un decreto ingiuntivo non opposto). Tutte e quattro le sentenze debbono inoltre essere collocate nel contesto della precedente giurisprudenza della corte del Lussemburgo, di cui paiono costituire logico sviluppo.

Tuttavia, poiché questo commento ha ad oggetto il solo procedimento monitorio italiano[3] l’attenzione sarà rivolta soprattutto alla sentenza che ha deciso le cause riunite C-693/19 e C-831/19. Le altre tre decisioni rese dalla Grande camera nella medesima giornata saranno richiamate solo se e quando di necessità.

2.La lunga (e prevedibile) marcia della giurisprudenza della Corte di giustizia verso le sentenze del 17 maggio 2022

Per la Corte del Lussemburgo da oltre un decennio costituisce dato pacifico quello per cui, alla luce della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico su cui si fonda la tutela che la Dir. 93/13 offre ai consumatori, il giudice nazionale, per ovviare allo squilibrio che si presume sussistere tra consumatore e professionista anche quando entrambi siano assistiti in giudizio dal proprio rappresentante tecnico, è tenuto a verificare d’ufficio la presenza di eventuali clausole abusive nel contratto da cui origina la controversia[4] non appena disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine[5]. Se il giudice non dispone del testo del contratto da cui è sorta la controversia, dovrà adottare d’ufficio i mezzi istruttori necessari al fine di acquisire tale documento, così da accertare se alcuna delle clausole ivi inserite rientri nell’ambito di applicazione della Dir. 93/13 e, in caso di risposta positiva, se si tratti di clausola abusiva[6].

Per la precisione, quando si tratti di un procedimento a cognizione piena ed esauriente, l’obbligo del giudice riguarderà la mera rilevazione della sussistenza di clausole abusive ai sensi della Dir. 93/13, a cui farà seguito la dichiarazione della nullità della clausola solamente quante volte il consumatore, reso edotto dal giudice di tale rilevazione e invitato ad esprimersi in proposito (in ossequio al principio del contraddittorio), abbia dichiarato di volersi avvalere della protezione offerta dalla Dir. 93/13[7].

Anche quando il professionista-creditore decida di instaurare un procedimento monitorio interno o europeo, il giudice, prima di emettere l’ingiunzione di pagamento, dovrà valutare ogni clausola contenuta nel contratto da cui il credito vantato deriva per ponderarne la eventuale natura abusiva. Se del caso, potrà chiedere al creditore di depositare, a tal fine, copia del contratto[8], giovandosi, quando si tratti di procedimento monitorio italiano, della previsione dell’art. 640, 1° comma, c.p.c.

Trattandosi di procedimento inaudita altera parte, l’obbligo gravante sul giudice in tal caso non si riferirà alla sola rilevazione, includendo anche la consequenziale dichiarazione della nullità della clausola abusiva ai sensi della Dir. 93/13. La conclusione è in linea con quanto affermato dalla nostra Corte costituzionale nel lontano 2005, quando si segnalò che il giudice italiano del procedimento monitorio ha capacità di rilevare ex officio le eccezioni in senso lato, quale è quella in esame, ma anche quelle in senso stretto che in un giudizio a cognizione piena ed esauriente sarebbero riservate alla sola parte, quale è in particolare l’eccezione di incompetenza territoriale derogabile[9], al fine di non emettere un decreto ingiuntivo con la consapevolezza che si tratta di provvedimento viziato che costringerà l’ingiunto a proporre opposizione. Quella facoltà diviene un obbligo quante volte si tratti di credito relativo ad un contratto tra consumatore e professionista e occorra pertanto valutare la presenza, nel medesimo, di eventuali clausole abusive ai sensi della Dir. 93/13.

Cosa accade, però, se il giudice della fase monitoria omette di adempiere (anche solo parzialmente) al dovere impostogli dalla Dir. 93/13, ossia quello di verificare tutte le clausole contrattuali per valutarne l’abusività sulla base dei documenti a sua disposizione e, se del caso, domandandone la produzione al creditore-professionista quante volte “nutra seri dubbi”[10], dando conto di tali esiti nella motivazione del decreto ingiuntivo e, al contempo, il consumatore non proponga opposizione ex art. 645 c.p.c. o ex art. 650 c.p.c.?

Si noti, a tale riguardo, che la corte del Lussemburgo in più occasioni ha chiarito che, se è vero che spetta al diritto processuale degli Stati membri individuare le modalità con cui garantire l’azionabilità dei diritti dei consumatori derivanti dalla Dir. 93/13, è altrettanto vero che tali modalità non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano la tutela di posizioni di diritto sostanziale aventi fonte nel diritto nazionale (principio di equivalenza) né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività).

Con particolare riferimento al principio di effettività, la Corte di giustizia ha segnalato che la possibilità, conferita al consumatore, di attivarsi proponendo opposizione a decreto ingiuntivo, dando così avvio ad una fase a contraddittorio integro e cognizione piena ed esauriente, non costituisce uno strumento giurisdizionale effettivo per la tutela dei diritti derivanti dalla Dir. 93/13, quante volte sussista un rischio che il consumatore non si attivi giudizialmente in considerazione delle spese processuali che l’opposizione comporterebbe ovvero perché la normativa nazionale non prevede che gli siano trasmesse tutte le informazioni necessarie per consentirgli di determinare quali sono le conseguenze della sua eventuale inerzia[11]. Il che accade, ad esempio, quando manchi la espressa indicazione di quali sono le preclusioni – in termini di possibilità di invocare la presenza di eventuali clausole abusive – che scatterebbero in caso di inerzia del consumatore ingiunto. Per tali motivi, ad avviso della Corte di giustizia, l’opposizione a decreto ingiuntivo è un rimedio che non può mai sostituire l’obbligo di controllo, da parte del giudice del procedimento monitorio, del contenuto di tutte le clausole del contratto da cui il credito del professionista deriva.

Nel corso degli ultimi quindici anni la Corte di giustizia ha anche offerto indicazioni in ordine alle modalità con cui il principio di effettività deve essere bilanciato con la necessità di garantire la stabilità del giudicato civile, che è valore fondamentale per la certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia. In particolare, nel 2009, chiamata a pronunciarsi con riferimento ad un lodo arbitrale spagnolo non più impugnabile e relativo ad una fattispecie riconducibile all’ambito di applicazione della Dir. 93/13, la Corte del Lussemburgo aveva concluso nel senso che “il rispetto del principio di effettività non può giungere al punto di esigere che un giudice nazionale debba […] supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato che […] non ha partecipato al procedimento arbitrale e neppure proposto un’azione d’annullamento contro il lodo arbitrale divenuto per tale fatto definitivo”[12].

