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Il caso Superlega e la decisione della Corte di Giustizia Europea
Di Aniello Merone -
1.Premessa.
L’iniziativa legata alla istituzione di una Superlega del calcio europeo anima il dibattito degli studiosi da più di due anni, vale a dire da quando (18 aprile 2021), a seguito della diffusione di un comunicato ad opera della European Super League Company S.L. — neo-costituita realtà sportiva che intendeva proporre una nuova competizione infrasettimanale governata dai Club fondatori — la UEFA e le Federazioni nazionali di appartenenza dei Club pubblicavano una dichiarazione congiunta, preannunciando come, d’intesa con la FIFA e tutte le federazioni affiliate, avrebbero assunto tutte le misure disponibili per ostacolare l’iniziativa, percepita come un “tentativo di scissione e cospirazione” incompatibile con le competizioni UEFA.
Trascorsi solo due giorni, il Juzgado de lo Mercantil nº 17 de Madrid, con l’ordinanza n. 14/2021, si pronunciava su un ricorso cautelare presentato dalla European Super League Company S.L. per ottenere una misura cautelare inaudita altera parte nei confronti di UEFA e FIFA, a cui veniva ordinato, al fine di tutelare la libera concorrenza nel mercato di riferimento, di evitare l’adozione di qualsiasi azione che avrebbero potuto impedire o ostacolare la realizzazione del progetto Super League.
Trascorse solo poche settimane il progetto sembrava prossimo al naufragio; da un lato, l’abbandono da parte di nove dei dodici Club fondatori, che adottavano un Club Commitment Declaration volto a riaffermare il loro impegno verso le competizioni UEFA e ad ottenere un formale reintegro, riconoscendo come il progetto Super League non fosse autorizzato ai sensi degli Statuti e Regolamenti UEFA; dall’altro lato, l’apertura di un’indagine disciplinare contro i tre club rimasti affiliati al progetto da parte dell’UEFA.
Tuttavia, sempre il Tribunale di Madrid, l’11 maggio 2021, proponeva rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, volto ad accertare la sussistenza di una delibera di associazione di imprese anticoncorrenziale o di un abuso di posizione dominante, da parte di UEFA e FIFA, quali titolari di diritti economici e televisivi e del potere di impedire che vengano organizzate competizione concorrenti, in violazione degli articoli 101 e 102 TFUE.
Il 9 giugno 2021, la Corte di Appello dell’UEFA dichiarava la temporanea sospensione del procedimento disciplinare, in seguito alla notifica formale (fatta pervenire alla UEFA) della ordinanza cautelare 14/2021 pronunciata dal Tribunale madrileno, mentre nel settembre 2021, il medesimo organo ha annullato il procedimento disciplinare contro i tre club oltranzisti e la dichiarazione di impegno sottoscritta dagli altri nove, rendendo evidente la necessità di attendere la pronuncia sul rinvio pregiudiziale proposto dal tribunale spagnolo.
Secondo il provvedimento di rinvio, FIFA e UEFA, organismi di natura privata, detengono il monopolio per l’autorizzazione e l’organizzazione delle competizioni sportive legate al gioco del calcio professionistico e l’effettiva applicazione dei divieti e delle sanzioni derivanti dagli Statuti FIFA e UEFA ha un effetto dissuasivo sull’organizzazione di competizioni calcistiche alternative, limitando la concorrenza nel mercato di riferimento.
L’abuso si concretizzerebbe, in particolare, nella necessità di ottenere, in applicazione degli statuti FIFA e UEFA, la preventiva autorizzazione di tali organismi alla creazione di competizioni sportive internazionali, rimettendo alle medesime Federazioni il potere di adottare misure sanzionatorie nei confronti di quelle società calcistiche che non rispettino detta previsione o che violino le determinazioni assunte. L’autorizzazione preventiva, sempre secondo il Tribunale spagnolo, non è soggetta ad alcun tipo di limite, parametro o procedura oggettiva e trasparente, se non al potere discrezionale di UEFA e FIFA che, in ragione del monopolio nell’organizzazione delle competizioni sportive e nella gestione esclusiva dei relativi proventi economici, hanno un chiaro interesse nel rifiutare o limitare l’organizzazione di tali competizioni. Si tratterebbe, quindi, di restrizioni ingiustificate e sproporzionate, che hanno l’effetto di restringere la concorrenza nel mercato interno, senza che sia possibile individuare criteri obiettivi e trasparenti che consentano di escludere discriminazioni e conflitti di interesse nei procedimenti autorizzatori.
