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Diniego di tutela giurisdizionale e poteri delle Sezioni Unite alla luce del diritto unitario europeo. Riflessioni a caldo su una decisione annunciata.
Di Bruno Sassani, Beatrice De Santis -
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, 21 dicembre 2021 in C-497/20 Randstad Italia (decisione sul rinvio pregiudiziale delle Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione della Repubblica Italiana con ord. n. 19598/2020)
«Il diritto dell’Unione non osta a che l’organo giurisdizionale supremo di uno Stato membro non possa annullare una sentenza pronunciata in violazione di tale diritto dal supremo organo della giustizia amministrativa di detto Stato membro»
La guerra lanciata nell’agone europeo dalle Sezioni Unite si è conclusa.
Dopo aver sfidato la Corte costituzionale (ed esserne uscite malconce), le Sezioni Unite avevano, con il noto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia operato dall’ordinanza n. 19598/2020,[1] trascinato la Corte di Giustizia nella querelle sugli esatti confini da riconoscere all’art. 111 comma 8 Cost., e sulla connessa problematica delle condizioni in presenza delle quali deve essere riconosciuto alla Cassazione il potere di sindacare le sentenze del Consiglio di Stato. Lungi dal sopire gli animi, la sentenza della Corte costituzionale n. 6/2018 li aveva invece rianimati al punto di permettere ad una problematica tradizionalmente interna di varcare i confini nazionali, e di approdare a Lussemburgo.
Con il rinvio pregiudiziale al giudice dell’Unione, le SU avevano chiesto di chiarire se una prassi del Consiglio di Stato lesiva del diritto dell’UE, possa essere controllata e repressa dalla Corte di cassazione, mediante il grimaldello offerto dal comma 8 dell’art. 111 Cost. E ciò in aperta opposizione alla Consulta che aveva ribadito l’invalicabilità del limite posto alle giurisdizioni e la impraticabilità della nozione “allargata” di giurisdizione invocata dalla Cassazione. Il caso delle Sezioni Unite si potrebbe dire una sorta di “caso Taricco” all’inverso: mentre in quest’ultimo alla Corte costituzionale veniva richiesta, in sostanza, l’autorizzazione a “disobbedire” alla Corte di Giustizia, nell’ordinanza delle SU alla Corte di Giustizia viene chiesta una sorta di autorizzazione a “disobbedire” alla Corte costituzionale.[2] Tutto questo col (dichiarato) fine di ergersi a giudice di ultima istanza del diritto di accesso, un diritto evidentemente eccedente i confini della giurisdizione amministrativa, sorretto dall’intento di evitare la formazione di un giudicato nazionale in contrasto con il diritto europeo.[3]
La pronuncia della CG è stata preceduta dalle Conclusioni dell’Avvocato Generale[4] che hanno calato nel contesto più ampio dell’Ordinamento dell’Unione la linea già prescelta dalla Corte costituzionale: sarà anche vero – dice l’AG – che l’esclusione del diritto di agire pronunciata dal Consiglio di Stato è contraria al diritto europeo, ma se il sistema (nazionale) consente al Consiglio di Stato di decidere (anche male, o malissimo) sul punto, non viola certo il diritto dell’Unione un situazione in cui non è permesso ad altro organo di vertice nazionale di annullare quella decisione per ripristinare il diritto dell’Unione. Non è quindi compito dell’organo che presiede a questo diritto imbarcarsi in una ricostruzione di tematiche nazionali sulle possibilità di giungere in via interpretativa alla conclusione opposta. Il parere si conclude quindi nel senso della risposta negativa ai quesiti posti dalle SU.
Pur allineandosi con le SU sull’erroneità dell’esclusione del ricorrente operata dal Consiglio di Stato,[5] l’Avvocato Generale aveva ribadito che l’art. 47 della Carta di Nizza “non impone un doppio grado di giudizio” garantendo il principio della tutela giurisdizionale il diritto di accesso “soltanto ad un giudice”.[6] Ne consegue che né la Direttiva n. 89/665, né l’art. 47 della Carta giustificano l’interpretazione della necessità di ulteriori gradi di giudizio per rimediare all’eventuale erronea applicazione di dette norme da parte del giudice nazionale. Diversamente – aggiungeva l’AG – si corre il rischio di giustificare prassi idonee a moltiplicare i gradi di giudizio dando vita ad un circolo vizioso in contrasto coi principi di certezza e stabilità del diritto.[7] Si trattava, di una aperta sconfessione dell’idea che l’art. 111 c. 8 della Costituzione italiana conferisca rilevanza eurounitaria al ruolo di garante del diritto di accesso alla giurisdizione rivendicato per sé dalla Corte di cassazione.[8].