Otto anni più tardi, nel 2017, la necessità di bilanciare il valore del giudicato civile con il principio di effettività ha portato la Corte di giustizia, nella sentenza Banco Primus[13] a ritenere che la Dir. 93/13 debba essere interpretata nel senso che non osta a una norma nazionale che vieta al giudice (nel caso di specie: spagnolo) di riesaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole di un contratto, qualora sia stato già statuito sulla legittimità di tutte le clausole di tale contratto alla luce di detta Dir. con una decisione munita di autorità di cosa giudicata. La Corte del Lussemburgo si è però spinta oltre, dando indicazioni agli Stati membri su come costruire una nozione di limiti oggettivi di efficacia del giudicato che sia in linea con il principio di effettività. Segnatamente, valorizzando la funzione della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, si è concluso nel senso che, in presenza di una o di più clausole contrattuali la cui eventuale abusività non sia ancora stata esaminata nell’ambito di un precedente controllo giurisdizionale del contratto controverso terminato con una decisione munita di autorità di cosa giudicata (o almeno quando così risulti dalla motivazione del provvedimento), “la Dir. 93/13 deve essere interpretata nel senso che il giudice nazionale, regolarmente adito dal consumatore mediante un’opposizione incidentale all’esecuzione, è tenuto a valutare, su istanza delle parti o d’ufficio qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l’eventuale abusività di tali clausole” [14].

 3. La sentenza della Grande sezione nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19

Nella sentenza sulle cause riunite C-693/19 e C-831/19 la Corte di giustizia ha ritenuto che la garanzia della verifica giurisdizionale della natura delle clausole contenute nel contratto concluso tra consumatore e professionista rientrante nella sfera di applicazione della Dir. 93/13 debba essere concretamente garantita anche nell’ambito del procedimento monitorio. In altri termini: affinché la tutela giurisdizionale offerta al consumatore dall’ordinamento italiano sia effettiva, non è sufficiente che il giudice della fase sommaria del procedimento monitorio sia astrattamente messo in condizione di effettuare la verifica de qua. Il giudice deve averla effettivamente ed esaustivamente posta in essere e deve averne dato atto nella motivazione del decreto ingiuntivo, in linea con quanto sostenuto nella sentenza Banco Primus. Altrimenti, se non vi è stata opposizione e il creditore ha utilizzato il decreto ingiuntivo per instaurare un processo esecutivo, sarà in tale sede che la rilevazione ex officio dovrà avere luogo[15]. Come è stato osservato[16], il controllo accurato ed approfondito effettuato dal giudice del procedimento monitorio e congruamente motivato nel decreto diviene di cruciale importanza non solo per la protezione del consumatore (che deve essere messo in condizioni di valutare con cognizione di causa se proporre tempestiva opposizione a decreto ingiuntivo per censurarne eventuali errori) ma anche per il creditore-professionista che solo in tal modo non correrà il rischio che il titolo esecutivo giudiziale sia considerato insussistente [17] o il credito ridotto nell’importo[18] in sede esecutiva.

Per le ragioni già in altra sede espresse[19] rimaniamo persuasi del fatto che la Corte di giustizia con la sentenza del 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19 non abbia compresso l’istituto del giudicato civile in sé[20] in nome del principio di effettività (i.e. della primauté del diritto eurounitario), tant’è che nella motivazione della pronuncia si ribadisce la centralità di tale istituto. Piuttosto, si è posto un limite a ciò che nel procedimento monitorio ne costituisce il fondamento, ossia il meccanismo di “accertamento incontrovertibile mediante preclusione”.

Il giudicato civile, nel procedimento monitorio, non è la risultante di un accertamento compiuto a contraddittorio integro e con le garanzie della cognizione piena ed esauriente. Il meccanismo è invece quello – tutto processuale – della provocatio ad opponendum ossia dell’inversione della iniziativa della cognizione piena ed esauriente e del contraddittorio integro a carico dell’ingiunto, con conseguente impositio silentii in caso di sua inerzia[21]. L’operare di tale meccanismo, che qui del giudicato civile costituisce il presupposto, è limitato dalla Corte di giustizia in nome del principio di effettività. Il ragionamento è il seguente: quando il giudice della fase sommaria del procedimento monitorio adempia compiutamente all’obbligo di verifica su di esso gravante ex Dir. 93/13 e ne fornisca adeguata motivazione nel decreto ingiuntivo (anche nel caso di un suo eventuale errore nel non ritenere abusiva una delle clausole esaminate), il meccanismo dell’accertamento incontrovertibile mediante preclusione funzionerà more solito.

In nome del principio di effettività e per garantire l’effetto utile della Dir. 93/13, non sarà invece possibile far sì che l’inerzia del consumatore nel proporre opposizione determini “automaticamente” la formazione di un accertamento incontrovertibile per preclusione che renda impossibile ad un successivo giudice la verifica, precedentemente non effettuata/ovvero parzialmente effettuata/ovvero effettuata ma non motivata, della abusività delle clausole contenute nel contratto tra consumatore e professionista da cui deriva il credito tutelato in sede monitoria. A fronte di siffatte situazioni, la preclusione tornerà ad avere la sua consueta estensione oggettiva soltanto quante volte il giudice dell’esecuzione rilevi l’abusività della clausola ma il consumatore esecutato decida consapevolmente di non avvalersene. La pronuncia della Corte di giustizia nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19 costruisce dunque un’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non opposto[22], la cui portata oggettiva è variabile (includendo o meno il “rilevabile”) quante volte il credito nasca da un contratto riconducibile alla sfera di applicazione della Dir. 93/13 e non si sia provveduto ad una completa e motivata verifica della sussistenza di eventuali clausole abusive. La portata del giudicato è variabile in quanto la sua estensione alla non contestabilità delle clausole abusive non rilevate nel corso del procedimento monitorio dipende dal contegno del consumatore.

La pronuncia della Corte del Lussemburgo comporta significative conseguenze sul piano del diritto processuale nazionale, in quanto applicabile anche ai decreti ingiuntivi emessi prima del 17 maggio 2022, in base al consolidato principio per cui le pronunce interpretative della Corte di giustizia dichiarano quale è il significato da attribuire ex tunc ad una determinata disposizione europea ed alla sua compatibilità con il diritto interno[23]. Questa, però, è una conseguenza che accomuna l’Italia agli altri Stati membri che contemplano, all’interno del loro diritto processuale civile nazionale, un procedimento monitorio: tutti, infatti, dovranno adattare il proprio diritto processuale civile a quanto affermato da Corte di giustizia nella sentenza del 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19, in nome del principio di effettività della tutela[24].

Lo stesso procedimento monitorio europeo di cui al Reg. 1896/2006, a nostro avviso, ed alla luce di quanto affermato nella sentenza Bondora[25], subirà gli effetti della sentenza del 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19 e necessiterà di una riscrittura del Modulo E, ossia del modulo con cui è emessa l’ingiunzione. Al momento, infatti, tale modulo nulla prevede in riferimento alla necessità di dare adeguata motivazione degli esiti della verifica della sussistenza di eventuali clausole abusive, quante volte si tratti di credito nascente da un contratto tra consumatore e professionista sub Dir. 93/13. Le conseguenze del mancato rilievo e/o di una adeguata motivazione circa la sussistenza di clausole abusive saranno, anche per il procedimento monitorio europeo, quelle indicate dalla Corte di giustizia nella sentenza del 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19.

Viceversa, non sembra che la citata sentenza della Corte di giustizia sia applicabile oltre la materia consumeristica. Neppure qualora si ritenga che il giudice del procedimento monitorio debba sempre rigettare la richiesta di ingiunzione quante volte si avveda della presenza di un fondato motivo di opposizione, evitando così di concedere un decreto ingiuntivo con la consapevolezza che l’istante ha torto in rito o in merito[26]. Ciò che infatti incide, limitandolo, sul normale operare del diritto processuale civile nazionale e, in particolare, sull’operatività dell’impositio silentii è il principio di effettività, che non entra in gioco quando non si tratti di applicare la Dir. 93/13.

