Finalità e caratteristiche della mediazione familiare “riformata”

Di Carmela Perago e Alessia Albanese -

Sommario: 1. Conflittualità familiare e mediazione – 2.  La mediazione familiare nel panorama giuridico europeo – 3. La mediazione familiare nell’ ordinamento italiano: il rapporto tra consenso delle parti e ruolo del giudice – 4. Segue: La mediazione familiare e il percorso negoziale –  5. La mediazione familiare “riformata” – 6. Verso una definizione di mediazione familiare quale percorso endoprocessuale – 7. L’assenza di uno statuto del mediatore familiare.

1. Conflittualità familiare e mediazione.

Lo sviluppo delle attuali società, caratterizzate sia dalla grande diversità dei soggetti che la compongono per differenza di razza, religione, lingua, tendenze sessuali, costumi e cultura, sia dal riconoscimento e protezione di tali diversità negli ordinamenti giuridici contemporanei, conduce inevitabilmente all’aumento del dissenso e della contesa tra gli individui e i gruppi quando questi percepiscono le differenze come irriconciliabili o antagonistiche.

In particolare, la profonda trasformazione del modello tradizionale di famiglia, per meglio dire il concetto stesso di ciò che intendiamo per famiglia ha condotto ad un aumento dei conflitti intrafamiliari: le nuove forme di convivenza, l’aumento delle famiglie monoparentali, in particolare composte da donne autodeterminatesi nella funzione generativa, di quelle “allargate” o “ricomposte”, in cui i vari componenti provengono da precedenti rapporti con figli e figlie da una o entrambe le parti, o da adozioni (incluse le internazionali) in cui la figura genitoriale è contraddistinta dallo stesso sesso  insieme alla diversa distribuzione del lavoro all’interno della coppia, conducono ad una dirompente modificazione delle relazioni familiari non più rispondente all’iconografia cinematografica e televisiva del XX secolo, in cui il conflitto si risolve rispettando la autorità del ruolo sociale preminente della figura maschile.

La nascita, quindi di un nuovo patto coniugale, basato sulla perfetta parità di diritti e ruoli e caratterizzato dalla negoziabilità continua dei termini della convivenza, conduce inevitabilmente allo sviluppo di conflitti che eccedono l’ambito proprio della crisi matrimoniale e tracimano nell’ambito della convivenza intergenerazionale.

Comune è la percezione nel nostro contesto occidentale come tale diversa conflittualità non possa essere sempre risolta attraverso gli strumenti avversariali/ eterocompositivi che gli ordinamenti giuridici approntano, sia per la lentezza con cui rispondono alle esigenze proprie dei componenti il nucleo in crisi, sia per la necessità di salvaguardare, all’interno del conflitto, la co-genitorialità condivisa.[1]

Nel conflitto familiare si intreccia, difatti, una dimensione relazionale (la gestione dei legami con i figli) e una dimensione economica (la gestione dei beni) che può trovare nel contesto compositivo una soluzione efficace e condivisa. La crescente valorizzazione del ruolo dell’autonomia privata nella ridefinizione degli assetti economico-patrimoniali post-affettivi, non a caso, è alla base  della pronuncia di Cass., sez. un., 29 luglio 2021, n. 21761[2] che, nel risolvere la questione della efficacia dei trasferimenti immobiliari contenuti nei provvedimenti giudiziali di separazione e divorzio, al centro di un dibattito molto vivace di dottrina e giurisprudenza, hanno affermato che l’accordo di separazione e divorzio è il risultato di una “negoziazione globale” di tutti i rapporti tra i coniugi, un vero e proprio contratto di definizione della crisi coniugale, insindacabile da parte del giudice e idoneo ad “abbracciare ogni forma di costituzione e di trasferimento di diritti patrimoniali, compiuti con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale”. Se tale negoziazione può essere valido strumento per la gestione alternativa del conflitto in genere non vi è dubbio che la particolare vulnerabilità emotiva dei soggetti coinvolti nella crisi della famiglia, l’indisponibilità dei diritti relativi al minore, da porre al centro del sistema di tutele con l’obiettivo di soddisfare il suo preminente interesse, può trovare valido ausilio nella mediazione familiare, impropriamente da collocare tra gli istituti di ADR.[3]

Non abbiamo, a tutt’oggi, una definizione normativa di mediazione familiare e anche l’inserimento tra i sistemi autocompositivi merita una precisazione: a differenza della mediazione obbligatoria la ricerca dell’accordo non tende mai al riconsolidamento del rapporto tra i coniugi in crisi ma solo e principalmente a conservare e riorganizzare la co-genitorialità e, quindi, a tutelare il minore.

Non a caso la mediazione familiare[4], definita anche come “scienza trasversale”[5],  può essere qualificata come un percorso extraprocessuale[6] di gestione del conflitto che investe le relazioni all’interno del nucleo primario, la famiglia; percorso originato da tale conflitto e teso alla riorganizzazione delle relazioni nel momento della crisi, cioè in vista o in seguito alla separazione o al divorzio, rappresentando un valido strumento di sostegno e di rinforzo della genitorialità condivisa. Nei decreti attuativi, come vedremo, ne viene ulteriormente accentuata la funzione preventiva e propedeutica all’assunzione dei provvedimenti da parte del giudice, e ne appare potenziato lo svolgimento “in parallelo” al giudizio o alla negoziazione assistita.

Infatti, scopo della mediazione familiare è attenuare la conflittualità nella crisi della coppia e tentare di ripristinare una comunicazione costruttiva, volta a ricercare una soluzione concordata, negoziata e condivisa, al fine di tutelare il superiore interesse del minore[7], rendendo, così, realizzabile il progetto educativo della prole.

“In un contesto strutturato un terzo neutrale e con una formazione specifica (il mediatore familiare), sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale”[8].

Non rinveniamo in una norma specifica il ruolo del mediatore familiare e i compiti cui è chiamato a adempiere. Difatti, il legislatore interno, anche laddove ne aveva finora fatto menzione, aveva scelto comunque di dedicarvi spazi ristretti. La riforma Cartabia, nella più ampia riscrittura del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie, pur introducendo nel titolo II delle disposizioni di attuazione del c.p.c., il nuovo capo I bis, dedicato appositamente ai mediatori familiari, rinvia per la definizione di uno statuto a successivi provvedimenti regolamentari.

Inserito a pieno titolo tra gli ausiliari del giudice, condivide con le altre figure ora previste, il coordinatore genitoriale, il curatore speciale, il tutore e il curatore del minore,  il delicato compito di supportare l’autorità giudiziaria nel compito fondamentale di creare uno schema di vita della “diversa” famiglia che verrà fuori dalla scissione del vincolo sentimentale/emotivo per tutelare i minori e i soggetti deboli del rapporto, che, considerata la particolare natura del conflitto continueranno ad avere rapporti interdipendenti e continui.

2. La mediazione familiare nel panorama giuridico europeo

Non può non rilevarsi come anche  l’Unione Europea non abbia considerato la necessità di stabilire una norma comunitaria vincolante per gli Stati membri al fine di armonizzare la legislazione in materia di mediazione familiare: in tale contesto europeo un primo cenno alla mediazione è ad opera della Raccomandazione R (98) 1 del 21 gennaio 1998 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che la riconosce quale “metodo appropriato di risoluzione dei conflitti familiari” e la definisce “un procedimento strutturato dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro”.

Si rinvengono riferimenti alla mediazione familiare nella Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, adottata a Strasburgo nel 1996 e ratificata dall’Italia con legge n. 77/2003, all’art. 13, rubricato “Mediazione ed altri metodi di soluzione dei conflitti”, il quale dispone che “Al fine di prevenire o di risolvere i conflitti, e di evitare procedimenti che coinvolgano minori davanti ad un’autorità giudiziaria, le Parti incoraggiano il ricorso alla mediazione e a qualunque altro metodo di soluzione dei conflitti atto a concludere un accordo, nei casi che le Parti riterranno opportuni”.