2.I precedenti
Il tema oggetto del rinvio alla Corte di Giustizia non era del tutto nuovo, pur essendo poche le decisioni assunte dalla Corte europea in ambito di diritto sportivo. Sul punto è importante richiamare la decisione sul caso Meca Medina, che diede luogo, più di quindici anni orsono, a due pronunce, una del Tribunale (T-313/02, con pronuncia del 30 settembre 2004) e una della Corte di Giustizia (C-519/04, con pronuncia del 18 luglio 2006), a fronte del ricorso di due atleti che cercarono di ottenere la revisione di pesantissime squalifiche per doping, sostenendo che quelle sanzioni rappresentavano ostacoli al libero esercizio della concorrenza sul mercato interno, così invocando l’applicazione di quegli stessi articoli 101 e 102 TFUE, per sovvertire l’esito delle pronunce consolidatesi in ambito sportivo.
Come noto, sia il Tribunale che la Corte di Giustizia hanno disatteso la richiesta degli atleti, ma con una differenza sostanziale nell’iter argomentativo proposto nelle due motivazioni. Infatti, mentre il Tribunale ha respinto la pretesa dei ricorrenti enfatizzando l’autonomia e l’indipendenza del fenomeno sportivo e della disciplina del doping, che considerava estranee alla sfera di azione e di cogenza dell’ordinamento UE, La Corte di Giustizia ha rifiutato tale approccio e ha stabilito il principio secondo cui l’ordinamento UE e le regole che governano il funzionamento del mercato interno abbracciano anche il fenomeno sportivo, ogni qual volta che il medesimo finisce per essere connotato come fenomeno economico. Nel caso Meca Medina, la limitazione dell’attività imprenditoriale dovuta all’applicazione delle norme antidoping fu considerata ragionevole e giustificabile anche alla luce degli artt. 101 e 102, accorando precedenza alla funzione sociale ed educativa dello sport ed alla tutela dell’integrità delle competizioni e della salute degli sportivi, ma il principio offerto dalla Corte interessa chiaramente anche il caso che ci occupa.
Numerose analogie al caso Superlega si riscontrano anche nella vicenda che ha visto contrapposte l’Eurolega e alcuni club europei di pallacanestro — che sin dal 2001 hanno partecipato a competizioni internazionali per club (Euroleague ed Eurocup), organizzate e commercializzate da ULEB (poi divenuta Euroleague) — alla FIBA Europe e FIBA, che per oltre un decennio non hanno sollevato alcuna obiezione, addirittura rinunciando ad organizzare proprie competizioni internazionali in ambito europeo. Pertanto (e, invero, singolarmente), è stata la Federazione Internazionale a cercare di rientrare nel mercato delle competizioni sportive europee, promuovendo la “FIBA Basketball Champions League” e la “FIBA Europe Cup”, ma riscontrando l’intenzione di restare legate alle competizioni organizzate da Eurolega da parte di molte società e leghe. Per tale motivo, il 15 aprile 2016, FIBA e FIBA Europe comunicava alle Federazioni Nazionali a cui erano affiliate i club di pallacanestro coinvolti nell’Eurolega, l’esclusione dagli Europei di pallacanestro e dalle Olimpiadi.
Nella vicenda è intervenuta la Munich Regional Court – 1st Chamber for Commercial Matters che ha adottato un provvedimento cautelare, in data 2 giugno 2016, nei confronti di FIBA e FIBA Europe, con cui ha vietato alle Federazioni convenute di sanzionare o minacciare di sanzionare, direttamente o indirettamente, società, leghe nazionali e sovranazionali o federazioni di pallacanestro all’interno dell’area geografica della FIBA Europe, in ragione dell’intenzione o della decisione di partecipare a competizioni organizzate da Eurolega ed, inoltre, ha vietato a FIBA di dare esecuzione alla decisione, comunicata nell’aprile 2016, di esclusione di alcune squadre nazionali da Europei e Olimpiadi.
