I processi d’interdizione, d’inabilitazione e per la nomina dell’amministratore di sostegno dopo la riforma Cartabia.

Di Romolo Donzelli -

Sommario: 1. L’evoluzione normativa prima della riforma Cartabia. – 2. Le linee generali della riforma. – 3. Il dibattito sulla natura dei procedimenti. – 4. La legittimazione ad agire. – 5. L’indisponibilità della materia, il p.m. ed il potere del giudice di pronunciarsi ultra petita. – 6. La competenza e la composizione del giudice. – 7. Il ricorso. – 8. La fase introduttiva. – 9. L’udienza di comparizione e la fase istruttoria. – 10. I provvedimenti provvisori e urgenti. – 11. La fase decisoria. – 12. La decisione. – 13. Le impugnazioni in generale. – 14. Le impugnazioni nel processo d’interdizione e d’inabilitazione. – 15. Le impugnazioni nel processo di nomina dell’amministratore di sostegno. – 16. La revoca.

1.Il decreto legislativo n. 149 del 10 ottobre 2022 rappresenta l’ultimo passo di un lungo percorso normativo volto a dare sistemazione agli strumenti di protezione dei soggetti deboli e vulnerabili.

Nell’impostazione originaria del codice civile, la tutela dell’infermo riposava sui soli istituti dell’interdizione e l’inabilitazione[1]; entrambi fondati su una concezione tradizionale, astratta e monolitica della «capacità di intendere e di volere»[2]. Sul piano funzionale, inoltre, tali rimedi possedevano una connotazione autoritaria, afflittiva, sovente sproporzionata e soprattutto orientata a tutelare più gli interessi dei familiari o dei terzi che quelli dei soggetti colpiti dalla misura.

Come noto, dunque, negli anni Ottanta del secondo scorso prese l’avvio un ampio dibattito[3] e dopo diversi progetti di riforma[4] venne alla luce la l. n. 6 del 9 gennaio 2004.

Sul piano della tecnica normativa, non si optò per l’abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione, le cui disposizioni furono anzi riviste in un tentativo di coordinamento con il nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno, la cui disciplina trovò la propria sede negli artt. 404-413 c.c., in precedenza abrogati dalla l. n. 184/1983.

Più modesto fu l’intervento operato sul codice di rito, dove, a parte una lieve modifica alla rubrica del capo II del titolo II del libro IV, venne introdotto l’art. 720 bis c.p.c., che, per il procedimento di nomina dell’amministrazione di sostegno, già in parte regolato da alcune previsioni presenti nel codice civile, rinviava a specifiche disposizioni in materia di procedimento d’interdizione e d’inabilitazione[5].

Il quadro finale che usciva dalla riforma era estremamente frammentato:

a) sul piano sostanziale, non era nitido il rapporto tra i presupposti dell’amministrazione di sostegno e quelli dell’interdizione e dell’inabilitazione, nel senso che rimaneva incerto lo spazio applicativo da riconoscersi a queste ultime rispetto alla prima;

b) sul piano processuale, la disciplina dei procedimenti si ricavava dalla lettura di norme sparse tra il codice civile e quello di rito e, per l’amministrazione di sostegno, dopo aver rincorso e compreso i rinvii compiuti dall’art. 702 bisp.c.

2. Su questo stato di cose impatta il d.lgs. n. 149/2022, che abroga gli artt. 712-720 bis c.p.c. per sostituirli con gli artt. 473 bis.52-473 bis.58 c.p.c.

Al di là della nuova collocazione topografica, l’intervento riformatore non è di quelli particolarmente innovativi, essendo le disposizioni appena citate in larga misura la pedissequa riproduzione delle precedenti[6]. D’altro canto, va rilevato che le stesse vanno ad inserirsi nel nuovo titolo IV bis del libro II del codice di rito ed in particolare nella terza sezione del capo III.

Siamo, dunque, nell’ambito delle «disposizioni speciali», che, vista la struttura del titolo IV bis, dovrebbero beneficiare dell’applicazione delle disposizioni generali previste al capo I, nonché delle disposizioni comuni relative al procedimento unitario che troviamo al capo II.

La ricostruzione della disciplina complessiva segue, tuttavia, percorsi meno lineari.

Come detto, infatti, la riforma ha per lo più riversato il contenuto degli artt. 712-720 bis c.p.c. negli artt. 473 bis.52-473 bis.58 c.p.c., aggiungendo solo poche novità in ossequio all’art. 1, comma 17, lett. p) e comma 23, lett. oo), l. n. 206/2021. Il che significa che molte norme a contenuto processuale sono ancora collocate nel codice civile.

Non solo.

Come vedremo, le disposizioni generali e le disposizioni comuni poc’anzi menzionate sono state concepite per lo più in riferimento alle controversie familiari e minorili, sicché il loro adattamento ai nostri procedimenti non è affatto agevole, tanto lo stesso legislatore ha talora avvertito l’esigenza di richiamarle espressamente.

A complicare ulteriormente il quadro contribuisce anche il disposto dell’art. 473 ter c.p.c., stando al quale, ove non diversamente previsto dalla legge, i decreti del giudice tutelare debbono essere pronunciati in camera di consiglio.

Ad oggi, dunque, per ricavare la disciplina dei processi in questione occorre non solo riferirsi a norme presenti sia nel codice civile che in quello di rito, ma anche chiedersi quale sia il rapporto tra le regole di carattere generale del titolo IV bis e quelle speciali a cui è rivolto il nostro interesse[7].

3.Prima di entrare nell’esame dei nostri procedimenti, è opportuno dar conto dell’ampio dibattito in merito alla natura dell’attività giurisdizionale ivi espletata[8], poiché estremamente rilevante per dare adeguata soluzione alle questioni interpretative che una disciplina normativa confusa e contraddittoria inevitabilmente solleva.

Per quel che attiene ai procedimenti d’interdizione e d’inabilitazione, parte della dottrina ha ritenuto che l’attività giurisdizionale ivi espletata fosse da ricondursi alla giurisdizione volontaria[9].

Anche nell’impostazione tradizionale, tuttavia, non è mancato chi ne ha offerto una configurazione contenziosa[10].

Invero, come autorevolmente osservato, il corretto inquadramento sistematico di siffatti procedimenti non poteva non tradursi in un vero e proprio «rompicapo»[11], tenuto conto della impossibilità di ricondurre pianamente il tipo a nessuna delle categorie generali.

Se, infatti, la disciplina del procedimento alludeva alle forme del processo ordinario, al contempo numerosi erano i tratti di specialità del rito e difettava quel conflitto tra soggetti regolato mediante l’attribuzione di un diritto soggettivo preesistente al processo da sottoporre all’accertamento, né questo riguardava direttamente lo status del destinatario della misura.

D’altro canto, dalla seconda metà del secolo scorso, la dottrina processualistica inizia a dedicare maggiore attenzione a quelle aree della giurisdizione civile che non trovano adeguata sistemazione né in quella contenziosa né in quella volontaria.

L’attenzione cade soprattutto su quei procedimenti in cui il giudice non è chiamato ad accertare diritti preesistenti al processo o status e nei quali il provvedimento produce effetti lato sensu costitutivi – come è proprio sia della giurisdizione contenziosa che di quella volontaria – di particolare gravità sulla sfera giuridica dei soggetti destinatari della decisione[12].

Entra gradatamente nel linguaggio giuridico l’idea della giurisdizione non contenziosa che ciononostante «incide» su diritti soggettivi.

Sul piano del diritto positivo, d’altro canto, si nota che in alcuni casi, proprio per le esigenze di tutela e garanzia riconnesse alla natura dell’intervento giurisdizionale, il processo è affidato dalla legge alle forme cognitive ordinarie, mentre in altri casi ciò non avviene ed è anzi frequente il rinvio alle forme camerali.

Viene, così, ripresa la categoria alloriana dei processi a contenuto oggettivo[13] ed al contempo la riflessione dottrinale preme per l’adeguamento dei casi regolati con forme camerali alle garanzie del giusto processo civile[14].

Va peraltro osservato che a questo percorso di maturazione partecipa anche la giurisprudenza, che si muove – non solo, ma prevalentemente – nella direzione del riconoscimento della ricorribilità in cassazione ex art. 111, comma 7, Cost. della decisione. D’altro canto, sin dal noto precedente del 1953, l’ammissibilità del rimedio dipendeva da un presupposto – quello del «pregiudizio irreparabile»[15] – dai contorni ben più sfumati e vaghi rispetto all’irretrattabilità della decisione propria del giudicato civile.

Emblematica è la giurisprudenza in materia di processi de potestate, ma si tenga anche in conto l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla nozione di decisorietà di fatto, nonché proprio il dibattito sull’impugnazione dei decreti emessi nell’amministrazione di sostegno.

Ciò posto, parte della dottrina ha appunto ritenuto che il procedimento d’interdizione e d’inabilitazione rappresenti un caso esemplare di processo a contenuto oggettivo[16].

In questo senso, si è orientata anche la giurisprudenza, osservando che «il processo di interdizione, come quello di inabilitazione, ha una natura contenziosa connotata dai caratteri della specialità – compendiati dalla coesistenza di diritti soggettivi privati e di profili pubblicistici, dalla natura e non disponibilità degli interessi coinvolti, dalla posizione dei soggetti legittimati a presentare il ricorso, che esercitano un potere di azione, ma non agiscono a tutela di un proprio diritto soggettivo, dagli ampi poteri inquisitori del giudice, dalla particolare pubblicità della sentenza e dalla sua revocabilità – e risulta, come tale, disciplinato, ove non diversamente disposto, dalle regole del rito ordinario che non si trovino con lo stesso in rapporto di incompatibilità»[17].

Con l’entrata in vigore della legge n. 6/2004, il problema dell’inquadramento sistematico del procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno si è nuovamente posto, ma con toni ben più gravi del precedente.

In primo luogo, la frammentarietà della disciplina ha reso difficilmente comprensibile se lo scheletro formale del procedimento sia il rito camerale[18], a cui oggi rinvia solo in chiave generale l’art. 473 ter c.p.c. per la pronuncia dei decreti del giudice tutelare, oppure il rito “ordinario” dei procedimenti d’interdizione e d’inabilitazione[19], oppure ancora nessuno dei due[20].

In secondo luogo, come accennato, l’istituto dell’amministrazione di sostegno è caratterizzato da una elevata elasticità. Di conseguenza, diversamente da quel che accade nell’interdizione e dell’inabilitazione, lo spettro delle decisioni che possono essere assunte in questo ambito è molto più vario.

È su questo piano che si coglie la diversa impostazione della dottrina rispetto alla giurisprudenza.

In dottrina, infatti, il dubbio relativo alla natura dell’attività giurisdizionale svolta ha riguardato solo il procedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno, cioè quello diretto ad accertare i presupposti sostanziali «per costruire, in capo al beneficiario, quello stato di sottoposizione all’amministrazione di sostegno»[21], nonché quello di cessazione per revoca[22], e non invece i procedimenti incidentali a carattere gestorio assunti dopo l’apertura e nel corso dell’amministrazione di sostegno[23].

Ferma questa distinzione e con esclusivo riferimento ai primi, parte della dottrina ha ritenuto questi riconducibili ai processi a contenuto oggettivo[24], mentre un diverso orientamento li ha ricondotti alla volontaria giurisdizione, ossia alla gestione degli interessi del beneficiario[25].

In un quadro normativo altamente ambiguo, l’attenzione degli interpreti si è soffermata sulle norme di più marcata matrice strutturale ed in particolare sulle seguenti previsioni di legge:

– art. 407, comma 4, c.c., stando al quale il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno;

– l’art. 413, comma, 4 c.c., nella parte in cui è attribuito al giudice tutelare il potere di dichiarare la cessazione dell’amministrazione di sostegno qualora questa si riveli inidonea a tutelare il beneficiario;

– l’art. 720 bis, comma 3, c.p.c., che ammette il ricorso per cassazione avverso i decreti pronunciati dalla corte d’appello sull’impugnazione con reclamo dei decreti del giudice tutelare.

Vale la pena notare che, pur in questo ristretto perimetro, le suddette norme si sono rivelate inidonee a condurre ad una convergenza di vedute[26].

L’impostazione di metodo proposta dalla dottrina, che appunto focalizzava l’attenzione sui soli decreti di apertura e di revoca della misura, è stata fatta propria dalla giurisprudenza solo in parte. La Cassazione, infatti, prima affrontando il tema dell’obbligo della difesa tecnica nel procedimento di amministrazione di sostegno e poi occupandosi della sistemazione delle impugnative previste dal menzionato art. 720 bis c.p.c., ha – come anticipato – attribuito particolare rilevanza al tema degli effetti della decisione sotto il profilo del loro impatto sui diritti del beneficiario.

4. Nei procedimenti in esame, la determinazione dei soggetti che possono proporre la domanda di interdizione, di inabilitazione o di apertura dell’amministratore di sostegno, è a tutt’oggi ancora disciplinata dagli artt. 406 e 417 c.p.c.

Relativamente all’amministrazione di sostegno, l’art. 406, comma 1, c.c. attribuisce il potere di azione innanzitutto al beneficiario[27], anche se minore[28], interdetto o inabilitato[29], nonché ai «responsabili» dei servizi sanitari e sociali «direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona».

Con riguardo ancora a questi ultimi, la legge – ed in particolare l’art. 406, comma 3, c.c. – chiarisce che, se a conoscenza di «fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento», possono alternativamente proporre al giudice tutelare il ricorso o a darne notizia al p.m.

Sul piano letterale, va rilevato che la legge compie una precisa distinzione tra i «responsabili» dei servizi ex art. 406, comma 3, c.c. e gli «operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario» ex art. 408, comma 3, c.c.

Emerge, dunque, un difforme trattamento giuridico delle due classi di soggetti, stando al quale solo ai primi è conferito il potere di azione nei termini che stiamo per chiarire[30], mentre solo i secondi non possono essere nominati amministratori di sostegno[31].

Ancora in riferimento ai «responsabili» dei servizi, assume particolare rilevanza il dato testuale dell’art. 406, comma 3, c.c. nella parte in cui è previsto che siano «tenuti» a proporre la domanda o «comunque» a dare notizia al p.m.

Stante la loro posizione di pubblici ufficiali, le attività appena descritte sono senz’altro doverose, ma la legge le pone in un rapporto di alternatività, sicché, come autorevolmente sostenuto, si può ben dire che non siano necessariamente chiamati all’esercizio dell’azione[32].

Ancora l’art. 406, comma 1, c.c. estende la legittimazione ad agire ai soggetti indicati dall’art. 417 c.c.

Ecco che il fronte dei legittimati ad agire per la nomina dell’amministratore di sostegno si allarga a coloro che possono richiedere l’interdizione o l’inabilitazione, ovvero gli stessi destinatari di queste misure, il coniuge, la persona stabilmente convivente[33], il parente entro il quarto grado, gli affini entro il secondo, il tutore, il curatore, nonché il p.m.

Occorre, poi, tener conto dell’art. 1, comma 15, l. n. 76/2016, il quale dispone che «nella scelta dell’amministratore di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove possibile, la parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso» per poi aggiungere che «l’interdizione o l’inabilitazione possono essere promosse anche dalla parte dell’unione civile, la quale può presentare istanza di revoca quando ne cessa la causa»[34].