Rinveniamo in alcuni regolamenti comunitari approvati in materia di diritto di famiglia l’incentivazione alla mediazione familiare come meccanismo di cooperazione transfrontaliera: per es. l’art. 55 del Regolamento 2201/2003 del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, riconoscimento e la esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale; l’art. 55 d del Regolamento 4/2009 del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari. Peraltro, lo stesso Trattato di Lisbona allude all’utilizzo dei metodi alternativi di risoluzione del conflitto nell’art. 65.1. e 65.2, ma uno sviluppo concreto si è avuto solo con la Direttiva 2008/52/CE incentrata, però, sulla mediazione civile e commerciale, che in Italia ha portato all’approvazione del d.lgs. 28/2010.

Gli obiettivi principali perseguiti dalla raccomandazione sono quelli di garantire la tutela dell’interesse del minore e favorire il suo benessere, incentivare l’utilizzo di metodi alternativi di risoluzione delle controversie familiari, nonché promuovere la mediazione familiare all’interno di strutture pubbliche e private garantendone lo svolgimento del procedimento prima, durante o dopo un giudizio[9]. Con la stessa raccomandazione si riconosce il ruolo chiave del mediatore familiare, del quale si coglie la sua funzione di facilitatore della negoziazione tra le parti.[10]

Nell’espletamento della sua attività professionale, egli deve essere neutrale, imparziale e rispettoso della libertà ed autonomia dei soggetti che partecipano al procedimento, in quanto il mediatore familiare non è un giudice e, pertanto, non ha il potere di imporre soluzioni alle parti.

Nell’ipotesi in cui nel corso delle attività di mediazione si renda necessario ricorrere ad ulteriori figure professionali, il mediatore familiare può anche sospendere il procedimento ed inviare le parti ad uno psicologo o psicoterapeuta o ad un avvocato. Lo stesso “dovrà avere più in particolare a cuore l’interesse superiore del fanciullo, dovrà incoraggiare i genitori a concentrarsi sui bisogni del fanciullo e dovrà ricordare ai genitori la loro responsabilità primordiale, trattandosi del benessere dei loro figli e della necessità che essi hanno di informarli e consultarli”[11].

Ulteriori cenni all’istituto della mediazione familiare si rintracciano nella Raccomandazione 1639, del 25 novembre 2003 del Consiglio d’Europa, dove all’art. 1 si afferma che “La mediazione familiare è un procedimento di costruzione e di gestione della vita tra i membri d’una famiglia alla presenza d’un terzo indipendente ed imparziale chiamato mediatore” e che “l’obiettivo della mediazione è di giungere ad una conclusione accettabile per i due soggetti senza discutere in termini di colpa o di responsabilità. L’accordo raggiunto è ritenuto idoneo ad una pacificazione e ad un miglioramento duraturi della relazione tra i coniugi”.

Nello stesso testo si evidenzia l’esigenza dell’ascolto dei soggetti minori al fine di tutelare al meglio i loro diritti, e all’art. 7 della stessa Raccomandazione se ne coglie lo scopo della mediazione familiare, ossia “ristabilire, con l’aiuto di un professionista formato nella mediazione, la carenza di comunicazione tra le parti”.

Nel Piano d’azione del Consiglio e della Commissione Europea del 1998, par. 41, punto c), cui fa riferimento il Libro Verde della Commissione Europea del 19 aprile 2002 sui metodi A.D.R. (Alternative Dispute Resolution) in materia civile e commerciale, la c.d. “mediazione familiare internazionale” viene proposta come metodo alternativo al sistema giudiziario per la composizione dei conflitti familiari transnazionali.

Lo stesso Regolamento CE n. 2201 del 27 novembre 2003, sostituito dal Reg. Ce 1111/2019, sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori all’art. 25 prevede che “Quanto prima possibile e in qualsiasi fase del procedimento, l’autorità̀ giurisdizionale provvede, direttamente o, se del caso, con l’assistenza delle autorità centrali, a invitare le parti a valutare se siano disposte a ricorrere alla mediazione o ad altri mezzi di risoluzione alternativa delle controversie, a meno che ciò non vada contro l’interesse superiore del minore, non sia appropriato nel caso specifico o non ritardi indebitamente il procedimento.” [12]

L’applicazione pratica dell’intervento eurounitario in materia di diritto di famiglia è andata crescendo nel tempo a conferma della aumentata rilevanza delle famiglie transfrontaliere nell’ambito dell’Unione;  sul piano applicativo, infatti, i problemi principali riguardano la possibilità che il contenzioso relativo alla medesima crisi familiare si moltiplichi in più Stati membri diversi, in ragione della diversità dei criteri di collegamento previsti per le controversi matrimoniali e per quelle in materia di responsabilità genitoriale, in mancanza di una norma generale sulla giurisdizione per motivi di connessione. Particolarmente complicata l’esecuzione cross border dei provvedimenti in materia di responsabilità genitoriale, in particolare quelli relativi al ritorno nello Stato di origine di minori sottratti illecitamente[13]; una percentuale di procedimenti per il ritorno di minori sottratti viene definito per via conciliativa.

Ed ancora, la Convenzione sulle relazioni personali che riguardano i fanciulli, firmata il 15 maggio 2003 dal Consiglio d’Europa, all’art. 7 stabilisce che “Quando bisogna risolvere delle controversie in materia di relazioni personali, le autorità giudiziarie devono adottare tutte le misure appropriate per incoraggiare i genitori e le altre persone che hanno dei legami familiari con il fanciullo a raggiungere degli accordi amichevoli a proposito delle relazioni personali con quest’ultimo, in particolare facendo ricorso alla mediazione familiare e ad altri metodi di risoluzione delle controversie”.

3. La mediazione familiare nell’ ordinamento italiano: il rapporto tra consenso delle parti e ruolo del giudice.

In Italia nell’ipotesi di conflitti nati all’interno della “società naturale” le liti vengono nella maggior parte dei casi risolte nelle aule di giustizia, non dando luogo a composizioni strutturate attraverso accordi negoziali, specchio di spontanei contegni attuativi di quel corredo di valori che il diritto vuole trasposti sul piano della vicenda intersoggettiva.

Tuttavia, la giurisdizione e il processo non possono costituire una miracolosa panacea idonea a guarire tutti i mali connessi alla crisi della famiglia. Un’ulteriore considerazione deve essere fatta: il processo – spesso con tempistiche troppo dilatate – è fisiologicamente destinato a concludersi, ma le parti protagoniste del dissidio familiare si trovano a dover affrontare una nuova realtà, dovendo intraprendere un percorso volto, se possibile, a migliorare il rapporto intercorrente tra le stesse, per il corretto mantenimento anche de futuro delle linee programmatiche esplicitate dal giudice, anche nell’ottica di una migliore condivisione della genitorialità. Tutto ciò, dunque, a conferma della necessità di una regolamentazione legislativa che vada da una parte a disincentivare un ricorso giudiziale – inutile e defatigante – e, dall’altra, tracci le linee guida per una migliore coordinazione genitoriale.