2. La sconfessione tanto chiaramente delineata nelle Conclusioni dell’AG,[9] torna nella sentenza della Corte di Giustizia che ha deciso a stretto giro rispetto al deposito. Alla richiesta se il diritto dell’Unione osti a una disposizione di diritto interno che, secondo la giurisprudenza nazionale, non consente al singolo di contestare, nell’ambito di un ricorso per cassazione dinanzi a tale giudice, la conformità al diritto dell’Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa, la Corte, riunita in Grande Sezione, dichiara che una siffatta disposizione è conforme al diritto dell’Unione.
La Corte ha buon gioco a riportare la tematica sollevata dalle Sezioni Unite sul corretto piano del diritto dell’Unione.
Infatti, per quanto riguarda il principio di equivalenza, nel caso di specie, la competenza del giudice del rinvio a trattare ricorsi avverso sentenze del Consiglio di Stato è limitata con le medesime modalità, indipendentemente dal fatto che essi siano basati su disposizioni di diritto nazionale o su disposizioni di diritto dell’Unione. Di conseguenza, il rispetto di tale principio deve considerarsi garantito.
Quanto poi al principio di effettività, la Corte torna a spiegare (così come aveva fatto tante altre volte) che il diritto dell’Unione non produce l’effetto di obbligare gli Stati membri a istituire mezzi di ricorso diversi da quelli già contemplati dal diritto interno, a meno che non esista alcun rimedio giurisdizionale che permetta di garantire il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione. A condizione che, nel caso di specie, il giudice del rinvio riconosca l’esistenza di un tale rimedio giurisdizionale, ipotesi ricorrente nel caso di specie, è perfettamente ammissibile, sotto il profilo del diritto dell’Unione, che lo Stato membro interessato conferisca al supremo organo della giustizia amministrativa di detto Stato la competenza a pronunciarsi in ultima istanza, tanto in fatto quanto in diritto, sulla controversia, e impedisca, di conseguenza, che questa stessa controversia possa ancora essere esaminata nel merito nell’ambito di un ricorso per cassazione dinanzi all’organo giurisdizionale supremo dello stesso Stato. Pertanto, la disposizione nazionale in questione non pregiudica neppure il principio di effettività e non rivela alcun elemento che consenta di concludere a favore della violazione dell’articolo 19 TUE.[10]
3.Fin qui nulla che l’osservatore delle dinamiche del diritto europeo non potesse aspettarsi. L’interesse vero della pronuncia della Corte di Giustizia sta allora nella notazione a che, alla luce del diritto a un ricorso effettivo garantito da tale direttiva e dall’articolo 47 della Carta, nel caso di specie il Consiglio di Stato ha erroneamente considerato irricevibile il ricorso della dinanzi ai giudici amministrativi. La Corte ricorda che è sufficiente, per dichiarare ricevibile tale ricorso, che esista una possibilità che l’amministrazione aggiudicatrice, in caso di accoglimento del ricorso, sia indotta a ripetere la procedura di aggiudicazione di appalto pubblico. Dall’altro lato, in forza della Direttiva 89/655,[11] il ricorso può essere proposto solo dall’offerente che non sia ancora definitivamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, e l’esclusione di un offerente è definitiva solo se gli è stata comunicata ed è stata «ritenuta legittima» da un giudice indipendente e imparziale.