5. Individuati i legittimati ad agire, è opportuno svolgere alcune considerazioni di ordine sistematico che verranno riprese nel prosieguo.

Gli artt. 406 e 417 c.c. presentano un esteso regime di legittimazione ad agire, pacificamente ritenuto tassativo, nel quale spicca l’azione attribuita al p.m., al quale potranno essere comunque indirizzate le segnalazioni da parte di coloro che sono privi del potere di azione.

La legittimazione del p.m. – oltre che i poteri ufficiosi di cui tra breve diremo – dimostra lo scollamento dell’oggetto del processo dall’area di disponibilità di ciascuno dei legittimati e con esso la rilevanza pubblicistica degli interessi sostanziali sottesi.

Vista la titolarità del potere di azione, spettano pertanto al p.m. tutti i poteri della parte ex art. 71, comma 1, c.p.c. ed al contempo, qualora la domanda sia proposta da altri legittimati ad agire, la sua partecipazione al giudizio è obbligatoria ai sensi dell’art. 70, comma 1, n. 1, c.p.c., come ribadisce l’art. 407, comma 5, c.c.[35]

A tal riguardo, peraltro, l’art. 473 bis.53, comma 2, c.p.c., dispone che il decreto di fissazione dell’udienza di comparizione pronunciato dal presidente o, nell’amministrazione di sostegno, dal giudice tutelare, sia al medesimo comunicato; norma a cui si coordina l’art. 473 bis.54, commi 1 e 3, c.p.c., il quale prescrive che l’esame del destinatario della misura avvenga in presenza del p.m.

Ancora in materia di amministrazione di sostengo, poi, si riferiscono alla parte pubblica: l’art. 410, comma 2, c.c., attribuendogli il potere di ricorrere al giudice tutelare affinché assuma «gli opportuni provvedimenti» in caso di «contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario»; l’art. 412, comma 1, c.c., che lo legittima all’impugnazione degli atti dell’amministratore compiuti in violazione della legge o delle determinazioni giudiziali; nonché, infine, come vedremo, l’art. 413, commi 1 e 3, c.c. in materia di revoca e sostituzione dell’amministratore di sostegno.

Ancora con riguardo al p.m., tenuto conto dei rapporti che sussistono tra le disposizioni generali del titolo IV bis e la sezione speciale in cui trovano collocazione i nostri procedimenti, si crede che la parte pubblica possa beneficiare dei poteri previsti dall’art. 473 bis.3 c.p.c., stando al quale «nell’esercizio dell’azione civile e al fine di adottare le relative determinazioni, il p.m. può assumere informazioni, acquisire atti e svolgere accertamenti, anche avvalendosi della polizia giudiziaria e dei servizi sociali, sanitari e assistenziali»[36].

Come consueto, la scelta di rimettere l’esercizio dell’azione alla parte pubblica è diretta a garantire l’imparzialità del giudice. Tuttavia, in questo ambito, similmente a quanto previsto dall’art. 473 bis.2, comma 1, c.p.c., si registrano alcuni scostamenti dal principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

In materia di amministrazione di sostegno, l’art. 406, comma 4, c.c., con una previsione di ampia latitudine giustificata dal carattere atipico della misura, dispone che il giudice tutelare possa modificare o integrare, anche d’ufficio ed in ogni tempo, le decisioni assunte con il decreto di nomina; giudice tutelare, a cui – come noto – sono affidati i poteri di cui all’art. 44 disp. att. c.c.

Nell’altro ambito, invece, in cui la decisione – salvo quanto previsto dagli artt. 426 e 427, comma 1, c.c. – ha contenuto per lo più tipico, è previsto che il giudice adìto per l’interdizione possa d’ufficio dichiarare l’inabilitazione ex art. 418, comma 1, c.c.

Similmente, stando all’art. 432, comma 1, c.c., promosso il giudizio di revoca dell’interdizione, ancora il giudice può dichiarare d’ufficio l’inabilitazione dell’interessato quando ritiene l’istanza fondata e ciononostante crede che la persona non abbia riacquistato la piena capacità.

A tali poteri decisori ufficiosi, si correla inoltre il potere di provvedere in via provvisoria ed urgente ai sensi degli artt. 405, comma, 4, 418, comma 3, 419, comma 3, c.c. e 473 bis.55, comma 2, c.p.c.

Vi sono, poi, altre norme da prendere in considerazione. Sono quelle che si occupano dei casi in cui il giudice, all’esito della cognizione, ritenga più appropriata la misura dell’amministrazione di sostegno anziché quella dell’interdizione e dell’inabilitazione o viceversa.

In questi casi, tuttavia, il legislatore ha ritenuto opportuno tener ferme le due distinte sfere di competenza rispettivamente spettanti al tribunale e al giudice tutelare e pertanto ha adottato meccanismi più complessi oltre che diversificati[37].

Una prima ipotesi è disciplinata dall’art. 413, comma 3, c.c. ed è prevista allorché il giudice tutelare accerti che l’amministrazione di sostegno si è «rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario».

In questo caso, il giudice dichiara d’ufficio la cessazione della misura e, se ritiene che si debba promuovere il giudizio di interdizione o inabilitazione, «ne informa il pubblico ministero, affinché provveda».

La seconda ipotesi, invece, si ha nel caso inverso.

Ai sensi dell’art. 418, comma 3, c.c., infatti, il giudice adìto per la dichiarazione di interdizione o inabilitazione, se ritiene più opportuna la misura dell’amministrazione di sostegno, è tenuto a trasmettere gli atti del procedimento al giudice tutelare eventualmente adottando i provvedimenti urgenti previsti dall’art. 405, comma 5, c.c.

In questo caso, dunque, come confermato alla stessa Corte costituzionale, è lo stesso tribunale ad avviare, nelle forme della trasmissione, il processo istitutivo dell’amministrazione di sostegno[38].

Vista la natura non dispositiva del processo, derivante dagli interessi pubblicistici sottesi, nel medesimo si ritiene non trovino applicazione né l’istituto della rinuncia agli atti, né l’estinzione per inattività delle parti[39].

6. Per quel che riguarda la competenza, l’art. 404 c.c. dispone che la nomina dell’amministrazione di sostegno spetta al giudice tutelare del luogo in cui il beneficiario ha la residenza o il domicilio[40], mentre l’art. 473 bis.52, comma 1, c.p.c., la cui applicazione all’amministrazione di sostegno è ovviamente esclusa stante la clausola di compatibilità prevista dall’art. 473 bis.58, comma 1, c.p.c., dispone che la domanda per interdizione e inabilitazione va proposta al tribunale del luogo in cui il destinatario della misura ha la residenza o il domicilio.

Tali criteri di competenza territoriale si ritengono pacificamente inderogabili ex art. 28 c.p.c., a causa della necessaria partecipazione del p.m.[41].

Nel caso in cui si domandi l’interdizione del minore emancipato oppure l’interdizione o l’inabilitazione del minore ultradiciassettenne, l’art. 40 disp. att. c.c. attribuisce invece la competenza al tribunale per i minorenni[42].

Ancora con riguardo ai minori, non è da escludersi che possa trovare applicazione quanto previsto in generale dall’art. 473 bis.11 c.p.c., il quale, in riferimento a «tutti i procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che riguardano un minore», attribuisce la competenza al tribunale «del luogo in cui il minore ha la residenza abituale», disponendo altresì che sino ad un anno dal trasferimento non autorizzato del minore resti competente il giudice del luogo dell’ultima residenza abituale anteriore al trasferimento.

Se il giudice tutelare chiamato a decidere il ricorso in materia di amministrazione di sostegno è, come noto, organo monocratico del tribunale ordinario chiamato alle funzioni di cui all’art. 344 c.c.[43], per quel che invece riguarda i procedimenti d’interdizione e inabilitazione il tribunale giudica in composizione collegiale ai sensi degli artt. 50 bis, comma 1, n. 1, e 473 bis.1, comma 1, c.p.c.

La norma da ultimo citata, tuttavia, ammette la possibilità che le attività di trattazione ed istruzione possano essere delegate ad uno dei componenti del collegio. Pertanto, la figura del giudice delegato solo all’apparenza coincide con quella del giudice istruttore, poiché i suoi poteri non derivano dalla legge bensì da una scelta discrezionale di volta in volta compiuta.

I rapporti tra collegio e giudice delegato sono altresì chiariti dall’art. 473 bis.14, comma 2, c.p.c., ove è previsto che a seguito del deposito del ricorso il presidente «designa il giudice relatore, al quale può delegare la trattazione del procedimento». Se tuttavia si leggono gli artt. 473 bis.53 e 473 bis.54 c.p.c., si nota che il d.lgs. n. 149/2022 ha sostituito il «giudice istruttore» con il «giudice relatore» e sorge il dubbio se anche nei procedimenti di interdizione e inabilitazione trovino applicazione gli artt. 473 bis.1, comma 1, c.p.c. e 473 bis.14, comma 2, c.p.c. La risposta sembra dover essere negativa, poiché il disposto degli artt. 473 bis.53, comma 1, e 473 bis.54, comma 2, c.p.c. fa intendere che l’istruzione è affidata dalla legge al giudice relatore meramente designato dal presidente.

7. Con riguardo alla domanda introduttiva, sia gli artt. 405, comma 1, e 407, comma 1, c.c. sia l’art. 473 bis.52 c.p.c. indicano la forma del ricorso, coerentemente al rito camerale del procedimento di nomina dell’amministrazione di sostegno e alla disciplina dell’atto introduttivo del rito unitario[44].

Per quel che, invece, riguarda il contenuto dell’atto, forse ancor più dopo la riforma Cartabia, si assiste ad un coacervo di riferimenti normativi incrociati che rappresentano uno dei peggiori esempi di normazione in ambito processuale.

Come parametro normativo generale abbiamo l’art. 125 c.p.c.[45]

Poi, per l’interdizione e l’inabilitazione soccorre l’art. 473 bis.52 c.p.c. il quale però rinvia alle indicazioni previste dagli artt. 473 bis.12 e 473 bis.13 c.p.c. ed inoltre richiede che nel ricorso siano indicati «il nome e il cognome e la residenza del coniuge o del convivente di fatto, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado e, se vi sono, del tutore o curatore dell’interdicendo o dell’inabilitando».

Per quel che attiene all’amministrazione di sostegno, invece, occorre riferirsi primariamente all’art. 407, comma 1, c.c., il quale vuole che siano indicati «le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si richiede la nomina dell’amministratore di sostegno, il nominativo ed il domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario».

Tuttavia, ancora per l’amministrazione di sostegno, occorre tener conto del rinvio che l’art. 473 bis.58 c.p.c. compie alle «disposizioni della presente sezione» sotto clausola di compatibilità.

Per comprendere quanto possa essere poco commendevole lo stato dell’attuale disciplina, si tenga conto che il contenuto dell’atto introduttivo nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno evoca in astratto l’applicazione di ben sei disposizioni di legge ovvero degli artt. 407, comma 1, c.c., 125, 473 bis.12, 473 bis.13, 473 bis.52, 473 bis.58 c.p.c.

A tal riguardo, si tenga anche presente che la dottrina aveva già da tempo evidenziato quanto il rinvio dell’art. 720 bis c.p.c. all’art. 713 c.p.c. fosse sostanzialmente privo di senso vista la specifica disciplina del ricorso esposta dall’art. 407 c.c.[46]

Tanto premesso, in estrema sintesi, nel ricorso dovranno essere indicati: – l’ufficio giudiziario al quale la domanda è proposta, come richiesto anche dal comma 1 lett. a) dell’art. 473 bis.12 e, per il p.m., dell’art. 472 bis.13 c.p.c.[47]; – la parte ricorrente con i consueti dati necessari alla sua individuazione ex art. 473 bis.12, comma 1, lett. b), c.p.c. e con i dovuti riferimenti alle circostanze di fatto che condizionano la legittimazione ad agire[48]; – il destinatario della misura[49]; – gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della domanda in ossequio alle norme sostanziali di riferimento ed in osservanza a quanto richiesto dal primo comma lett. d) ed e) degli artt. 473 bis.12 e 472 bis.13 c.p.c., nonché dall’art. 407, comma 1, c.c., dovendosi – però – tener conto sotto questo profilo delle deroghe al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in precedenza esaminate[50]; – i soggetti indicati dagli artt. 473 bis.52 c.p.c. e 407, comma 1, c.c., i quali, come puntualmente evidenziato dalla dottrina[51], non acquistano la qualità di parte con la notificazione del ricorso, né sono da intendersi come parti necessarie del procedimento[52], bensì come soggetti che dovranno essere sentiti con finalità meramente istruttorie, come conferma, da un lato, l’art. 473 bis.53, comma 1, c.p.c. nel disporre che il giudice fissi l’udienza di comparizione «delle altre persone indicate nel ricorso, le cui informazioni ritenga utili» e, dall’altro, l’art. 473 bis.54, comma 1, c.p.c., stando al quale il giudice relatore «sente il parere delle altre persone citate interrogandole sulle circostanze che ritiene rilevanti ai fini della decisione»[53].

Per quel che riguarda il regime di validità del ricorso, la particolare natura dei procedimenti in discorso esclude l’applicazione diretta dell’art. 164 c.p.c.[54], potendosi semmai procedere in via analogica e con l’ausilio delle regole generali di cui agli artt. 156 ss. c.p.c.[55]

Nel caso in cui il ricorso sia rivolto ad ottenere l’istituzione dell’amministrazione di sostegno a favore di persona interdetta o inabilitata, dovrà essere allegata l’istanza di revoca di tali misure stante il disposto dell’art. 406, comma 2, c.c.

Va, infine, ricordato che, mentre nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione si ritiene sussista l’onere del patrocinio[56], nel procedimento di nomina dell’amministrazione di sostegno – come detto – la giurisprudenza ha negato la possibilità di risolvere il quesito con una soluzione unitaria, dovendosi al contrario verificare di volta in volta se il provvedimento da assumere «incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze, analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato», essendo la difesa tecnica necessaria solo in tale ipotesi[57].

8. Come anticipato, il primo quesito da porsi all’indomani della riforma Cartabia è comprendere se anche i procedimenti in esame seguano le forme del rito unitario di cui agli artt. 473 bis.12 ss. c.p.c. specie in riferimento alla fase introduttiva.

Alla domanda sembra doversi dare risposta negativa.

L’art. 473 bis.53, comma 1, c.p.c., in termini solo in parte simili – come tra breve diremo – a quanto in precedenza era previsto dall’art. 713 c.p.c., dispone che il presidente nomini con decreto il giudice relatore e fissi l’udienza di comparizione davanti al medesimo del ricorrente, del destinatario della misura e dei soggetti indicati nel ricorso le cui informazioni ritenga utili.

Il secondo comma della medesima norma, invece, vuole che il ricorso ed il decreto siano notificati a cura del ricorrente alle persone indicate dal primo comma e che il decreto venga comunicato al p.m.