La mediazione familiare s’incontra, nei primi  riferimenti  normativi, già nella legge 28 agosto 1997, n. 285 recante “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, di attuazione in Italia della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, che all’art. 4, lett. i), aveva previsto tra i servizi di sostegno alla relazione genitore/figli “i servizi di Mediazione Familiare e di consulenza per le famiglie e i minori al fine del superamento delle difficoltà relazionali”. E con tale connotazione  di misura di benessere sociale, viene ulteriormente prevista sia nella L. n. 328 del 2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali)  che ha previsto l’istituzione di un sistema integrato di servizi sociali che coinvolge gli enti pubblici, ossia Stato, Regioni e Comuni  e i privati, sia nella l. 4 aprile 2001, n. 154 che  inizia a delineare misure contro la violenza nelle relazioni familiari e, in particolari, percorsi di sostegno e accompagnamento nella gestione di conflitti emotivi e personali.[14]

Un riferimento più esplicito alla risoluzione stragiudiziale delle liti familiari e, dunque, alla mediazione familiare, si rinvengono nell’art. 155 sexies c.c. comma 2, c.c., introdotto con la l. 8 febbraio 2006, n. 54 sull’affidamento condiviso dei figli nella crisi genitoriale.

La norma in parola, successivamente abrogata, ma integralmente riprodotta nell’art. 337 octies c.c., anch’esso successivamente abrogato, sanciva che “(…) Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 337 ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli.”

Essa sottopone il ricorso alla mediazione ad un duplice vaglio consistente nella valutazione discrezionale del giudice riguardo alla opportunità di rinviare alla mediazione nel caso concreto e nel necessario consenso delle parti all’istituto stesso.

Il fatto che il consenso debba intendersi come presupposto indefettibile, è facilmente rinvenibile dal dettato dell’art. 24, comma 1, Cost. laddove indica che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” e dal successivo art. 25, comma 1, a mente del quale “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”[15], ove il riferimento è al diritto di azione e di difesa, dovendosi considerare come la materia abbia ad oggetto diritti indisponibili e, per altro verso, sul piano pratico, venendo in rilievo come il buon esito della mediazione sia vincolato allo spontaneo accesso alla procedura.

Un filo rosso collega il tema del consenso alla questione dell’incidenza diretta o indiretta dell’eventuale risultato positivo del procedimento di mediazione nel giudizio.

La normativa de qua, peraltro, non precisa i compiti del giudice, né se questi debba o meno recepire integralmente l’eventuale accordo o se, per converso, debba ad esso riconoscersi un compito valutativo, come rimarcato dalla più autorevole dottrina.[16]

In linea di continuità con i profili di indubbio rilievo pubblicistico correlati alla garanzia della Costituzione, si incontra un limite imposto ai coniugi dall’art. 160 c.c. il quale prevede che: “Gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio”. Ratio della norma è preservare i diritti e gli obblighi nascenti dal matrimonio, con attenzione particolare al dovere di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. che trova applicazione anche per le convivenze more uxorio a norma del comma 36 della l. 20 maggio 2016 n. 76 il quale richiede al fine del riconoscimento dell’esistenza di una convivenza di fatto la sussistenza stabile di “legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale ”, in maniera analoga a quanto stabilito per i soggetti civilmente uniti[17].

La parificazione della condizione del coniuge sposato a quella del partner extramatrimoniale, avvenuta con la cd. l. Cirinnà, pone fine alle questioni sorte in dottrina circa la possibilità di procedere all’applicazione analogica delle disposizioni che governano i rapporti personali tra i coniugi alle convivenze more uxorio.

4.Segue: La mediazione familiare e il percorso negoziale.

La legge delega n. 206 del 2021 ha, inoltre, recepito, le indicazioni della Commissione Luiso, che aveva sottolineato la necessità di estendere l’utilizzo degli strumenti alternativi delle controversie al settore dei conflitti familiari, salvaguardando l’attuazione del principio di bigenitorialità nel contesto della crisi della coppia genitoriale[18], le modalità e i tempi di frequentazione dei figli, il mantenimento diretto della prole, la sorte della casa familiare, la lotta al fenomeno dell’alienazione parentale.

Nell’adempimento del compito affidatole, la Commissione è partita dall’individuazione di quali siano le funzioni che non sono costituzionalmente proprie della magistratura, per individuare possibili aree in cui gli interventi, attualmente affidati alla magistratura, possano essere deferiti ad altri soggetti, liberando quindi la stessa magistratura da compiti non necessari.

Nell’ambito della sua analisi, essa ha equiparato la via giudiziale a quella stragiudiziale, ponendo l’accento proprio sullo scopo che le stesse perseguono: la risoluzione della controversia.

Si è voluto in tal modo ampliare la risposta di giustizia a beneficio degli interessati e della società intera prospettando misure nella direttrice del potenziamento dell’arbitrato, incentivazione del ricorso alla mediazione e alla negoziazione assistita[19].

In particolare, quest’ultimo strumento di ADR è potenziato nell’ambito della materia familiare e dei diritti indisponibili, pur nella consapevolezza, da un lato, che tali diritti non possono essere sottratti al controllo giurisdizionale e dall’altro che i comportamenti che si consumano nella famiglia di fatto sono, di per sé, connotati dall’assenza del crisma della giuridicità e dalla mancanza di coercibilità. Finora non era stata risolta in maniera adeguata la questione della negoziabilità dei diritti in ambito familiare, considerato che l’avvento della negoziazione assistita finalizzata alla separazione e al divorzio convenzionali, nel suo impianto originario, ammetteva a tale procedura le controversie sulla crisi della famiglia, limitatamente alla famiglia fondata sul matrimonio e con l’integrazione, dovuta alla l. n. 76 del 2016, art. 1, co. 24, fondata sulle unioni civili. Era rimasta esclusa la materia della crisi delle relazioni familiari fondate sulla convivenza civile, pur regolate dalla stessa legge Cirinnà[20] e che ora trovano esplicita previsione nell’art. 6, co. 1bis l. 10 novembre 2014, n. 162: la negoziazione assistita cd. familiare può essere conclusa tra i genitori al fine di raggiungere una soluzione consensuale per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento del figli minori nati fuori del matrimoni, nonché per la disciplina delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nati fuori dal matrimonio e per la modifica delle condizioni già determinate, così come può ora esser conclusa “per raggiungere una soluzione consensuale per la determinazione dell’assegno di mantenimento richiesto dal figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente”.

La negoziazione, pertanto, accede ai diritti indisponibili, “con la inevitabile previsione di un divieto di contenuto ma non più di oggetto, sancendo in modo definitivo quel principio che solo poteva intuirsi in alcune disposizioni”[21] e affidando il controllo preventivo agli avvocati che ricevono mandato dalle parti (i genitori) e dal Pubblico Ministero. I difensori tecnici, infatti, oltre a confermare la sottoscrizione dei propri rappresentati, ne assicurano, assumendosene la responsabilità, l’osservanza delle norme imperative, con relativa certificazione.

Non a caso, l’art. 6 co.3, prevede che nell’accordo si dia atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori.

La mediazione familiare anche nella sede negoziale è, da un lato, collegata al mancato tentativo di conciliazione, dall’altra è strumento nelle mani dell’avvocato che cogestisce la fase della negoziazione, delineandosi quale percorso parallelo di supporto ad una corretta soluzione convenzionale che non riguarderà più solo i genitori in conflitto, ma anche tutti i componenti, cioè il minore che, anche in tale sede dovrà essere ascoltato[22] e il maggiorenne non autosufficiente, del quale sembra configurarsi la legittimazione ad agire per la tutela del proprio diritto al mantenimento.

5. La mediazione familiare riformata.

L’eccezionale rilevanza dell’intervento nell’area della giustizia familiare è evidente. Attraverso un confronto tra il testo originario della riforma – il disegno di legge AS 1662 presentato allorquando il Ministro della Giustizia era l’On. Alfonso Bonafede – e il testo finale della legge delega si coglie come il progetto nella sua formulazione originaria conteneva un più ridotto articolato – solo 16 disposizioni – ed era del tutto privo di riferimenti all’area della giustizia familiare e minorile, non prevedendo alcuna disposizione per tale settore.

