I termini per impugnare l’ordinanza conclusiva del rito sommario di cognizione: l’interpretazione restrittiva e sistematica dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c.

Di Antonio Marinosci -

Corte di cassazione Sezioni Unite – 5 ottobre 2022, n. 28975

Il termine (di trenta giorni) di impugnazione dell’ordinanza ai sensi dell’art. 702-quater c.p.c. decorre, per la parte costituita nelle controversie regolate dal rito sommario, dalla sua comunicazione o notificazione e non dal giorno in cui essa sia stata eventualmente pronunciata e letta in udienza, secondo la previsione dell’art. 281-sexies c.p.c.

 

In mancanza delle suddette formalità, l’ordinanza può essere impugnata nel termine di sei mesi dalla sua pubblicazione, a norma dell’art. 327 c.p.c.

 

1.Dall’entrata in vigore[1], in diverse occasioni la Corte di cassazione è stata chiamata a dirimere contrasti in merito al procedimento sommario di cognizione[2], talvolta componendoli[3], ma segnatamente al regime d’impugnazione dell’ordinanza conclusiva – ed in particolare alla decorrenza del termine “breve” e all’applicabilità del termine “lungo” – l’intervento nomofilattico s’è reso necessario soltanto di recente in virtù di talune contrastanti letture dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c., nella parte in cui dispone che tale ordinanza diviene definitiva decorsi trenta giorni «dalla sua comunicazione o notificazione»[4].

Invero, al netto di talune perplessità pregiudiziali[5], tale contrasto appare un riflesso condizionato della scarna disciplina dettata per il giudizio di appello dell’ordinanza emessa nelle forme sommarie[6], a partire proprio dalle mentite spoglie del provvedimento che, per il contenuto evidentemente decisorio e l’acclarata idoneità al giudicato[7], inducono a ritenere tale ordinanza una vera e propria sentenza, idonea ad esaurire il potere di decidere del giudice.

Secondo le Sezioni Unite, infatti, il provvedimento conclusivo del rito sommario di cognizione «ancorché ordinanza in senso formale, (ha) natura di sentenza in senso sostanziale: sia per la funzione, in ragione della sua idoneità decisoria del giudizio di primo grado […], sia per la stabilità, quale attitudine alla formazione del giudicato»[8].

Proprio sulla base di tali peculiarità, premesse alle ragioni della decisione[9], le Sezioni Unite fanno chiarezza sul momento dal quale decorre il termine di trenta giorni per impugnare il provvedimento che conclude il rito sommario, cogliendo inoltre l’occasione per affrontare il correlato tema dell’applicabilità del termine semestrale d’impugnazione, di cui all’art. 327, c.p.c.[10]

A ben vedere, se è vero che la sentenza in epigrafe riguarda la decorrenza dei termini impugnatori (e non v’è dubbio che sia così) appare altrettanto vero che la questione rende omaggio al tema più generale dell’efficacia derogatoria della disciplina dettata in materia di procedimento sommario di cognizione[11] e che, quindi, a fronte della specifica questione tecnica la Corte di Cassazione non ha potuto evitare di considerare il rapporto di specialità che lega la disciplina speciale con quella del giudizio ordinario di cognizione.

In altri termini, la risoluzione del conflitto interpretativo al vaglio delle Sezioni Unite, e cioè l’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine “breve” e l’applicabilità del termine “lungo” al provvedimento che conclude il rito sommario, riflette ed è espressione dell’intensità derogatoria delle prescrizioni al contempo previste e presunte dall’art. 702-quater, comma 1, c.p.c.[12]

2.Muovendo da ciò che è espressamente indicato, la deroga alla disciplina ordinaria risulta alquanto evidente: l’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. prevede che l’ordinanza conclusiva del rito sommario passa in giudicato «se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione», disancorando così la decorrenza del termine “breve” dalla sola iniziativa di parte (la notifica[13]) e riconoscendo un valore equivalente alla comunicazione di cancelleria, la quale com’è noto ordinariamente «non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’articolo 325»[14].

Tuttavia, il raggio d’azione della norma viene ridimensionato da una pronuncia – Cass. civ. sez. II, 6 giugno 2018, n. 14478[15] – là dove si considera irrilevante, ai fini della propria conoscibilità, la natura e la funzione decisoria dell’ordinanza emessa nelle forme sommarie e, da tale premessa, si giunge a rideterminare i confini della normativa speciale dettata per i termini d’impugnazione.

In particolare, secondo tale orientamento, l’efficacia derogatoria dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. – nella parte in cui attribuisce rilievo alla comunicazione ai fini della decorrenza del termine “breve” – sarebbe limitata alle sole ordinanze pronunciate fuori d’udienza che secondo la disciplina ordinaria vanno in ogni caso comunicate alle parti costituite[16] e, solo a fronte di tale onere della cancelleria, troverebbe applicazione la speciale disciplina del rito sommario che imputa la decorrenza dei trenta giorni per l’appello non già dalla notifica, bensì appunto anche dalla comunicazione del provvedimento[17].

Viceversa, la deroga avrebbe diversa efficacia per le ordinanze pronunciate in udienza, o meglio, non sarebbe limitata alla prescrizione dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. perché in tal caso – posta l’irrilevanza del contenuto ai fini della conoscibilità del provvedimento – la disciplina ordinaria non prevede alcun onere di comunicazione in capo alla cancelleria, essendo l’ordinanza inserita nel verbale d’udienza e considerata conosciuta dalle parti presenti o che avrebbero dovuto esserlo, equiparando la pronuncia in udienza alla comunicazione dell’ordinanza[18].

In altri termini, secondo tale orientamento, la pronuncia in udienza tra le parti costituite dell’ordinanza conclusiva del rito sommario – ai fini dell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine “breve” d’impugnazione – concede di far decorrere tale termine dal giorno di udienza in cui è stata pronunciata, oltrepassando i confini dell’art. 702-quater,comma 1, c.p.c., perché «non è condivisibile […] l’assunto per cui, ove l’ordinanza sia decisoria, in disparte ogni altro aspetto, non si applichi il principio per cui la pronuncia in udienza equivale a comunicazione. Oltre che trarsi dall’art. 134 cod. proc. civ. […] la regola risulta anche, esplicitamente, dall’art. 176 cod. proc. civ. che ha valenza generale»[19].