Tale disciplina, pertanto, si presenta come autonoma e incompatibile con le più articolate forme previste dagli artt. 473 bis.14, 473 bis.16 e 473 bis.17 c.p.c.

Sebbene ciò crei una incongruenza all’interno della struttura del titolo IV bis, posto che, come detto in altra sede[58], il rito unitario non si presenta affatto come un modello uniforme per tutti i procedimenti rientranti nel suo ambito di applicazione, la scelta compiuta in origine dal legislatore e poi confermata dalla riforma trova la sua ragion d’essere nella particolare natura di questi procedimenti, posto che in essi non abbiamo un soggetto convenuto «contro» cui la domanda è proposta[59] ed anche i soggetti indicati nel ricorso e destinatari della notificazione del medesimo acquistano la qualità di parte solo in via eventuale, ossia con la loro volontaria costituzione[60], che potrà avvenire anche in udienza, non essendo il procedimento scandito da barriere preclusive[61].

Queste medesime considerazioni possono valere – mutatis mutandis[62] – anche per il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, posto che, anche prima della riforma, si riteneva che il rinvio compiuto dall’art. 720 bis c.p.c. all’art. 713 c.p.c. assieme ai tratti particolari del giudizio determinassero l’assenza di «un’autonoma fase di costituzione del convenuto»[63]. Stesso discorso può farsi ora sulla base del rinvio che l’art. 473 bis.58, comma 1, c.p.c. compie alle disposizioni della sezione.

In precedenza, si è detto che l’art. 473 bis.53, comma 1, c.p.c. ricalca il disposto dell’art. 713 c.p.c., evidenziando che l’accostamento è tuttavia parziale. Ciò è dovuto alla mancata riproduzione nel testo della nuova norma della disciplina della c.d. archiviazione del ricorso, sulla quale peraltro era già intervenuta una lontana sentenza della Corte costituzionale[64].

9. La disciplina dell’udienza fissata con il decreto di cui all’art. 473 bis.53, comma 1, c.p.c. e dell’attività istruttoria necessaria per poter assumere la decisione la si trova al successivo art. 473 bis.54 c.p.c., ma occorre altresì riferirsi all’art. 419, commi 1 e 2, c.c. per i giudizi d’interdizione e d’inabilitazione, a cui l’art. 473 bis.53 c.p.c. fa espresso rinvio, nonché all’art. 408, commi 2 e 3, c.c., che, come già visto, disciplina il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno.

A tal riguardo, va segnalato che il precedente art. 720 bis, comma 1, c.p.c. non contemplava l’art. 714 c.p.c. tra le previsioni sul procedimento d’interdizione e d’inabilitazione da applicare all’amministrazione di sostegno.

Oggi, invece, come visto, l’art. 473 bis.58, comma 1, c.p.c. opera un rinvio più generico alle «disposizioni della presente sezioni», sicché tra queste è potenzialmente incluso anche l’art. 473 bis.53, comma 1, c.p.c.

Formulate queste dovute premesse, passiamo all’esame delle diverse questioni.

In tutti i procedimenti di cui si discute, assume valore centrale l’audizione della persona destinataria della misura, che è ritenuta comunemente una delle principali fonti di convincimento[65].

Non a caso, in materia di interdizione e di inabilitazione, l’art. 419, comma 2, c.p.c. consente al giudice di farsi assistere da un consulente tecnico[66], ma tale facoltà[67] spetta senz’altro anche al giudice tutelare ai fini dell’apertura dell’amministrazione di sostegno ex art. 194, comma 1, c.p.c., visto che, tra le altre cose, l’art. 407, comma 3, c.c. autorizza il giudice a compiere anche d’ufficio i necessari «accertamenti di natura medica»[68].

Su questo piano, si apprezzano tuttavia alcune differenze lessicali e di regime.

Nei procedimenti d’interdizione e d’inabilitazione, gli artt. 419 c.c. e 473 bis.54 c.p.c. si riferiscono all’«esame» dell’interessato, mentre l’art. 407, comma 2, c.c., in una cornice funzionale di maggior latitudine, impone al giudice di «sentire personalmente» il beneficiario e di «tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa»[69], tra cui va annoverato anche l’eventuale dissenso[70].

Le norme, salvo quanto tra breve diremo, non dettano forme o solennità particolari per l’esame o l’audizione, che si svolgerà secondo le modalità stabilite dal giudice[71]. Piuttosto, va rilevato che la recente riforma, forse muovendo dal carattere residuale dell’interdizione e dell’inabilitazione rispetto all’amministrazione di sostegno, ha perso l’occasione per uniformare i distinti istituti ed in particolare per dare all’«esame» una configurazione più coerente con i princìpi costituzionali.

L’audizione del beneficiario, infatti, presenta alcuni tratti comuni all’ascolto del minore.

Ci riferiamo non solo al carattere imprescindibile dell’incombente[72], ma anche alla sua natura lato sensu partecipativa, che, per essere garantita secondo i dovuti canoni di effettività, non può non incidere sulle relative modalità di svolgimento, le quali debbono essere funzionali al rispetto della persona e alla valorizzazione della sua dignità e di tutte le capacità non compromesse dalla disabilità fisica, psichica o sensoriale[73].

In questa prospettiva, vanno intese ed interpretate le altre norme che si occupano di questo profilo.

Ci riferiamo in particolare a quanto previsto dall’art. 473 bis.54, commi 2 e 3, c.p.c., che ora, stante il generico rinvio disposto dall’art. 473 bis.58 c.p.c., si ritiene debba essere applicato anche all’amministrazione di sostegno, coordinandosi con quanto di diverso prevede l’art. 407, comma 2, c.c.

Più nel dettaglio, l’art. 473 bis.54, commi 2 e 3, c.p.c. indica tre diverse modalità di svolgimento dell’udienza dedicata – ancora – all’«esame» dell’interessato.

La prima opzione sembra essere quella ritenuta dalla legge più fisiologica, se non ordinaria.

Se ne occupa il secondo comma, disponendo che l’udienza «si svolge in presenza».

L’obiettivo della legge è chiaro: creare un contatto diretto tra giudice e destinatario della misura.

La seconda opzione, invece, è subordinata al ricorrere di due presupposti, ovvero quando l’interessato non può comparire in udienza per legittimo impedimento[74] oppure quando la comparizione personale gli potrebbe arrecare grave pregiudizio. In questi casi, il giudice si reca nel luogo in cui si trova per sentirlo personalmente e con l’intervento del p.m.

Con particolare riferimento a questo profilo, si apprezzano alcune differenze rispetto all’amministrazione di sostegno, visto che l’art. 407, comma 2, c.c., consente al giudice tutelare di recarsi nel luogo in cui si trova il beneficiario «ove occorra» ed al contempo la partecipazione necessaria del p.m. non è espressamente prevista, sebbene ora, stante il rinvio generico dell’art. 473 bis.58, comma 1, c.p.c., anche questo profilo differenziale tra i due istituti potrebbe ritenersi superato[75].

Nella terza opzione, invece, introdotta con il d.lgs. n. 149/2022 e certamente applicabile anche all’amministrazione di sostegno, l’udienza si svolge a distanza mediante collegamento audiovisivo e con «modalità idonee ad assicurare l’assenza di condizionamenti». Sul punto, la legge attribuisce al giudice un ampio potere discrezionale («valutata ogni circostanza, può disporre […]»), che sembra porre questa terza modalità di svolgimento dell’incombente come alternativa alla seconda.

Già in passato, si è ritenuto che il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete, possa delegare l’audizione al consulente tecnico in applicazione analogica dell’art. 260 c.p.c.[76]

Va, d’altro canto, osservato che all’esame e – ovviamente – all’audizione il giudice deve procedere «personalmente», sicché le ragioni della delega, al pari di quanto accade in materia di ascolto del minore, dovranno essere quantomeno esplicitate in motivazione.

Ancora con riguardo all’istituto in discorso, va ricordata un’ulteriore differenza rilevabile nella disciplina dei procedimenti.

L’art. 407, comma 2, c.c. dispone perentoriamente che il giudice, «in caso di mancata comparizione» del beneficiario, «provvede comunque sul ricorso», mentre l’art. 419, comma 1, c.c., altrettanto perentoriamente, afferma che «non si può pronunciare l’interdizione o l’inabilitazione senza che si sia proceduto all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando».

D’altro canto, va ricordato che la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’ultima norma menzionata, ha da tempo negato che l’esame costituisca un adempimento processuale ineludibile, ritenendo assolto l’incombente nei casi in cui l’interdicendo si sottrae all’esame per paralizzare il procedimento insistendo nel rifiuto di farsi esaminare o rendendosi irreperibile[77].

Nei procedimenti in discorso, come anticipato, un’altra tipica fonte di convincimento consiste nell’audizione dei soggetti indicati nel ricorso introduttivo.

Rispetto a questo profilo, stante il disposto degli artt. 407, comma 3, c.c., 473 bis.53, comma 1, 473 bis.54, comma 1, 473 bis.58, comma 1, c.p.c., la disciplina dei diversi procedimenti non presenta scostamenti.

Come visto, la posizione dei soggetti in questione è anomala, poiché, pur essendo legittimati ad agire, non assumono la qualità di parte se non con la loro costituzione formale in giudizio, mentre la loro comparizione in udienza, in ossequio al decreto emesso dal presidente o dal giudice tutelare, risponde ad una finalità meramente istruttoria, come dimostra il menzionato art. 473 bis.54, comma 1, c.p.c. nel disporre che il giudice «sente il parere delle altre persone citate interrogandole sulle circostanze che ritiene rilevanti ai fini della decisione».

Le altre previsioni che si occupano dell’attività istruttoria confermano i tratti ufficiosi della medesima in coerenza con la natura indisponibile della materia.

Così, l’art. 473 bis.53, comma 1, c.p.c. dispone che il giudice «può disporre anche d’ufficio l’assunzione di ulteriori informazioni, esercitando tutti i poteri istruttori previsti dall’art. 419 c.c.».

Quest’ultima disposizione, inoltre, ribadisce che il giudice «può anche d’ufficio disporre i mezzi istruttori utili ai fini del giudizio […] e assumere le necessarie informazioni», mentre l’art. 407 c.c., vuole che il giudice, «assunte le necessarie informazioni», disponga «anche d’ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione».

Ne deriva un contesto normativo in fin dei conti uniforme, in cui, nonostante il disposto dell’art. 344, comma 2, c.c., che attribuisce al giudice tutelare la facoltà di «chiedere l’assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle sue funzioni», è difficile operare distinzioni nei procedimenti di cui si discute sul piano istruttorio, poiché il riferimento alle «ulteriori» o «necessarie informazioni»[78] consente al giudice dell’interdizione e dell’inabilitazione l’esercizio dei medesimi poteri.

Stante la natura non disponibile delle materie oggetto dei procedimenti in esame, si esclude comunemente l’ammissibilità delle prove dispositive ed in particolare del giuramento e della confessione[79], come parimenti si ritiene non trovi applicazione il canone formale di giudizio previsto dall’art. 2697 c.c.[80]

Con l’introduzione del titolo IV bis, sorge peraltro un dubbio interpretativo riguardante la possibile applicazione nei procedimenti di cui si discute delle disposizioni contenute nei capi I e II del nuovo titolo.

Le norme d’interesse sono l’art. 473 bis.2 c.p.c., relativo ai poteri del giudice, l’art. 473 bis.25 c.p.c. sulla consulenza tecnica d’ufficio, nonché l’art. 473 bis.27 c.p.c., in materia di intervento dei servizi sociali o sanitari nei procedimenti a tutela dei minori.

Come già detto, queste norme, pur inserire nell’ambito delle regole generali del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, tradiscono anche nel loro tenore letterale l’essere state concepite dal legislatore per la giustizia familiare e minorile.

D’altro canto, si potrebbe procedere ad una loro cauta e parziale applicazione non tanto per l’ampia latitudine dei poteri attribuiti al giudice dai menzionati artt. 473 bis.53, comma 1, c.p.c. e 419, comma 2, c.p.c., quanto per i rapporti strutturali tra i capi I e II del titolo IV bis ed il capo III, appunto dedicato alle «disposizioni speciali». Si crede, infatti, che tra i primi ed il secondo sussista un rapporto di genere a specie che giustifica l’applicazione delle regole generali anche ai procedimenti disciplinati nelle varie sezioni del capo III sotto il governo di una clausola implicita di compatibilità.

Più nel dettaglio, il problema dell’applicazione anche nei nostri procedimenti dei poteri istruttori diretti all’accertamento delle condizioni economico-patrimoniali di cui all’art. 473 bis.2, comma 2, c.p.c. sembra in ogni caso assorbito dal disposto degli artt. 473 bis.53, comma 1, c.p.c. e 419, comma 2, c.p.c. nel senso che tali poteri potranno comunque essere esercitati sulla base di queste norme senza far ricorso alla previsione generale indicata[81].

Più delicato è, invece, il discorso in riferimento agli artt. 473 bis.25 c.p.c. e 473 bis.27 c.p.c.

Non ci riferiamo alla nomina del consulente tecnico d’ufficio o al ricorso ai servizi socio-sanitari, opzioni senz’altro consentite senza bisogno di rifarsi alle norme indicate, bensì alla disciplina delle rispettive relazioni[82]. Una risposta positiva al quesito in discorso si potrà dare valorizzando – come visto – il rapporto che intercorre tra le diverse parti del titolo IV bis.

10. Sia nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione, sia in quello di nomina dell’amministratore di sostegno, è ammessa la possibilità di assumere provvedimenti a carattere provvisorio e urgente.

Nel primo ambito, l’attenzione cade sul coordinato disposto degli artt. 419, comma 3, c.c. e 473 bis.55, comma 2, c.p.c., stando al quale il giudice relatore[83], «dopo l’esame»[84] e «qualora sia ritenuto opportuno», può nominare – anche d’ufficio, come visto – un tutore o un curatore provvisorio con decreto revocabile sino alla sentenza[85].

Nell’amministrazione di sostegno, invece, l’art. 405, comma 4, c.c., con una previsione di maggior latitudine, dispone che, «qualora ne sussista la necessità, il giudice tutelare adotta anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l’amministrazione del suo patrimonio». È altresì previsto che si possa «procedere alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio indicando gli atti che è autorizzato a compiere».

Occorre, peraltro, rammentare che all’art. 405, comma 4, c.c. si riferisce anche l’art. 418, comma 3, c.c., che si occupa, come già detto, del caso in cui il giudice dell’interdizione o dell’inabilitazione, ritenuta più opportuna la misura dell’amministrazione di sostegno, disponga la trasmissione degli atti del procedimento al giudice tutelare. Proprio in questo caso è, dunque, previsto che il medesimo giudice adotti «i provvedimenti urgenti di cui al quarto comma dell’articolo 415».

La funzione di tutte queste decisioni è chiara e consiste nell’impedire che il tempo necessario all’adozione delle diverse misure pregiudichi il destinatario delle stesse, con l’unica differenza che la nomina del tutore, del curatore o dell’amministratore provvisori costituisce una misura tipica, mentre i provvedimenti urgenti hanno evidentemente carattere atipico.