Nell’iter argomentativo del provvedimento, la Corte tedesca aveva già precisato che FIBA e FIBA Europe erano da considerarsi imprese ai sensi dell’articolo 102 TFUE — anche alla luce del fatto, che entrambe sfruttavano economicamente le competizioni organizzate, vendendo diritti televisivi o acquisendo sponsorizzazioni — nonché monopolisti nella loro area territoriale, godendo di una posizione dominante sul mercato. Pertanto le sanzioni comminate con la comunicazione del 15 aprile 2016 nei confronti di alcune Federazioni Nazionali, in applicazione della clausola di esclusività di cui all’articolo 9.1 dello Statuto FIBA, rappresentavano un abuso di posizione dominante ad opera della FIBA Europe, e indirettamente, della FIBA stessa, atteso che l’esclusione o la minaccia di escludere le squadre nazionali dalle competizioni internazionali poneva in essere una sanzione “asimmetrica”, quasi ritorsiva, se rapportata alla volontà manifestata da alcune società di prendere parte a una determinata competizione per club.
Altro caso rilevante e ben noto (peraltro, anch’esso deciso dalla Corte di Giustizia UE, il 21 dicembre 2023, sebbene con una decisione in sede d’impugnazione e non su rinvio pregiudiziale) è quello che riguarda l’International Skating Union (ISU) le cui norme in materia di ammissibilità delle competizioni sono state giudicate dalla Commissione Europea (Decisione della Commissione C(2017) 8230 dell’8 dicembre 2017) contrarie al divieto di pratiche concordate atte a restringere la concorrenza, di cui all’art. 101 del TFUE.
Le norme in questione prevedevano severe sanzioni per gli atleti che partecipavano a gare di pattinaggio di velocità non autorizzate dall’ISU e organizzate da terzi, precludendo l’accesso al mercato dell’organizzazione e sfruttamento commerciale degli eventi internazionali di pattinaggio di velocità. Secondo la Commissione le norme restrittive avevano un impatto negativo su diversi parametri della concorrenza, risultando mortificate (i) la produzione di eventi, poiché in mancanza dell’autorizzazione dell’ISU i potenziali nuovi operatori incontravano oggettive difficoltà nell’acquisire le prestazioni degli atleti, necessarie per alimentare manifestazioni sportive alternative; (ii) la facoltà di scelta dei consumatori e (iii) lo sviluppo di formati diversi e innovativi nelle manifestazioni sportive dedicate al pattinaggio di velocità.
La Commissione, in particolare, ha ritenuto che le norme sull’ammissibilità delle competizioni non fossero funzionali al perseguimento di obiettivi legittimi, perché principalmente orientate alla tutela di interessi (in primis economici) dell’ISU; inoltre la loro applicazione non si basava su criteri chiari, obiettivi, trasparenti e non discriminatori, mentre risultava evidente la sproporzione delle sanzioni previste a carico di società e atleti
Di questa stessa vicenda è stato investito il Tribunale dell’Unione Europea, su iniziativa dell’ISU che ha richiesto l’annullamento della Decisione della Commissione (Causa T-93/18), che ha stabilito, con decisione del 16 dicembre 2020, il contrasto tra le norme dell’Unione europea in materia di concorrenza e le norme dell’ISU in materia di ammissibilità delle competizioni e prevedenti sanzioni contro gli atleti che partecipano a gare di pattinaggio non riconosciute. Il Tribunale precisava altresì che restrizioni come quelle disposte attraverso le norme ISU oggetto di valutazione possono anche essere ammesse, purché siano orientate a garantire la tutela dell’integrità della disciplina sportiva e la conformità delle competizioni sportive a standard comuni, oltre che motivate dall’esigenza di evitare rischi di manipolazione e difficoltà di collegamento con le competizioni ufficiali, specie in ipotesi di sovrapposizione all’interno dell’unico calendario agonistico.
3. La presunta specificità del modello sportivo europeo
Sarebbe agevole osservare come molti dei temi che appaiono rilevanti per la decisione del caso Superlega sottoposto alla Corte di Giustizia UE erano, in realtà, già stati affrontati nei precedenti richiamati al § 2. Purtuttavia, la pronuncia della Corte, complice l’indubbia centralità e attrazione di interessi che è in grado di esercitare il calcio, è stata anticipata da un crescente dibattito sulla specificità del modello sportivo europeo che avrebbe orientato verso la legittimità della posizione sanzionatoria assunta dall’UEFA e per il rifiuto del modello proposto dalla Superlega.
