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Criticità del Collegio Consultivo Tecnico di seguito all’intervento correttivo ex d.lgs. 209 del 2024 da una prospettiva processualcivilistica
Di Gianpaolo Caruso -
Sommario: 1. Premessa. — 2. Modalità di costituzione e funzionamento del CCT. — 3. L’inversione normativa ex art. 216 c.a.p. in tema di determinazioni ex art. 808-ter c.p.c. — 4. Segue: il regime transitorio. — 5. La competenza del CCT. — 6. Segue: la natura delle decisioni. — 7. «Indipendenza» dell’arbitro e «indipendenza di giudizio» del CCT. — 8. Segue: la mancata previsione della disclosure. — 9. Segue: le ipotesi di ricusazione del CTT. — 10. Conclusioni.
1.Nel panorama italiano delle risoluzioni alternative delle controversie, l’istituto del Collegio Consultivo Tecnico (CCT), disciplinato dal nuovo codice dei contratti pubblici exlgs. 36/2023, si contraddistingue come una significativa innovazione[1], benché non priva di complessità sistematica laddove si cerchino punti di contatto con la disciplina processuale dell’arbitrato irrituale ex art. 808-ter c.p.c.
Il CCT, ai sensi dell’art. 215, comma 1°, c.a.p., è concepito per seguire l’andamento dei contratti sin dalle fasi iniziali, con l’intento di favorire o «prevenire», tra la stazione appaltante e l’operatore economico, una risoluzione rapida ed efficace delle criticità «eventualmente insorte», perseguendo l’obiettivo teso alla realizzazione del «principio del risultato[2]» nella fase esecutiva, evitando al contempo il ricorso al contenzioso giudiziale ovvero ex art. 213 c.a.p.
L’istituto è stato introdotto nel sistema giuridico italiano dall’art. 207 del d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016, ma successivamente abrogato dall’art. 121, comma 1°, del d.lgs. n. 56 del 19 aprile 2017, per poi essere reintrodotto con il d.l. c.d Semplificazioni n.76, del 16 luglio 2020, assumendo una forma più strutturata nel nuovo codice dei contratti pubblici[3]. Il correttivo normativo, ex d.lgs. 209 del 2024, da ultimo, ha inciso profondamente sull’assetto dell’istituto, apportando modifiche sostanziali in quasi tutte le disposizioni relative al CCT, pur non snaturandone l’essenza. Il CCT continua ad avere il compito – al fine di non pregiudicare l’esecuzione tempestiva e a regola d’arte del contratto di appalto – di prevenire l’insorgere di controversie o, in alternativa, di facilitarne una risoluzione tempestiva, anche qualora esse siano di natura tecnica e si verifichino nel corso dell’esecuzione contrattuale (art. 215, comma 1°, c.a.p.), caratterizzandosi dunque per una marcata vocazione polifunzionale[4].
A ben vedere, il CCT tratteggia i connotati sostanziali del dispute resolution board di matrice anglosassone, ovvero tanto la funzione preventiva (dispute avoidance) che la funzione decisionale (dispute resolution).
Nella prima prospettiva, in effetti, il Collegio opera su un piano non vincolante e meramente consultivo[5]. In tale veste, il CCT sarà chiamato a esprimere un parere che, per sua stessa natura, non sarà destinato a rilevare ai fini della composizione della specifica controversia insorta, ma al più rileverà, nel caso in cui una delle parti non si sia a questo adeguato, sul piano della responsabilità per danno erariale singolarmente imputabile ex art. 215, comma 3°, c.a.p. Di conseguenza, il CCT dovrebbe svolgere, nella veste di dispute avoidance, un ruolo proattivo, cercando di prevenire le questioni prima ancora che si trasformino in controversie[6], mediante incontri periodici ex art. 3, comma 3°, all. V.2 c.a.p. ovvero dell’obbligatorietà dei pareri, sulle specifiche questioni individuate dall’art 216 c.a.p. da rendere nel corso dell’esecuzione dell’opera.