Ovviamente, al pari di quanto accaduto in riferimento ai provvedimenti temporanei ed urgenti in materia familiare e minorile[86], la determinazione della loro natura dipende a monte dalla soluzione adottata in merito alla natura dell’attività giurisdizionale espletata nell’assumere la decisione finale. Pertanto, tenuto conto delle diverse letture presenti nei due ambiti in esame, è piuttosto scontato constatare una particolare varietà di opinioni, come è altresì scontata la difficoltà di ricondurre siffatti provvedimenti alla tutela cautelare – come noi riteniamo – se a monte si muove dalla convinzione che il giudizio abbia carattere giurisdizionalvolontario[87].

Anche prima della riforma Cartabia uno dei problemi più delicati riguardava la possibilità di impugnare siffatti provvedimenti.

Il decreto ex art. 419, comma 3, c.p.c. era, ad esempio, ritenuto non reclamabile[88] e non ricorribile per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost.[89].

Ora, il tema si ripropone nella cornice del rito unitario per le persone, i minorenni e le famiglie, che, come noto, è dotato di un sistema estremamente articolato di misure temporanee ed urgenti[90].

D’altro canto, anche questo sistema è stato evidentemente delineato dal legislatore pensando alle controversie familiari e minorili, come attesta il disposto degli artt. 473 bis.15, 473 bis.22 e 473 bis.24, comma 1, n. 1, c.p.c. ed ancor più la disciplina dei presupposti di reclamabilità e di ricorribilità per cassazione di cui all’art. 473 bis.24, comma 1, n. 2, e comma 4, c.p.c.

Anche su questo piano si apprezza chiaramente come queste norme, pur definite «comuni» dalla legge, non lo siano affatto. Non abbiamo, insomma, uno scheletro neutro da riempire con i contenuti delle disposizioni speciali. Pertanto, l’applicazione delle regole «comuni» ai procedimenti in discorso è veramente difficile ed in ogni caso richiederebbe operazioni di vera e propria ortopedia giuridica per garantirne l’adattamento alle materie di cui si discute.

Ad esempio, ancora prima di interrogarsi sull’impugnabilità dei provvedimenti provvisori e urgenti, ci si può chiedere se sia applicabile ai procedimenti in discorso l’art. 473 bis.15 c.p.c.

Nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione, stante la chiara subordinazione della nomina del tutore e del curatore provvisorio all’esame del destinatario della misura sembra doversi escludere l’opzione indicata.

Maggiori spazi applicativi – forse – potrebbero trovarsi nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, tenuto conto anche dell’atipicità dei provvedimenti urgenti di cui all’art. 405, comma 4, c.c.[91] Qualora si propendesse per questa soluzione, vista la natura del procedimento, bisognerebbe ammettere che la decisione sia resa inaudita altera parte senza necessità di conferma della stessa all’esito del contraddittorio tra le parti.

Venendo – allora – al tema dei reclami, per il procedimento d’interdizione e d’inabilitazione, sempre muovendo dall’idea che le norme del rito unitario si applichino ai procedimenti presenti nelle sezioni del capo III in quanto compatibili, si potrebbe ritenere reclamabile il decreto di nomina del tutore o del curatore provvisorio ex art. 473 bis.24, comma 1, n. 1, c.p.c., ma solo accettando l’idea che il suo riferimento ai provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’art. 473 bis.22 c.p.c. possa essere “sostituito” con il decreto di nomina del tutore o del curatore provvisorio.

Nel procedimento di nomina dell’amministrazione di sostegno, invece, l’autonoma disciplina dei mezzi di impugnazione presente all’art. 473 bis.58, commi 2 e 3, c.p.c., sulla quale ci soffermeremo tra breve, sembra ostacolare qualunque applicazione del sistema delle impugnative previste dall’art. 473 bis.24 c.p.c.

11. Nessuna previsione di legge disciplina il passaggio dalla fase istruttoria a quella decisoria.

Prima della riforma, nei procedimenti d’interdizione e d’inabilitazione si riteneva in prevalenza che la rimessione in decisione seguisse le forme previste per il rito ordinario[92].

Altra parte della dottrina, invece, muovendo dalla natura giurisdizionalvolontaria di questi procedimenti e preso atto che la legge – oggi gli artt. 421, 422, 423, 427 c.c. e 473 bis.55, 473 bis.56, 473 bis.57 c.p.c. – poneva come unico «punto fermo» la forma di sentenza per la pronuncia finale, riteneva che il giudice istruttore dovesse rimettere la decisione al collegio senza un formale invito a precisare le conclusioni e senza alcuna preliminare forma di trattazione o discussione orale o scritta[93].

Seguendo l’impostazione maggioritaria indicata, ora dovrebbero ritenersi applicabili – per le ragioni poc’anzi indicate, gli artt. 473 bis.22, comma 4, c.p.c. o 473 bis.28 c.p.c.[94]

Per il procedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno, invece, l’applicazione delle norme appena indicate va esclusa, stante il disposto dell’art. 473 ter c.p.c. e tenuto anche conto dell’art. 405, comma 1, c.c., dove si trova l’auspicio che si provveda entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza. Il giudice tutelare, dunque, assunti i mezzi di prova, dichiarerà esaurita l’istruzione e tratterrà la causa in decisione.

12.  Come visto, nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione, la decisione è assunta con sentenza[95], i cui effetti costitutivi si impongono erga omnes[96].

La sentenza è soggetta alla pubblicità prevista dagli artt. 423 c.c.[97], il cui mancato adempimento non inficia la produzione dei suoi effetti[98], che decorrono dal giorno della pubblicazione del provvedimento, come espressamente voluto dall’art. 421 c.c.[99], salvo il caso in cui sia dichiarato interdetto o inabilitato un minore. In tale ipotesi, l’art. 416 c.c. vuole che la sentenza produca i propri effetti dal compimento della maggiore età.

Come visto, nell’opinione della giurisprudenza, la sentenza che dichiarata l’interdizione e l’inabilitazione è idonea al giudicato formale e sostanziale[100], specificandosi talora che il secondo è sottoposto alla clausola rebus sic stantibus e ciò in ragione della possibilità di ottenere la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione ex art. 429 c.c. «quando cessa la causa dell’interdizione o dell’inabilitazione».

Già in altra sede[101] abbiamo evidenziato che la suddetta clausola non indica di per sé un diverso grado di stabilità della decisione, quanto il riferirsi ad un rapporto o ad una situazione sostanziale che si proietta nel tempo. Tanto che, in questi casi, in cui la rilevanza del fatto sopravvenuto appare una vicenda potenzialmente fisiologica, l’ordinamento è solito apprestare un apposito processo di revoca[102].

Ancora questa caratteristica del fenomeno sostanziale, unita con i poteri di apprezzamento del fatto storico rimessi sovente al giudice, esclude la definitiva perdita di rilevanza dei fatti già oggetto del giudizio definito con il provvedimento passato in giudicato, nel senso che i medesimi potrebbero essere oggetto di una nuova valutazione in un orizzonte fattuale e temporale più ampio[103].

Venendo all’amministrazione di sostegno, il decreto di apertura, disciplinato dall’art. 405 c.c., è immediatamente esecutivo ai sensi del primo comma della norma ora citata, ma anche in questo caso vi sono previsioni particolari con riguardo alla decorrenza degli effetti della decisione.

Ci riferiamo all’art. 405, commi 2 e 3, c.c., che posticipa la produzione degli effetti del decreto al compimento della maggiore età nel caso del minore[104] oppure alla pubblicazione della sentenza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione nel caso in cui sia sottoposto ad amministrazione di sostegno l’interdetto o l’inabilitato[105].

Come nell’interdizione e nell’inabilitazione, inoltre, il decreto è soggetto alle pubblicità previste dall’art. 405, commi 7 e 8, c.c.[106]

Anche nella materia dell’amministrazione di sostegno, il tema dell’efficacia e della stabilità della decisione si è ovviamente legato al problema della natura dell’attività giurisdizionale espletata e con esso alle diverse decisioni che possono essere assunte dal giudice tutelare nell’ambito della procedura, nonché all’interno del medesimo decreto di apertura, che, come detto, può constare di diversi capi ex art. 405 c.c.

Un esame più articolato dell’argomento sarà compiuto nel prosieguo trattando delle impugnazioni ora previste dall’art. 473 bis.58, commi 1 e 2, c.p.c.

Salvo le precisazioni che verranno, la giurisprudenza – seguendo solo in parte le riflessioni della dottrina[107] – ha equiparato il regime della sentenza emessa nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione ai decreti di apertura e di chiusura della procedura, ritenendoli decisori e come tali idonei al giudicato rebus sic stantibus, ma questi medesimi caratteri sono stati attribuiti anche alle decisioni idonee ad incidere sulla capacità di autodeterminarsi del beneficiario e dunque sui suoi diritti fondamentali[108].

13. Se l’itinerario processuale dei procedimenti in esame è stato sinora trattato in larga misura unitariamente, giunti al tema delle impugnazioni occorre necessariamente dedicare maggiore attenzione ai tratti differenziali presenti nei due diversi ambiti e ciò per due fondamentali ragioni.

In primo luogo, l’amministrazione di sostegno – come anticipato – dedica al tema specifiche disposizioni. In secondo luogo, proprio sull’interpretazione di queste ha influito – specie in giurisprudenza – il dibattito in merito alla natura del procedimento.

Iniziamo, come di consueto, a prender nota dei dovuti riferimenti normativi.

Nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione, le impugnazioni sono in parte disciplinate dall’art. 473 bis.56 c.p.c., che riproduce pedissequamente il testo degli abrogati artt. 718 e 719 c.p.c.

Per il procedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno, invece, occorre nuovamente riferirsi l’art. 473 bis.58 c.p.c.

Qui, al primo comma, troviamo il rinvio alle disposizioni della relativa sezione e dunque anche all’art. 473 bis.56 c.p.c.

D’altro canto, come già detto, il contenuto della norma appena indicata comprende anche il disposto dell’art. 718 c.p.c., prima escluso dal rinvio, sicché, rispetto al passato, la relazione con il procedimento d’interdizione e d’inabilitazione riguarda anche la determinazione dei legittimati ad impugnare.

Ancora l’art. 473 bis.58 c.p.c. – ed in particolare il secondo ed il terzo comma – dispone che i decreti del giudice tutelare siano reclamabili innanzi al tribunale ai sensi dell’art. 739 c.p.c., mentre il decreto pronunciato dal tribunale in composizione collegiale sia ricorribile per cassazione. Anche qui, dunque, occorre prendere atto di una difforme disciplina rispetto a quanto in precedenza previsto dall’art. 720 bis c.p.c.

Bisogna, inoltre, tener conto che nella disciplina del titolo IV bis sono presenti altre previsioni d’interesse. Ci riferiamo alle norme sull’appello, che ritroviamo agli artt. 473 bis.30 ss. c.p.c., nonché all’art. 473 bis c.p.c., che, ancor più in generale, vuole che, «per quanto non disciplinato dal presente titolo, i procedimenti di cui al primo comma sono regolati dalle norme previste dai titoli I e III del libro secondo».

14. Esposto il quadro normativo, procediamo ad un esame delle diverse questioni, iniziando dal procedimento d’interdizione e d’inabilitazione.

A tal riguardo, occorre innanzitutto riferirsi all’art. 473 bis, comma 2, c.p.c., in forza del quale, come ritenuto anche in passato, la sentenza che definisce il giudizio è soggetta ai mezzi di impugnazione di cui all’art. 323 c.p.c.[109], sebbene in dottrina non siano mancate precisazioni rispetto alla proponibilità dell’opposizione di terzo ordinaria o in riferimento ad alcuni motivi di revocazione[110].

Per quel che attiene al regime della legittimazione ad impugnare e alla disciplina dei termini di impugnazione, lo sguardo va rivolto all’art. 473 bis.56, commi 1 e 2, c.p.c.

Con riguardo al primo profilo, il primo comma della disposizione appena citata, in deroga alle regole generali, ma in coerenza con l’esteso regime di legittimazione ad agire, dispone che l’impugnazione possa essere proposta «da tutti coloro – inclusi l’interdetto o l’inabilitato ex art. 473 bis.55, comma 1, c.p.c. – che avrebbero avuto diritto di proporre la domanda, anche se non hanno partecipato al giudizio».

A questi soggetti il nuovo art. 473 bis.56, comma 1, c.p.c. aggiunge il tutore o il curatore «nominato con la stessa sentenza» sebbene questa previsione – prima contenuta nell’art. 718 c.p.c. – avesse destato perplessità già in passato[111].

Resta, dunque, il dubbio se la previsione sia inoperativa[112] o se si riferisca al tutore o al curatore provvisorio nominato con sentenza parziale o confermato ex art. 422 c.c.[113]

Con riguardo al termine entro cui proporre l’impugnazione, l’art. 473 bis.56, comma 2, c.p.c., in simmetria perfetta con quanto in precedenza previsto dall’art. 719 c.p.c., vuole che il termine per proporre impugnazione decorra per tutti coloro che sono legittimati dalla notificazione della sentenza fatta nelle forme ordinarie a coloro che hanno preso parte al giudizio.

Non potendo essere meramente reiterativa della regola generale, la portata precettiva della norma va colta con riguardo ai soggetti che, pur legittimati ad agire, non hanno partecipato al processo. Questi, anche se non destinatari della notificazione, dovranno comunque osservare il termine breve d’impugnazione[114].

Nel caso in cui la sentenza non sia notificata, si osserverà il termine di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c.[115]

L’ultimo comma dell’art. 473 bis.56 c.p.c. dispone, invece, che l’atto di impugnazione debba essere notificato «anche» al tutore o al curatore provvisorio eventualmente nominato; notificazione che si ritiene risponda ad una funzione di mera litis denuntiatio[116] e la cui omissione la giurisprudenza non ritiene costituisca nullità o inammissibilità dell’impugnazione[117].

A tal riguardo, si è peraltro osservato che dal termine «anche» dovrebbe ricavarsi l’obbligo di notificare l’impugnazione a tutti coloro che hanno preso parte al processo e ciò con la conseguenza di ricondurre la fattispecie alla nozione di causa inscindibile ex art. 331 c.p.c.[118]

Per quel che attiene all’appello, rispetto al passato occorre tener presente dell’introduzione del titolo IV bis e delle regole sul procedimento unitario.

Prima della riforma, si discuteva se la forma dell’atto introduttivo fosse la citazione[119] o il ricorso[120]. La giurisprudenza aveva condivisibilmente avallato la prima soluzione[121].

Alla luce dei menzionati rapporti tra le regole generali e quelle speciali che ritroviamo nel titolo IV bis, si crede che il giudizio di appello debba ora seguire le forme previste dall’art. 473 bis.30 ss. c.p.c., sicché l’atto introduttivo sarà certamente il ricorso con l’osservanza delle prescrizioni indicate dall’art. 342 c.p.c.[122]

Se si muove da questa premessa, stante il disposto dell’art. 473 bis.35 c.p.c., secondo cui «il divieto di nuove domande ed eccezioni e di nuovi mezzi di prova previsto dall’articolo 345 si applica limitatamente alle domande aventi ad oggetto diritti disponibili», dovrà ritenersi possibile ogni nuova attività assertiva e probatoria, oltre che la proposizione della domanda di interdizione nel giudizio di appello promosso contro la sentenza d’inabilitazione[123].