4.Le conseguenze in punto di motivazione del decreto ingiuntivo (italiano ed europeo)

La portata oggettiva del decreto ingiuntivo non opposto dipenderà innanzitutto dal contegno del giudice del procedimento monitorio. Segnatamente, in caso di decreto ingiuntivo richiesto nei confronti del consumatore (nelle fattispecie ascrivibili all’ambito di applicazione della Dir. 93/13), in attuazione di quanto previsto da Corte di giustizia, 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19, il giudice del procedimento monitorio dovrà:

i) dichiarare di aver proceduto ad un esame d’ufficio di ciascuna delle clausole del contratto da cui deriva il credito azionato;

ii) indicare almeno sommariamente le ragioni per cui detto esame non ha rivelato la sussistenza di alcuna clausola abusiva;

iii) avvertire il consumatore ingiunto che, in assenza di opposizione entro il termine stabilito dalla legge avanti al giudice che ha emesso il decreto e con difesa tecnica obbligatoria, egli decadrà dalla possibilità di far valere l’eventuale carattere abusivo di siffatte clausole in altra sede processuale.

Se il legislatore europeo provvederà quanto prima ad una riscrittura del Modulo E relativo alla pronuncia dell’ingiunzione di pagamento europea sarà più facile comprendere quale è lo standard di motivazione che si aveva in mente. In ogni caso, come è stato osservato, nella prassi verosimilmente accadrà che il difensore del creditore che redige l’istanza monitoria sarà incentivato ad illustrare il tenore del contratto che costituisce la fonte del credito azionato “enucleando, semmai anche mediante esplicito richiamo della documentazione depositata, la non ravvisabilità, in esso, di alcuna clausola abusiva”[27]. Pertanto, in attesa di delucidazioni dall’Europa, è da ritenere che il giudice del procedimento monitorio, dopo aver segnalato che il provvedimento è stato emesso sulla base delle informazioni fornite dal creditore (come peraltro previsto dal Modulo E dell’ingiunzione di pagamento europea), debba dare conto di aver esaminato le clausole del contratto da cui il credito deriva (richiamandole per numero o rubrica) e di non aver riscontrato la sussistenza di clausole abusive, ma possa poi limitarsi a rinviare alle ragioni indicate dal creditore nel ricorso introduttivo[28].

5.Poteri del giudice dell’esecuzione e strumenti processuali a disposizione del consumatore in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il giudice dell’esecuzione ha il dovere di verificare d’ufficio che l’azione esecutiva sia sorretta da un valido titolo esecutivo durante tutto il corso del processo di espropriazione. Lo segnala il P.G. presso la Corte di cassazione nelle conclusioni con cui ha chiesto al Presidente della Terza sezione di dichiarare estinto per rinuncia agli atti un ricorso per cassazione in cui era stata invocata l’applicazione delle sentenze della Corte di giustizia del 17 maggio 2002 (in particolare della decisione delle cause riunite C-693/19 e C-831/19) e di enunciare il principio di diritto ai sensi dell’art. 363 c.p.c.[29] Il presidente della III sez. civile della Corte di cassazione, con provvedimento del 7 luglio 2022, ha quindi trasmesso la causa al Primo presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, in quanto questione di particolare importanza che coinvolge materie di competenza tabellare di diverse sezioni. A breve, dunque, le Sezioni Unite forniranno un auspicato ausilio all’operatore pratico individuando quali sono le immediate ricadute, sul piano del diritto processuale interno, delle pronunce della Grande sezione della Corte di giustizia del 17 maggio 2022.

Nell’attesa, tentiamo di illustrare il problema: in base al diritto processuale interno, il giudice dell’esecuzione deve valutare ex officio la sussistenza di un valido titolo esecutivo. Secondo Corte di giustizia 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19, quando si tratti di controversia tra consumatore e professionista e dalla motivazione del decreto ingiuntivo utilizzato come titolo esecutivo non risulti che sia stata posta in essere una esaustiva verifica del contratto da cui il credito deriva al fine di rilevare la presenza di eventuali clausole abusive ai sensi della Dir. 93/13, il giudice dell’esecuzione ha il potere, rectius il dovere, di effettuare tale verifica. Tuttavia, sia quando la clausola abusiva dia luogo ad una nullità che, se rilevata e dichiarata, determinerebbe il venir meno di un titolo esecutivo giudiziale, in quanto pronunciato da un giudice incompetente, sia (a maggior ragione) quando trattasi di clausola abusiva (ad esempio sugli interessi moratori) che opera solo sull’importo del credito azionato in sede esecutiva, il potere di rilevazione del giudice dell’esecuzione, grazie alla pronuncia della Corte di giustizia, va oltre quanto consentito dal diritto interno, perché non si limita alla verifica ab esterno della sussistenza di un titolo esecutivo giudiziale efficace ma si spinge fino all’intrinseco, i.e. all’esame del contenuto del contratto da cui deriva il diritto di credito tutelato in via esecutiva.

Siffatto dovere di rilevazione sussisterà durante tutto il corso del processo esecutivo e, a nostro avviso, anche dopo l’assegnazione e la vendita, i.e. in sede di distribuzione del ricavato[30].

Sennonché l’annosa questione che si pone è quella di comprendere se al giudice dell’esecuzione spetti soltanto la rilevazione dell’abusività della clausola essendo, invece, la declaratoria della nullità, con le relative conseguenze[31]rimessa esclusivamente al giudice della cognizione, ovvero se non sia possibile immaginare una dichiarazione di nullità pronunciata dal giudice dell’esecuzione, quante volte il consumatore decida di avvalersene.

Al momento sono state delineate due proposte interpretative, ambedue accomunate dal fatto che si attribuisce al giudice della cognizione il potere/dovere di dichiarare la nullità della clausola abusiva rilevata dal giudice dell’esecuzione per sottrarre a quest’ultimo ogni ingerenza sul titolo giudiziale. Inoltre, nessuna delle due proposte prevede l’applicazione della revocazione tramite il rinvio di cui all’art. 656 c.p.c., a causa della mancanza di un apposito motivo di revocazione adatto al caso di specie e stante la impossibilità di ampliare il catalogo di cui all’art. 395 c.p.c. in via interpretativa[32]. Ci sia consentito aggiungere che, a nostro avviso, il problema a monte consiste nel fatto che, in base a quanto stabilito dalla Corte di giustizia, il giudicato non cala sulle clausole abusive non richiamate in motivazione. Pertanto, non sussiste alcun accertamento incontrovertibile che necessiti di essere rimosso con lo strumento della revocazione per consentire la successiva declaratoria di nullità delle suddette clausole.