Nella prospettiva di dispute resolution, invece, le parti conferiscono al CCT il potere di risolvere la controversia per il tramite di una determinazione vincolante che avrà valenza di lodo irrituale ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c.
Tuttavia, il correttivo del 2024 appare foriero di criticità, dal momento che sembra aver sovrapposto due diversi ruoli del CCT: da un lato, la funzione pubblicistica, ossia quella tesa alla realizzazione del principio del risultato nella fase esecutiva; dall’altro, quella privatistica, ossia della funzione arbitrale, ancorché irrituale, dove invece il rinvio all’autonomia delle parti assume rilevanza fondamentale e che mal si concilia con la prima funzione.
Nelle pagine che seguono si cercherà di osservare, muovendo da una prospettiva processualistica con l’intento di collocare l’istituto all’interno della più ampia riflessione sulla giustizia alternativa, i temi relativi alla costituzione del Collegio, all’efficacia delle sue determinazioni, al perimetro funzionale dell’organo e al regime transitorio ex art. 225-bis c.a.p., applicabile ai collegi già costituiti. Ulteriore attenzione sarà dedicata ai requisiti di indipendenza e imparzialità dei suoi componenti, al problema della disclosure, nonché alle ipotesi di ricusazione dei membri del CCT.
2. La costituzione del CCT è avviata, ex art. 3, comma 1°, all. V. 2 c.a.p., prima della data di avvio dell’esecuzione dell’opera o, in ogni caso, entro dieci giorni da essa.
Il CCT, infatti, può essere costituito dal RUP anche nella fase antecedente all’esecuzione del contratto (ad esempio per le questioni riguardanti le condizioni del bando, la verifica del possesso dei requisiti, i criteri di selezione e di aggiudicazione), ancorché una delle parti non sia ancora – fisiologicamente – individuabile[7].
Nella diversa ipotesi sopra evidenziata, il CCT di regola dovrà essere attivato da entrambe le parti; in ogni caso, le modalità di attivazione non ne rimuovono la complessiva obbligatorietà.
Il luogo di insediamento del Collegio coinciderà con la sede della stazione appaltante[8].
Il novellato art. 3, comma 1°, all. V.2 al c.a.p. prevede che, in assenza della designazione dei membri del Collegio (ma non di quella del presidente), la parte diligente possa adire il presidente del tribunale ordinario competente territorialmente per sopperire all’inerzia dell’altra parte.
Il Collegio viene formalmente costituito nel momento in cui il presidente accetta l’incarico. Entro quindici giorni da tale accettazione deve essere convocata la prima seduta d’insediamento, alla quale partecipano i legali rappresentanti delle parti, chiamati a rendere dichiarazione formale circa l’eventuale volontà di attribuire alle determinazioni del Collegio valore di lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c.
Il comma 3° dell’art. 3, all. V. 2 c.a.p. specifica che il verbale della seduta di insediamento deve disciplinare, in relazione all’oggetto e alla complessità dell’appalto, la cadenza e le modalità di svolgimento delle successive riunioni e delle ispezioni. Ove le parti abbiano inteso attribuire validità di lodo irrituale delle pronunce del Collegio, nel verbale di insediamento devono altresì indicare le modalità e i termini per l’instaurazione del contraddittorio, indicando il dies a quo da cui decorre il termine di quindici giorni per la pronuncia del lodo.
Nei casi in cui la costituzione del Collegio sia obbligatoria ex art. 215, comma 1°, c.a.p., ovvero per i lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche, di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea[9], il numero dei componenti è affidata alla discrezionalità della stazione appaltante che può optare per tre membri oppure per cinque, qualora l’opera presenti particolari complessità tecniche o richieda competenze professionali eterogenee.