15. Come già evidenziato, al tema delle impugnazioni nel procedimento di nomina dell’amministrazione di sostegno, la legge ha sempre dedicato previsioni ad hoc.

Con la riforma, le relative norme, prima contenute nel secondo e terzo comma dell’art. 720 bis c.p.c., danno corpo all’art. 473 bis.58, commi 2 e 3, c.p.c.

Diversamente da quanto visto nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione, non è ivi presente una disciplina della legittimazione a proporre le impugnazioni.

In precedenza, dunque, il tema era particolarmente dibattuto, poiché l’art. 720 bis, comma 1, c.p.c. non rinviava all’art. 718 c.p.c. Tuttavia, la lettura prevalente riteneva comunque applicabile all’amministrazione di sostegno la previsione appena indicata in quanto richiamata dagli artt. 719 e 720 c.p.c.[124] Oggi, stante il rinvio generale dell’art. 473 bis.58, comma 1, c.p.c., questa soluzione sembra trovare conferma e le impugnazioni ivi previste ai successivi commi potranno essere proposte dalle parti del giudizio, incluso il beneficiario della misura[125], quanto dagli altri legittimati a proporre l’istanza[126].

Trattando delle impugnazioni nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione, si è visto che la dottrina ha ritenuto che le stesse seguano il regime di cui all’art. 331 c.p.c. con riguardo a coloro che hanno preso parte al giudizio.

D’altro canto, con particolare riferimento ai parenti intervenuti nel procedimento di nomina, la giurisprudenza ha ritenuto che la loro posizione processuale possa essere assimilata solo in parte all’intervento adesivo dipendente e dunque non sussista un litisconsorzio nelle fasi di gravame ex art. 331 c.p.c.[127]

Chiarito questo profilo, veniamo alla disciplina dei mezzi di impugnazione come disciplinati dopo la riforma.

In precedenza, l’art. 720 bis, commi 2 e 3, c.p.c. disponeva che i decreti del giudice tutelare fossero reclamabili innanzi alla corte d’appello ai sensi dell’art. 739 c.p.c. e che il decreto ivi pronunciato fosse successivamente ricorribile per cassazione.

Questo assetto normativo aveva dato luogo ad un’ampia produzione giurisprudenziale a cui si è fatto cenno in precedenza.

In estrema sintesi, erano presenti due principali orientamenti.

Quello maggioritario muoveva dalla distinzione tra decreti a contenuto decisorio e decreti a contenuto gestorio. Solo ai primi doveva applicarsi il disposto dell’art. 720 bis, commi 2 e 3, c.p.c. e ciò sia ai fini della determinazione del giudice competente a decidere il reclamo, ossia la corte d’appello, sia ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione[128]. Negli altri casi il reclamo andava proposto al tribunale ex artt. 45 disp. att. c.c. e 739, comma 1, c.p.c.

Inoltre, nella prima categoria venivano ricondotti i provvedimenti di apertura, di rigetto, di chiusura e di proroga dell’amministrazione di sostegno, in quanto ritenuti idonei ad incidere sui diritti fondamentali e sulla capacità di agire della persona, nonché ad acquisire la stabilità del giudicato rebus sic stantibus.

Tuttavia, come già accennato, nell’affrontare il tema dell’obbligatorietà della difesa tecnica del beneficiario, la giurisprudenza aveva evidenziato i limiti di siffatto approccio, sostenendo che, in superamento della distinzione tra giurisdizione contenziosa e giurisdizione volontaria, l’attenzione andava focalizzata sul contenuto delle diverse decisioni rese dal giudice tutelare per verificare se queste determinassero o meno un’incisione sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, dovendosi in questi casi rispettare i princìpi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio[129].

A questo orientamento, si contrapponeva un indirizzo minoritario più fedele al testo normativo e dunque propenso ad applicare l’art. 720 bis, commi 2 e 3, c.p.c. a tutti i decreti del giudice tutelare senza distinzione tra provvedimenti decisori o meramente gestori[130]

Il contrasto appena sommariamente esposto è stato poi risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione, la cui soluzione è stata nel senso di applicare a tutti i decreti del giudice tutelare il reclamo in corte d’appello ex art. 720 bis, comma 2, c.p.c., dovendosi al contrario distinguere tra provvedimenti decisori e meramente gestori ai fini della ricorribilità in cassazione ex art. 720 bis, comma 3, c.p.c.[131]

Su questo quadro normativo e giurisprudenziale impatta il nuovo art. 473 bis.58 c.p.c., che, diversamente dalla precedente previsione, al secondo comma ammette il reclamo avverso i decreti del giudice tutelare da proporsi al tribunale ai sensi dell’art. 739 c.p.c.

Il terzo comma, invece, dispone che, «contro il decreto del tribunale in composizione collegiale è ammesso ricorso per cassazione».

Quanto appena riportato si spiega tenendo a mente la contestuale modifica dell’art. 739 c.p.c., il cui primo comma opera una distinzione tra, da un lato, i provvedimenti a «contenuto patrimoniale o gestorio»[132] e, dall’altro, gli «altri casi».

Nella prima ipotesi il reclamo deve essere proposto al tribunale in composizione monocratica, mentre nella seconda al tribunale in composizione collegiale.

L’art. 473 bis.58, commi 2 e 3, c.p.c., dunque, in larga misura fa proprio il precedente dibattito giurisprudenziale ed in sintesi: – il reclamo dovrà essere proposto sempre innanzi al tribunale, che deciderà in composizione collegiale nel caso in cui il provvedimento abbia natura decisoria e in composizione monocratica se il provvedimento avrà contenuto patrimoniale o gestorio; – il ricorso per cassazione sarà ammissibile solo nel primo caso.

Individuati i mezzi di impugnazione e i loro profili di ammissibilità, vediamo i restanti profili.

Per quel che riguarda il reclamo, stante l’espresso rinvio compiuto dall’art. 473 bis.58, comma 2, c.p.c. all’art. 739 c.p.c., la lettura dominante – formatasi sull’analoga norma previgente – ritiene che il rimedio debba essere proposto nel termine di dieci giorni dalla notificazione o, in difetto, nel termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c. in simmetria a quanto già visto nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione[133]

Anche su questo piano, peraltro, va tenuto conto del rinvio all’art. 473 bis.56 c.p.c., che, come visto, impone che il termine per l’impugnazione decorra, per tutti i soggetti legittimati a proporla, dalla notificazione della decisione fatta nelle forme ordinarie.

Per quel che attiene alla disciplina del reclamo, deve senz’altro escludersi l’applicabilità degli artt. 473 bis.30 ss. c.p.c.

Il giudizio di reclamo, infatti, «è un mezzo di impugnazione agile e semplificato, di natura sostitutiva, a critica libera ed effetto devolutivo, che consente al giudice dell’impugnazione un complessivo riesame sia di merito che di legittimità del provvedimento impugnato»[134], in cui il tribunale è titolare dei medesimi poteri decisori ed istruttori attribuiti al giudice tutelare in primo grado.

In dottrina è, invece, controverso se sia possibile l’applicazione analogica dell’art. 282 c.p.c. e ciò soprattutto in ragione dell’immediata efficacia del decreto di nomina[135].

Non occorre tener conto di nessuna norma particolare in riferimento al giudizio di cassazione, che seguirà le regole ordinarie anche in riferimento ai termini per proporre l’impugnativa, fermo – ovviamente – quanto già detto con riguardo ai suoi limiti di ammissibilità, al novero dei legittimati ad impugnare, nonché sul dies a quo di decorrenza del termine breve.

16. Come già anticipato, il problema della revoca è strettamente connesso, se non complementare al tema della stabilità della decisione resa nei nostri procedimenti.

Nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione, si ritiene, infatti, che ai fini dell’ammissibilità della domanda di revoca[136] sia necessario il mutamento delle circostanze[137], nonché il passaggio in giudicato della sentenza[138].

Per quel che riguarda la determinazione dei legittimati ad agire, l’art. 429, comma 1, c.c. attribuisce il potere di chiedere la revoca al coniuge, ai parenti entro il quarto grado, agli affini entro il secondo grado, al tutore dell’interdetto, al curatore dell’inabilitato, nonché al p.m. Sono all’evidenza gli stessi soggetti indicati dall’art. 417, comma 1, c.c., con esclusione, tuttavia, della persona stabilmente convivente e del destinatario della misura. L’omissione, d’altro canto, è dovuta unicamente ad una dimenticanza del legislatore[139], come si può dedurre dal disposto dell’art. 473 bis.57, comma 2, c.p.c.[140], stando al quale «coloro che avevano diritto di promuovere l’interdizione e l’inabilitazione possono intervenire nel giudizio di revoca per opporsi alla domanda, e possono altresì impugnare la sentenza pronunciata nel giudizio di revoca, anche se non hanno partecipato al giudizio»; la norma, infatti, certamente affetta da profili di irragionevolezza non emendati dalla riforma Cartabia[141], dimostra comunque che il legislatore non opera distinzioni tra i diversi legittimati a richiedere la misura.

Con riguardo alla disciplina processuale, ai sensi del primo comma dell’art. 473 bis.57, comma 1, c.p.c., al processo di revoca si applicano le regole previste per il procedimento d’interdizione e d’inabilitazione[142].

Come visto, peraltro, proprio in riferimento al giudizio di revoca la legge contempla alcune previsioni dirette a modificare la misura di protezione.

Così, ai sensi dell’art. 432, comma 1, c.c., nel giudizio di revoca dell’interdizione, il giudice, anche d’ufficio, può revocare la misura e dichiarare l’inabilitazione[143], mentre ai sensi dell’art. 429, comma 3, c.c., nel giudizio di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione il giudice può – come detto – trasmettere gli atti al giudice tutelare per procedere alla nomina dell’amministratore di sostegno.

Al pari della sentenza che dispone la misura, anche quella di revoca è soggetta al regime pubblicitario previsto per la prima ex art. 430 c.c., ma l’esigenza di protezione del destinatario della misura[144] ha condotto la legge ad apprestare un particolare regime di produzione degli effetti della sentenza e con esso regole particolari in merito all’impugnazione degli atti posti in essere dall’interdetto o dall’inabilitato dopo la sua pubblicazione.

Ai sensi dell’art. 431, comma 1, c.c., infatti, la sentenza di revoca produce i suoi effetti – di pari stabilità rispetto a quelli della decisione istitutiva della misura – solo con il passaggio in giudicato, mentre ai sensi dell’art. 431, comma 2, c.c. gli atti compiuti dopo la pubblicazione della sentenza di revoca potranno essere impugnati solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza della stessa.

La previsione fa intendere che l’annullabilità dei suddetti atti risentirà degli esiti del processo di revoca, nel senso che il passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento li sottrarrà al regime di annullabilità previsto dall’art. 427 c.c.[145]

Per quel che attiene all’amministrazione di sostegno, stante la posizione giurisprudenziale in precedenza indicata, la revoca è subordinata alla sussistenza delle sopravvenienze, tali appunto da determinare la cessazione della misura, e presuppone il passaggio in giudicato del decreto di apertura[146].

I legittimati a farne richiesta sono indicati dall’art. 413 c.c., comma 1, c.c., che li individua negli stessi soggetti che possono chiedere l’apertura della procedura a cui – però – è aggiunto l’amministratore di sostegno. Occorre, altresì, tener conto – come detto – di quanto previsto dal terzo comma della previsione appena citata, stando al quale la cessazione della misura può essere disposta dal giudice, il quale può anche sollecitare il p.m. alla proposizione della domanda di interdizione o di inabilitazione nel caso in cui ritenga che l’amministrazione di sostegno si sia rivelata inidonea alla «piena tutela del beneficiario».

In questo caso, è previsto che l’amministratore di sostegno cessi dall’incarico solo con la nomina del tutore o del curatore provvisorio o con la sentenza che dichiara le relative misure.

Per quel che riguarda le forme del procedimento, l’art. 413, commi 2, c.c. dispone che l’istanza sia comunicata al beneficiario e all’amministratore di sostegno, non richiedendosi – dunque – la notificazione a cura della parte prevista dall’art. 473 bis.53, comma 2, c.p.c.; il che fa presumere che nel ricorso non debbano essere indicati gli altri soggetti previsti dall’art. 407, comma 1, c.c.[147].

Si ritiene, inoltre, che nel giudizio di revoca degradi a facoltà l’audizione del beneficiario[148]; soluzione, questa, che non convince del tutto, vista la funzione latamente partecipativa da assegnarsi all’istituto[149].

[1] Sul procedimento d’interdizione e d’inabilitazione, v. Poggeschi, Il processo d’interdizione e d’inabilitazione, Milano, 1958; Sorace, Interdizione (diritto processuale civile), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 953 ss.; Schizzerotto, G., Interdizione e inabilitazione, Padova, 1972; Tommaseo, Sui profili processuali dell’interdizione e dell’inabilitazione, in Giur. it., 1987, IV, 201 ss.; Vellani, Interdizione e inabilitazione (procedimento di), in Enc. giur. Trec., XIX, Roma, 1989; Id., Interdizione e inabilitazione (procedimento di)Postilla di aggiornamento, in Enc. giur. Trec., XIX, Roma, 2007; Rampazzi Gonnet, Procedimento di interdizione e inabilitazione, in Dig. civ., XIV, Torino, 1997, 583 ss.; Vullo, Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, I, Bologna, 2011, 452 ss.; Id., Interdizione e inabilitazione, Procedimento (dir. proc. civ.), in www.treccani.it (2015); Trabace, I procedimenti per l’interdizione, l’inabilitazione, la nomina dell’amministratore di sostegno, la dichiarazione di assenza e di morte presunta, in La riforma del processo civile, Foro it., Gli speciali, 2023, 425 ss.

[2] Come osserva di recente Bugetti, Verso … e oltre l’amministrazione di sostegno: una retrospettiva su un criticato istituto di successo, in Fam. dir., 2024, 310, «la mancanza di autonomia nel sistema tradizionale delineato nel Codice del’42 – e rinveniente dal Codice unitario – muoveva dalla necessità della incapacitazione a fronte di una malattia mentale, correlato al concetto di pericolosità sociale dell’infermo di mente, in una prospettiva di limitazione ed esclusione dell’incapace dal traffico giuridico e di sostanziale irrilevanza delle sue esigenze di cura e di sostegno».

[3] Cendon, Infermi di mente e altri «disabili» in una proposta di riforma del codice civile, in Pol. dir., 1987, 621 ss.

[4] Per un esame dei diversi disegni di legge, v. Calò, Amministrazione di sostegno, Milano, 2004, 51 ss.