Con la sua pronuncia di irricevibilità, il Consiglio di Stato ha quindi violato tale norma, ma resta esclusa l’imposizione allo Stato membro, da parte del diritto dell’Unione, “di impugnare, dinanzi all’organo giurisdizionale supremo, tali decisioni di irricevibilità adottate dal supremo giudice amministrativo”. Il rimedio va allora cercato nella (impregiudicata) facoltà dei singoli eventualmente lesi dalla violazione del loro diritto a un ricorso effettivo dalla decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, di far valere la responsabilità dello Stato membro interessato.[12]
Si noterà che viene ribadita la linea indiretta della responsabilità dello Stato a cui va la predilezione della Corte di Giustizia da un po’ di tempo in qua. Mutatis mutandis si tratta della stessa linea ormai adottata rispetto al punctum dolens del giudicato nazionale formatosi in violazione del diritto dell’Unione. Dopo le innovative certezze delle prime storiche pronunce e lo swinging back delle successive, la Corte, nel ribadire l’impotenza del diritto dell’Unione rispetto al giudicato nazionale che tale diritto abbia violato, aggiunge sempre più spesso che “i soggetti dell’ordinamento non possono essere privati della possibilità di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione”, giungendo ad enucleare il principio di diritto secondo cui il diritto dell’Unione “dev’essere interpretato nel senso che esso non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme di procedura interne che riconoscono autorità di cosa giudicata a una pronuncia di un organo giurisdizionale, anche qualora ciò consenta di porre rimedio a una violazione di una disposizione del diritto dell’Unione, senza con ciò escludere la possibilità per gli interessati di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione”.[13] Si palesa quindi l’intento di rinunciare ad intervenire direttamente sugli esiti giurisdizionali (lasciati quindi al diritto nazionale), e la canalizzazione del rimedio alla violazione del diritto dell’Unione verso l’azione di responsabilità dello Stato.
Per l’Italia, la modifica dell’art. 2 della l. n. 117/1988 da parte della l. n. 18 del 2015 (“costituisce colpa grave la violazione manifesta … del diritto dell’Unione europea …”) apre la prospettiva di un contenzioso di nuovo conio.
Nel frattempo, le SU hanno dovuto affrontare la flambée inevitabilmente provocata dal loro stesso ardire. La nozione “allargata” di giurisdizione legittimata dal rinvio pregiudiziale lascia infatti intravedere un robusto allargamento del rimedio contro le sentenze del Consiglio di Stato.
Ma, a dire il vero, a riprova della spaccatura emergente dalla loro giurisprudenza (nonché dalla stessa ordinanza di rinvio) le S.U., con l’ordinanza n. 31311/2021, sembrano gettare un po’ d’acqua sul fuoco attizzato. Affrontando infatti un battagliero ricorso ispirato al rinvio pregiudiziale del 2020, questa pronuncia adotta una linea molto più prudente rifiutando di ricomprendere il caso nel comma 8 dell’art. 111 Cost. La pronuncia trova origine nel ricorso con il quale la società ricorrente lamenta,[14] il “diniego e/o rifiuto di giurisdizione”, per aver il Consiglio di Stato omesso di esercitare sindacato giurisdizionale pieno, sotto il profilo istruttorio, sul provvedimento sanzionatorio adottato dall’Autorità Garante[15]. La tesi si fonda sul concetto “dinamico” o “funzionale” della nozione di giurisdizione, come delineata dalla giurisprudenza della stessa Corte di cassazione in più occasioni.[16] Secondo la prospettazione, il Consiglio di Stato invece di procedere ad un autonomo accertamento, si sarebbe limitato “apoditticamente” a confermare l’accertamento dell’Autorità, omettendo di sottoporre quest’ultimo alla verifica propria del controllo giudiziale. Ciò giustificherebbe, da parte delle SU, il rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE, alla Corte di giustizia su un quesito evidentemente ricalcato sul modello del quesito posto dell’ordinanza n. 19598/2020.[17] La Cassazione viene quindi richiesta di verificare se le norme richiamate, ed in primis quindi, il principio di effettività del diritto unionale, non si pongano in contrasto con la prassi interpretativa adottata dalla Corte costituzionale n. 6/2018 e dalla successiva giurisprudenza nella misura in cui essa determini il cristallizzarsi nell’ordinamento interno di una violazione irrimediabile di diritto UE.
Si fa dunque leva su temi cari alla corte di Cassazione, gli stessi temi che un anno fa avevano portato quest’ultima a rivolgersi alla CG.
Senonché stavolta le Sezioni Unite tagliano corto: “il ricorso è inammissibile in tutta la sua articolazione” perché non ricorre una delle ipotesi di “denegata giustizia”. Ed osservano: “Alla luce del più recente e ormai consolidato orientamento di queste Sezioni Unite, l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento) – nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sé, ai casi di sentenze ‘abnormi’, ‘anomale’ ovvero di uno ‘stravolgimento’ radicale delle norme di riferimento; sicché, tale vizio non è configurabile per errores in procedendo o in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo[18].