Nel complessivo intervento di riforma promosso dalla Ministra Cartabia, a seguito delle pressanti richieste provenienti dall’Europa e dalla roadmap tracciata grazie allo stanziamento dei fondi del PNRR, si nota un aspetto di indubbio rilievo giuridico: l’organico della Legge Delega n. 206 del 2021 è costituito da numerose norme precettive non già di delega, ma direttamente applicabili. Tra queste disposizioni, contenute nei commi da 27 a 36 della stessa, a parte due in materia di esecuzione forzata[23] e una in materia di controversie di accertamento dello stato di cittadinanza, tutte le ulteriori disposizioni appartengono all’area della giustizia familiare e minorile.

Sintomatico del fatto che il diritto di famiglia ha rappresentato il settore in cui si è maggiormente avvertita l’esigenza di un intervento immediato[24].

La mediazione familiare è, ora, espressamente prevista come percorso operativo utile a creare delle condizioni favorevoli alla prosecuzione dei rapporti, favorendo l’apertura di un dialogo moderato fra le parti litiganti che consenta di preservare lo svolgimento del ruolo genitoriale.

Tuttavia, al fine di proteggere soggetti deboli della relazione familiare o in caso di interesse pubblico, si pone espressamente un limite all’impiego dello strumento stragiudiziale volto a conciliare o mediare le controversie familiari nei casi in cui si ravvisi la presenza di episodi di violenza di genere o domestica, in aggiunta ai casi in cui siano coinvolti diritti o situazioni indisponibili.[25]

La scelta operata dal legislatore delegante scaturisce dal disposto dell’art. 48 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica[26] :“1 Le parti devono adottare le necessarie misure legislative o di altro tipo per vietare il ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione. 2 Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo destinate a garantire che, se viene inflitto il pagamento di una multa, sia debitamente presa in considerazione la capacità del condannato di adempiere ai propri obblighi finanziari nei confronti della vittima.”.

In coerenza con tale scelta, l’organo giudiziario è chiamato ad effetuare il  preventivo tentativo di mediabilità della lite. Infatti, l’art. 1, co 23, lett. n stabilisce che: “(…) il giudice relatore possa, con esclusione delle fattispecie in cui siano allegate violenze di genere o domestiche, secondo quanto previsto dalla citata Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, invitare le parti ad esperire un tentativo di mediazione familiare; in caso di rifiuto di una delle parti, il giudice pronuncia i provvedimenti temporanei ed urgenti.”  Si coglie il ruolo centrale che il legislatore della riforma ha voluto attribuire al giudice, attraverso un più incisivo esercizio della funzione conciliativa in ambito endoprocessuale con l’adozione di provvedimenti finalizzati a suggerire alle parti di tentare il percorso alternativo al procedimento giurisdizionale.

Qualora, però, nell’espletamento del procedimento di mediazione sorgano episodi di qualsiasi forma e genere di violenza, ai sensi dell’art. 1, co. 23 lett. p) della medesima Legge delega, i mediatori hanno l’obbligo di interrompere la loro opera.[27]

Tale dettato  è stato recepito dal Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 – attuativo della stessa – il quale prevede espressamente con il nuovo art. 473-bis.43 che “È fatto divieto di iniziare il percorso di mediazione  familiare quando è stata pronunciata sentenza di condanna  o  di  applicazione della pena, anche in primo grado, ovvero è pendente un  procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all’articolo  415-bis del codice di procedura penale per le condotte  di  cui  all’articolo 473-bis.40, nonché quando tali condotte  sono  allegate  o  comunque emergono in corso di causa. Il mediatore interrompe immediatamente il percorso di mediazione familiare intrapreso, se nel corso di esso emerge notizia di abusi o violenze.”

Il collegamento tra mediazione familiare e processo emerge, altresì, anche nell’ art. 1, co. 24 lett. i) che, nel prevedere la riorganizzazione ordinamentale del Tribunale della Famiglia stabilisce   “… la possibilità di demandare ai giudici onorari, che integreranno l’ufficio, oltre alle funzioni previste per l’ufficio per il processo presso il tribunale ordinario, funzioni di conciliazione, di informazione sulla mediazione familiare, di ausilio all’ascolto del minore e di sostegno ai minorenni e alle parti, con attribuzione di specifici compiti puntualmente delegati dal magistrato togato assegnatario del procedimento, secondo le competenze previste dalla legislazione vigente.”

La relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n.149 – si è già anticipato – considera la mediazione familiare più che un istituto di risoluzione alternativa della controversia, un percorso veicolato dall’autorità giudiziaria, in quanto la mediazione, anche nell’ipotesi in cui si raggiunga un accordo sui contenuti genitoriali, non risolve di per sé la lite, in quanto non tende alla riconciliazione dei coniugi in crisi. In particolare, per quanto attiene ai provvedimenti riguardanti i figli, essa si propone quale percorso di ristrutturazione e rigenerazione della relazione tra le parti, nella difficile transizione tra la interrotta relazione affettiva e il mantenimento di quella genitoriale.

Pur nella piena volontarietà di tale percorso, il contesto emergente la delinea come strumento che nasce all’interno del processo, similmente alla mediazione delegata prevista dal d.lgs.28/2010.

A tal fine, prendendo a prestito l’esperienza di altri ordinamenti in cui questa pratica si è particolarmente sviluppata, il legislatore interno ha previsto la possibilità che il giudice indichi alle parti di ricevere informazione in via diretta da un mediatore circa le caratteristiche e le modalità di questo percorso.

Nel nuovo rito delle famiglie, il rinvio della pronuncia dei provvedimenti temporanei e urgenti quando le parti raccolgono l’ invito del giudice ad avvalersi della mediazione familiare per tentare di raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figlio ( art. 473 bis.10 c.p.c.) riprende a chiare lettere il contenuto dell’attuale art. 337-octies, secondo comma, c.c. e, dunque, il giudice – vista la manifestazione di volontà delle parti di perseguire la strada della mediazione – ha facoltà di rinviare l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti che pure sarebbe tenuto a emanare. La ratio sottesa alla presente disposizione mira a consentire alle parti interessate alla mediazione di verificare la possibilità di una soluzione bonaria del conflitto, evitando che il nuovo assetto – che diversamente sarebbe stato determinato dal giudice – possa compromettere un nuovo e proficuo dialogo.

Alla luce del quadro normativo fin qui prospettato ed in un momento storico in cui le famiglie risultano tormentate da incertezze, continue pressioni sociali, difficoltà economiche occorre privilegiare modelli volti a prevenire i conflitti familiari fornendo validi strumenti che fungano da ausilio per i coniugi finalizzati alla gestione autonoma delle avversità originate da separazioni e distacchi, evitando quanto più possibile il ricorso alle procedure giudiziarie che, per contro, perpetrando inevitabilmente le sofferenze.

In un contesto familiare dove vi sono figli minori la regolamentazione delle relazioni tra genitori si deve inquadrare in una logica di responsabilizzazione e di riassetto della vita familiare ove il fine prioritario è quello della tutela dell’interesse della prole. Per incoraggiare le parti a seguire tale percorso la nuova normativa, non a caso, prevede che il presidente, nel fissare l’udienza di comparizione, indichi alle parti la possibilità di avvalersi della mediazione familiare (art. 473 – bis 14).[28]

6. Verso una definizione di “mediazione familiare” quale percorso endoprocessuale

Il processo di privatizzazione dei legami familiari che segue l’evoluzione sociale di tali relazioni, in realtà, non conduce all’abbandono della centralità della giurisdizione[29] come modalità di soluzione delle controversie, ma affida un ruolo ancora più attivo al giudice della famiglia in crisi,  considerato che dovrà esercitare poteri variamente declinati a seconda delle domande che dovrà affrontare. Il legislatore, infatti, gli consegna un compito fondamentale, cioè quello di creare uno schema di vita della famiglia che verrà, dopo la separazione o dopo il divorzio o dopo l’evento che chiude il ciclo affettivo/ sentimentale, per tutelare i soggetti minori e deboli del rapporto.