Occorre rilevare, inoltre, che i confini normativi dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. sono messi in discussione anche da un orientamento emerso nella giurisprudenza di merito – in App. Venezia 23 ottobre 2019, n. 4549[20] – che aderisce all’idea della decorrenza del termine “breve” a far data dall’udienza in cui l’ordinanza è pronunciata, ma non soltanto in virtù dell’invocata applicazione generale degli artt. 134 e 176 c.p.c., bensì anche sull’assunto per cui, nel silenzio della disciplina del rito sommario, il modello decisorio applicabile all’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702-ter, comma 5, c.p.c., sarebbe quello prescritto dall’art. 281-sexies, comma 2, c.p.c., per il quale la lettura della sentenza in udienza e la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene equivalgono alla pubblicazione prescritta nei casi ordinari dall’art. 133, c.p.c. ed esonerano la cancelleria dall’onere di comunicazione del provvedimento[21].

In virtù di tale incertezza interpretativa – al fine di individuare il momento dal quale decorrono i trenta giorni per appellare l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione – alle Sezioni Unite è rimesso il compito di tracciare i confini dell’efficacia derogatoria dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. ed al contempo di chiarire se il regime di conoscibilità dell’ordinanza ex art. 702-ter, comma 5, c.p.c., è sussumibile in quello previsto per i provvedimenti aventi (non solo il nomen ma anche) contenuto ordinatorio.

3.Ragionevolmente, allora, nella sentenza in epigrafe tale ultimo aspetto ne diviene la premessa in quanto la Corte di cassazione preferisce partire dalla ricostruzione dell’inquadramento normativo del procedimento sommario di cognizione – quale rito speciale e alternativo a quello ordinario e del lavoro – al fine di evidenziare taluni princìpi interpretativi, consolidati in dottrina ed in giurisprudenza, ritenuti necessari e sufficienti a dirimere il contrasto giurisprudenziale sorto intorno al raggio d’azione dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c.[22]

In particolare, ribadendo che il provvedimento conclusivo del rito sommario può essere considerato soltanto formalmente un’ordinanza, le Sezioni Unite escludono in principio l’asserita applicazione della disciplina generale dettata in tema di comunicazione delle ordinanze, ai sensi degli artt. 134 e 176 c.p.c., dal momento che è proprio il rilievo del contenuto decisorio del provvedimento che «consente di escludere immediatamente la corretta possibilità di assimilare, nel suo regime di appellabilità, l’ordinanza in esame, di natura e funzione decisoria, all’ordinanza […] che il giudice abbia pronunciato in udienza, sotto il profilo di equivalenza di una tale conoscibilità alla comunicazione, per le parti presenti o che avrebbero dovuto esserlo (artt. 134 e 176 c.p.c.) in quanto ritenuta di valenza generale»[23].

Dunque, l’indirizzo ermeneutico prescelto dalle Sezioni Unite fuga ogni incertezza (e in un certo senso rivela i propri esiti) sin dalle premesse della decisione, posto che se l’ordinanza ex art. 702-ter, comma 5, c.p.c. è senza indugi da considerare una vera e propria sentenza[24], il cui regime di conoscibilità non è riconducibile alla disciplina prevista per le ordinanze, allora il dies a quo di decorrenza del termine “breve” va ricercato altrove[25].

Ed infatti, la Corte di cassazione ritiene che tale individuazione non possa che derivare dalla speciale funzione riconosciuta, ai sensi dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c., alla comunicazione del provvedimento nel «microsistema impugnatorio»[26] voluto dal legislatore per tale procedimento speciale.

In altri termini, per i giudici di legittimità l’efficacia derogatoria dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c., non è soltanto espressione della ratio acceleratoria del procedimento sommario, ma è commisurata alla natura di sentenza del provvedimento che lo conclude e alla speciale funzione attribuita ad un atto d’ufficio (comunicazione) ritenuto eccezionalmente idoneo a produrre quegli effetti (decorrenza del termine di trenta giorni per impugnare) che invece ordinariamente possono essere prodotti solo da un atto di parte (notificazione)[27].

Dunque, dovendosi escludere l’applicazione del regime ordinario di conoscibilità delle ordinanze per il carattere decisorio del provvedimento, secondo le Sezioni Unite l’individuazione del dies a quo del termine “breve” non può che derivare dal rapporto di specialità che lega la disciplina del rito ordinario e le speciali prescrizioni contenute nell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c., derogatorie in ordine alla decorrenza del termine impugnatorio: in breve, lex specialis derogat generali[28].

4.E tale chiave di lettura è resa ancora più evidente nella parte in cui le Sezioni Unite giungono ad escludere anche l’applicazione dell’art. 281-sexies, c.p.c.[29] se l’ordinanza conclusiva è emessa direttamente in udienza, nelle forme prescritte dall’art. 702-ter, comma 5, c.p.c.[30]

Sebbene più articolata e complessa[31], tale conclusione appare la logica conseguenza della precedente perché se da un lato il contenuto decisorio e l’idoneità al passaggio in giudicato prevalgono sul nomen del provvedimento e ne determinano il regime di conoscibilità – che dev’essere quello previsto per le ordinarie sentenze – dall’altro lato tale regime subisce espressamente una deroga a causa della speciale funzione attribuita alla comunicazione del provvedimento nel rito sommario di cognizione, ai sensi dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c.[32]

In particolare, secondo le Sezioni Unite la deroga riflette il peculiare ruolo che la comunicazione del provvedimento ricopre all’interno del regime impugnatorio voluto dal legislatore per il procedimento sommario, per il quale la «coincisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto» prevista dall’art. 281-sexies, c.p.c. per le decisioni pronunciate in udienza non è ritenuta sufficientemente capace di garantire al contempo le istanze acceleratorie del rito sommario e le esigenze difensive della parte soccombente[33], con particolare riferimento alla conoscenza effettiva e completa dei motivi sottesi alla decisione di primo grado, ai fini di un’eventuale impugnazione[34].

Ecco perché il dies a quo del termine di trenta giorni per impugnare l’ordinanza (più che dalla ratio acceleratoria del procedimento) dev’essere determinato muovendo dalla sostanziale natura di sentenza del provvedimento e dall’efficacia derogatoria dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c., la cui specialità rispetto all’ordinaria funzione della comunicazione di cancelleria (art. 133 c.p.c.) va interpretata restrittivamente, nei confini cioè espressamente previsti dalla disposizione ma quale atto pur sempre necessario (e irrinunciabile) a produrre gli effetti voluti dalla disciplina speciale: l’anticipazione di tale “breve” decorrenza.[35]

Inequivoca in tal senso, la sentenza in epigrafe individua dunque il dies a quo del termine di trenta giorni per appellare l’ordinanza che conclude il rito sommario di cognizione nella comunicazione o, se anteriore, nella notificazione del provvedimento, in ossequio alle precise indicazioni espresse dall’art. 702-quater, comma 1, c.p.c., senza alcuna distinzione tra ordinanze pronunciate contestualmente o fuori d’udienza, dovendosi riconoscere che «la comunicazione, lungi dal poter essere pretermessa, sia anzi essenziale nel microsistema impugnatorio istituito dall’art. 702quater c.p.c., in funzione della stabilizzazione degli effetti della decisione».[36]

5.Con riferimento, invece, a ciò che l’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. (diversamente dal termine di trenta giorni) non prevede e tuttalpiù presume – e cioè l’applicabilità del termine semestrale per impugnare l’ordinanza conclusiva del rito sommario di cognizione – le Sezioni Unite prendono una netta posizione a favore di un’interpretazione sistematica della norma, anche in tal caso giustificata dal rapporto di specialità che lega la disciplina speciale con quella del giudizio ordinario di cognizione[37].