[5] Sul procedimento di nomina dell’amministrazione di sostegno, v. Chiarloni, Prime riflessioni su alcuni aspetti della disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno, in Giur. it., 2004, 2433 ss.; Campese, L’istituzione dell’amministrazione di sostegno e le modifiche in materia di interdizione e di inabilitazione, in Fam. dir., 2004, 126 ss.; F. Danovi, Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno (l. 9 gennaio 2004, n. 6), in Riv. dir. proc., 2004, 797 ss.; Tommaseo, L’amministrazione di sostegno: i profili processuali, in Studium iuris, 2004, pp. 1061 ss.; Id., La disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno, in L’amministrazione di sostegno, a cura di Patti, Milano, 2005, 181 ss.; Id., La disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno: osservazioni introduttive, Il decreto d’apertura, La legittimazione attiva, Il procedimento, Le vicende dell’amministrazione di sostegno e gli strumenti di garanzia, tutti in Dell’amministrazione di sostegno, a cura di Bonilini e Tommaseo, Milano, 2018, 123 ss., 197  ss., 209 ss., 585 ss.; Passanante, Il procedimento in materia di amministrazione di sostegno, in Soggetti deboli e misure di protezione amministrazione di sostegno e interdizione, a cura di Ferrando e Lenti, 2006, I, 257 ss.; Chizzini, I procedimenti di istituzione e revoca dell’amministrazione di sostegno, in L’amministrazione di sostegno, a cura di Bonilini e Chizzini, Padova, 2007, 379 ss.; Vullo, Alcuni problemi della disciplina processuale dell’amministrazione di sostegno, in Fam. dir., 2006, 431 ss.; Procedimenti, cit., 532 ss.; Id., Amministrazione di sostegno (dir. proc. civ.), in www.treccani.it (2012); D’Adamo, Profili processuali dell’amministrazione di sostegno, Bergamo, 2012; M.A. Lupoi, Sub artt. 406, 407, 413, in Commentario del codice civile, III, Milano, 2018, 1446 ss., 1455 ss., 1586 ss.; Trabace, I procedimenti, cit., 429 ss.

[6] Così, anche Neri, Sub art. 473 bis.52 c.p.c., in Procedimenti relativi alle persone, ai minorenni e alle famiglie, a cura di Donzelli e Savi, Milano, 2023, 394.

[7] Cfr., già all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 6/2004, quanto osservato da Chiarloni, Prime riflessioni, cit., 2433: «il processualista non può fare a meno di pensare che sarebbe stato molto più saggio prevedere un solo procedimento indirizzato alla protezione degl’incapaci e dei disabili, strutturato in modo tale da rispondere alle esigenze di rapidità per i casi più semplici o più evidenti, e cioè quelli dove non ci si trova di fronte ad una cosiddetta incapacità di intendere e di volere, oppure essa è per sua natura temporanea, oppure ancora, all’opposto confine, la situazione è così grave ed evidente da richiedere un intervento immediato»; cfr. anche Vullo, Dei procedimenti, cit., 533, nota 2, secondo cui «la scelta per una disciplina disarticolata è fonte di notevoli equivoci interpretativi, che non sembrano bilanciati da particolari vantaggi sul piano dell’efficienza del procedimento».

[8] Va da sé che sulle diverse soluzioni formali prospettate dalla dottrina particolare influenza ha avuto «la più generale concezione del processo seguita dai vari autori»: così Poggeschi, Il processo, cit., 2, il quale, peraltro, in una prospettiva storica e con riferimento alle forme della cognizione, osserva altresì che «il legislatore francese, a somiglianza di quello prussiano, era ispirato dall’intento di vedere maggiormente tutelati e garantiti la libertà e i diritti dell’individuo; e ciò sul presupposto che il processo di cognizione avrebbe offerto lo strumento più idoneo per assicurare tali finalità».

[9] Cfr., tra gli altri, Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1930, 130; Id., Istituzioni del processo civile italiano, III, Roma, 1956, 186 ss.; Micheli, Per una revisione della nozione di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. proc., 1947, I, 41; Id., Forma e sostanza nella giurisdizione volontaria, ivi, 108-110 e 118-119; Id., Significato e limiti della giurisdizione volontaria, ivi, 1957, 542-543; Fazzalari, La giurisdizione volontaria, Padova, 1953, 189 ss.; Redenti, Diritto processuale civile, III, Milano, 1957, 371; Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano 1968, 329; Poggeschi, Il processo, cit., 13; Sorace, Interdizione, cit., 953; Vellani, Interdizione, cit., 1.

[10] Chiovenda v, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli, 1934, 19-20; Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile secondo il nuovo codice, I, Padova, 1941, 73; Jannuzzi, Natura del processo d’interdizione, in Giur. it., 1950, I, 2, 219; D’Onofrio, Commento al codice di procedura civile, II, Torino, 1957, 367; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, IV, 348; Schizzerotto, Interdizione, cit., 94 ss.

[11] Vaccarella, Il processo d’interdizione e l’insufficienza mentale, in Rass. dir., civ., 1985, 716.

[12] Cfr. già Carnelutti, Lezioni, cit., 135 s., che nell’ambito dei processi senza lite evidenziava la necessità di «distinguere secondo la gravità degli effetti giuridici, che il processo tende a costituire», osservando – altresì – che «ve ne sono (effetti) di così importanti che le forme del processo, adeguato allo scopo normale della composizione della lite, appariscono come una necessaria garanzia del rigoroso controllo della esistenza dei presupposti voluti dalla legge, affinché l’effetto si produca, anche se la lite non vi è. In altre parole, vi sono dei casi in cui l’apparato processuale destinato alla composizione della lite può venire saviamente utilizzato ad uno scopo diverso in vista delle garanzie che il suo impiego fornisce. L’esempio, a questo riguardo, è dato dal processo di interdizione e di inabilitazione».

[13] Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, in Problemi di diritto, I, Milano, 1957, 116 ss.; e poi Cerino Canova, Per la chiarezza delle idee in tema di procedimento camerale e di giurisdizione volontaria, in Riv. dir. civ., 1987, 483 ss.; Tommaseo, I processi a contenuto oggettivo, in Riv. dir. civ., 1988, I, 495 ss., 685 ss.

[14] Si pone, dunque, il problema dell’estensione delle garanzie della cognizione piena anche a questo settore della giurisdizione (cfr. Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., ora in Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, 617 ss., ma spec. 622; Montesano, Sull’efficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei provvedimenti non contenziosi dei giudici civili, in Riv. dir. civ., I, 1988, 608 s.; Id., Giudizi camerali su atti e gestione di società e tutela giurisdizionale di diritti e interessi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, 819 ss.) nel tentativo di superare la convinzione che in questo ambito «il legislatore, è tenuto a rispettare un minimo di garanzie, ma è libero nel dispensarle in maggior copia e misura di quanto è comunque necessario» (così, Cerino Canova, Per la chiarezza delle, cit., 483).

[15] Cfr. Cass., SU, 30 luglio 1953, n. 2593, in Foro it., 1953, I, 1248 ss., secondo cui l’impugnazione prevista dall’art. 111 Cost. è «disposta dalla legge sempre quando il contenuto del provvedimento è tale che la eventuale ingiustizia di esso importerebbe per la parte un pregiudizio irreparabile».

[16] Cfr. in particolare Cerino Canova, Per la chiarezza, cit., 483; Proto Pisani, Usi e abusi, cit., 622; Tommaseo, Sui profili, cit., 204; Id., I processi, cit., 506 ss.; Montesano, Sull’efficacia, cit., 608 s.; Id., Giudizi, cit., 819 ss.; Vullo, I procedimenti, cit., 455.

[17] Così, Cass., 21 dicembre 2021, n. 41091; sulla scorta di Cass., 13 settembre 2013, n. 21013; Cass. 3 novembre 2005, n. 21718; Cass. 24 agosto 2005, n. 17256.

[18] Così, ad esempio, Chiarloni, Prime riflessioni, cit., 2434, Vullo, Dei procedimenti, cit., 533; cfr. da ultimo Cass., 8 gennaio 2024, n. 451.

[19] Tommaseo, La disciplina, cit., 181 ss.

[20] Chizzini, I procedimenti, cit., 373, secondo cui le disposizioni contenute agli artt. 403-423 sono in larga misura anche processuali e «tratteggiano uno specifico modello di processo, che già ad un primo esame non sembra riconducibile, almeno nell’essenza, a tipi preesistenti già conosciuti, né contenziosi, né camerali».

[21] Tommaseo, La disciplina, cit., 131, che trae la locuzione indicata nel testo dal disposto dell’art. 412, comma 3, c.c.

[22] Tommaseo, La disciplina, cit., 131 ss., Vullo, Dei procedimenti, cit., 536; Chizzini, I procedimenti, cit., 394.

[23] Secondo Tommaseo, La disciplina, cit., 135, la natura cognitiva propria dei capi del provvedimento che dispone l’apertura dell’amministrazione di sostegno non si estenderebbe ai capi che riguardano i profili oggetti e soggettivi della gestione degli interessi del beneficiario, ovvero l’individuazione dell’amministratore, nonché la determinazione della durata e dell’oggetto dell’incarico.

[24] V., per tutti, Tommaseo, La disciplina, cit., 130 ss.

[25] Danovi, Il procedimento, cit., 805 s.; Vullo, Dei procedimenti, cit., 535 ss.; Chizzini, I procedimenti, cit., 384 ss.; Ficcarelli, Le impugnazioni dei provvedimenti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno, in Giusto proc. civ., 2018, 129 ss.

[26] Sulle norme indicate nel testo, v., da un lato, Tommaseo, La disciplina, cit., 138 ss., nonché Il procedimento, cit., 242, e, dall’altro, in direzione opposta, Chizzini, I procedimenti, cit., 391 s., seguito da Vullo, Dei procedimenti, cit., 545 s.

[27] Si tenga conto che il disposto dell’art. 473 bis.55, comma 1, c.p.c., a mente del quale «l’interdicendo e l’inabilitando possono stare in giudizio e compiere da soli tutti gli atti del procedimento, comprese le impugnazioni, anche quando è stato nominato il tutore o il curatore provvisorio previsto negli artt. 419 e 420 c.c.», è da ritenersi applicabile anche all’amministrazione di sostegno, stante il rinvio di cui all’art. 473 bis.58, comma 1, c.p.c.: cfr., tra gli altri, Tommaseo, La legittimazione, cit., 202.

[28] Con riguardo alla legittimazione ad agire del minore, occorre tener conto di due previsioni, che tratteggiano un regime speciale. In primo luogo, va ricordato che l’art. 417, comma 2, c.c., a cui rinvia, come vedremo nel testo, l’art. 406, comma 1, c.c., dispone, per il caso in cui l’interdicendo o l’inabilitando siano sotto la responsabilità genitoriale o sia stato nominato suo curatore uno dei genitori, che l’istanza volta ad ottenere la misura di protezione possa essere proposta solo dal genitore stesso o dal p.m. In secondo luogo, gli artt. 405, comma 2, e 416 c.c., ciascuno nei rispettivi ambiti di applicazione, prescrivono che la decisione istitutiva della misura di protezione, nel caso di minore non emancipato, possa essere assunta solo nell’ultimo anno di minore età, divenendo esecutiva solo dopo il raggiungimento della maggiore età. Sul tema, v. Tommaseo, La legittimazione, cit., 199; Bugetti, Dell’amministrazione di sostegno, Bologna, 2024, 131 s.

[29] Nel caso in cui il beneficiario sia interdetto o inabilitato, l’art. 406, comma 2, c.c. prescrive che la domanda di nomina dell’amministratore debba essere proposta congiuntamente a quella di revoca dell’interdizione e dell’inabilitazione, mentre l’art. 405, comma 3, c.c. vuole che il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno diventi esecutivo con la pubblicazione della sentenza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione. Sul punto, v. infra, § 13.

[30] Sul tema, v. T. Varese, 13 giugno 2012, in www.ilcaso.it; T. Mantona, 20 gennaio 2011, in www.ilcaso.it, T. Roma, 19 febbraio 2006, in Giur. it., 2006, 284 ss., con nota di Masoni; nonché, Tommaseo, La legittimazione, cit., 205; Passanante, Il procedimento, cit., 265-266; Chizzini, I procedimenti, cit., 419; M.A. Lupoi, Sub art. 406, cit., 1451 s.

[31] Così, anche Tommaseo, La legittimazione, cit., 205, nota 23; contra, Bugetti, Dell’amministrazione, cit., 134.

[32] Cfr. in particolare Tommaseo, La legittimazione, cit., 204-205.

[33] Sulla nozione, v. Chizzini, I procedimenti, cit., pag. 417, Tommaseo, La legittimazione, cit., 213; L. Passanante, Il procedimento, cit., 265; Danovi, Il procedimento, cit., 797; Bugetti, Dell’amministrazione, cit., 132-133.

[34] Stante quanto sopra, si ritiene condivisibilmente che il compagno dell’interessato sia titolare dell’azione per la richiesta di tutt’e tre le misure di protezione: cfr. Savi, L’unione civile tra le persone dello stesso sesso, Roma, 2016, 111; Tommaseo, La legittimazione, cit., 203; Bugetti, Dell’amministrazione, cit., 130.

[35] Cfr. Cass., SU, 18 gennaio 2017, n. 1093, secondo cui la mancata partecipazione del p.m. al procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, in quanto parte dotata di azione, determina una lesione dell’integrità del contraddittorio con rimessione al primo giudice.

[36] Per osservazioni critiche sulla norma in questione, v. G.F. Ricci, Alcune osservazioni sul nuovo processo di famiglia. errori concettuali e disarmonie del sistema, in Riv. dir. proc., 2024, 594-595; Savi, Sub art. 473 bis.3, in Procedimenti, cit., 45; nonché, il nostro Manuale del processo familiare e minorile, Torino, 2023, 29.

[37] Cfr., infatti, le considerazioni critiche di Chiarloni, Prime riflessioni, cit., 2433.

[38] C. cost., 9 dicembre 2005, n. 440, in Fam. pers. succ., 2006, 136 ss., con nota di Patti, Amministrazione di sostegno: la sentenza della Corte costituzionale.

[39] Per l’amministrazione di sostegno, v. Chizzini, I procedimenti, cit., 439 s.; Passanante, Il procedimento, cit., 261 s.; Tommaseo, Il procedimento, cit., 228-229; M.A. Lupoi, Sub art. 407, cit., 1466; per l’interdizione, v. Vellani, Interdizione, cit., 4; Vignolo, Principio inquisitorio e impulso d’ufficio nel procedimento d’interdizione, in Riv. dir. civ., 1975, I, 337 ss.; in giurisprudenza, v. Cass., 16 dicembre 1971, n. 3664, in Foro it., 1998, I, 2020, con nota di L.P. Comoglio, Rinuncia all’azione e rinuncia agli atti del giudizio nel procedimento di interdizione; T. Palermo, 7 giugno 2011, in Fam. dir., 2012, 287 ss., con nota di Spaccapelo, Sull’inammissibilità di ogni forma di rinuncia nei procedimenti di nomina dell’amministratore di sostegno.