Le Sezioni Unite precisano ancora che la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto Europeo da parte del giudice amministrativo, “non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione(Cass., S.U., n. 32773/2018; Cass., S.U., 10087/2020; Cass., S.U., n. 19175/2020)”.
Dunque, il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori in iudicando o in procedendo, anche per contrasto con il diritto dell’Unione Europea, operando i limiti istituzionali e costituzionali del controllo devoluto alla Corte.[19]
Acqua sul fuoco appiccato nel 2020 sembra ancora l’osservazione che tale orientamento costituisce ormai ‘diritto vivente’, come tale assunto dalla stessa ordinanza n. 19598 del 18 settembre 2020”. Infatti, nel caso di specie, la problematica sollevata non giustifica quei rimedi forse extra ordinem di cui la stessa Corte si era fatta portatrice. Infatti, anche se nel caso di specie, le doglianze lamentano l’assenza di pienezza (o adeguatezza ed effettività di tutela), “la asserita violazione della normativa nazionale ed Europea di riferimento (…) assume rilievo meramente incidentale, poiché in concreto solo genericamente lamentata al fine di radicare – strumentalmente – la esperibilità di ricorso per cassazione avverso sentenza del Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8”. Onde la pretesa violazione o stravolgimento delle norme di riferimento in materia antitrust, “sottende, risolvendosi in essa, una pura istanza di rivisitazione dell’attività di apprezzamento dei fatti di causa compiuto, all’interno del proprio ambito di competenza di giurisdizione, dal giudice amministrativo, il quale ha effettivamente operato una verifica diretta dei fatti stessi tramite l’esame e la valutazione delle complessive emergenze probatorie, da cui ha desunto esser stata integrata la fattispecie dell’intesa anticoncorrenziale”. Le critiche non attengono, quindi, all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento del giudice speciale dai limiti esterni di essa, bensì ai limiti interni della medesima funzione siccome concernenti il modo di esercizio del sindacato di legittimità.
Ne segue che l’avanzata istanza di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, è inammissibile giacché la sentenza impugnata non ha messo in discussione “l’estensione dei poteri cognitivi (la cd. full jurisdiction)” che al giudice amministrativo spetta secondo gli orientamenti ermeneutici della stessa Corte di Giustizia, sicché le doglianze finiscono per involgere “la decisione sull’oggetto della controversia, ossia sul modo in cui il giudice amministrativo di appello ha applicato in concreto quei principi e, quindi, denunciando gli (asseriti) errori dallo stesso giudice commessi nell’esercizio della propria funzione” Con ciò ci si pone, però, in un’ottica prospettica estranea al perimetro del sindacato riservato alle Sezioni Unite, sicché non assume rilievo l’ordinanza n. 19598/2020. E qui la Corte richiama un proprio immediato precedente (sentenza n. 26920 del 5 ottobre 2021), rilevando l’analogia della materia. In quel caso si era già stabilito che “il rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo effettuato da S.U. ord. 19598/2020 è privo di pertinenza rispetto al thema decidendum della presente causa nella quale… si censura il Consiglio di stato non per aver denegato la legittimazione alla tutela giurisdizionale delle attuali ricorrenti, bensì per le modalità contenutistiche della giurisdizione che ha per loro esercitato”.
Le S.U. forniscono una lettura restrittiva dell’orientamento manifestato dall’ordinanza 2020, probabilmente tentando di ricucire il difficile rapporto con la giurisdizione amministrativa. Dunque, pur non sconfessando l’ardimento del settembre 2020, affiora una interpretazione volta a ridurre le ipotesi di sindacato della decisione del Consiglio di Stato tramite il rimedio dell’art. 111 comma 8 Cost.
Il problema resta però sempre lo stesso: nel conflitto – non dichiarato ma sempre incombente – tra le due principali giurisdizioni manca un organo davvero super partes perché, formalmente tali, le Sezioni Unite tendono inevitabilmente a manifestare pur sempre la loro natura di (o quantomeno la loro propensione a fungere da) organo della giurisdizione ordinaria.[20]
[1] Su cui v. (tra i moltissimi commenti) B. De Santis, in www.judicium.it (10 ottobre 2020); B. Sassani, in www.judicium.it (19 maggio 2021); M. Gerardo e A. Mutarelli, Questioni di giurisdizione e ambito del ricorso in cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato, in www.judicium.it (26 ottobre 2021).