Tale chiarimento, infatti, è reso necessario dal silenzio normativo e dall’interpretazione offerta dalla citata sentenza Cass. civ. sez. II, 6 giugno 2018, n. 14478, in cui si ritiene che il mancato richiamo del termine semestrale di impugnazione nell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. «è del tutto coerente con la ratio della disciplina, che per quanto detto tende a far scadere in ogni caso il termine per l’appello con il passaggio di trenta giorni dall’emanazione dell’ordinanza, prolungati dai soli tempi tecnici perché essa sia portata a conoscenza delle parti dal cancelliere (o dalla parte notificante, ove più sollecitata del cancelliere). In altre parole, l’omissione non è tale in quanto l’ipotesi di un’applicazione del termine “lungo”, decorrente dal deposito, è del tutto incompatibile con la scelta legislativa acceleratoria che permea l’art. 702-quater (al pari delle fattispecie simili, sotto questo profilo, dell’art. 669-terdecies e dell’art. 348-ter)»[38]

A ben vedere, una conclusione del genere non sorprende se la premessa da cui muove tale orientamento è che, in nome dalla ratio acceleratoria del rito sommario, il regime di conoscibilità dell’ordinanza conclusiva è assimilabile a quello previsto per le classiche ordinanze, tali cioè anche nel contenuto, pronunciate in udienza dal giudice ai sensi degli artt. 134 e 176 c.p.c.

È evidente, infatti, che se il regime dei termini d’impugnazione è interpretato in funzione non già della natura decisoria del provvedimento, bensì in virtù della celerità e della speditezza del procedimento si comprende perché la pronuncia citata giunge (erroneamente) a sostenere che l’art. 327 c.p.c. non è applicabile nel rito sommario, ciò nonostante l’espressa previsione di idoneità al passaggio in giudicato dell’ordinanza e l’assenza di alcun riferimento normativo idoneo a giustificare tale disapplicazione[39].

Questa evidente contrarietà, infatti, induce le Sezioni Unite con la sentenza in epigrafe a censurare tale orientamento, sul presupposto che dalla diversa premessa utilizzata per individuare la decorrenza del termine “breve” (e cioè la rilevanza della natura e della funzione decisoria del provvedimento) non può che derivare una diversa conclusione in merito all’applicabilità del termine “lungo” d’impugnazione, alla quale per di più esse giungono non già all’esito di una complessa argomentazione, bensì attraverso il richiamo alle ragioni di una decisione di soli ventuno giorni successiva a quella censurata.

Ed infatti, in Cass. 27 giugno 2018, n. 16893[40] si sostiene che la natura decisoria e l’espressa idoneità al passaggio in giudicato del provvedimento sono elementi sufficienti per considerare l’ordinanza conclusiva del rito sommario una vera e propria sentenza «e per tutte le ipotesi in cui un provvedimento formalmente non qualificato sentenza costituisce ordinanza a contenuto decisorio, la giurisprudenza di legittimità – sviluppatasi precipuamente per il ricorso straordinario ma di contenuto generale[41] – ha fin da tempi risalenti riconosciuto l’inserimento nel sistema, nel senso dell’applicazione dell’articolo 327»[42].

Un principio ermeneutico, dunque, fatto proprio anche dalle Sezioni Unite con la sentenza in epigrafe[43], le quali oltre che richiamare l’importanza e la consolidata funzione pubblicistica del termine semestrale d’impugnazione dei provvedimenti aventi contenuto decisorio[44], ancorché non denominati “sentenza”, ripropongono la medesima ratio decidendi utilizzata per l’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine “breve”.

Anche in tal caso, infatti, emerge che nel rito sommario l’applicabilità del termine “lungo” di cui all’art. 327, c.p.c., riflette ed è espressione del generale principio per cui lex specialis derogat generali[45].

 

In altri termini, equiparando l’ordinanza ex art. 702-quater, comma 1, c.p.c. alla sentenza ordinaria per contenuto, funzione ed efficacia, la corte di Cassazione non fa altro che individuare (nuovamente) nel rapporto di specialità che lega la disciplina del rito ordinario e quella del rito sommario le ragioni che inducono a ritenere applicabile il termine semestrale di impugnazione di cui all’art. 327, c.p.c., inteso come norma di chiusura dell’ordinamento e rilevato che il criterio di specialità non esclude, anzi comprende l’applicazione della normativa ordinaria qualora non incompatibile con la normativa speciale[46].

Ed infatti, sebbene caratterizzato da moltissime similitudini[47], il legame normativo tra i due procedimenti presenta talune peculiarità eccezionalmente attribuite al rito sommario di cognizione e se tra quest’ultime v’è, come si è tentato di illustrare, la speciale decorrenza del termine di trenta giorni – «dalla comunicazione e (non solo) dalla notificazione del provvedimento[48]» – tra le prime v’è e dev’esservi per le Sezioni Unite l’applicazione, in quanto compatibile, del termine ordinario di sei mesi per impugnare il provvedimento conclusivo del rito sommario, in assenza delle suddette formalità[49].

Dunque, il principio ermeneutico ricavabile dalla sentenza in epigrafe è che il regime dei termini d’impugnazione nel rito sommario è determinato dall’efficacia derogatoria dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. rispetto alla disciplina del rito ordinario, nel senso che la disposizione (nella parte in cui deroga) va interpretata restrittivamente ma al contempo (nella parte in cui nulla prevede) non deve escludersi l’applicazione di norme ordinarie, poste a chiusura del sistema processuale.

Tale principio, secondo le Sezioni Unite, appare «rispondente all’esigenza di individuare un punto di equilibrio della ratio acceleratoria quale prospettiva di interpretazione normativa assunta dal citato arresto in contrasto (Cass. 6 giugno 2018, n. 14478) con l’attuazione del giusto processo, sotto i profili della garanzia di accesso al giudice e di tutela giurisdizionale dei diritti, in riferimento alla conoscenza certa della data di decorrenza del termine di appellabilità dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702ter, comma 6, c.p.c., al fine di evitarne alla parte la decadenza»[50].