Sembra semplicistico, quindi, ricondurre l’ambito della mediazione familiare alla degiurisdizionalizzazione delle controversie familiari: tale istituto certamente restituisce alle parti un ruolo chiave nella composizione della lite ricostruendo il consenso, ma nel nostro ordinamento è evidente la liason con l’organo giurisdizionale.[30]

E tale prevalenza rispetto alle scelte autoregolative nella gestione della crisi della famiglia e sovraordinate rispetto al naturale sostrato giurisdizionale è più evidente nella negoziazione assistita che, non a caso, però sospinge il necessario intervento legale ad incentivare l’accesso all’istituto della mediazione familiare ( v. art. 6 d.l. 132/2014, novato dall’art. 1, co. 23 lett. f, n, p dalla l. 206/2021, nonché in sede attuativi dall’art. 1, co. 5 lett a  d. lgs. 149/2022 con riferimento all’integrazione dell’art 337 -ter co. 2 c.c.)[31] e a perseguire interessi di natura pubblicistica di cui si fa custode l’avvocato stesso.[32]

In particolare, ciò emerge nell’art. 337 ter, co. 2, c.c. in cui si prevede che il giudice – chiamato a pronunciarsi sull’affidamento ( condiviso o esclusivo) dei figli, a decidere in merito ai tempi e alle modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore nonché alla misura e modalità di adempimento degli obblighi di mantenimento, cura, educazione ed istruzione gravanti su ciascun genitore – deve prendere atto, se non contrari agli interessi dei figli, degli accordi intervenuti fra i genitori “ in particolare qualora raggiunti all’esito di un percorso di mediazione familiare”. La portata effettiva della norma sembrerebbe attuarsi solo nel contesto di un procedimento contenzioso, nel quale si esclude un accordo ab origine completo dei genitori in merito a tutti gli aspetti ( patrimoniali e non patrimoniali) del loro rapporto con i figli e agli aspetti patrimoniali dei loro rapporti reciproci; ora, tale accordo potrebbe completarsi nel corso del procedimento in esito ad un percorso di mediazione che si svolge in parallelo al procedimento giurisdizionale e la norma sembra suggerire come tale accordo sarà maggiormente meritevole di considerazione proprio perché raggiunto[33] in esito ad un percorso di mediazione familiare.

7. L’assenza di uno statuto del mediatore familiare.

L’art. 473 –bis 10 c.p.c. prevede, come norma di carattere generale, che il giudice in ogni momento possa informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi ad un mediatore scelto fra le persone inserite nell’elenco di cui all’art. 12 – bis disp. att. c.p.c. “ per ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo”.

Tale favor per la mediazione ha comportato la previsione, finalmente esplicita, della predisposizione dell’elenco dei mediatori familiari, al quale possono chiedere l’iscrizione – ai sensi dell’art. 12 – quater, co. 1, disp. att. c.p.c.  “ coloro che sono iscritti da almeno cinque anni a una delle associazioni professionali di mediatori familiari inserite nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, sono forniti di adeguata formazione e di specifica competenza nella disciplina giuridica della famiglia nonché in materia di tutela dei minori e di violenza domestica e di genere e sono di condotta morale specchiata. L’attività professionale del mediatore familiare, la sua formazione, le regole deontologiche e le tariffe applicabili saranno regolate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell’economia (art. 12 – sexies disp. att. c.p.c.).

In assenza di una normativa regolamentare sugli aspetti testé citati non si può non rilevare che l’inserimento dei mediatori tra gli esperti e gli ausiliari del giudice permette di allargare ad essi le specifiche previsioni previsti per questi ultimi (artt. 61 ss. c.p.c.); ulteriori elementi possono essere tratti dalle norme in tema di mediazione civile e commerciale, senza poi considerare che le associazioni già operanti sul territorio si sono dotate di un codice deontologico.

La corretta conduzione delle sessioni di mediazioni familiare – in cui il professionista lascia ampio spazio all’autodeterminazione delle parti, aiutando le stesse a staccarsi dai sentimenti negativi collegati alla separazione della coppia, facendoli divenire marginali rispetto alla possibilità di ristabilire un sano equilibrio di gestione della vita familiare – e motivandole a formulare delle soluzioni adeguate alla gestione della cogenitorialità, presuppone la neutralità e imparzialità del mediatore, nonché il pieno rispetto del dovere di riservatezza – riguardo alle informazioni confidenziali che lo stesso riceve dalla coppia nel corso delle sedute di mediazione – fatta eccezione per i casi previsi dalle norme del codice di procedura penale che disciplinano il segreto professionale.[34]

In particolare, possiamo distinguere tra riservatezza “esterna” e riservatezza “interna”; nel primo senso, essa si risolve nel divieto di riferire a chicchessia e in qualsiasi sede e luogo notizie riguardanti l’attività svolta dinanzi al mediatore, nonché nell’inutilizzabilità in sede processuale delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite in sede stragiudiziale. Nel secondo senso, essa grava sul mediatore in sede di ascolto delle parti in eventuali sessioni separate e, in caso di violazione, in assenza di norme espresse, potrebbe integrare una violazione del rapporto contrattuale instaurato con l’organismo di mediazione, nonché esporre il mediatore all’azione risarcitoria delle parti.[35]

Difatti, il controllo delle emozioni e la gestione degli effetti che scaturiscono dalle stesse è uno degli obiettivi principali che si persegue attraverso il percorso di mediazione familiare. Compito del mediatore è quello di creare un setting facilitante e condurre le parti a proporre opzioni e soluzioni.

Egli deve essere dotato di conoscenze e competenze nel settore delle tecniche di mediazione e comunicazione e deve manifestare una chiara attitudine a gestire la relazione tra i soggetti litiganti, facilitandone il dialogo e accompagnandoli verso la definizione di un accordo condiviso che favorisca il mantenimento della comune responsabilità genitoriale anche dopo la cessazione del rapporto interpersonale.

Per perseguire tali finalità, il suo bagaglio deve contenere nozioni di psicologia dell’età evolutiva, della coppia e della famiglia, o meglio si ritiene più opportuno parlare di “famiglie”[36]. Deve conoscere bene gli istituti giuridici della famiglia, con particolare riferimento al matrimonio, minore, separazione e divorzio, ma deve essere in grado di dimostrare una conoscenza anche in materia economica e fiscale, al fine di aiutare i litiganti a riorganizzare l’assetto familiare.[37]

La preparazione teorica acquisita mediante il percorso di studio personale deve necessariamente essere abbinata alla conoscenza pratica che viene ad essere acquisita mediante sessioni di training effettuate presso centri pubblici o privati. La grande sfida è, ora, quella di garantire una formazione adeguata e permanente di queste figure di specialisti, al fine di offrire un effettivo ausilio al sistema giustizia.

*Carmela Perago è autrice dei paragrafi 1-4

*Alessia Albanese è autrice dei paragrafi 5-7.

[1] In tal senso v., nel contesto spagnolo, le riflessioni di J.C. Ortiz Pradillo, Estudio sistematico de la Mediacion Familiar: Propuestas de Actualizacion y Mejora, Edciones Parlamentarias de Castilla – La Mancha, 2016, 24 ss.; G. Serrano, Perception y Conflicto, in AA.VV., Mediacion: un Metodo de? Conflictos, Madrid, 2010, 41; Utrera Gutierrez, La Ley 5/2012 de mediacion en asuntos civiles y mercantiles y su incidencia en los procesos de familia, Diario La Ley, num. 7996, de 8 de Enero de 2013.