Innanzitutto, nel novembre 2021, il Parlamento, la Commissione ed il Consiglio Europeo hanno tutte adottato distinte risoluzioni sulla politica sportiva dell’Unione, affermando la volontà politica e la necessità di allineare la cultura sportiva europea ai valori unionali di solidarietà, sostenibilità ed inclusività. Nell’occasione, le principali istituzioni europee manifestavano una univoca preferenza per le competizione aperte, fondate sul merito sportivo e sull’equità, altresì esprimendo una ferma opposizione alle “competizioni separatiste e chiuse”.
Successivamente, grande risalto hanno (inevitabilmente) avuto le conclusioni depositate, nel dicembre 2022, dall’avvocato generale Athanasios Rantos, in cui si affermava che le norme della Fifa e della Uefa, pur imponendo la previa autorizzazione a qualsiasi nuova competizione internazionale, fossero da ritenere compatibili con il diritto della concorrenza dell’UE.
Tale posizione veniva principalmente edificata sull’idea che il legislatore europeo, attraverso l’art. 165 TFUE, avrebbe espresso la volontà di attribuire valore “costituzionale” al c.d. modello sportivo europeo, fondato su una struttura piramidale del movimento sportivo, oltre che sull’esistenza di competizioni aperte, eque e meritocratiche, nonché su un principio di solidarietà finanziaria.
Per altro verso tale impostazione sembrava introdurre l’idea che il meccanismo di preventiva autorizzazione istituito da una federazione internazionale potesse risultare compatibile con il diritto dell’unione europea, anche in ragione delle caratteristiche specifiche della competizione oggetto di valutazione, nella misura in cui il rispetto e la vicinanza al modello europeo influiscono sulla sua effettiva possibilità di essere autorizzata. Tuttavia, tali premesse saranno ampiamente smentite dalla decisione in commento.
4.La decisione della Corte di giustizia sulla violazione degli artt. 56, 101 e 102 TFUE
Con la pronuncia sulla causa C-333/21, la Corte di giustizia ha innanzitutto chiarito come le questioni pregiudiziali sottoposte dal Tribunale di Madrid non riguardano le caratteristiche specifiche del progetto Superlega e la sua compatibilità con il diritto europeo (§§ 80-81), ma interessano, in primo lugo, la compatibilità del sistema UEFA (e FIFA) di preventiva autorizzazione delle competizioni organizzate da soggetti terzi, oltre che di partecipazione di società e tesserati a tali competizioni, con gli artt. 56, 101 e 102 TFUE. Inoltre (come si vedrà meglio nel § 6), la sentenza analizza la compatibilità del sistema FIFA di commercializzazione dei diritti relativi alle competizioni calcistiche, organizzate da FIFA e UEFA, con gli artt. 101 e 102 TFUE.
La sentenza dapprima ricostruisce i principi che sostengono l’applicazione del diritto europeo allo sport (§§82 – 94) ed evidenzia come la notevole importanza sociale e culturale del calcio professionistico, unita all’interesse mediatico che lo accompagna, giustifichi l’adozione di norme comuni nell’organizzazione e svolgimento delle competizioni internazionali, ove intese a garantire l’omogeneità e il coordinamento di tali competizioni all’interno di un calendario unico, nonché a promuovere lo svolgimento di competizioni sportive aperte basate sulle pari opportunità e sul merito sportivo. Premesse che, giova sottolinearlo, si distanziano significativamente dal progetto alternativo originariamente presentato dalla European Super League Company S.L. e che, come noto, guardava ad una competizione chiusa e con un calendario sovrapposto a quello delle altre competizioni internazionali.
Parimenti, si considera legittima, in linea generale, la possibilità di adottare, come fatto da UEFA e FIFA, norme sull’approvazione preventiva delle competizioni e sulla partecipazione dei club e dei tesserati alle stesse, ove volte a garantire il rispetto di regole comuni, non potendosi pertanto affermare che l’adozione di tali norme, la loro attuazione né tantomeno le sanzioni collegate, costituiscano in via di principio un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE (§§ 144 –146).
Tuttavia, la legittima adozione o attuazione di tali norme e sanzioni, richiede la preventiva adozione di un quadro di criteri sostanziali e regole procedurali che consentano di qualificare il sistema di preventiva autorizzazione come trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato. Allo stesso modo le sanzioni devono essere disciplinate nel rispetto dei medesmi criteri nonché determinate nel rispetto del principio di proporzionalità, tenendo in debita considerazione, rispetto al singolo caso, la natura, la durata e la gravità della violazione accertata.