6. Concludendo, è evidente che la sentenza in epigrafe – avente ad oggetto il regime dei termini di impugnazione dell’ordinanza che conclude il rito sommario di cognizione – assume rilevanza perché non si limita ad individuare la disciplina processuale applicabile, ma giunge sino ad indicare la corretta interpretazione dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c., resa incerta a causa dell’eccessivo rilievo attribuito alla speditezza del procedimento e all’equivoca denominazione del provvedimento che lo conclude.

Per fare questo, le Sezioni Unite mettono in luce il rapporto di specialità che lega la disciplina del rito ordinario e quella del rito (special)sommario, muovendo tuttavia dal presupposto che l’ordinanza conclusiva di quest’ultimo equivale alla sentenza che esaurisce il primo, e che da tale equivalenza di funzione ed efficacia occorre muovere per determinare i confini della deroga al regime ordinario dei termini d’impugnazione.

In particolare, per ciò che attiene al termine “breve” di impugnazione, se invocare l’applicazione della disciplina ordinaria degli artt. 134 e 176, c.p.c. non è condivisibile perché fuoriesce dal suddetto rapporto di specialità, sostenere il modello decisorio ordinario di cui all’art. 281-sexies, c.p.c. non garantisce – in quanto incompatibile con il «microsistema impugnatorio»[51] contenuto nell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. – la garanzia di una conoscenza effettiva, chiara e completa del provvedimento conclusivo con le esigenze di speditezza del procedimento sommario.

Viceversa, con riferimento all’applicabilità del termine “lungo”, è gioco-forza sostenere che la previsione di una deroga alla funzione ordinaria della comunicazione del provvedimento riesca a tradursi nella volontà legislativa di escludere anche l’applicazione del termine semestrale d’impugnazione avverso un provvedimento che se non impugnato, in nome della deroga stessa, è idoneo a produrre gli effetti di cui all’art. 2909, c.c.[52]

Ed infatti, vertendo in tema di impugnazione di provvedimenti aventi contenuto decisorio, le Sezioni Unite ribadiscono che per invocare la disapplicazione dell’art. 327, c.p.c., il legislatore avrebbe dovuto espressamente negare l’applicazione del termine semestrale d’impugnazione per l’ordinanza che conclude tale procedimento speciale: in assenza, la norma è compatibile e trova applicazione[53].

Dunque, non pare un errore concludere che, attraverso la sentenza in epigrafe, l’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. va interpretato restrittivamente per ogni deroga prevista (il termine di trenta giorni per impugnare il provvedimento) e sistematicamente per ciò che invece presume, dovendosi ritenere applicabile la normativa del giudizio ordinario qualora non incompatibile con la disciplina speciale del procedimento sommario di cognizione (il termine semestrale di impugnazione).[54]

[1] La disciplina del procedimento sommario di cognizione, contenuta negli artt. 702bis-702ter-702quater, è stata inserita nel codice di procedura civile dall’art. 51, comma 1, della L.n. 18 giugno 2009, n. 69, e successivamente modificata. Tra le più importanti si ricordi l’estensione dell’ambito di applicazione del rito, reso obbligatorio per talune materie tramite l’approvazione del D.lgs. 1 settembre 2011, n. 150; l’estensione del potere di conversione del rito, previo contraddittorio, anche al giudice ai sensi dell’art. 183-bis, c.p.c., introdotto dall’art. 14, comma 1, D.L. 12 settembre 2014, n. 132. Per l’esame delle disposizioni che disciplinano il procedimento sommario di cognizione, v. R. TISCINI, Del procedimento sommario di cognizione, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da L.P. COMOGLIO-C. CONSOLO-B. SASSANI-R. VACCARELLA, Vol. V, 2, Milano, 2014, pp. 560-687; per la distinzione tra «riti» e «modelli» nel D.lgs. n. 150/2011 v. R. TISCINI, Commento all’art. 3, in La semplificazione dei riti civili, a cura di B. SASSANI e R. TISCINI, Roma, 2011, p. 3 ss.; per il contributo dell’art. 183-bis, c.p.c. al riconoscimento di una cognizione piena del procedimento sommario, v. R. TISCINI, Il procedimento sommario di cognizione, un fenomeno in via di gemmazione, in Riv. dir. proc. civ., 2017, pp. 116, nota 20.

[2] Si pensi a Cass. 15 gennaio 2015, n. 592; Cass. sez. un. 10 luglio 2012, n. 11512; Cass. 27 giugno 2018, n. 16893, in cui si è consolidato il principio per cui la sommarietà appartiene al rito, non già alla cognizione che, invece, è da ritenersi piena; v. anche Cass. 4 dicembre 2015, n. 24754; Cass. sez. un. 4 maggio 2017, n. 10790; Cass. 5 ottobre 2018, n. 24538 in merito ai poteri istruttori del giudice e alle preclusioni a carico delle parti; ovvero Cass. 14 marzo 2013, n. 11465; Cass. 27 marzo 2014, n. 7258; Cass. 19 maggio 2015, n. 10211; Cass. 2 novembre 2015, n. 22387, in cui si esclude l’appellabilità della sola ordinanza di accoglimento della domanda proposta con procedimento sommario.

[3] E talaltra invece meno, come nel caso della forma dell’atto introduttivo di appello dell’ordinanza conclusiva del rito sommario che, nel silenzio della legge, è identificato dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo in Cass. sez. un. 10 febbraio 2014, n. 2907) nella citazione e non nel ricorso – quest’ultimo atto introduttivo del primo grado – malgrado talune eccezioni, in cui è espressamente richiesto il ricorso, come in materia di protezione internazionale, materia assoggettata ex lege al procedimento sommario di cognizione, ai sensi dell’art. 19 del D.lgs. 150/2011 (in questi termini Cass. sez. un. 9 ottobre 2018, n. 28575). Criticamente su tali distinguo B. SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano, Milano, 2021, p. 255, nota 13-14, che li ritiene «singolari e pericolosi».

[4] La questione è stata rimessa alle Sezione Unite dal Presidente della sezione Lavoro della Corte di cassazione, chiamato a pronunciarsi avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia del 18 ottobre 2019, n. 4473 che ha dichiarato inammissibile, perché tardivo, l’appello dell’ordinanza emessa nelle forme sommarie che rigettava una domanda di protezione internazionale. Secondo il giudice di secondo grado, il momento dal quale far decorrere il termine di trenta giorni per l’impugnazione della decisione impugnata risiede nel giorno di udienza in cui il rigetto della domanda è stato pronunciato, ai sensi dell’art. 281-sexies, c.p.c. a mente del quale « […] il giudice, fatte precisare le conclusioni, può ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un’udienza successiva e pronunciare sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria».