[2] Nonché Cass. 2 settembre 2022 n. 25925, in www.osservatoriofamiglia.it.

[3] Come sembra deporre lo stesso decreto attuativo 149/2022: nella Relazione illustrativa, infatti, si precisa che “La mediazione familiare, valorizzata dalla legge delega, non costituisce propriamente un istituto di risoluzione alternativa della controversia, perché la mediazione, anche quando produce un accordo, non risolve di per sé la lite, essendo sempre necessario un ulteriore momento più specificamente giuridico-formale. In particolare, con riferimento alle ipotesi in cui si tratta di provvedimenti riguardanti i figli, essa si propone come un percorso di ristrutturazione e rigenerazione della relazione tra le parti, nella difficile transizione tra la relazione affettiva e il mantenimento di quella genitoriale. È in questo quadro psicologico e comunicativo che interviene l’assistenza di un terzo professionista, il mediatore, che svolge la sua opera con strumenti che non sono puramente giuridici, in un contesto qualificato, o setting, che non faccia percepire alle parti la tensione agonistica e avversariale del processo, ma semmai rafforzi in loro la capacità comunicativa e di confronto e con essa il proposito di mettersi d’accordo. Di qui una serie di peculiarità che deve rispettare la disciplina giuridica di questo istituto, che presenta caratteristiche al contempo endoprocessuali ma anche extraprocessuali”. Nel senso dell’inserimento nelle ADR, v. B. Poliseno, Le Adr in materia familiare, in La riforma della giustizia civile. Prospettive di attuazione della L. 26 novembre 2021 n. 206, a cura di G. Costantino, Bari, 2022, 285 ss.; nonché D. NOVIELLO, La mediazione familiare indotta dal giudice, in La riforma del processo e del giudice per le persone, per i minorenni e per le famiglie, a cura di C. CECCHELLA, Torino, 2023, 77 ss., che ne accentua gli aspetti della delegabilità; A. CARRATTA, Le riforme del processo civile, Torino, 2023, 144-145. L’art. 1, l. 206/2021 affida ai decreti delegati il compito di potenziare la formazione e le specifiche competenze del mediatore familiare nella disciplina giuridica della famiglia e in materia di tutela dei minori e di violenza contro le donne nonché violenza domestica (e che sia contemplato l’obbligo di interrompere la propria opera a fronte di qualsiasi forma di violenza), e di contemplare le regole deontologiche e le tariffe applicabili, secondo quanto previsto dalla l. 14 gennaio 2013, n. 4 (per le professioni non organizzate). La delega prevede altresì l’istituzione presso ciascun tribunale di un elenco, attraverso il quale le parti possano scegliere il mediatore familiare tra quelli iscritti presso le associazioni del settore, secondo quanto disciplinato dalla l. 4/13 cit. (comma 23, lett. o e p).

[4] C. M. BIANCA, La famiglia, Milano 2005, 203; F. TOMMASEO, Lo scioglimento del matrimonio, in Il Codice Civile. Commentario, diretto da P. SCHLESINGER, Lo scioglimento del matrimonio a cura di G. BONILINI e F. TOMMASEO, 2ª ed., Milano 2004, 340; G. FERRANDO, Autonomia privata e mediazione familiare, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale fondata da W. BIGIAVI, Separazione e divorzio a cura di G. FERRANDO, I, Torino 2003, 560 ss.; L. BASILE, La mediazione nelle controversie coniugali sugli effetti della separazione e del divorzio, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. ZATTI, I. Famiglia e matrimonio a cura di G .FERRANDO, M. FORTINO e F. RUSCELLO, t. 2, Milano 2002, 1483 ss.; M. DOGLIOTTI, I procedimenti di separazione e divorzio, in Il nuovo diritto di famiglia diretto da G. FERRANDO, I. Matrimonio, separazione e divorzio a cura di G. FERRANDO, Bologna 2007, 1064 ss.; ID., La mediazione familiare: un dibattito ancora attuale, in Fam. dir., 1996, 766 ss.; P. RESCIGNO, Interessi e conflitti nella famiglia: l’istituto della «mediazione familiare », in Giur. it., 1995, IV, 73 ss.

[5] In quanto in essa confluiscono elementi di svariate discipline: il diritto, la sociologia, l’economia, la biologia, l’antropologia, la storia, la filosofia, la religione, la pedagogia e la psicologia. In questo senso cfr. L. PARKINSON, La mediazione familiare. Modelli e strategie operative, Trento, 2009, 85.

[6] Nel senso di negozio extraprocessuale di tipo conciliativo, v. M. ROMANO, in Provvedimenti riguardo ai figli. Art. 155-155-sexies a cura di S. PATTI e L. ROSSI CARLEO, in Commentario del codice civile a cura di A. SCIALOJA e G. BRANCA, Bologna-Roma 2010, sub art. 155-sexies, 378 ss., specialmente 380; ID., La mediazione familiare tra tentativi di valorizzazione e difficoltà operative, in Familia, 2008, 108 ss.

[7]  V. ampiamente, B. POLISENO, Profili di tutela del minore nel processo civile, Napoli, 2017, 145 ss.

[8] Così M. MALAGOLI TOGLIATTI, La mediazione familiare e altri metodi di aiuto alla risoluzione della coppia in crisi, in “Servizi sociali”, 1996, n.5-6, pag. 105. Lo statuto dell’A.I.Me.F. (Associazione Italiana Mediatori Familiari) definisce, invece, mediazione familiare “la mediazione di questioni familiari, includendovi rapporti tra persone sposate e non (conviventi more uxorio, genitori non coniugati), con lo scopo di facilitare la soluzione di liti riguardanti questioni relazionali e/o organizzative concrete, prima, durante e/o dopo il passaggio in giudicato di sentenze relative tra l’altro a: dissoluzione del rapporto coniugale; divisione delle proprietà comuni; assegno di mantenimento al coniuge debole o gli alimenti; responsabilità genitoriale esclusiva o condivisa (potestà genitoriale); residenza principale dei figli; visite ai minori da parte del genitore non affidatario, che implicano la considerazione di fattori emotivo-relazionali, con implicazioni legali, economiche e fiscali. La mediazione familiare richiede un periodo di sospensione delle cause eventualmente in atto”. Ed ancora, la S.I.Me.F. (Società Italiana di Mediazione Familiare), formulando una nozione di mediazione familiare, ritiene che essa si manifesti quale “percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione o al divorzio: in un contesto strutturato, un terzo neutrale e con formazione specifica (il mediatore familiare appunto), sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale”.

Nel progetto della Carta europea sulla formazione dei mediatori familiari dell’A.P.M.F. (Association pour la Promotion de la Médiation Familiale) viene definita come “un processo nel quale un terzo neutrale e qualificato, il mediatore, è sollecitato dalle parti per ridurre gli aspetti distruttivi del conflitto, che disturbano la comunicazione. La mediazione opera per il riequilibrio della comunicazione tra i coniugi per raggiungere un obiettivo concreto: l’elaborazione autonoma di un progetto di riorganizzazione delle relazioni che tenga conto dei bisogni di ciascun elemento della famiglia, particolarmente dei figli, e che possa funzionare a lungo termine, nel rispetto del quadro legale esistente.”