Segnatamente, la prima proposta interpretativa consiste nell’utilizzare l’art. 650 c.p.c.[33] estendendone i presupposti applicativi in via interpretativa e conformativa ai principi della legislazione europea. Si tratterebbe di allargare le maglie della nozione di “forza maggiore” e di ammettere una “rimessione in termini” in riferimento al termine decadenziale di 10 giorni di cui all’ultimo comma della disposizione[34]. La percorribilità della via dell’opposizione tardiva avrebbe l’indubbio pregio di consentire la caducazione del decreto ingiuntivo ovvero la riduzione del suo importo quale conseguenza della dichiarazione della sussistenza di clausole abusive da considerare nulle ai sensi della Dir. 93/13. Tuttavia, vi è il timore che una siffatta soluzione possa essere considerata dalla Corte di giustizia inadeguata in riferimento al principio di effettività. Infatti, come già ricordato, i giudici del Lussemburgo hanno ritenuto che la facoltà, in capo al consumatore, di proporre opposizione (tempestiva o tardiva) all’ingiunzione di pagamento non sia sostitutiva del dovere del giudice di rilevare e (se non vi è dissenso del consumatore) dichiarare la nullità di eventuali clausole abusive[35]. Ciò vale in particolare quando, in applicazione di una siffatta clausola, il consumatore sia costretto a difendersi in giudizio in una sede diversa da quella del suo domicilio[36].

La seconda proposta interpretativa è stata verosimilmente ispirata da quanto affermato in una delle quattro sentenze emesse dalla Corte di giustizia il 17 maggio 2022, e segnatamente dalla decisione Impuls Leasing România IFN SA[37]. In particolare, si ritiene[38] che il giudice dell’esecuzione, dopo aver rilevato d’ufficio l’eventuale natura abusiva di una clausola inserita nel contratto tra consumatore e professionista, debba indicare al consumatore-debitore che intenda avvalersi di tale clausola il rimedio da esperire per farne dichiarare la nullità. Tale strumento sarebbe costituito da un’ordinaria azione di accertamento da proporsi davanti al giudice di prime cure ordinariamente competente per valore e territorio (foro del consumatore). In questo modo, e in ossequio al principio di effettività, si evita il rischio che il consumatore sia costretto a difendersi in giudizio in una sede diversa da quella del suo domicilio e dunque si minimizzano i rischi di contrasto con il principio di effettività a cui abbiamo in precedenza fatto riferimento. Ciononostante, il punto debole di questa proposta è quello per cui l’actio nullitatis, in quanto avente un oggetto che è un minus rispetto alla minima unità azionabile nel processo civile, ossia la mera dichiarazione di abusività di una o più clausole contrattuali e non già l’accertamento della validità ed efficacia di un intero contratto[39], dovrà necessariamente fondarsi su una previsione normativa ad hoc che consenta l’instaurazione di un giudizio avente siffatto oggetto (come accade, ad esempio, per il giudizio di querela di falso). Lo stesso ci sembra debba dirsi per il caso in cui si ritenga di porre ad oggetto dell’actio nullitatis, non già il mero accertamento dell’efficacia di una clausola contrattuale ma, piuttosto, il decreto ingiuntivo non opposto, alla stregua di quello che è il riesame in casi eccezionali dell’ingiunzione previsto dall’art. 20 del Reg. 1896 del 2006. Sembra anche per questa ipotesi imprescindibile l’intervento del legislatore che dovrebbe altresì coordinarne i rapporti con l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.

Vi è di più. La Corte di giustizia, nella sentenza Impuls Leasing România IFN SA, ha reputato compatibile con la Dir. 93/13 un sistema processuale in cui non si consente al giudice dell’esecuzione di controllare (recte: non solo di dichiarare, ma anche di rilevare) il carattere abusivo delle clausole di un contratto a motivo del fatto che tale controllo può essere effettuato dal giudice di merito nell’ambito di un ordinario giudizio di cognizione non soggetto ad alcun termine di decadenza, alla sola condizione che tale giudice di merito disponga della facoltà di sospendere detto procedimento. È verosimilmente per tale motivo che, nell’ambito di questa proposta interpretativa, si precisa che il giudice dell’actio nullitatis potrebbe disporre la sospensione (esterna) dell’efficacia esecutiva del titolo giudiziale in via cautelare con valenza ex art. 623 c.p.c. Si propone cioè di utilizzare lo strumento cautelare atipico, in considerazione del fatto che la giurisprudenza di legittimità lo aveva già reputato ammissibile prima della riforma dell’art. 615, 1° comma, c.p.c. del 2005 per colmare una lacuna del sistema e consentire la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo (ma non anche la sospensione dell’esecuzione già iniziata)[40]. Così facendo tuttavia si ammette che anche un sistema basato sull’actio nullitatis presenterebbe la medesima carenza, posto che senza l’ausilio di un provvedimento cautelare atipico ex art. 700 c.p.c. il giudice della cognizione sarebbe privo del potere di disporre la sospensione della esecutività del titolo giudiziale e anche della sospensione esecuzione che, sembra, resterebbe in ogni caso rimessa al giudice dell’esecuzione tant’è che il P.G., nelle sue conclusioni, fa riferimento ad un differimento della vendita a data successiva alla conclusione del giudizio di merito.

6.Nostra proposta ricostruttiva

Ci sia consentito offrire il nostro contributo al dibattito. Chi scrive è infatti persuaso che vi sia un’ulteriore lettura prospettabile, che si caratterizza per il fatto di attribuire al giudice dell’esecuzione un potere/dovere di rilievo e anche di dichiarazione della nullità della clausola abusiva, quante volte il consumatore-esecutato, convocato avanti a lui nel contraddittorio con il creditore-professionista procedente, dichiari di volersene avvalere. Così facendo non si vanifica l’attività di controllo (e magari istruttoria) che ha condotto il giudice dell’esecuzione al rilievo della clausola abusiva e, al contempo, si agevole il consumatore nell’esercizio dei diritti di cui alla Dir. 93/13[41].

Il rilievo e la dichiarazione di nullità della clausola abusiva da parte del giudice dell’esecuzione verrebbero compiuti nell’ambito di un incidente endoesecutivo di accertamento, analogo a quello che si ha nel caso dell’art. 549 c.p.c. ovvero nel caso di controversie in sede di distribuzione del ricavato ai sensi dell’art. 512 c.p.c. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità[42], si tratta di un accertamento valevole ai soli fini del processo esecutivo e inidoneo al giudicato, venendo così meno il pericolo di ogni ingerenza del giudice dell’esecuzione sul titolo giudiziale. La sua funzione non consiste nell’accertare con valenza di giudicato l’esistenza di una clausola abusiva ma, piuttosto, nel verificare se sussiste un valido titolo esecutivo giudiziale ovvero di fissare, ai fini dell’esecuzione, l’importo del credito per cui si procede.

La decisione del giudice dell’esecuzione, da rendersi con ordinanza, potrebbe essere censurata dalla parte interessata, in caso di vizi di regolarità formale, ai sensi dell’art. 617 c.p.c. In tal caso, su impulso di parte, si aprirà un giudizio dichiarativo, avanti ad un giudice diverso da quello dell’esecuzione, in cui sarà possibile dar luogo all’accertamento con efficacia di giudicato della presenza (ovvero della assenza) di eventuali clausole abusive.