[5] La legittimità costituzionale dell’art. 702-quater, c.p.c., è stata ribadita da Cass. 4 febbraio 2020, n. 2467; Cass. 9 maggio 2017, n. 11331.

[6] Si pensi all’originario dibattito generato dall’equivoco dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c., il quale nel richiamare testualmente l’ordinanza emessa «ai sensi del sesto comma dell’articolo 702 ter» – e cioè soltanto l’ordinanza che accoglie la domanda – mostrò il fianco a ricostruzioni limitative del giudizio d’appello alle sole ordinanze di accoglimento, in virtù di un’interpretazione strettamente letterale. Per l’analisi del dibattito, anche giurisprudenziale, e le ragioni che impediscono tale limitazione, v. R. TISCINI, Del procedimento sommario di cognizione, cit., pp. 669-670, nota 6. Inoltre, sulla scarna disciplina del giudizio d’appello dell’ordinanza conclusiva del rito sommario di cognizione, v. C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, Torino, 2017, pp. 347-355; B. SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano, cit., p. 255 ss.; A. TEDOLDI, Procedimento sommario di cognizione, in Commentario del codice di Procedura Civile, a cura di S. CHIARLONI, Bologna, 2016, p. 450 ss.; R. CAPONI, Art. 702 quater, in La riforma della giustizia civile, AA.VV., Torino, 2009, p. 207 ss.; G. OLIVIERI, Il procedimento sommario di cognizione, in Dir. e giur., 2009, I; M. BOVE, Il procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis ss. c.p.c., in www.judicium.it, 2018; C.M. CEA, L’appello nel processo sommario di cognizione, in www.judicium.it, 2018; B. CAPPONI, Note sul procedimento sommario di cognizione (art. 702-bis ss. c.p.c.), in www.judicium.it; F.P. LUISO, Il procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2009, p. 1568 ss.; più di recente, G. LISELLA, Modelli decisori nel procedimento sommario di cognizione e termini per appellare, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, pp. 297-320 e spec. p. 308, in cui si legge che l’art. 702-quater, c.p.c. «individua un’area di specialità dell’appello nel sommario di cognizione rispetto al sistema ordinario; bisogna quindi chiedersi quale sia la normativa generale applicabile a detta impugnazione».

[7] Al comma 1 dell’art. 702-quater, infatti, si legge testualmente che tale ordinanza, di contenuto decisorio, «produce gli effetti di cui all’articolo 2909 del codice civile se non è appellata». Tale specificazione appare conforme all’idea, pacificamente riconosciuta in dottrina, per cui l’idoneità al giudicato segue il carattere decisorio del provvedimento, dovendosi considerare invece tassative le ipotesi di provvedimenti decisori svincolati dall’efficacia di giudicato. Sul punto, v. R. TISCINI, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, passim.

[8] V. in motivazione sub p.to 8. Sul punto, cfr. Cass. 27 giugno 2018, n. 16893; Cass. sez. un. 20 luglio 1999, n. 480; Cass. 13 febbraio 2004, n. 2851; Cass. 19 giugno 2007, n. 14281; Cass. 21 aprile 2016, n. 8101; Cass. 19 dicembre 2014, n. 27121; Cass. 19 febbraio 2018, n. 3945.

[9] Espresse in motivazione sub p.ti 8-9.

[10] Sulla legittimazione a decidere anche tale questione, estranea ai motivi di ricorso, v. in motivazione sub p.ti 6, 6.1, 6.2.

[11] Effettivamente l’ambito di applicazione del rito sommario di cognizione è molto ampio, essendo previsto (oltre che per le materia ad esso attribuite ex lege) a tutte le controversie del tribunale in composizione monocratica. Sul punto, v. B. SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano, cit., p. 247, in cui si ritiene che il procedimento sommario di cognizione «opera per tutte le cause attribuite alla cognizione del tribunale in composizione monocratica, a prescindere dal contenuto della domanda (di accertamento, costitutiva o di condanna)»; R. TISCINI, Del procedimento sommario di cognizione, cit., p. 590, in cui si ritiene che «in mancanza di una disposizione appositamente dedicata all’ambito di applicazione, i confini del rito sommario sono individuati attraverso le norme dedicate alla competenza, ed altre sul procedimento (id est i presupposti della conversione) e sugli effetti della decisione».

[12] Ed infatti, rispettivamente, per il termine di trenta giorni la norma prevede una deroga espressa alla disciplina ordinaria, mentre riguardo al termine semestrale la disposizione presume, non essendoci alcuna deroga o espresso rinvio, inducendo così ad interrogarsi rispettivamente sui confini della deroga espressa e sull’applicabilità suppletiva della disciplina ordinaria contenuta nell’art. 327, c.p.c.

[13] Parimenti al rito cautelare, ai sensi dell’art. 669-terdecies, comma 1, c.p.c. Sul punto, v. G. BALENA, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, V, p. 324 ss., critico a causa dell’assenza del requisito dell’urgenza nel procedimento sommario, che invece giustifica siffatto valore alla comunicazione di cancelleria del provvedimento nel rito cautelare.

[14] Ai sensi dell’art. 133, comma 2, ultimo periodo, c.p.c. Sulle ragioni per cui la comunicazione non è idonea ordinariamente a far decorrere il termine di trenta giorni per impugnare il provvedimento, v. Cass. 2 febbraio 2006, n. 2334; Cass. 31 agosto 2015, n. 17311; ord. Cass. 5 novembre 2014, n. 23526; Cass. 16 gennaio 2017, n. 856; Cass. 28 settembre 2016, n. 19177; ord. Cass. 17 settembre 2015, n. 18278; Cass. 20 maggio 2016, n. 10525; Cass. 16 maggio 2016, n. 10017; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2334; Cass. 31 agosto 2015, n. 17311; Cass. 27 settembre 2017, n. 22674; più di recente; Cass. 19 settembre 2019, n. 23443; Cass. 3 maggio 2021, n. 11559.

[15] Richiamata in ord. Cass. 27 giugno 2018, n. 16893; ord. Cass. 13 dicembre 2019, n. 32961.

[16] Per la disciplina contumaciale, in dottrina v. A. TEDOLDI, Procedimento sommario di cognizione, cit., p. 263; G. LISELLA, Modelli decisori nel procedimento sommario di cognizione e termini per appellare, cit., pp. 319-320, par. 10.