La mancanza, allo stato ,della regolamentazione ha favorito l’affermarsi nella pratica di diversi approcci metodologici sostanzialmente riconducibili a due modelli di base: la mediazione globale, che viene svolta da un mediatore che è in grado, per la formazione che ha ricevuto, di affrontare la riorganizzazione familiare sotto tutti i profili, anche patrimoniali, e la mediazione parziale, che, invece, tratta soltanto le questioni genitoriali focalizzando l’attenzione sugli aspetti psicologico-relazionali. La mediazione familiare si articola, in genere, in un percorso di circa 10-12 sedute basato sulla comunicazione, sull’ascolto e sulla collaborazione dei soggetti litiganti, volto a ripristinare il dialogo tra genitori coniugati o conviventi more uxorio la cui relazione è entrata in crisi a seguito di uno o più eventi traumatici, quali ad esempio lutto, malattia, perdita del lavoro, stress acuto, ed ancora, incapacità di comunicazione e difficoltà di relazione, alta conflittualità, tradimento, aspettative disattese e influenza delle famiglie d’origine. Per ulteriori approfondimenti si rinvia a V. DI GREGORIO, La mediazione familiare nel diritto di famiglia riformato, in Pol. dir., 2017, 618 ss.; D. AMRAM, In familia respondere. La famiglia alla prova della solidarietà e del principio di responsabilizzazione. Contributo ad una ricostruzione sistematica. Torino, 2020, 161 ss.

[9] Sul punto Cfr. A. D’ ANGELO, Un contributo per un approccio giuridico allo studio della mediazione familiare, in Familia, 2004, 533

[10] La sensibilità dell’Europa verso la mediazione in genere ha portato all’applicazione del Regolamento (UE, Euratom) 2021/1163 del Parlamento europeo del 24 giugno 2021 che fissa lo statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni del Mediatore (statuto del Mediatore europeo) e che abroga la decisione 94/262/CECA, CE, Euratom. Sul punto v. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32021R1163

[11] V. Principio III (VIII) della Raccomandazione R (98) 1 del 21 gennaio 1998 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

[12] V. M. A. LUPOI, Il regolamento (UE) n. 2019/1111 in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale: un passo avanti e uno (forse) indietro?, in AA. VV. Tutela giurisdizionale e giusto processo. Scritti in memoria di F. Cipriani, Napoli, 2020, 2207 ss.,

[13] L. CARPANETO, La ricerca di una (nuova) sintesi tra interesse superiore del minore “in astratto” e “in concreto” nella riforma del regolamento Bruxelles II – bis, in Riv. dir. int. priv.proc.,2018, 974; M. C. BARUFFI, A child-friendly area of freedom, security and justice: work in progress in international childs abduction cases, in Jour.priv.int.law, 2018, 415.

[14] La legge n. 112 del 2011, istitutiva dell’Autorità garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, fa rientrare tra i compiti dell’Authority anche quello di favorire la diffusione della cultura della mediazione e degli istituti volti a prevenire o a risolvere mediante accordi i conflitti che coinvolgano i minori, stimolando la formazione degli operatori del settore.  In materia di contrasto alla violenza di genere la l. 69/2019 ( c.d. codice rosso) che ha rafforzato le tutele processuali delle vittime di reati violenti, con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale e domestica. Una estensione delle tutele per le vittime di violenza domestica e di genere è stata prevista anche dalla legge n. 134 del 2021, di riforma del processo penale, mentre la legge n. 53 del 2022 ne ha potenziato la raccolta di dati statistici su tale triste fenomeno. Non hanno invece terminato il loro iter parlamentare il disegno di legge che il Governo aveva presentato al Senato (A.S. 2530) volto a rafforzare la prevenzione e il contrasto del fenomeno della violenza nei confronti delle donne, e una proposta di legge, già approvata dalla Camera, volta a concedere il permesso di soggiorno alle vittime del reato di costrizione o induzione al matrimonio (A.S. 2577). Sempre al Senato, infine, è stata istituita la Commissione d’inchiesta monocamerale sul femminicidio. In tema, v. A.R.  EREMITA, Ordini di protezione familiare e processo civile, Napoli, 2019.

[15] In tal senso v. P. SCHLESINGER, L’affidamento condiviso è diventato legge! Provvedimento di particolare importanza, purtroppo con inconvenienti di rilievo, in Corr. giur., 2006, 301 ss.

[16] Per S. CANATA, La proiezione diacronica del conflitto e i poteri del giudice nella nuova mediazione delegata, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2014, 236, il vuoto legislativo sarebbe da attribuire alla diffidenza del legislatore nei confronti della mediazione familiare; D. NOVIELLO, cit., 77 ss.

[17] Per i soggetti civilmente uniti si applica il comma 11 della legge 20 maggio 2016 n.76 il quale prevede: “Con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni.”

[18] Ci si riferisce a mediazione familiare e coordinazione genitoriale.

[19] Per quanto attiene la negoziazione assistita a titolo esemplificativo si rinvia a: M. BOVE, Vie stragiudiziali per separazione e divorzio, in Riv. Dir. Civ., 2017, 899 ss.; A. CARRATTA, Negoziazione assistita in materia matrimoniale e disciplina generale: problemi applicativi, in Negoziazione assistita nella separazione e nel divorzio, a cura di RUO, Bologna, 2016, 49 ss; ID., Le nuove procedure negoziali e stragiudiziali in materia matrimoniale, in Giur.it, 2015, 1290; C. CECCHELLA, La negoziazione dei diritti del minore, in Scritti offerti dagli allievi a Francesco Paolo Luiso per il suo sessantesimo compleanno, a cura di M. BOVE, Torino, 2017 pp. 155 ss.; E. D’ALESSANDRO, La negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, in Fam. Dir., 2014, 952 ss.; A. GRAZIOSI, Media-conciliazione e negoziazione assistita: limiti o incentivi alla deflazione del contenzioso civile, in Riv. trim. dir. Proc. Civ., 2019, 37 ss.; Id., Osservazioni perplesse sulle ultime stravaganti riforme processuali in materia di famiglia, in Scritti in onore di Nicola Picardi, a cura di A. BRIGUGLIO, R. MARTINO, A. PANZAROLA, B. SASSANI, Pisa, 2016, 1353 ss.; F. P. LUISO, Le disposizioni in materia di separazione e divorzio, in F. P. Luiso (a cura di), Processo civile efficiente e riduzioni dell’arretrato, Torino, 2014, 33.

[20] Sul tema v., da ultimo, R. LOMBARDI, La negoziazione assistita nella riforma della giustizia della famiglia, in Dir. fam. e pers., 2022, 305; M. A. LUPOI, Strumenti degiurisdizionalizzati per la risoluzione delle crisi coniugali o post-coniugali,in Le tutele legali nelle crisi di famiglia,  a cura di Lupoi, Santarcangelo di Romagna, 2018, 453 ss.; F. DANOVI, Il processo per separazione e divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2015, 867 ss.; cfr. anche S. CHIARLONI, Fuori dal processo: trasferimento in arbitrato, negoziazione assistita e accordi sul matrimonio, in Giur. it., 2015, V, 1259; D. DALFINO, La procedura di negoziazione assistita di due o più avvocati, in www. treccani.it; M. SESTA, Negoziazione assistita e obbligo di mantenimento nella crisi della coppia, in Fam. dir., 2015, 295; F. TOMMASEO, La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, in Fam. dir., 2015, 157; B. POLISENO, La convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione e divorzio, in Foro. it., 2015, V, 34 ss.; A. CARRATTA, Le nuove procedure negoziate e stragiudiziali in materia matrimoniale, in Giur. it., 2015, V, 1287; E. D’ALESSANDRO, La negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio, in Giur. it., 2015, V, 1278; G. TRISORIO LIUZZI, Le procedure di negoziazione assistita, in Il giusto processo civile, 2015, 23 ss.; M. A. LUPOI, Separazione e divorzio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 283; A. PROTO PISANI, Diritti sostanziali e processo nella evoluzione delle relazioni familiari, in Foro it., 2015, V, 124; A. GRAZIOSI, Osservazioni perplesse sulle ultime stravaganti riforme processuali in materia di famiglia, in Fam. dir., 2015, 1111; G. A. PARINI, La negoziazione assistita da avvocati, Torino, 2017, 111; F. P. LUISO, Le disposizioni in materia di separazione e divorzio, in Processo civile efficiente e riduzione dell’arretrato, a cura F. P. LUISO, Torino, 2014, 33.