La rilevata assenza di questa cornice di principi regolatori (sostanziali e procedurali) della materia determina che l’adozione e l’attuazione di norme sulla preventiva approvazione delle competizioni, sulla partecipazione alle medesime e sulle relative sanzioni, non possa dirsi trasparente, obiettiva, non discriminatoria e proporzionata, rappresentando, pertanto, un abuso di posizione dominante ai sensi dell’Art. 102 TFUE (§§ 147 –148).
La Corte di giustizia UE osserva, inoltre, come le norme relative all’approvazione preventiva delle competizioni calcistiche adottate da FIFA e UEFA, sebbene idealmente sostenute dal perseguimento di obiettivi legittimi, in concreto conferiscono alle medesime il potere di controllare e definire le condizioni di accesso al mercato di riferimento per qualsiasi impresa potenzialmente concorrente, assecondando una finalità anticoncorrenziale, che risulta vieppiù rafforzata dalle norme sulla partecipazione delle società e dei tesserati a tali competizioni e dalle relative sanzioni, stante l’assenza di restrizioni, obblighi e controlli che ne possano garantire la trasparenza, l’oggettività, la precisione e il carattere non discriminatorio.
Ancora una volta, la mancanza di un quadro di principi definiti ex ante, porta a ritenere che le norme in questione determinino un pregiudizio per la concorrenza e violino il divieto previsto dall’Art. 101, par. 1, TFUE, costituendo una decisione di associazioni di imprese avente per oggetto la restrizione della concorrenza, nella misura in cui consente a UEFA e FIFA di impedire a qualsiasi impresa che intenda organizzare una competizione potenzialmente concorrente di accedere alle risorse disponibili sul mercato, vale a dire i club e ai calciatori.
Speculari le conclusioni a cui perviene la Corte di giustizia UE, allorquando affronta il tema della compatibilità del sistema UEFA e FIFA di preventiva autorizzazione e relative sanzioni con gli articoli del Trattato in materia di libera prestazione dei servizi ex art. 56 TFUE (§§ 244 – 245). In piena coerenza con i rilievi già svolti rispetto all’assenza di criteri sostanziali e procedurali (idonei a garantire trasparenza, oggettività, non discriminatorietà e proporzionalità) ed al carattere discrezionale del controllo esercitato, la Corte ritine che anche tale violazione sia integrata. In particolare, a giudizio della Corte di Giustizia UE, tali norme si palesano, all’atto pratico, volte ad ostacolare tanto la possibilità per qualsiasi impresa terza di organizzare e commercializzare competizioni calcistiche tra club sul territorio dell’Unione europea, quanto la opportunità per qualsiasi società di calcio professionistico europea di partecipare a tali competizioni, nonché più in generale la possibilità per qualsiasi altra impresa di fornire servizi connessi all’organizzazione o alla commercializzazione di tali competizioni.
5.L’esistenza di possibili cause di giustificazione e il successivo giudizio di rinvio
Per ciascuna delle violazioni rilevati la Corte ha introdotto il tema delle possibili cause di giustificazione, sebbene la relativa analisi sia per lo più rimessa al giudice del rinvio, vale a dire al Tribunale di Madrid.
Con riferimento alla violazione del divieto di abuso di posizione dominante, la Corte evidenzia come tale conclusione appaia oggettiva, tanto da aver escluso la possibilità che le imprese egemoni possano sottrarsi all’applicazione dell’art. 102 TFUE, dimostrando che la condotta posta in essere sia obiettivamente necessaria (c.d. objective justification defence); la ragione riposa sul carattere assolutamente discrezionale del sistema di previa autorizzazione, come attualmente disciplinato, che risulta oggettivamente preordinato a riservare in capo a UEFA e FIFA il monopolio sul mercato dell’organizzazione delle competizioni calcistiche internazionali tra club.
Per quanto riguarda, invece, la c.d. efficiency defence, ovvero la possibilità per la impresa egemone di dimostrare che la condotta posta in essere sia in grado di produrre efficienze tali da compensare gli eventuali effetti anticoncorrenziali sui consumatori, nel ricordare come spetti al giudice del rinvio valutarla, la Corte di Giustizia sottolinea, ancora una volta, che l’assenza di criteri chiari, precisi, oggettivi, e non discriminatori induce a ritenere che UEFA e FIFA operino in regime di monopolio, di fatto impedendo ogni forma di concorrenza su tale mercato.