[17] Ed infatti, ai sensi dell’art. 134, comma 2, c.p.c. «il cancelliere comunica alle parti l’ordinanza pronunciata fuori dall’udienza, salvo che la legge ne prescriva la notificazione» e secondo l’art. 176, comma 2, ultimo periodo, c.p.c. le ordinanze «pronunciate fuori dell’udienza sono comunicate a cura del cancelliere entro i tre giorni successivi».

[18] Ai sensi dell’art. 134, comma 1, c.p.c., a mente del quale l’ordinanza «se è pronunciata in udienza, è inserita nel processo verbale» e dell’art. 176, comma 2, primo periodo, c.p.c. per cui «le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi».

[19] A sostegno di tale ricostruzione, la pronuncia richiama taluni argomenti: la ratio acceleratoria del procedimento sommario di cognizione; il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado dichiarata inammissibile in udienza con ordinanza ai sensi dell’art. 348-bis, c.p.c., il cui termine “breve” d’impugnazione decorre dall’udienza stessa per le parti presenti, o che avrebbero dovuto esserlo; il regolamento di competenza che, ai sensi dell’art. 47, comma 2, c.p.c., è esperibile nei trenta giorni successivi alla comunicazione dell’ordinanza che decide sulla competenza. Sul punto, v. in motivazione sub p.ti 3.9-3.10-3.11. In dottrina, criticamente B. SASSANI, Lineamenti del processo civile, cit., p. 669, nota 11, che ritiene discutibile tale pronuncia; M. ABBAMONTE, L’appello nel procedimento sommario di cognizione, in www.judicium.it, 2020, per il quale tale ricostruzione appare «eccessivamente formalistica nonché potenzialmente pericolosa».

[20] Con tale ricostruzione, la Corte di appello di Venezia dichiarava inammissibile, perché tardivo, l’appello proposto avverso l’ordinanza, emessa nelle forme dell’art. 702-ter, comma 5, c.p.c., che aveva respinto la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e umanitaria, materia da trattare obbligatoriamente con il rito sommario, ai sensi del D.lgs. 150/2011. In particolare, la pronuncia sosteneva che la lettura in udienza e la sua pubblicazione facevano decorrere il termine di trenta giorni per impugnare la decisione, ai sensi dell’art. 281-sexies, c.p.c. Tale sentenza, e tale ricostruzione, vennero successivamente censurate da ord. Cass. 18 maggio 2021, n. 13439, la quale ha stabilito – dando origine al contrasto interpretativo sull’art. 702-quater, comma 1, c.p.c. di cui si discute – che con il procedimento sommario di cognizione «si verte in ipotesi di rito speciale per il quale il legislatore ha dettato una disciplina ad hoc», concludendo che la decorrenza del termine “breve” di impugnazione dell’ordinanza conclusiva dello speciale procedimento sommario di cognizione risiede nella comunicazione della cancelleria o nella notifica del provvedimento.

[21] Facendo da tale momento decorrere l’ordinario termine semestrale d’impugnazione. Pacificamente in giurisprudenza, v. Cass. 7 dicembre 2015, n. 24805; Cass. 5 aprile 2017, n. 8832.

[22] V. in motivazione sub p.to 8.

[23] V. in motivazione sub p.to 9.

[24] Le caratteristiche sostanziali di sentenza sono indicate in motivazione sub p.to 8. Per i requisiti che rendono un provvedimento sostanzialmente decisorio, v. Cass. sez. un. 20 luglio 1999, n. 480; Cass. 13 febbraio 2004, n. 2851; Cass. 19 giugno 2007, n. 14281; Cass. 21 aprile 2016, n. 8101; Cass. 19 dicembre 2014, n. 27127; Cass. 19 febbraio 2018, n. 3945; Cass. 27 giugno, 2018, n. 16893, in cui si legge che il provvedimento che conclude il rito sommario di cognizione «produce un accertamento la cui stabilizzazione può essere stornata soltanto attraverso il meccanismo delle impugnazioni classicamente applicabile a una sentenza di primo grado».

[25] Inoltre, l’orientamento espresso da Cass. civ. sez. II, 6 giugno 2018, n. 14478 è censurato dalle Sezioni Unite non soltanto per non aver considerato rilevante il carattere decisorio del provvedimento che decide nel rito sommario – di per sé idoneo ad escludere l’applicazione della disciplina generale dettata per le ordinanze  – bensì anche per l’impertinente richiamo a tecniche acceleratorie afferenti ad altri e diversi procedimenti, dai quali sarebbe possibile desumere la decorrenza del termine “breve” d’impugnazione dalla data d’udienza in cui è pronunciata l’ordinanza ex art. 702-ter, comma 5, c.p.c. In particolare, secondo le Sezioni Unite, non è condivisibile assimilare all’ordinanza che conclude il rito sommario la disciplina prevista dall’art. 669-terdecies, comma 1, c.p.c. – secondo cui «contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore» – per la diversità della cognizione e della funzione del provvedimento finale dei due procedimenti. E parimenti non è condivisibile il richiamo alla disciplina dell’art. 348-ter, c.p.c. – a mente del quale il provvedimento di primo grado, il cui appello è stato dichiarato inammissibile con ordinanza, è impugnabile in cassazione e il termine «decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore» – posto che tale tecnica individua un nuovo termine d’impugnazione in nome della diversa funzione esercitata dall’ordinanza che dichiara inammissibile l’appello, alquanto diversa ed inidonea ad essere equiparata all’ordinanza ex art. 702-ter, comma 5, c.p.c. Sul punto, in motivazione sub p.ti 9.1-9.2.

[26] V. in motivazione sub p.to 11.5.

[27] V. in motivazione sub p.ti 11.2 e 11.3. Sul punto, v. Cass. 18 novembre 2000, n. 14936; Cass. 9 maggio 2007, n. 10539; Cass. 27 giugno 2018, n. 16893; Cass. 30 giugno 2021, n. 18499.

[28] Ed infatti, la natura di provvedimento decisorio dell’ordinanza ex art. 702-ter, comma 5, c.p.c. determina l’applicazione del regime di conoscibilità delle sentenze, nel solco però della disciplina speciale del rito sommario, derogatorio della disciplina contenuta nell’art. 133, c.p.c.

[29] A mente del quale il giudice può «[…] pronunciare sentenza al termine della discussione, dando lettura del dispositivo e della coincisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria».

[30] Secondo cui «alla prima udienza il giudice […] provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande».

[31] Ciò perché entrambi i procedimenti sono legislativamente previsti quali “rimedi preventivi”, ai fini dell’applicazione della L.n. 24 marzo 2001, n. 89., come ricordato in motivazione sub p.to 10.