[2] B. Sassani, L’idea di giurisdizione nella guerra delle giurisdizioni. Considerazioni politicamente scorrette, in A. Guidara (ed.), Specialità delle giurisdizioni ed effettività delle tutele, Torino 2021, 136
[3] E. Castorina, Unità e pluralismo giurisdizionale alla prova del diritto europeo, in A. Guidara (ed.), cit. 125 ss.
[4]Conclusioni dell’A.G. (Hogan), depositate il 9 settembre 2021 nella causa C – 497/20.
[5] Terzo motivo del rinvio, rispetto al quale l’Avvocato Generale ribadisce principi cari alla giurisprudenza europea. Secondo le Conclusioni, dal momento che il criterio determinante l’obbligo del giudice di esaminare il ricorso della ricorrente è che ciascuna delle parti del procedimento abbia un interesse legittimo all’esclusione delle offerte presentate dagli altri concorrenti, la censura del concorrente escluso diretta a travolgere l’intera procedura andrebbe comunque esaminata in quanto “non si può escludere la possibilità che una delle irregolarità che giustificano l’esclusione tanto dell’offerta dell’aggiudicatario quanto di quella dell’offerente che contesta il provvedimento di aggiudicazione dell’amministrazione aggiudicatrice vizi parimenti le altre offerte presentate nell’ambito della gara d’appalto”. Questo sarebbe sufficiente a radicare la legittimazione e l’interesse del concorrente escluso ad impugnare, dal momento che un eventuale accoglimento dell’impugnazione potrebbe comunque arrecargli una utilità, tranne nei casi in cui l’esclusione sia stata confermata “da una decisione che ha acquistato forza di giudicato prima che il giudice investito del ricorso contro la decisione di affidamento dell’appalto si pronunci”.
[6] Osservato che il parametro normativo di riferimento va rintracciato nella Direttiva n. 89/665, che tutela il diritto ad un ricorso effettivo in conformità all’art. 47 della Carta di Nizza, che gli Stati membri, conformemente alla loro autonomia procedurale, conservano “la facoltà di adottare norme che possono rivelarsi differenti da uno Stato membro all’altro”, e che una limitazione del diritto ad un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 47 della Carta di Nizza può essere giustificata soltanto se prevista dalla legge, se rispetta il contenuto essenziale di tale diritto e se, in osservanza del principio di proporzionalità, è necessaria e risponde effettivamente a finalità d’interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui
[7] Nell’ordinanza di rimessione delle SU, in particolare, si contesta l’approdo della Corte Costituzionale cristallizzato dalla sentenza n. 6/2018 (la quale aveva sbarrato la strada alla possibilità per la Corte di Cassazione di sindacare le sentenze del CDS per violazione del diritto comunitario), ritenendolo in contrasto con la primazia del diritto comunitario e con l’esigenza che detto diritto riceva piena e sollecita attuazione da parte degli organi giurisdizionali nazionali.
[8] Sul secondo motivo di rinvio – premessa la legittimità formale dell’operato delle SU – l’Avvocato Generale concludeva nel senso che l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, l’articolo 19, paragrafo 1, TUE e l’articolo 267 TFUE, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, “non ostano a che le norme relative al ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione siano interpretate ed applicate nel senso di precludere che dinanzi alle Sezioni Unite della Corte suprema di cassazione sia proposto un ricorso per cassazione finalizzato a impugnare una sentenza con la quale il Consiglio di Stato ometta, immotivatamente, di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte.”
[9] Sotto alcuni aspetti, la posizione dell’Avvocato Generale richiama il meccanismo argomentativo utilizzato dalla Consulta nella sentenza n. 6/2018: l’errore del giudice nel negare l’accesso alla giurisdizione (errore presente nel caso di specie) non impone necessariamente il controllo da parte di altro giudice ai fini della sua rimozione. Il diritto eurounitario è violato dall’impedimento all’accesso, ma – una volta garantito il controllo di tale diritto da parte di un giudice nazionale – l’eventuale cattivo esercizio di tale controllo non è violato dalla scelta nazionale di non consentire ulteriori controlli. Alla luce del diritto eurounitario, non può poi postularsi alcun potere di un organo giurisdizionale di vertice di sindacare l’omissione di rinvio pregiudiziale da parte di altro organo giurisdizionale di vertice.