Analogo il ragionamento sviluppato rispetto alle decisioni di associazioni di imprese in violazione ex art. 101, TFUE, per le quali la Corte, da un lato, non ha ritenuto necessario esaminare gli effetti reali di tali decisioni e, dall’altro lato, ha evidenziato che l’operatività dell’esenzione prevista dal par. 3 della norma, imporrebbe a FIFA e UEFA di dimostrare che la condotta posta in essere sia volta a conseguire incrementi di efficienza i cui effetti ricadono in maniera congrua sugli utilizzatori, senza imporre restrizioni non indispensabili per il loro raggiungimento e senza eliminare ogni concorrenza effettiva per una parte sostanziale dei prodotti o servizi in questione. Sebbene la valutazione sul punto spetti (ancora una volta) al giudice del rinvio, il corredo di osservazioni e il quadro ricostruttivo offerto dalla sentenza rendono difficile immaginare che si possa superare l’addebito di discrezionalità imputato a UEFA e FIFA nell’adozione di norme che si affermano volte ad impedire ogni concorrenza sul mercato dell’organizzazione delle competizioni calcistiche tra club sul territorio dell’Unione europea.
Per quanto riguarda, infine, l’esistenza di possibili cause di giustificazione alla limitazione della libera prestazione dei servizi ex art. 56 TFUE, è agevole richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte di giustizia che prevede come le misure di origine non statale restrittive di una libertà fondamentale possono essere considerate compatibili con il diritto europeo solo ove venga dimostrato, da un lato, che la loro adozione è giustificata da un obiettivo legittimo di interesse pubblico e, dall’altro, che tali restrizioni rispettino il principio di proporzionalità.
Sul punto, la sentenza ha voluto ribadire come l’adozione di norme sull’approvazione preventiva delle competizioni calcistiche tra club e sulla partecipazione delle società di calcio professionistiche e dei giocatori a tali competizioni possono, in via di principio, essere giustificate dall’esigenza tanto di garantire che tali competizioni siano organizzate nel rispetto dei principi, dei valori e delle regole su cui si fonda il calcio professionistico, quanto di assicurare che le medesime si integrino nel “sistema organizzato” di competizioni nazionali, europee e internazionali che caratterizzano la disciplina sportiva. Tuttavia, nel rimettere la questione al giudice del rinvio, la Corte di giustizia ha ribadito come tali obiettivi non sono idonei a giustificare l’adozione di norme di approvazione preventiva avulse dal rispetto di criteri sostanziali e modalità procedurali dettagliate, idonee a garantirne la trasparenza, l’obiettività, la precisione e la non discriminazione e ad evitare che l’esercizio del relativo potere di approvazione preventiva venga esercitato in maniera arbitraria e discrezionale.
6. La incompatibilità del sistema FIFA di commercializzazione dei diritti relativi alle competizioni calcistiche, organizzate da FIFA e UEFA, con gli artt. 101 e 102 TFUE.
Per quanto riguarda, infine, l’ulteriore questione pregiudiziale sollevata dal tribunale madrileno e relativa alle norme FIFA che identificano la UEFA e le federazioni nazionali che ne sono membri come proprietari unici di tutti i diritti derivanti dalle competizioni che si svolgono nell’ambito delle rispettive giurisdizioni, così assumendosi la responsabilità esclusiva della loro commercializzazione, la Corte è assolutamente perentoria nel rilevarne l’illegittimità, tanto più che la loro operatività risulta connessa alle norme sulla previa autorizzazione, sulla partecipazione e sulle sanzioni, per le quali si è già giunti a conclusioni analoghe.