[32] Sulla differenza strutturale tra il modello decisorio descritto dall’art. 281-sexies, c.p.c. ed il procedimento sommario di cognizione, v. Corte cost. 23 giugno 2020, n. 121 in cui si ritiene che «l’art. 1-ter, comma 1, della legge n. 89 del 2001 individua, tra i rimedi preventivi esperibili, uno strumento attinente alla trattazione del processo, ove sia proposta l’istanza di mutamento del rito da ordinario di cognizione in sommario di cognizione ai senti dell’art. 183-bis cod. proc. civ., ovvero uno strumento riguardante le norme di svolgimento della decisione, ove sia avanzata richiesta di definizione del contenzioso secondo lo schema più duttile e concentrato della pronuncia della sentenza semplificata immediatamente a seguito di discussione orale».

[33] Sul punto, v. Cass. 23 marzo 2017, n. 7401 in cui si afferma che «la comunicazione deve avere ad oggetto il testo integrale della decisione, comprensivo del dispositivo e della motivazione, non potendo farsi decorrere il termine “breve” d’impugnazione dalla sola notizia del dispositivo»; Cass. 8 novembre 2002, n. 15698; Cass. 19 settembre 2013, n. 21477; Cass. 27 settembre 2016, n. 18932; Cass. 18 aprile 2007, n. 9244; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984; Cass. 14 marzo 2006, n. 5445.

[34] Per questo motivo le Sezioni Unite affermano «che la cadenza acceleratoria del procedimento sommario di cognizione abbia avvio e perno di modulazione, non già nella volontà delle parti, ma proprio nella comunicazione, intesa come “completezza e certezza della notizia sulla possibilità di accedere al provvedimento e come disponibilità del suo testo”». V. in motivazione sub p.to 11.5, secondo periodo.

[35] Ciò è eminentemente dimostrato dalla disciplina del reclamo in Corte d’appello avverso la sentenza del tribunale sulla impugnativa di licenziamento, ai sensi dell’art. 1, comma 58, L.n. 28 giugno 2012, n. 92, così come interpretata da Cass. 11 luglio 2016, n. 14098, per la quale «il termine di trenta giorni per la proposizione del reclamo decorre dalla comunicazione alle parti della sentenza del tribunale, anche nelle ipotesi nelle quali il giudice abbia dato lettura in udienza del dispositivo e della motivazione, come previsto dall’art. 429 c.p.c., poiché la L. n. 92 del 2012 ha introdotto un nuovo rito speciale, la cui disciplina deve essere osservata senza possibilità di deroga dai principi generali dell’ordinamento, salvo necessità d’integrazione del rito nel caso di lacuna del dettato normativo». Sul punto, v. Cass. 20 settembre 2016, n. 18403; Cass. Sez. Un. 18 settembre 2014, n. 19674; Cass. 9 settembre 2016, n. 17863; Cass. 29 ottobre 2014, n. 23021; Cass. 5 aprile 2017, n. 8832.

[36] V. in motivazione sub p.to 11.5.

[37] Ed infatti, manca nella disciplina del procedimento sommario di cognizione un esplicito riferimento al termine di sei mesi per impugnare l’ordinanza conclusiva, mancanza che all’alba dell’entrata in vigore dello speciale procedimento indusse parte della dottrina a sostenere l’inapplicabilità di tale termine “lungo”. In questo senso, v. S. MENCHINI, L’ultima “idea” del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione, in Corr. giur., 2009, pp. 1025-1034, e spec. 1032 in cui si ritiene che «opera soltanto il termine breve e decorre alternativamente dalla notificazione dell’ordinanza ad istanza di parte oppure dalla comunicazione ad opera dell’ufficio, se effettuata anteriormente alla notificazione, mentre non ha modo di valere il termine lungo; evidente è la volontà del legislatore di accelerare il processo e di ridurne i tempi». Contrariamente, v. C. CONSOLO, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi a prima lettura, in Corr. giur., 2009, p. 877 ss. e spec. p. 885; F.P. LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2021, IV, p. 140 ss.; R. TISCINI, Del procedimento sommario di cognizione, cit., p. 678; G. BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile, in Giust. proc. civ., 2009, p. 749 ss. e spec. p. 804.

[38] V. in motivazione sub p.to 3.5.

[39] Infatti, in Cass. civ. sez. II, 6 giugno 2018, n. 14478, sub p.to 3.5 ciò viene motivato sull’assunto per cui  «se, dunque, in coerenza con un progetto generale di stimolo alla definizione dei procedimenti in un’ottica di loro ragionevole durata, il legislatore in alcuni casi ha puntato sulla funzione della comunicazione di cancelleria quale fattore di assicurazione della decorrenza sollecita del termine di impugnazione, è ben comprensibile che nell’ambito dell’art. 702-quater nulla si sia previsto in tema di termine c.d. “lungo” di impugnazione, il termine cioè decorrente dalla pubblicazione mediante deposito della sentenza previsto dall’art. 327 del codice di rito».

[40] In www.judicium.it, con nota di A. DI BERNARDO, Appello avverso l’ordinanza emessa all’esito del procedimento sommario di cognizione: si applica il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c.; in Giusto proc. civ., con nota di P. CARDINALE, Sull’applicabilità del termine di impugnazione semestrale in caso di appello avverso l’ordinanza conclusiva del rito sommario di cognizione, 2019, 3. 

[41] In argomento, per ulteriori approfondimenti, C. CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, cit., p. 542 in cui si ritiene che «il rimedio di cui all’art. 111, co. 7, Cost. direttamente esperibile contro ogni sentenza “in senso sostanziale”, ossia contro ogni decisione che, seppur resa in forma di decreto o di ordinanza, contenga una statuizione definitiva ed irrevocabile in ordine ad un diritto soggettivo o ad uno status. La possibilità, così garantita costituzionalmente e che il legislatore non può sottrarre alle parti giocando sulla forma del provvedimento, di ottenere il sindacato sulla legittimità di qualunque statuizione sui diritti soggettivi dedotti ad opera della Cassazione è in funzione, anzitutto, della aspirazione che le parti possono avere a che, attraverso il giudizio di cassazione, possa essere emendato l’errore di diritto commesso dal giudice del merito e riparata la ingiustizia subita»; v. R. TISCINI, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005.

[42] In motivazione sub p.to 1.3.1.

[43] Sul punto, cfr. Cass. Sez. Un. 8 giugno 1998, n. 5615; Cass. 28 gennaio 1999, n. 746; Cass. 13 dicembre 1999, n. 13980; Cass. 18 novembre 2000, n. 14936; Cass. 10 gennaio 2001, n. 260; Cass. 19 marzo 2001, n. 3935; Cass. 17 aprile 2001, n. 5608; Cass. 20 aprile 2004, n. 7480; Cass. 23 marzo 2006, n. 6564; Cass. 6 giugno 2006, n. 13229; Cass. 16 novembre 2011, n. 24000; Cass. 14 maggio 2014, n. 10450; Cass. 25 luglio 2016, n. 15343; Cass. 20 febbraio 2017, n. 4365.