[40] Cfr., sul punto, Tommaseo, Il decreto d’apertura, cit., 172, che rileva i dubbi talora emersi in merito al coordinato disposto dell’art. 404 c.c., esaminato nel testo, e dell’art. 407, comma 1, c.p.c., nella parte in cui è richiesto che nel ricorso introduttivo sia indicata la «dimora abituale»; sul punto, v. Cass., 12 giugno 2023, n. 16537: «in tema di amministrazione di sostegno, questa Corte ha ripetutamente affermato che la competenza territoriale si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario (coincidente, salvo prova contraria, con la sua residenza, ovverosia con il luogo in cui si trova la sede principale dei suoi affari ed interessi), in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell’amministratore»; cfr. anche Cass., 7 maggio 2012, n. 6880, in Fam. dir., 2012, 1105, secondo cui, «in caso di collocamento del beneficiario in una casa di riposo, solo qualora venga meno il carattere transitorio della sua permanenza, sull’istanza di sostituzione dell’amministratore è competente il giudice del territorio in cui si trova detta struttura di assistenza»; cfr. anche Cass., 13 aprile 2010, n. 8779, in Fam. dir., 2011, 361; nonché Cass., 2 luglio 2013, n. 16544, che ritiene non determinanti le mere risultanze anagrafiche.

[41] Cfr., nei diversi ambiti, Vellani, Interdizione, cit., 2; Chizzini, I procedimenti, cit., 398; Tommaseo, Il decreto, cit., 171.

[42] Nel caso dell’amministrazione di sostegno, invece, la competenza resta attribuita al giudice tutelare: cfr. Tommaseo, Il decreto, cit., 171

[43] Infatti, i rapporti tra tribunale e giudice tutelare non costituiscono tecnicamente questioni di competenza, poiché attengono alla ripartizione interna delle funzioni: cfr. Passanante, Il procedimento, cit., 238 s.

[44] Con riguardo all’amministrazione di sostegno, argomentando sulla base degli artt. 43 disp. att. c.c. e 135, comma 3, c.p.c., si è ritenuto che la domanda potesse essere proposta anche in forma orale: così Chizzini, I procedimenti, cit., 424; cfr. anche D’Adamo, Profili, cit., 178; contra, Tommaseo, Il procedimento, cit., 216, che ammette l’opzione in esclusivo riferimento alle domande relative agli atti di gestione.

[45] Cfr., nei diversi ambiti, Vellani, Interdizione, cit., 3; Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 595, Tommaseo, Il procedimento, cit., 211; Chizzini, I procedimenti, cit., 383 e 424; D’Adamo, Profili processuali, cit., 179.

[46] Chizzini, I procedimenti, cit., 383.

[47] Osserva Chizzini, I procedimenti, cit., 424, che l’indicazione del solo tribunale e non del giudice tutelare non costituisce un vizio che comporti l’inammissibilità dell’istanza.

[48] Passanante, Il procedimento, cit., 251.

[49] Ai sensi dell’art. 407, comma 1, c.c., come visto, è richiesta anche l’indicazione della sua dimora abituale, che, secondo Chizzini, I procedimenti, cit., 425, sarebbe funzionale all’esame del beneficiario da parte del giudice ex art. art. 407, comma 2, c.c.; ma cfr. retro, anche nota 47

[50] In definitiva, viste le deroghe al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sopra illustrate, occorre distinguere tra interdizione e inabilitazione, da un lato, e amministrazione di sostegno dall’altro. In tutti i casi occorrerà indicare le ragioni che giustificano la concessione della misura, ma solo nel primo caso sarà altresì necessario formulare le conclusioni: cfr. sul punto Tommaseo, Il procedimento, cit., 214; Passanante, Il procedimento, cit., 252 ss.; Chizzini, I procedimenti, cit., 426; M.A. Lupoi, Sub art. 407, cit., 1461 s.

[51] Per il processo d’interdizione e d’inabilitazione, v. in particolare Satta, Commentario, cit., 334 ss.; Schizzerotto, Interdizione, cit., 134 ss.; Vellani, Interdizione, cit., 6 s.; Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 596; Vullo, Dei procedimenti, cit., 464; per l’amministrazione di sostegno, v. invece, Chizzini, I procedimenti, cit., 425; Tommaseo, La legittimazione attiva, cit., 212, nota 14, ma vedi anche 201, nota 13; Vullo, Dei procedimenti, cit., 464 s.

[52] In materia di interdizione e d’inabilitazione, si osserva da tempo che l’unica parte del giudizio è il destinatario della misura: cfr. Cass. 4 luglio 1967, n. 1643, Giust. civ., 1967, I, 1616; successivamente, v. Cass. 15 maggio 1989, n. 2218; Cass., 9 febbraio 2015, n. 2401, in Foro it., 2014, I, 1231 ss.; Cass., S.U., 19 febbraio 2020, n. 4250; in materia di amministrazione di sostegno, v. invece Cass., 31 luglio 2023, n. 23180; Cass., 5 giugno 2013, n. 14190, in Fam. dir., 2014, 24 ss., con nota di Fratini; nonché, da ultimo, Cass., 8 gennaio 2024, n. 451.

[53] Si tenga a mente, tuttavia, l’orientamento secondo cui «nel giudizio di interdizione o di inabilitazione i parenti e gli affini, che a norma dell’art. 712 c.p.c. devono essere indicati nel ricorso introduttivo, non hanno veste di parti in senso tecnico-giuridico, bensì svolgono funzioni consultive, essendo fonti di informazioni per il giudice; conseguentemente la mancata notifica del ricorso ad alcuni dei predetti, a seguito dell’omessa indicazione degli stessi nel ricorso, mentre non determina alcuna nullità del procedimento, qualora a tale omissione si sia ovviato nel corso dell’istruttoria, può costituire motivo di impugnazione soltanto quando la persistente omissione concerna un congiunto verosimilmente in grado di fornire al giudice informazioni tali da far decidere il giudizio diversamente»: così, Cass. 18 febbraio 1982, n. 1023; Cass., 1° dicembre 2000, n. 15346; Cass., 13 gennaio 2017, n. 786.

[54] Così, condivisibilmente, Vullo, Dei procedimenti, cit., 470.

[55] Cfr., nei diversi ambiti e con diverse conseguenze, Poggeschi, Il procedimento, cit., 60; Vellani, Interdizione, cit., 3; Chizzini, I procedimenti, cit., 427; D’Adamo, Profili processuali, cit., 179.

[56] Vellani, Interdizione, cit., 3; Rampazzi Gonnet, Procedimento, 595; Vullo, Dei procedimenti, cit., 470; in giurisprudenza, v. Cass., 22 giugno 1994, n. 5967; Cass., 29 settembre 2023, n. 27599.

[57] Cfr. Cass., 29 novembre 2006, n. 25366, in Fam. dir., 2007, con nota di Tommaseo, Amministrazione di sostegno e difesa tecnica in un’ambigua sentenza della Cassazione.

[58] Cfr. il nostro, Manuale, cit., 8 ss.

[59] Cfr., supra, § 8; cfr. Cass., S.U., 19 febbraio 2020, n. 4250, secondo cui «i parenti e gli affini, che, a norma dell’art. 712 c.p.c., devono essere indicati nel ricorso introduttivo dei giudizi di interdizione o inabilitazione, non hanno veste di parti in senso tecnico-giuridico, né sono litisconsorti, ma svolgono funzioni consultive, essendo “fonti di informazioni” per il giudice. Essi non sono dunque i “convenuti” del procedimento di interdizione o inabilitazione che ha per oggetto un accertamento della capacità di agire della persona dell’interdicendo o dell’inabilitando, incide sul suo status e si conclude con una pronuncia, qualificata espressamente come sentenza, suscettibile di giudicato nei confronti solo di esso».

[60] Il problema relativo all’acquisizione della qualità di parte e all’intervento dei soggetti indicati nel testo ha sollevato un ampio e articolato dibattito con riguardo al procedimento d’interdizione e d’inabilitazione: per una più ampia analisi delle posizioni emerse nella dottrina, v. Sorace, Interdizione, cit., 971 ss.; Vellani, Interdizione, cit., 6 s.; Vullo, Dei procedimenti, cit., 464 ss.

[61] Cfr. Vellani, Interdizione, cit., 4; Vullo, Dei procedimenti, cit., 478.

[62] Nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, tutte le attività processuali rimesse al presidente dall’art. 473 bis.53 c.p.c. sono compiute dal giudice tutelare medesimo, come anche le successive attività istruttorie e ciò in conformità al disposto dell’art. 407 c.c.: cfr. Vullo, Dei procedimenti, cit., 548; Campese, L’istituzione, cit., 134; Danovi, Il procedimento, cit., 801; Chizzini, I procedimenti, cit., 435 s.; Tommaseo, Il procedimento, cit., 230.

[63] Così, con efficacia, Chizzini, I procedimenti, cit., 435.

[64] C. cost., 5 luglio 1968, n. 87, in Riv. dir. proc., 1969, 301 ss., con nota di Mandrioli, Il nuovo procedimento di rigetto anticipato della domanda d’interdizione e d’inabilitazione dopo la parziale dichiarazione di incostituzionalità.

[65] In materia di interdizione e inabilitazione, si ritiene da tempo che l’esame dell’interessato possa costituire unica fonte di convincimento del giudice, pur dovendosene dar conto in motivazione: cfr. già Cass., 3 luglio 1971, n. 2078, in Foro it. Rep., 1971, Interdizione e inabilitazione, n. 7; Cass., 7 aprile 1972, n. 1037, in Foro it., 1972, I, 2467 ss.; Cass., 10 agosto 1979, n. 4650, in Giust. civ., 1980, I, 409.

[66] Cfr. Vellani, Interdizione, cit., 5; Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 601; Vullo, Dei procedimenti, cit., 486.

[67] L’assistenza del consulente tecnico all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando è stata da tempo ritenuta facoltativa da Cass., 7 dicembre 1971, n. 3530, in Foro it. Rep. 1971, Consulente tecnico, n. 28.

[68] Cfr. Tommaseo, Il procedimento, cit., 237; Passanante, Il procedimento, cit., 258; M.A. Lupoi, Sub art. 407, cit., 1465.

[69] «È palese – osserva Tommaseo, Il procedimento, cit., 238-239 – che la diversa formulazione della norma riflette la diversa “storia” dei due istituti», nonché le finalità ben più ampie dell’amministrazione di sostegno.

[70] Cfr. Tommaseo, Il procedimento, cit., 238, nota 95, che ricorda C. cost., 19 gennaio 2007, n. 4, in Fam. dir., 2007, 874 ss., con nota di Figone, la quale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale della legge nella parte in cui non era prevista come causa ostativa dell’accoglimento del ricorso la volontà contraria dell’interessato.

[71] Cfr. Vellani, Alcune considerazioni sull’esame dell’interdicendo e dell’inabilitando, in Riv. dir. proc., 1995, 974; Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 602; Vullo, Dei procedimenti, cit., 485; Chizzini, I procedimenti, cit., 442.

[72] Si ritiene comunemente che l’omessa audizione del destinatario della misura determini la nullità della decisione: Tommaseo, Il procedimento, cit., 240 s.; Passanante, Il procedimento, cit., 258; Chizzini, I procedimenti, cit., 443 s., che rileva l’opportunità di omettere l’audizione nei casi in cui questa si possa rilevare pregiudizievole per la persona; M.A. Lupoi, Sub art. 407, cit., 1464, che evidenzia la necessità di indicare in motivazione le ragioni che hanno giustificato la mancata audizione; così, anche Vullo, Amministrazione, cit., § 5; in giurisprudenza, sulla centralità dell’audizione, v. in particolare Cass., 19 gennaio 2023, n. 1667; per l’interdizione, v. già Cass., 7 aprile 1972, n. 1037, cit.

[73] Cfr. ancora Cass., 19 gennaio 2023, n. 1667.

[74] Su cui, v. Rapazzi Gonnet, Procedimento, cit., 603.

[75] Cfr. Cass., 25 luglio 2014, n. 17032, che, proprio con riguardo all’amministrazione di sostegno, ritenendosi applicabile in tale sede quanto previsto nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione, ritiene viziato l’esame dovendosi rinnovare l’incombente in secondo grado; cfr. anche Cass., 17 luglio 2003, n. 11175, in Fam. dir., 2005, 51 ss., con nota di Onniboni, Sulla partecipazione del pubblico ministero all’esame dell’interdicendo, ove si precisa che «nel procedere a detto esame si sia verificata una nullità, per non essere intervenuto all’atto il p.m. (art. 158 c.p.c.), tale nullità non colpisce né gli atti processuali antecedenti, né gli atti istruttori successivi indipendenti da tale atto (art. 159 c.p.c.), ancorché la sentenza di interdizione o di inabilitazione vada annullata per essere stata emessa senza il valido compimento dell’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando».

[76] Chizzini, I procedimenti, cit., 443; Tommaseo, Il procedimento, cit., 240. Sull’accostamento dell’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando all’ispezione, v. già Poggeschi, Il processo, cit., 83.

[77] C. cost., 31 marzo 1988, n. 382, in Giust. civ., 1988, I, 1386 s.

[78] Cfr. C. cost., 26 febbraio 2002, n. 35, in Foro it., 2002, I, 1290 ss.

[79] Chizzini, I procedimenti, cit., 445; Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 601; Vullo, Dei procedimenti, cit., 489.

[80] Con riguardo ai processi a contenuto oggettivo, v. Tommaseo, I processi, cit., 690; nel processo d’interdizione e d’inabilitazione, v. Redenti, Diritto, cit., 374; per l’amministrazione di sostegno, v. Chizzini, I procedimenti, 445.

[81] Cfr., infatti, Tommaseo, Il procedimento, cit., 235, nota 85, che, rispetto alla disciplina anteriore, riteneva che il giudice tutelare potesse disporre le indagini sui redditi previste in materia di separazione e divorzio.

[82] Su cui v. il nostro La consulenza tecnica d’ufficio in materia familiare e minorile, in Dir. fam. pers., 2023, 1723 ss.

[83] Si è discusso se alla nomina possa provvedere anche il collegio: anche qui, per i dovuti riferimenti, v. Vullo, Dei procedimenti, cit., 498 s.

[84] Si ammette la nomina anche nel caso in cui non sia stato possibile procedere all’esame del destinatario della misura (cfr. supra, § 10): v. Vellani, Interdizione, cit., 8; Vullo, Dei procedimenti, cit., 498.

[85] Si noti che l’efficacia anticipatoria della nomina del tutore e del curatore provvisori emerge chiaramente dal coordinato disposto degli artt. 423, 424, 427 e 428 c.c.; piuttosto singolare, invece, è il disposto dell’art. 422 c.c., stando al quale la sentenza che rigetta la domanda può tuttavia disporre che il tutore o il curatore provvisori proseguano nel loro ufficio sino al passaggio in giudicato della stessa; previsione, questa, che va a favore della tesi secondo cui alla nomina si può provvedere anche nel giudizio di appello proposto avverso la sentenza di rigetto: Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 608.

[86] Su cui, v. da ultimo, Cea, I provvedimenti provvisori nel procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, in Giusto proc. civ., 2023, 733 ss.

[87] Cfr., infatti, Chizzini, I procedimenti, cit., 453, e Passanante, Il procedimento, cit., 257, che negano la natura cautelare di queste decisioni muovendo dalla premessa giurisdizionalvolontaria; mentre Tommaseo, Il decreto, cit., 60, è a favore della lettura cautelare in coerenza con le proprie premesse, come anche Vullo, Dei procedimenti, cit., 496 ss., ma con riguardo alla nomina del tutore e del curatore provvisorio nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione.