Il debitore-esecutato, per ottenere un siffatto accertamento con efficacia di giudicato, potrebbe però attivarsi sua sponte, prima che il giudice effettui la rilevazione e dichiarazione di cui si è detto, proponendo opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.[43], quante volte non si ritenga percorribile per lui la via della proposizione dell’opposizione all’esecuzione tardiva ex art. 650 c.p.c. In tal caso, infatti, ai sensi dell’art. 161, 1°comma, c.p.c., sarebbe quello lo strumento da utilizzare per ottenere la caducazione o la modifica dell’importo del decreto ingiuntivo. Se, però, sarà esclusa la possibilità di avvalersi dell’art. 650 c.p.c., allora per escludere la proponibilità dell’opposizione all’esecuzione non sembra possibile invocare la regola generale per cui, nel caso di esecuzione fondata su un titolo esecutivo giudiziale, il giudizio di opposizione non potrà avere ad oggetto eccezioni anteriori alla formazione del titolo stesso, che l’opponente debitore avrebbe dovuto far valere solo nel procedimento poi conclusosi con il titolo posto in esecuzione. Tale regola, infatti, vale solo in riferimento ai titoli esecutivi giudiziali in cui il giudicato copre non solo il dedotto/rilevato ma anche il deducibile e, per quel che qui interessa, il “rilevabile”. Per contro, Corte di giustizia 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19 ha chiarito che in caso di decreto ingiuntivo emesso per crediti nascenti da contratto tra consumatore e professionista ascrivibile all’ambito di applicazione della Dir. 93/13 la preclusione del rilevabile non opera in riferimento alle clausole abusive. Esse, dunque, non sono coperte da giudicato e rispetto a loro l’opposizione all’esecuzione si atteggia allo stesso modo in cui si generalmente atteggia con riferimento ai titoli esecutivi stragiudiziali. La sentenza conclusiva del giudizio di opposizione all’esecuzione, che è giudizio dichiarativo a cognizione piena ed esauriente, accerterà la sussistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata del creditore procedente, i.e. l’esistenza di un valido titolo esecutivo giudiziale (il che non è qualora si accerti che il decreto ingiuntivo è stato emanato da un giudice incompetente in virtù di una clausola abusiva) e/o l’importo del credito per cui si procede. Tale accertamento, in quanto temporalmente successivo, prevarrà su quello contenuto nell’ingiunzione di pagamento non opposta.

7.Possibili conseguenze in riferimento ai giudizi contumaciali

Corte di giustizia 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19 si è pronunciata in riferimento al procedimento monitorio. Tuttavia, poiché l’obbligo di rilevazione, da parte del giudice, della presenza di eventuali clausole abusive contenute nel contratto tra consumatore e professionista vige anche nel giudizio a cognizione piena ed esauriente, incluso quello contumaciale, vi è da chiedersi cosa accade se il giudice, a fronte della contumacia volontaria del consumatore convenuto, abbia omesso, anche in modo parziale, di adempiere a siffatto obbligo di rilevazione (e dichiarazione)[44], ovvero vi abbia adempiuto, non ravvisandone alcuna, ma senza darne conto nella motivazione della sentenza. In particolare, posto che sarà possibile, per il giudice dell’appello, effettuare siffatto controllo e dichiarare l’abusività della clausola qualora la parte soccombente abbia impugnato la decisione di primo grado, occorre domandarsi cosa accada se neppure il giudice dell’impugnazione adempia pienamente a siffatto obbligo di controllo e, dunque, non dia conto dell’esito della verifica nella motivazione della sentenza. Il tutto nella perdurante inerzia del convenuto contumace.

Consentire al giudice dell’esecuzione di rilevare l’esistenza di clausole abusive, in questo caso, non significherebbe limitare l’operare del meccanismo dell’accertamento incontrovertibile mediante preclusione tipico del procedimento monitorio in nome del principio di effettività, come nel caso a cui si è riferita la Corte di giustizia nella decisione delle cause riunite C-693/19 e C-831/19. Piuttosto, si tratterebbe di derogare al meccanismo di cui all’art. 161 c.p.c., ossia al principio per cui le nullità si convertono in motivi di impugnazione. Il mancato rilievo di clausole abusive si convertirebbe così in un vizio che determina un’inesistenza rilevabile in ogni sede processuale. La conseguenza sarebbe, dunque, assai significativa per l’economia del diritto processuale civile nazionale, tanto più in un periodo in cui il PNRR e le indicazioni europee spingono verso la riduzione del contenzioso civile.

Proprio questa differenze, e le ragioni di economia processuale appena segnalate, ci inducono a ritenere che i giudizi contumaciali siano sottratti alla diretta applicabilità di Corte di giustizia 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19.

Neppure ci sembra direttamente applicabile al nostro giudizio dichiarativo contumaciale quanto affermato nelle sentenze Banco Primus[45] e Ibercaja[46], secondo cui un controllo efficace dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali, come richiesto dalla Dir. 93/13, non può essere garantito se l’autorità di cosa giudicata riguarda anche le decisioni giurisdizionali che non danno atto di un siffatto controllo. Occorre infatti tenere a mente che le due pronunce riguardano, ambedue, le conseguenze di una omessa e motivata verifica che avrebbe dovuto effettuare un giudice dell’esecuzione prima di emettere l’ordine di avvio della procedura esecutiva (necessario, in Spagna, per dare avvio al processo esecutivo).

In altre parole, a noi pare che per far capitolare un principio cardine del nostro diritto processuale civile, quale è l’art. 161, 1°comma, c.p.c., in nome del principio di effettività, sia necessaria una pronuncia della Corte di giustizia che espressamente si riferisca a questa fattispecie. Fino a quel momento, continueremo a ritenere ancora valido il principio affermato nella sentenze Asturcom[47], Erste[48] e Kušionová[49], secondo cui non si può esigere che un giudice nazionale debba supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato che non ha partecipato al procedimento (avendone facoltà, questa la differenza con la fase sommaria del procedimento monitorio) né proposto un’impugnazione.

8.Conclusioni

Ormai sono tali e tante le pronunce della Corte di giustizia che, pur riconoscendo la validità del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, in nome del principio di effettività (ed uguaglianza) creano regole processuali speciali valide per le controversie tra consumatori e professionisti derivanti da contratti che ricadono entro la sfera di applicazione della Dir. 93/13, che in dottrina taluno parla di “diritto processuale dei consumatori[50]”; un diritto processuale speciale che trova la propria fonte nelle sentenze interpretative della Corte di giustizia[51]. Si tratta, in particolare, di un diritto processuale di matrice giurisprudenziale che costringe l’operatore pratico a comporre un complicato puzzle, consistente nel leggere e coordinare tra di loro, e con il diritto processuale nazionale, una lunga serie di pronunce della Corte del Lussemburgo. L’operazione diventa oltremodo difficoltosa quando le pronunce della Corte di giustizia fanno riferimento al diritto processuale civile di altro Stato membro, cosicché si tratta di determinare se quanto affermato con riferimento a tale Stato valga – e in che misura – anche per l’ordinamento italiano.

Si tenga inoltre presente che le sentenze della Corte di giustizia dettate pensando ad un singolo caso concreto di un singolo ordinamento sono come un sasso lanciato in uno stagno: è difficile prevedere ex ante quale sarà il numero di rimbalzi che tale lancio determinerà, i.e. quanti saranno gli ordinamenti degli altri Stati membri che vedranno il crearsi di una regola processuale speciale e con quali conseguenze.