Nella misura in cui sia i club che partecipano alle competizioni, sia qualsiasi altro organizzatore di competizioni alternative, vengono privati da tali norme della titolarità originaria dei diritti connessi allo sfruttamento commerciale delle competizioni calcistiche, escludendo qualunque altra alternativa al modello proposto, tali disposizioni devono considerarsi restrittive della concorrenza ai sensi dell’art. 101 TFUE, ed integranti un abuso di posizione dominante ai sensi dell’Art. 102 TFUE,
Anche in questo caso, sarà il giudice del rinvio a dover valutare l’eventuale esistenza delle cause di giustificazione, secondo una analisi che si presenta particolarmente interessante, ove si osservi che già nel corso del giudizio davanti alla Corte, l’UEFA e la FIFA, con il supporto di diversi governi nazionali e della Commissione, hanno sostenuto che tali norme consentono: (i) di realizzare incrementi di efficienza, contribuendo a migliorare sia la produzione che la distribuzione, oltre che di ridurre significativamente i costi di transazione e l’incertezza che gli acquirenti si troverebbero ad affrontare se dovessero negoziare caso per caso con i club partecipanti, che potrebbero anche avere posizioni e interessi divergenti; (ii) di destinare agli utenti una congrua parte dell’utile che origina dai descritti incrementi di efficienza, incluso il finanziamento, ad opera di UEFA e FIFA, di progetti di ridistribuzione solidaristica dei proventi a favore di tutte le altre società di calcio, siano esse professionistiche o dilettantistiche, degli atleti, del calcio femminile, dei giovani calciatori e per tale via, ai tifosi, consumatori, e a tutti i cittadini dell’UE coinvolti nel calcio amatoriale.
In argomento, è difficile negare che la sostenibilità complessiva del calcio poggia sull’effetto positivo che le competizioni internazionali generano verso i club professionistici e dilettantistici minori che, pur non partecipandovi, si giovano di tali risorse investendo nel reclutamento e nella formazione dei giovani giocatori, generando un beneficio sociale diffuso e indipendente dall’approdo di tali calciatori al professionismo e alle competizioni di vertice. Tuttavia, sarà il giudice del rinvio che dovrà verificare, non solo l’attendibilità dei numeri economici, nel loro rapporto con una distribuzione complessiva, ma soprattutto che le norme in questione siano indispensabili per ottenere i benefici, rectius gli incrementi di efficienza, descritti e la ridistribuzione solidaristica di una parte congrua degli utili generati dalla commercializzazione centralistica di tali competizioni.
7. Conclusioni
La sentenza della Corte di Giustizia è stata salutata da molti come rivoluzionaria soprattutto guardando alle sue implicazioni economiche ed al diverso potere negoziale e politico che avranno i club, legittimati ad assumere, con rinnovata forza, iniziative autonomiste.
Dal punto di vista giuridico, fermo restando che nessuno (nemmeno l’Avvocato generale Rantos nelle sue conclusioni) ha mai sollevato dubbi sul diritto dei club fautori della Superlega di istituire una propria competizione calcistica indipendente, stupisce il tenore perentorio con cui la Corte di Giustizia ha rilevato l’illegittimità delle attuali norme sulla autorizzazione preventiva, pur essendo esse un perno della concezione piramidale e verticistica nell’organizzazione delle competizioni sportive all’interno del c.d. movimento olimpico.
La sentenza concentra la propria attenzione sulle violazioni della concorrenza e della libera prestazione dei servizi, temi classici del diritto europeo, senza concedere alcuno spazio alla ricostruzione di un presunto modello sportivo europeo, né all’idea che per tale via lo sport sia esentato dal rispetto di alcune disposizioni del diritto unionale, così come nessuna attenzione è riservata alle caratteristiche effettive o potenziali della eventuale competizione antagonista.
Purtuttavia, nella trama complessiva della sentenza è dato rilevare come, da un lato, un sistema di preventiva autorizzazione istituito da una federazione internazionale possa essere ritenuto compatibile con il diritto europeo, purché venga previamente definito un quadro di criteri sostanziali e procedurali che siano in grado di garantire, con trasparenza e obiettività, che l’esercizio di tale potere non sia discriminatorio e arbitrario; dall’altro lato, i continui richiami ai valori di apertura delle competizioni, del merito e della solidarietà, consentono di ritenere che, in presenza della richiesta cornice di principi, sarebbe stata comunque esclusa l’autorizzazione di un progetto chiuso ed elitario, come quello da cui la vicenda ha preso le mosse.
Anche alla luce di tali osservazioni appare davvero difficile ipotizzare quali saranno le conseguenze della descritta decisione sulla governance del calcio professionistico europeo e mondiale, ma non sarebbe così stupefacente se, piuttosto che ad una dissoluzione dell’attuale modello, si dovesse arrivare ad un riassetto che aiuti i principali club, attualmente organizzati nell’ECA, ad avere un maggior peso nella definizione dei format e nella distribuzione dei ricavi, rimanendo saldamente all’interno della FIFA e delle sue competizioni, mosse dall’intento comune di preservare l’egemonia, ampiamente corroborata dai numeri, che il calcio europeo esercita a livello globale.