[88] Cfr., anche per i dovuti riferimenti, Vullo, Dei procedimenti, cit., 500, che, peraltro, attribuendo natura cautelare al decreto di nomina, suggerisce la sua reclamabilità ex art. 669 terdecies c.p.c.

[89] Cass., 21 novembre 2022, n. 34216, che ne esclude la ricorribilità ritenendo che la decisione, pur incidendo su diritti soggettivi, sia priva del carattere della definitività in quanto revocabile nel corso del procedimento ed in ogni caso tendenzialmente destinata (cfr. retro, nota 92) a perdere efficacia con la decisione definitiva; in precedenza, v. Cass., 19 marzo 1992, n. 3025.

[90] Per un esame dei diversi provvedimenti, v. il nostro Manuale, cit., 210 ss.

[91] In questo senso, parrebbe Tommaseo, Norme sui minori e sulle persone prive di autonomia, in Nuove leggi civ. comm., 2023, 1120, nota 6.

[92] Cfr. ad es. Redenti, Diritto, cit., 375; Andrioli, Commento, cit., 407; Vellani, Interdizione, cit., 8; Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 614; Vullo, Dei procedimenti, cit., 504.

[93] Così, Carnelutti, Istituzioni, cit., 189; Poggeschi, Il processo, cit., 103.

[94] Così anche Poliseno, L’ambito di applicazione del procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, in Nuove leggi civ. comm., 2023, 826; Trabace, I procedimenti, cit., 428.

[95] Sul regolamento delle spese processuali nei procedimenti in discorso, v. Vullo, Dei procedimenti, cit., 508 ss.: D’Adamo, Profili processuali, cit., 198 ss.

[96] Sul tema, v. il recente contributo di Widman, Note in tema di procedimento di interdizione ed inabilitazione, Napoli, 2021, 37 ss.

[97] Cfr. anche artt. 42 e 47 ss. disp. att. c.c.

[98] Cfr. Cass., 16 marzo 1963, n. 666, successivamente richiamata da Cass., 25 ottobre 2022, n. 31563.

[99] Per espressa previsione normativa, dunque, gli effetti della sentenza costitutiva non retroagiscono al momento della proposizione della domanda con la conseguenza che gli atti compiuti dal destinatario della misura prima della pronuncia sono annullabili alle condizioni previste dagli artt. 427, commi 2 e 3, e 428 c.c.

[100] In questo senso è la giurisprudenza più risalente (Cass. 26 gennaio 1952, n. 221, in Giur. it., 1952, I, 1, 653; Cass., 23 luglio 1962, n. 2048; Cass., 10 marzo 1993, n. 2895), nonché la giurisprudenza successiva formatasi in materia di amministrazione di sostegno (cfr. il paragrafo che segue); in dottrina, viste le difformi impostazioni in merito alla natura del procedimento, si sono registrate opinioni varie; per una ricognizione delle diverse letture, v. in particolare Sorace, Interdizione, cit., 955 ss., nonché, più di recente, Widman, Note, cit., 11 ss.

[101] Cfr., anche per ulteriori riferimenti, il nostro Sulla natura delle decisioni rese nell’interesse dei figli minori nei giudizi sull’affidamento condiviso e de potestate, in Riv. dir. proc., 2019, 1083 s.

[102] Cfr. Attardi, Diritto processuale civile, I, Padova, 1999, 508.

[103] Cfr., infatti, Cass., 10 marzo 1993, n. 2895, secondo cui «nel giudizio di revoca è consentito esaminare le condizioni mentali dell’interdetto nel tempo anteriore alla pronuncia di interdizione per accertare lo stato della persona; ma non è lecito esaminarle per escludere che esse non giustificavano quella pronuncia. In definitiva, gli elementi di fatto vanno rivalutati solo per enucleare origine, natura e decorso della malattia»; per un approccio ancora più liberale, v. Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 629

[104] Cfr. retro, nota 35.

[105] Cfr. sul punto Tommaseo, Il decreto, cit., 179 s., che evidenzia il mancano allineamento tra l’art. 405, comma 3, c.c. e l’art. 431 c.c., in forza del quale la sentenza di revoca dell’interdizione produce effetto solo con il passaggio in giudicato.

[106] Cfr. Chizzini, Procedimenti, cit., 476, e Tommaseo, Il decreto, cit., 192 s., che si rifanno all’analogo regime previsto nel procedimento d’interdizione e d’inabilitazione per quel che riguarda il regime degli effetti.

[107] Ovviamente, il tema della stabilità del decreto di apertura e di chiusura dell’amministrazione di sostegno è stato declinato dalla dottrina in coerenza con la natura attribuita a siffatte decisioni e con tutte le necessarie conseguenze in punto di presupposti della revoca: cfr., anche qui,  da un lato, Tommaseo, Le vicende, cit., 585 ss., secondo cui la revoca presuppone il mutamento delle circostanze, e, dall’altro, Chizzini, I procedimenti, cit., 390, 471 ss., stando al quale, invece, la revoca dell’amministrazione di sostegno, essendo il decreto di apertura non assistito dalla preclusione del dedotto e del deducibile, consente una nuova valutazione degli interessi del beneficiario in simmetria sistematica con il rimedio di cui all’art. 742 c.p.c.

[108] Cfr. Cass., 12 marzo 2025, n. 6584; Cass., 20 marzo 2024, n. 7414; Cass., 8 febbraio 2024, n. 3600; Cass., S.U., 30 luglio 2021, n. 21985; Cass., 22 febbraio 2021, n. 4733; Cass., 26 agosto 2020, n. 17833; Cass., 11 dicembre 2019, n. 32409; Cass., 14 giugno 2019, n. 16076.

[109] Vellani, Interdizione, cit., 9; Vullo, Dei procedimenti, cit., 512.

[110] V. sul punto Vellani, Interdizione, cit., 9; Vullo, Dei procedimenti, cit., 513 s.

[111] Cfr. Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., § 16, seguita da Vullo, Dei procedimenti, cit., 506 s., che già la riteneva una mera svista del legislatore, essendo pacifico che la nomina del tutore o del curatore definitivo sia di competenza del giudice tutelare ex artt. 346, 424, comma 3, c.c. e 42 disp. att. c.c.

[112] Vullo, Dei procedimenti, cit., 506 s.

[113] Andrioli, Commento, cit., 373 s.

[114] Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 625.

[115] Stante il disposto dell’abrogato art. 719 c.p.c. (ora v. l’art. 473 bis.56, comma 2, c.p.c.), il quale impone il rispetto del termine breve per tutti i legittimati ad impugnare a condizione che la sentenza sia notificata alle parti del giudizio, la dottrina si è occupata del caso in cui la sentenza sia notificata solo ad alcune di queste. In tal caso, si è sostenuto che il giudice a cui sia successivamente proposta l’impugnazione debba sospendere il processo e fissare un termine per provvedere alla notifica della sentenza, con la conseguenza che, nel caso di inottemperanza dell’ordine giudiziale, il giudizio resterà sospeso fino allo spirare del termine semestrale di decadenza: cfr. Andrioli, Commento, cit., 379; Poggeschi, Il processo, cit., 116 e seg.; Sorace, Interdizione, cit., 986; Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., pag. 626.

[116] Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 625; ma cfr. anche le considerazioni problematiche di Vullo, Dei procedimenti, cit., 522 s.

[117] Cfr. Cass., 10 aprile 1965, n. 636, in Giust. civ., 1965, 1, 2092 ss.; Cass., 9 marzo 1976, n. 78, in Foro it., Mass., 1976.

[118] Cfr. Satta, Commentario, cit., 248; Vellani, Interdizione, cit., 10.

[119] Cfr. ad es. Poggeschi, Il processo, cit., 831; Satta, Commentario, cit., 347; Sorace, Interdizione, cit., 982.

[120] Andrioli, Commento, cit., 37; Carnelutti, Istituzioni, cit., 185; Rampazzi Gonnet, Procedimento, cit., 621

[121] Cass., 30 dicembre 1994, n. 11305.

[122] Sul punto, sia consentito il rinvio al nostro Manuale, cit., 240 ss.

[123] Cfr. Cass., 8 marzo 1995, n. 2704, che escludeva la proposizione della domanda nuova in appello sulla base dell’art. 345 c.p.c.

[124] Così, Tommaseo, Le vicende, cit., 598; Vullo, Dei procedimenti, cit., 555; D’Adamo, Profili processuali, cit., 203 s.; contra, Chizzini, I procedimenti, cit., 455; Ficcarelli, Le impugnazioni, cit., 133, nota 19.

[125] Cfr. Cass., 27 febbraio 2020, n. 5380.

[126] Cfr. Tommaseo, Le vicende, cit., 599 s., che ritiene legittimato ad impugnare anche l’amministratore di sostegno in forza del rinvio all’art. 718 c.p.c. nella parte in cui è menzionato il tutore o il curatore nominato nella sentenza. Si è visto, d’altro canto, quanto tale previsione sia problematica. In ogni caso, contrario alla legittimazione ad impugnare dell’amministratore è Chizzini, I procedimenti, cit., 456.

[127] Cfr. Cass., 8 gennaio 2024, n. 451.

[128] Cass., 10 maggio 2011, n. 10187, in Fam. e dir., 2012, 912 ss., con nota di Pretti, Amministrazione di sostegno e provvedimenti impugnabili con ricorso per Cassazione, in materia di sostituzione e rimozione dell’amministratore di sostegno; Cass., 11 luglio 2012, n. 11657, in Riv. dir. proc., 2013, 1209 ss., con nota di D’Adamo, Limiti dell’impugnazione dei provvedimenti emessi nel procedimento di amministrazione di sostegno; Cass., 23 giugno 2011, n. 13747, in Giur. it., 2012, 873, con nota di Fratini, Inammissibilità del ricorso per Cassazione avverso i provvedimenti di nomina o sostituzione dell’amministratore di sostegno; Cass., 29 ottobre 2012, n. 18634; Cass., 16 febbraio 2016, n. 2985, in www.ilcaso.it; Cass., 28 settembre 2017, n. 22693; Cass., 13 gennaio 2017, n. 784, in Fam. e dir., 2017, 1101 ss., con nota di Tommaseo, Amministrazione di sostegno: quale giudice per i reclami?; Cass., 12 dicembre 2018, n. 32071, in Foro it., 2019, I, 1282.

[129] Cass., 29 novembre 2006, n. 25366, cit.; Cass., 7 giugno 2017, n. 14158, in Corr. giur., 2017, 1163, con riguardo al decreto che non concedeva l’autorizzazione all’amministratore di sostegno a denegare il consenso all’esecuzione di terapie emotrasfusionali in favore del beneficiario; Cass., 22 febbraio 2021, n. 4733, in riferimento alla decisione del giudice tutelare che aveva imposto il divieto di contrarre matrimonio, incidendo in maniera definitiva; Cass., 20 marzo 2024, n. 7414, con riguardo al caso in cui il giudice tutelare, assecondando la volontà del beneficiario, sostituisca l’amministratore di sostegno e quest’ultimo deduca che detta volontà non può essere tenuta in conto in quanto sintomo della malattia; Cass., 8 febbraio 2024, n. 3600, ancora in riferimento alla nomina dell’amministratore di sostegno.

[130] Cass., 11 dicembre 2019, n. 32409, in Fam. e dir., 2020, 707, con nota di Tommaseo, Amministrazione di sostegno e decreti del giudice tutelare: ancora incertezze sul sistema dei reclami; Cass., 29 ottobre 2012, n. 18634.

[131] Cass., S.U., 30 luglio 2021, n. 21985.

[132] Come autorevolmente indicato, la nuova norma, nel riferirsi ai provvedimenti a «contenuto patrimoniale o gestorio», «si risolve in un’endiadi che consente di distinguere gli atti di gestione a contenuto patrimoniale da quelli che hanno riflessi sui diritti personalissimi del beneficiario», così Tommaseo, Norme sui minori, cit., 1120, nota 7; a tal riguardo, per un provvedimento a contenuto patrimoniale con riflessi sul diritto della persona di autodeterminarsi, v. Cass., 12 marzo 2025, n. 6553.

[133] Tommaseo, Le vicende, cit., 604 s.; Ficcarelli, Le impugnazioni, cit., 135.

[134] Cfr. Ficcarelli, Le impugnazioni, cit., 135.

[135] In senso favorevole, v. Tommaseo, Il decreto, cit., 180; Vullo, Dei procedimenti, cit., 552; contra, Chizzini, I procedimenti, cit., 458.

[136] Cfr. anche retro, § 13.

[137] Cass. 26 gennaio 1952, n. 221, in Giur. it., 1952, I, 1, 653; Cass., 23 luglio 1962, n. 2048; Cass., 10 marzo 1993, n. 2895.

[138] Andrioli, Commento, cit., 387; Sorace, Interdizione, cit., 993; Rapazzi Gonnet, Procedimento, cit., 629; Vullo, Dei procedimenti, cit., 524.

[139] La l. n. 6/2004, infatti, ha modificato il testo dell’art. 417, comma 1, c.c., dimenticandosi di allineare alla nuova previsione l’art. 429, comma 1, c.c.

[140] Cfr. Vullo, Dei procedimenti, cit., 526, che ricorda il dibattito anteriore alla riforma dell’art. 417 c.c.

[141] Cfr., infatti, Satta, Commentario, cit., 351: «positivamente ammesso è […] l’intervento dei collegittimati, ma soltanto per opporsi alla revoca: strana limitazione, dato che la domanda può essere proposta da uno qualunque dei collegittimati stessi».

[142] Cfr., tuttavia, Vellani, Interdizione, cit., 11, che ritiene incompatibile con il giudizio di revoca la nomina del tutore o del curatore provvisorio.

[143] Si esclude, invece, che nel processo di revoca dell’inabilitazione possa essere dichiarata l’interdizione, dovendosi necessariamente introdurre un nuovo procedimento diretto a tal fine: cfr. Rapazzi Gonnet, Procedimento, cit., 631; Vellani, Interdizione, cit., 11.

[144] V., però, le condivisibili osservazioni critiche di Pescara, Tecniche privatistiche e istituti di salvaguardia di disabili psichici, in Trattato di diritto privato, IV, Persone e famiglia, t. 3, Torino, 1997, 835.

[145] Così, Pescara, Tecniche, cit., 836.

[146] Cfr., tra le altre, Cass., 2 ottobre 2023, n. 27691; Cass., S.U., 30 luglio 2021, n. 21985, ma cfr. anche la giurisprudenza citata retro, § 13.

[147] Cfr. Tommaseo, Le vicende, cit., 592, che, tuttavia, specifica che ciò non esclude il potere del giudice tutelare di sentire gli altri legittimati, come anche la loro facoltà di intervenire nel giudizio. È da ritenere, infatti, non applicabile alla revoca dell’amministrazione di sostegno il già criticato disposto dell’art. 473 bis.57, comma 2, c.p.c.

[148] Tommaseo, Le vicende, cit., 592, ma cfr. anche Chizzini, I procedimenti, cit., 474.

[149] Se, peraltro, si ammette che nel procedimento di revoca si possa rigettare l’istanza ed al contempo ricorrere ai poteri previsti dall’art. 407, comma 4, c.c., si crede che l’audizione torni ad essere certamente imprescindibile.