Se a livello europeo si è fermamente convinti che la posizione di debolezza del consumatore rispetto al professionista giustifichi la presenza di regole processuali speciali, così come accade in tema di giurisdizione ai sensi del Regolamento n. 1215 del 2012, bisognerebbe forse avere il coraggio di compiere un passo ulteriore, ossia quello di codificare tali regole in un atto normativo europeo, frutto della concertazione tra i diversi Stati membri e di assai più facile consultazione rispetto ad un mosaico di pronunce del giudice di Lussemburgo, difficili da recuperare dal sito web della Corte di giustizia, al momento privo di una sezione tematica dedicata. Gli operatori pratici ne trarrebbero sicuro giovamento.

* Testo della relazione tenuta al Convegno organizzato dalla Scuola della magistratura, struttura territoriale del distretto di Torino, dal titolo “L’autorità del giudicato e la tutela del consumatore. I risvolti applicativi della sentenza della Corte di giustizia UE, Grande Sezione, del 17 maggio 2022, nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19”, tenutosi a Torino il 17 ottobre 2022.

[1] V., senza pretesa di esaustività, i commenti di Bertollini, Procedimento monitorio, decreto ingiuntivo non opposto e tutela del consumatore: considerazioni a margine di due interessanti pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in Pactum, https://rivistapactum.it/procedimento-monitorio-decreto-ingiuntivo-non-opposto-e-tutela-del-consumatore-considerazioni-a-margine-di-due-interessanti-pronunce-della-corte-di-giustizia-dellunione-europea/; Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto e protezione del consumatore: la certezza arretra di fronte all’effettività, di prossima pubblicazione nel fascicolo 10/2022 di Giur. it.; De Stefano, La Corte di Giustizia sceglie tra tutela del consumatore e certezza del diritto. Riflessione sulle sentenze del 17 maggio 2022 della Grande Camera della CGUE, in Giustizia insieme, https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-ue/2475-la-corte-di-giustizia-sceglie-tra-tutela-del-consumatore-e-certezza-del-diritto-riflessione-sulle-sentenze-del-17-maggio-2022-della-grande-camera-della-cgue; Febbi, La Corte di Giustizia Europea crea scompiglio: il superamento del giudicato implicito nel provvedimento monitorio, in www.judicium.it; Marchetti, Note a margine di Corte di Giustizia UE, 17 maggio 2022, (cause riunite C-693/19 e C-831/19), ovvero quel che resta del brocardo “res iudicata pro veritate habetur” nel caso di ingiunzioni a consumatore non opposte, parimenti in www.judicium.it; Troncone, Decreto ingiuntivo non opposto: la Corte UE amplia il sindacato del giudice dell’esecuzione, in www.altalex.com.

Per la compiuta esposizione dei fatti che hanno originato la pronuncia della Grande Sezione si rimanda a tali commenti, nonché, si vis, al fascicolo Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo, a cura di Caporusso e D’Alessandro, in Giur. it., 2022, 485 ss.).

[2] Si rinvia al testo delle tre sentenze (disponibile su curia.europa.eu, ricerca per numero di causa) per l’illustrazione delle vicende processuali che hanno originato i rinvii pregiudiziali e le susseguenti decisioni della Corte di giustizia.

[3] Altresì, faremo riferimento al solo caso in cui il diritto dedotto in giudizio o da soddisfare coattivamente sia un credito nascente da un contratto tra consumatore e professionista rientrante nell’ambito di applicazione della Dir. 93/13. Ratione materiae non ci occuperemo di stabilire se quanto affermato dalla Corte giust. sia applicabile anche ai diritti dei consumatori aventi una fonte europea diversa dalla Dir. 93/13.

[4] Nel rispetto del principio della domanda e dei limiti dell’oggetto della controversia: Corte giust., 11 marzo 2020, Lintner, causa C-511/17, EU:C:2020:188, punto 28 della motivazione.

[5] Quella che inizialmente era configurata come un mero potere di rilievo officioso in Corte giust., 27 giugno 2000, Océano Grupo Editorial SA, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, EU:C:2000:346 è divenuto un obbligo a partire da Corte giust., 4 giugno 2009, Pannon GSM, causa C-243/08, EU:C:2009:350, punti 31 e 32 della motivazione, a cui hanno fatto seguito, ex multis, Corte giust., 11 marzo 2020, Lintner, cit., punto 26 della motivazione; Corte giust., 4 giugno 2020, Kancelaria Medius, causa C-495/19, EU:C:2020:431, punto 37 della motivazione.

[6] Corte giust., 9 novembre 2010, VB Pénzügyi Lízing, causa C-137/08, EU:C:2010:659, punto 56 della motivazione, cui adde Corte giust., 7 novembre 2019, Profi Credit Polska, cause riunite C-419/18 e C-483/18, EU:C:2019:930, punto 66 della motivazione; Corte giust., 11 marzo 2020, Lintner, cit., punti 36 e 37 della motivazione.

[7] Ex multis Corte giust, 17 dicembre 2009, Eva Martin Martin, causa C-227/08, ECLI:EU:C:2009:792.

[8] Così, con riferimento all’ingiunzione di pagamento europea, Corte giust., 19 dicembre 2019, Bondora, causa C-453/18, EU:C:2019:1118. Con specifico riguardo al procedimento monitorio nazionale (spagnolo) v. Corte giust., 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, causa C-618/10, EU:C:2012:349. Con successiva decisione (Corte giust., 18 febbraio 2016, Finmadrid, causa C-49/14, EU:C:2016:98) i giudici del Lussemburgo hanno chiarito che, quando il controllo officioso non può essere compiuto dal giudice del procedimento monitorio (come all’epoca previsto dalla normativa spagnola che attribuiva sempre al secretario judicial il compito di emettere provvedimenti monitori), tale verifica dovrà essere posta in essere dal giudice dell’esecuzione. Per adeguarsi ad ambedue le pronunce il legislatore spagnolo ha modificato la propria normativa processuale. Infine, con riferimento a quello bulgaro la recente Corte giust., 30 giugno 2022, Profi Credit Bulgaria EOOD, causa C-170/21, ECLI:EU:C:2022:518.

[9] V. in tal senso Corte cost., 3 novembre 2005, n. 410. In dottrina vi è chi (Luiso, Diritto processuale civile, IV, 11 ed., Milano, 2021, 150) estende la portata della pronuncia della Corte di legittimità oltre l’ipotesi dell’incompetenza territoriale derogabile, ed oltre il caso dell’ingiunto consumatore (contrapposto al creditore professionista), estendendola a tutte le ipotesi in cui il giudice rileva un fondato motivo di opposizione, sia esso di rito o di merito (es. prescrizione del diritto).

[10] Questo il criterio indicato da Corte giust., 7 novembre 2019, Profi Credit Polska S.A., cause riunite C‑419/18 e C‑483/18, EU:C:2019:930, punto 67 della motivazione, utilizzato anche dalla dottrina tedesca per individuare le situazioni in cui sussiste l’obbligo, per il giudice del procedimento monitorio, di domandare una integrazione documentale al creditore professionista istante (Plausibilitätskontrolle). Così Fornasier, Vorbemerkung (Vor § 305), in Münchener Kommentar zum BGB, 9. Auflage, Monaco, 2022, paragrafo 41.

[11] Corte giust., 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, causa C-618/10, EU:C:2012:349, punto 54 della motivazione; Corte giust., 28 settembre 2018, Danko e Danková, causa C-448/17, EU:C:2018:745, punto 46 della motivazione. V. anche le conclusioni avv. gen. Saggio, Oceano Grupo editorial, causa C-241/98, cit., punto 22.