[44] Di per sé sarebbe sufficiente ad applicare l’art. 327 c.p.c. (anche) nel rito sommario.

[45] Nel senso che, parimenti alla precedente, anche tale questione è risolta dalla sentenza in epigrafe mettendo in luce il rapporto normativo tra la disciplina del rito ordinario e quella del rito special-sommario di cognizione ma, a differenza della precedenza, in tale soluzione le Sezioni Unite si concentrano non già su ciò che è espressamente previsto dagli artt. 702-bis, 702-ter, 702-quater, c.p.c., bensì sulle prescrizioni che possono essere attinte dalla disciplina ordinaria. Ed infatti, in motivazione sub p.to 12, si ritiene che il rito sommario di cognizione si presenta come procedimento «speciale e alternativo rispetto a quello ordinario di cognizione, dal quale ben possono essere attinte le disposizioni di ordine generale, a chiusura del sistema quale è l’art. 327, c.p.c.».

[46] E certamente non può dirsi incompatibile con la disciplina del rito sommario una norma, qual è l’art. 327, c.p.c., volta a garantire esigenze di certezza dei rapporti giuridici, compresi quelli dedotti e risolti nelle forme sommarie, posto che sostenere il contrario vorrebbe dire ammettere l’ipotesi (rara, ma concettualmente possibile) di un provvedimento oppugnabile sine die che mai diviene definitivo (nonostante l’espressa previsione d’idoneità contenuta nell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c.) in caso di assenza di comunicazione e di notificazione del provvedimento. In questi termini, G. BALENA, Il procedimento sommario di cognizione, cit., p. 332; M. BOVE, Il procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis ss. c.p.c., cit., § 6; R. TISCINI, Del procedimento sommario di cognizione, cit., p. 272; A. TEDOLDI, Procedimento sommario di cognizione, cit., p. 512; G. LISELLA, Modelli decisori nel procedimento sommario di cognizione e termini per appellare, cit., p. 310, nota 50. Contrariamente, S. MENCHINI, L’ultima “idea” del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione, cit., p. 1032.

[47] Sul punto, v. R. TISCINI, Il procedimento sommario di cognizione, un fenomeno in via di gemmazione, cit., p. 115, in cui si ritiene che «si tratta di un rito proiettato sulla deformalizzazione, nel senso di poterne semplificare le dinamiche a parità dell’intensità dell’accertamento cognitivo rispetto a quello ordinario. In altri termini, è vincente la definizione quale procedimento a cognizione piena, ma dalle forme semplificate»; G. BALENA, Il procedimento sommario di cognizione, cit., p. 328; R. CAPONI, Un modello recettivo delle prassi migliori: il procedimento sommario di cognizione, in Riv. dir. proc. civ., 2009, V, p. 337; L. DITTRICH, Il procedimento sommario di cognizione, in Riv. dir. proc. civ., 2009, p. 1587.

[48] Ai sensi dell’art. 702-quater, comma 1, c.p.c.

[49] Richiamando Cass. 27 giugno 2018, n. 16893, la sentenza in epigrafe evidenzia infatti che «il provvedimento decisorio è impugnabile sempre o entro il termine breve o entro il termine lungo; l’introduzione di una specifica disciplina attinente al termine breve e agli effetti del suo decorso non può quindi assorbire in modo meramente implicito la via dell’art. 327. Nel contesto sistematico, allo scopo il legislatore avrebbe dovuto espressamente negare l’applicazione del termine lungo». V. in motivazione sub p.to 12.

[50] Sul punto, v. in motivazione sub p.to 13-13.2-13.3.

[51] V. in motivazione sub p.to 11.5.

[52] L’effettiva conoscenza rileva per il termine “lungo” non già per il contenuto del provvedimento, bensì per il momento dal quale la parte è consapevole che decorre tale termine d’impugnazione. Sul punto, v. in motivazione sub p.to 13.1.

[53] E potrebbe dirsi anche necessaria «in esito alla ricostruzione del quadro normativo del procedimento sommario di cognizione, come speciale alternativo rispetto a quello ordinario di cognizione, dal quale ben possono essere attinte le disposizioni di ordine generale, a chiusura del sistema (nel caso di specie: in riferimento alla decadenza dall’impugnazione), quale è l’art. 327 c.p.c. in discussione: con la sua decorrenza dalla data di pubblicazione dell’ordinanza che, come noto, si effettua con il deposito del provvedimento in cancelleria e costituisce l’”atto conclusivo del grado di giudizio”». V. in motivazione sub p.to 12.

[54] Tuttavia, tale indirizzo giurisprudenziale è chiamato a confrontarsi con l’approvazione dell’art. 21, capo II, del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, posto che il legislatore introduce, a far data dal 1 marzo 2023, il c.d. “procedimento semplificato di cognizione”, la cui disciplina (che non sembra essere così dissimile) muta proprio con riferimento al provvedimento conclusivo ed al regime dei termini di impugnazione. Infatti, il nuovo art. 281-terdecies, c.p.c., derubricato «Decisione» da un lato è conforme alle indicazioni della sentenza in epigrafe – nella parte in cui nomina “sentenza” il provvedimento conclusivo – e dall’altro lato però dispone che il provvedimento sarà «impugnabile nei modi ordinari», facendo così venir meno il rilievo dello speciale «microsistema impugnatorio» del rito sommario di cognizione. Inoltre, con la riforma si prevede che «il giudice quando rimette la causa in decisione procede a norma dell’art. 281-sexies», rinviando anche in tal caso alla disciplina ordinaria di decisione a seguito di trattazione orale. Dunque, sembra evidente che un incremento delle similitudini tra i due procedimenti rende ancora più arduo immaginare degli effettivi benefici in termini di celerità ed efficienza del nuovo procedimento semplificato, il quale rischia prima ancora dell’introduzione di apparire una mera deformalizzazione del rito ordinario di cognizione, piuttosto che un vero e proprio procedimento speciale (emblematica in tal senso è la posizione codicistica nel Libro II, Titolo I, capo III-quater, artt. 281decies-281duodecies-281terdecies, c.p.c.). Ciò che resta all’interprete allora è attendere, senza illusioni o rassegnazioni al peggio, i risvolti applicativi di una riforma che in tema di procedimento semplificato di cognizione presenta già talune perplessità.