[10] Si tratta di una conclusione non in contrasto con le disposizioni della direttiva 89/665 che, nel particolare settore dell’aggiudicazione degli appalti pubblici, obbligano gli Stati membri a garantire il diritto a un ricorso effettivo.
[11] Articolo 2 bis, paragrafo 2, della direttiva 89/665, interpretato alla luce dell’articolo 47 della Carta.
[12] Ovviamente purché siano soddisfatte le condizioni previste dal diritto dell’Unione a tal fine, in particolare quella relativa al carattere sufficientemente qualificato della violazione di detto diritto
[13] In CGUE, sent. 4 marzo 2020, Telecom Italia S.p.A., C-34/19. E vedi le Conclusioni dell’A.G. (Bobek), in Călin, C-676/17.
[15] Brevemente: la vicenda traeva origine dall’impugnazione da parte della società ricorrente del provvedimento reso dall’AGCM con il quale era stata irrogata, a suo carico, ai sensi dell’art. 101 TFUE, una sanzione amministrativa per la costituzione, con altre quattro società, di un’intesa restrittiva della concorrenza nell’ambito della partecipazione ad alcune procedure di gara indette dalle amministrazioni competenti. In particolare, l’Autorità Garante ravvisava la sussistenza di una intesa restrittiva della concorrenza nella forma della “pratica concordata”. Il suddetto ricorso avverso il provvedimento veniva dunque accolto dal TAR Lombardia (sentenza n. 4484/2018) ma il Consiglio di Stato successivamente accoglieva l’appello dell’AGCM ripristinando la sanzione (sentenza n. 52/2020). Dunque la ricorrente proponeva ricorso per Cassazione assumendo che il CDS anziché sottoporre l’accertamento della sussistenza della presunta ascritta pratica concordata, nella forma di “parallelismo di comportamenti”, al “rigoroso standard probatorio” richiesto in materia antitrust, in conformità ai principi elaborati dalla giurisprudenza nazionale di legittimità nonché Europea -, si sia limitato “apoditticamente” a confermare l’accertamento racchiuso nel provvedimento dell’Autorità, omettendo, pertanto, di sottoporre quest’ultimo a verifica di “veridicità e congruità logica”.
[16] Tra le altre, Cass., S.U., n. 30254/2008 e Cass., S.U., n. 2242/2015.
[17] «Se il principio della tutela giurisdizionale effettiva, l’art. 101 TFUE, art. 4, par. 3, TUE, l’art. 19, par. 1, TUE, anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e dell’art. 6 CEDU ostino a una prassi interpretativa concernente l’art. 111 Cost., comma 8, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c., comma 1 e art. 110 codice del processo amministrativo – nella parte in cui tali disposizioni ammettono il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di stato per “motivi inerenti alla giurisdizione” – quale si evince dalla sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018 e dalla giurisprudenza nazionale successiva, che ritiene che il rimedio del ricorso per cassazione non possa essere utilizzato per impugnare una sentenza del Consiglio di stato emanata in materia di concorrenza, in un settore cioè disciplinato dal diritto dell’Unione Europea, che ometta di verificare i fatti alla base delle sanzioni emanate dall’autorità nazionale della concorrenza in contrasto con i principi già affermati dalla CEDU, determinando il cristallizzarsi nell’ordinamento interno di una violazione irrimediabile di diritto UE».
[18] Tra le molte, successivamente alla sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale, cfr.: Cass., S.U., n. 7926/2019, Cass., S.U., n. 8311/2019, Cass., S.U., n. 29082/2019, Cass., S.U., n. 7839/2020, Cass., S.U., n. 19175/2020, Cass., S.U., n. 18259/2021.
[19] Limiti che “restano invalicabili, quand’anche motivati per implicito, allorché si censuri il concreto esercizio di un potere da parte del giudice amministrativo, non potendo siffatta modalità di esercizio integrare un vizio di eccesso di potere giurisdizionale(Cass., S.U., n. 12586/2019)”.
[20] Sul punto vedi le considerazioni critiche di B. Sassani, L’idea di giurisdizione cit., 131.