[12] V. da ultimo Corte giust, 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, causa C-40/08, EU:C:2009:615. Tuttavia, richiamandosi al principio di equivalenza, la Corte del Lussemburgo aveva poi concluso nel senso che “un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata, emesso in assenza del consumatore, è tenuto, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, a valutare d’ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, qualora, secondo le norme procedurali nazionali, egli possa procedere a tale valutazione nell’ambito di ricorsi analoghi di natura interna. In tal caso, incombe a detto giudice di trarre tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato da detta clausola”. Poiché secondo il diritto spagnolo il giudice dell’esecuzione deve verificare la eventuale contrarietà del titolo giudiziale all’ordine pubblico (controllo estrinseco) e le norme di matrice europea a tutela dei consumatori sono considerate norme di ordine pubblico (punto 52 della motivazione), la Corte di giustizia ha sancito l’obbligo di rilievo della abusività della clausola da parte del giudice dell’esecuzione (punto 54 della motivazione). Si noti che quest’ultimo è però un controllo intrinseco che non si limita alla valutazione degli effetti della decisione che costituisce titolo esecutivo giudiziale (come nel caso della verifica della contrarietà all’ordine pubblico) ma, piuttosto e necessariamente, esige un esame del contratto da cui deriva il credito posto ad oggetto della statuizione e che impone al giudice di “trarne tutte le conseguenze che ne derivano secondo il diritto nazionale affinché il consumatore di cui trattasi non sia vincolato” da clausole abusive.

[13] Corte giust., 26 gennaio 2017, Banco Primus SA, causa C-421/14, EU:C:2017:60, punto 47 della motivazione.

[14] Si trattava, segnatamente, di un giudizio di opposizione incidentale all’esecuzione. Sulla rilevanza di questo dato si dirà meglio infra, al § 7. Si vedano, in particolare, le interessanti osservazioni dell’avv. generale Szpunar, contenute nelle conclusioni presentate il 24 febbraio 2016, causa C-421/14, cit., nota n. 15. L’avv. generale, a fronte del Governo spagnolo che invocava l’efficacia di giudicato formale e sostanziale del titolo esecutivo giudiziale, nota che “una parte della dottrina nega l’esistenza dell’autorità di cosa giudicata sostanziale di un’ordinanza che pone fine all’incidente di opposizione all’esecuzione. Tale tesi negatoria sarebbe fondata, da una parte, sull’articolo 561, paragrafo 1, del codice di procedura civile, che disciplina l’opposizione per motivi sostanziali, il quale dispone che «dopo aver sentito le parti sull’opposizione all’esecuzione non fondata su vizi procedurali e dopo l’udienza eventualmente tenutasi, il giudice adotta, mediante ordinanza, solo ai fini dell’esecuzione, una delle seguenti decisioni». D’altra parte, la dottrina ritiene che tale negazione dell’esistenza dell’autorità di cosa giudicata sostanziale di un’ordinanza che pone fine all’incidente di opposizione all’esecuzione sia fondata sul fatto che le decisioni definitive successive a un procedimento sommario sono prive dell’autorità di cosa giudicata sostanziale. V., al riguardo, De la Oliva Santos, Objeto del proceso y cosa juzgada en el proceso civil, Madrid, 2005, 119-124”.

[15] Così recita il dispositivo della pronuncia: “L’art. 6, par. 1, e l’ar. 7, par. 1, Dur. 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa ‑ per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità ‑ successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo”.

[16] Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto, cit.

[17] Quando la clausola abusiva, se rilevata dal giudice del procedimento monitorio, avrebbe determinato la mancata emissione del decreto ingiuntivo e, dunque, la mancanza di un titolo esecutivo. Si pensi ad una clausola di deroga del c.d. foro del consumatore, da quest’ultimo non fatta oggetto di specifica contrattazione.

[18] Quando la clausola abusiva, se rilevata, avrebbe determinato l’emissione di un decreto ingiuntivo di importo inferiore. Si pensi ad una clausola abusiva riguardante il tasso d’interesse dovuto.

[19] D’Alessandro, Una proposta interpretativa per ricondurre a sistema le cause riunite C-693/19 e C-831/19, in Giur. it., 2022, 541 ss.

[20] Come invece ritengono De Stefano, loc. ult cit.; Marchetti, Note a margine di Corte di Giustizia UE, 17 maggio 2022, cit., § 2; Febbi, La Corte di Giustizia Europea crea scompiglio: il superamento del giudicato implicito nel provvedimento monitorio, cit.

[21] Cfr. per tutti Calamandrei, Il procedimento monitorio nella legislazione italiana, in Opere Giuridiche, IX, Ristampa, Roma, 2019, spec. 36; Proto Pisani, La tutela sommaria, in Le tutele giurisdizionali dei diritti. Studi, Napoli, 2003, 359 ss., spec. 365; Menchini, voce “Regiudicata civile”, in Digesto Civ., Torino, 1997, XVI, 404 ss., spec. par. 9 consultato tramite la banca dati Le leggi d’Italia.

[22] Relativo ad un credito derivante da un contratto tra consumatore e professionista riconducibile alla sfera di applicazione della Dir. 93/13.

[23] Si vis D’Alessandro, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla Corte di giustizia. Oggetto ed efficacia della pronuncia, Torino, 2012, 375 ss.

[24] V., in tal senso, con riferimento all’ordinamento tedesco la nota (senza titolo) di Carmona Schneider, in IWRZ, 2022, 238. Con riferimento all’ordinamento francese v. Poissonnier, Les nouveaux superpouvoirs du juge de l’exécution en droit de la consommation, in Recueil Dalloz, 2022, 1162 ss., secondo cui “La solution peut heurter en ce que traditionnellement le juge de l’exécution n’a pas pour fonction de refaire le travail de vérification effectué par le juge lors de son contrôle initial. Elle pourra même être considérée comme excessive en ce qu’elle aboutit à remettre en cause l’autorité de la chose jugée. Elle est cependant nécessaire au regard de l’impératif de la lutte contre les clauses abusives et du peu d’énergie mise par nombre de juges à la vérification de la légalité des contrats de consommation. Ainsi, en droit de la consommation, le juge de l’exécution a désormais des pouvoirs élargis, lui permettant de mettre à néant des titres exécutoires ou de les modifier. Il appartient donc aux magistrats en charge de la fonction de juge de l’exécution de mettre en oeuvre une pratique de vérification des clauses abusives dans les contrats de consommation ayant servi à l’obtention d’un titre exécutoire”.

[25] Supra, nota n. 8.

[26] Supra, nota n. 9.

[27] Troncone, Decreto ingiuntivo non opposto, cit.

[28] V. ancora Troncone, loc. ult. cit., per i riferimenti alla consolidata giurisprudenza secondo cui il giudice che emette il decreto ingiuntivo accogliendo le ragioni del ricorrente ne fa propri i motivi.

[29] Leggibili in Giur. it., fascicolo di ottobre 2022.