[21] Così, C. CECCHELLA, La negoziazione dei diritti del minore, cit., 149.

[22] Le necessità dell’ascolto del minore in sede di negoziazione assistita ha comportato la modifica dell’art. 6, comma 2; sul punto v. R. LOMBARDI, op. cit., 329-332.

[23] Il riferimento è al comma 29 della Legge Delega n. 206 del 2021 che interviene sull’art. 26- bis c.p.c. e il comma 32 che interviene sull’art. 543 c.p.c.

[24] Per una trattazione più esaustiva sul Tribunale della famiglia si rinvia a B. POLISENO, cit., nonché a C. CECCHELLA ( a cura) La riforma del  processo del giudice per le persone, cit.;  F. DANOVI, Il nuovo rito delle relazioni familiari, in Famiglia e Diritto, n. 8-9, 1 agosto 2022, p. 837; ed ancora sempre F. DANOVI, Le ragioni per una riforma della giustizia familiare e minorile, in Famiglia e Diritto, n. 4,  323; v., ex multis E. VULLO, Nuove norme per i giudizi di separazione e divorzio, in Famiglia e Diritto, n. 4, 1 aprile 2022, p. 357; A. CARRATTA, Un nuovo processo di cognizione per la giustizia familiare e minorile, in Famiglia e Diritto, n. 4, 1 aprile 2022, p. 349;

[25] Superando il contrastato ddl Pillon secondo il quale il bambino – anche se vittima di violenza – poteva  incontrare il genitore violento o maltrattante, al fine di veder garantita una doppia genitorialità. Inoltre, l’art. 14 del ddl rendeva impossibile per le vittime di violenza, che fossero genitore o figlio, fuggire dal luogo in cui si era verificata la violenza per trovare protezione e sicurezza. Sebbene apprezzabile l’intento di introdurre di introdurre una disciplina organica in materia di mediazione familiare, i profili già evidenziati, fortemente discutibili ne hanno determinato la bocciatura.

Evidente il contrasto con la Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia il 10 Settembre 2013, considerata l’assenza di indicazioni circa gli strumenti, modalità e procedure a disposizione del mediatore per prevenire o risolvere situazioni di violenza presente in una coppia/famiglia e individuando un limite alla possibilità per il professionista di gestire situazioni di pericolo reale per l’integrità fisica delle persone coinvolte.

[26] La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica è stata siglata ad Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata dallo Stato italiano con legge 27 giugno 2013, n.77 che sancisce il divieto di “ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, inclusa la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione”. In particolare, si prevede: che il giudice non possa procedere al tentativo di conciliazione qualora sia allegata una qualunque forma di violenza prevista dalla citata Convenzione (art. 1, 23° comma lett. m); che nel caso in cui risulti (dagli atti introduttivi) che una delle parti sia stata resa destinataria di condanna, anche non definitiva, ovvero di provvedimenti cautelari civili o penali per fatti di reato di cui agli artt. 33 e ss. della citata Convenzione, il decreto di fissazione della prima udienza dinanzi al giudice designato per la trattazione della causa non debba contenere l’informazione (necessaria in tutti gli altri casi) della possibilità di ricorrere ad un procedimento di mediazione (art. 1, 23° comma, lett. f); che nelle controversie in cui siano allegate violenze di genere o domestiche ai sensi della Convenzione il giudice relatore non possa invitare le parti ad esperire un procedimento di mediazione (dall’art. 1, 23° comma, lett. n.)

[27] Si ritiene che le disposizioni dettate per il vaglio di mediabilità delle controversie familiari debbano essere estese anche in materia di conciliazione giudiziale. Sul punto cfr. D. NOVIELLO, La mediazione familiare nella delega per la riforma del processo civile (l. 26 novembre 2021, n. 206), in Scritti in onore di B. SASSANI, tomo II a cura di R. TISCINI e F. P. LUISO, Pisa, 2022, pag.1565 ss.

[28] F. TOMMASEO, Nuove regole per i giudizi di separazione e divorzio, in Famiglia e Diritto, 2023, 288 ss.

[29] Sul punto vedi G. TARELLO, in Dottrine del processo civile. Studi storici sulla formazione del diritto processuale civile, a cura di R. GUASTI e G. REBUFFA, Bologna, 1989.

[30] Cfr. G. IMPAGNATIELLO, La mediazione familiare nel tempo della “mediazione finalizzata alla conciliazione” civile e commerciale, in Fam. e dir., 2011, 526 ss.

[31] A. SPADAFORA, La “nuova” autonomia privata familiare tra norma sostanziale e norma processuale, in Famiglia e diritto, 2023, n. 2, 177.

[32] D. D’ADAMO, La riforma della mediazione familiare, in Fam.  e dir., 2022, 390 ss.

[33] Particolarmente critico sul punto G. DE CRISTOFARO, Le modificazioni apportate al codice civile dal decreto legislativo attuativo della ‘Legge Cartabia’ (D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149). Profili problematici delle novità introdotte nella disciplina delle relazioni familiari,in Le nuove leggi civili commentate, 2022, 1407 ss.

[34] Il dovere di riservatezza e del segreto professionale si rintraccia in materia di mediazione conciliativa civile e

commerciale nel d. lgs. n. 28/2010, artt. 3, 9 e 10. Sui principi cardine della mediazione familiare, v. per tutti, HAYNES e J. M. BUZZI, Introduzione alla mediazione familiare. Principi fondamentali e sua applicazione, Milano, 1996; L. LAURENT-BOYER (a cura di), La mediazione familiare, Napoli, 2000.

[35] Così D. DALFINO, La mediazione in materia civile e commerciale, in Trattato di diritto dell’arbitrato, a cura di D. MANTUCCI, XIV, 2021, 123-127; ID., Mediazione civile e commerciale, in Commentario del codice di procedura civile, fondato da S. CHIARLONI, Bologna, 2022.

[36] Cfr. Le “nuove famiglie” e la parificazione degli status di filiazione ad opera della l. 219/2012, Atti dei Convegni tenutisi a Milano il 7 marzo 2014, a Bolzano il 21 marzo 2014, e a Salerno il 13 giugno 2014, in I Quaderni della Fondazione italiana per il Notariato, Milano, 2015.

[37] Cfr. COMMISSION EUROPEENNE POUR L’EFFICACITE DE LA JUSTICE (CEPEJ), Lignes directrices sur la conception et le suivi des programmes de formation à la médiation- Boîte à outils pour le développement de la médiation Assurer la mise en œuvre des lignes directrices de la CEPEJ sur la médiation, 14 giugno 2019; nonché la Carta europea sulla formazione dei mediatori familiari del 1992 (parte prima, art. 2) elaborata e patrocinata dall’A.P.M.F. (Association Pour la promotion de la Médiation Familiale), associazione privata francese che nel 1990 ha organizzato a Caen il primo Congresso europeo sulla mediazione familiare, sede in cui fu presentato il primo codice deontologico dei mediatori familiari. In Italia le principali associazioni di mediatori familiari, tra le quali si sono dotate di un proprio codice deontologico professionale per i mediatori ad esse iscritti.