[30] Di diversa opinione è invece il P.G. presso la S.C., secondo quanto risulta dalle conclusioni citate alla nota precedente. Ad avviso del P.G. la rilevazione non sarebbe più possibile una volta che sia già avvenuto trasferimento del bene, in virtù di quanto affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza 17 maggio 2022, Ibercaja Banco, causa C-600/19, EU:C:2022:394, punto 2 del dispositivo “L’art. 6, par. 1, e l’art. 7, par. 1, della Dir.93/13 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che non autorizza un organo giurisdizionale nazionale, che agisce d’ufficio o su domanda del consumatore, a esaminare l’eventuale carattere abusivo di clausole contrattuali quando la garanzia ipotecaria sia stata escussa, il bene ipotecato sia stato venduto e i diritti di proprietà relativi a tale bene siano stati trasferiti a un terzo, purché il consumatore il cui bene è stato oggetto di un procedimento di esecuzione ipotecaria possa far valere i suoi diritti in un procedimento successivo, al fine di ottenere il risarcimento, ai sensi della direttiva in parola, delle conseguenze economiche risultanti dall’applicazione di clausole abusive”. A noi pare, tuttavia, che il punto 2 del dispositivo di tale decisione debba essere letto alla luce del punto 57 della motivazione, secondo cui “il giudice, che agisce d’ufficio o su domanda del consumatore, non può più procedere a un esame del carattere abusivo di clausole contrattuali che condurrebbe all’annullamento degli atti di trasferimento della proprietà e a rimettere in discussione la certezza giuridica del trasferimento di proprietà già effettuato nei confronti di un terzo”. L’intenzione della Corte di giustizia (ci pare) era dunque solo quella di fare salvi i diritti reali acquistati dai terzi all’esito dell’espropriazione forzata, non già quella di impedire la rilevazione dell’abusività della clausola in sede di distribuzione del ricavato; rilevazione che farebbe salvi i diritti reali acquistati dai terzi, al contempo garantendo al consumatore esecutato quella tutela risarcitoria a cui pure il dispositivo della pronuncia Ibercaja fa riferimento.

[31] Che potranno consistere, a seconda della tipologia di clausola abusiva, nella caducazione del decreto ingiuntivo ovvero nella riduzione del suo importo.

[32] De Stefano, loc. ult cit, § 7.

[33] Carratta, Introduzione. L’ingiuntivo europeo nel crocevia della tutela del consumatore, in Caporusso, D’Alessandro (a cura di), Consumatore e procedimento monitorio, cit., 485 ss., spec. 487.

[34] Perplesso in ordine alla configurabilità di una siffatta interpretazione estensiva De Stefano, loc. ult.cit., § 7.

[35] Corte giust., 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, punto 54 della motivazione. Cfr. anche Corte giust. 26 giugno 2019, Addiko Bank, causa C‑407/18, EU:C:2019:537, punto 61 della motivazione.

Incertezze, però, derivano dal fatto che le indicazioni della Corte di giustizia non sembrano essere univoche: v. infatti Corte giust.17 maggio 2022, Impuls Leasing România IFN SA, cit., di cui si dirà alla nota n. 37.

[36] Cfr. le conclusioni dell’avv. generale Saggio nella causa Oceano Grupo editorial, cit. supra alla nota n. 11.

[37] causa C‑725/19, EU:C:2022:396. In tale pronuncia la Corte giust. ha dichiarato non in contrasto con la Dir. 93/13 un sistema processuale in cui non è consentito al giudice dell’esecuzione di controllare, nell’ambito di un’opposizione all’esecuzione, vuoi d’ufficio, vuoi su richiesta del consumatore, il carattere abusivo delle clausole di un contratto a motivo del fatto che tale controllo può essere effettuato dal giudice di merito nell’ambito di un ricorso di diritto comune, che non è soggetto ad alcun termine, a condizione che il giudice di merito adito con un ricorso distinto da quello relativo al procedimento di esecuzione disponga della facoltà di sospendere detto procedimento, senza necessità di versare una cauzione a tal fine.

[38] Lo ritiene il PG presso la Corte di cassazione nelle conclusioni con cui ha chiesto al Presidente della Terza sezione di dichiarare estinto per rinuncia agli atti un ricorso per cassazione in cui era stata invocata l’applicazione delle sentenze della Corte di giustizia, Grande sezione, del 17 maggio 2022 e di enunciare il principio di diritto ai sensi dell’art. 363 c.p.c: v. supra nota n. 28.

[39] Tant’è che non è ammesso il frazionamento del credito. Su tale tema, basti qui richiamare il fondamentale contributo di Verde, Sulla «minima unità strutturale» azionabile nel processo (a proposito di giudicato e di emergenti dottrine), in Riv. dir. proc., 1989, 573 ss.

[40] A partire da Cass., sez. I, 23 febbraio 2000, n. 2051, in Riv. esec. forz., 2000, 650, con nota di Cataldi, La tutela cautelare del debitore nell’opposizione a precetto ed il giusto processo civile: necessità costituzionale della sospensione, ex art. 700 c.p.c., dell’efficacia esecutiva del titolo. Sul tema v. altresì Capponi, Misure interinali contro l’esecuzione forzata, in Riv. trim. dir. proc., 2005, 611 ss.

[41] L’interpretazione sembra altresì in linea con quanto stabilito da Corte giust., 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank Zrt, causa C-472/11, EU:C:2013:88, secondo cui il giudice nazionale che abbia accertato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale non è tenuto, per poter trarre le conseguenze derivanti da tale accertamento, ad attendere che il consumatore, informato dei suoi diritti, presenti una dichiarazione diretta ad ottenere l’annullamento di detta clausola. Tuttavia, il principio del contraddittorio impone, di norma, al giudice nazionale che abbia rilevato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale di informarne le parti della controversia e di dare loro la possibilità di discuterne in contraddittorio secondo le forme previste al riguardo dalle norme processuali nazionali.

[42] Da ultimo v. Cass., sez. III, 25 luglio 2022, n. 23123.

[43] Così Trib. Napoli, Sez. XIV civile, 4 giugno 2022, di prossima pubblicazione in Giur. it., fascicolo di ottobre 2022.

[44] V. in proposito Corte giust., 4 giugno 2020, Kancelaria Medius SA, causa C‑495/19, EU:C:2020:431, secondo l’articolo 7, par. 1, Dir. 93/13, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretato nel senso che esso osta all’interpretazione di una disposizione nazionale la quale impedisca a un giudice, che sia investito di un ricorso proposto da un professionista nei confronti di un consumatore e rientrante nell’ambito di applicazione della Dir. stessa e che statuisca in contumacia per mancata comparizione del consumatore all’udienza cui era stato convocato, di adottare i mezzi istruttori necessari per valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali sulle quali il professionista ha fondato la propria domanda, qualora detto giudice nutra dubbi in merito al carattere abusivo di tali clausole.

[45] Cit. supra, nota n. 13.

[46] Cit., supra, nota n. 30.

[47] Corte giust, 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones, cit., punto 47 della motivazione.

[48] Corte giust., 1º ottobre 2015, ERSTE Bank Hungary, causa C-32/14, EU:C:2015:637, punto 62 della motivazione.

[49] Corte giust., 10 settembre 2014, Kušionová, causa C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 56 della motivazione.

[50] V. infatti il manuale di Zeno-Zencovich e Paglietti, Diritto processuale dei consumatori, Milano, 2009.

[51] Sul punto v. Gascón Inchausti, Derecho europeo y legislación procesal civil nacional: entre autonomía y armonización, Madrid, 2018, 105 ss.