I novellati artt. 3 e 7 dell’all. V.2 prevedono, invece, nei casi in cui la costituzione sia facoltativa, ovvero per i lavori sotto la soglia UE, che il collegio sia formato da tre membri, di cui due nominati dalla stazione appaltante e il terzo dall’operatore economico.
È ammessa la designazione congiunta dei componenti del Collegio, eventualità tuttavia poco frequente, specialmente in contesti già conflittuali. In alternativa, ad eccezione della fattispecie prevista sopra di cui al comma 5° dell’art. 3, all. V.2, ciascuna parte nomina il proprio membro, eventualmente scegliendolo tra il proprio personale dipendente, ovvero tra le figure professionali ad ognuna legata da rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione anche continuativa (in tal senso, art. 1, comma 2°, all. V.2 c.a.p.). purché in possesso dei requisiti richiesti[10] (art. 2, comma 1°, all. V.2 c.a.p).
Il presidente viene selezionato dai componenti nominati di parte. Qualora non si raggiunga l’accordo sulla sua designazione entro i termini previsti, provvede il MIMS per le opere di rilievo nazionale, oppure le Regioni, le Province autonome o le Città metropolitane per gli interventi di competenza locale, e non al presidente del tribunale ex art. 810 c.p.c., per il quale già risultava «esemplarmente[11]» ingiustificato il suo richiamo nelle linee guida oggi quasi totalmente abrogate dal correttivo.
Il novellato art. 4, comma 3°, all. V.2 prevede che il Collegio abbia la facoltà di procedere a incontri informali con le parti o di convocarle al fine di agevolare la piena esposizione delle rispettive posizioni in contraddittorio. Mentre resta sottratta, chiaramente, la possibilità di disporre il CTU, stante la composizione tecnica del collegio.
Il correttivo ha previsto, poi, l’obbligo del CCT di svolgere riunioni periodiche per monitorare l’andamento dei lavori e di formulare, ove ritenuto opportuno, osservazioni alle parti.
Le determinazioni del CCT devono essere adottate a maggioranza e formalizzate in un atto sottoscritto da assumersi sempre a maggioranza, entro quindici giorni dalla comunicazione del quesito, se presentato congiuntamente, o dalla conclusione dell’iter formale di presentazione dei quesiti distinti, ove inoltrati separatamente. Possono contenere una motivazione sintetica, integrabile entro i quindici giorni successivi. In presenza di particolari esigenze istruttorie, i termini per la decisione vengono estesi a 20 giorni dalla ricezione dei quesiti.
3. Antecedentemente al correttivo del 2024, l’art. 215, comma 2°, c.a.p. riprendeva quasi testualmente il testo contenuto dell’art. 6, comma 3°, del d.l. Semplificazioni in base al quale la natura di lodo contrattuale delle determinazioni del CCT operava di default, in assenza di una espressa volontà contraria.
Il nuovo impianto normativo, successivamente alla novella del 2024, prevede invece solo in via eventuale la possibilità delle parti di attribuire al collegio il potere di assumere a definizione della controversia un lodo irrituale[12]exart. 808-ter c.p.c.
Per giungere a una decisione avente il valore di lodo contrattuale, il Legislatore ha oggi previsto due specifici presupposti, che sembrano tuttavia andare in una direzione estremamente prudenziale, con un tendenziale abbattimento della funzione decisoria mediante lodo contrattuale del CCT, incidendo sull’effettivo utilizzo dello strumento.
Il primo presupposto è dettato dall’art. 216, comma 1°, c.a.p., il quale prevede che per aversi decisione suscettibile di diventare lodo irrituale deve esservi la «concorde richiesta delle parti», attribuendo a ciascuna delle parti un vero e proprio potere di veto.
Il secondo presupposto previsto, nel comma 1°, secondo periodo, dell’art. 216 c.a.p., dovuto all’accoglimento dell’osservazione del Consiglio di Stato[13], per cui «il collegio consultivo tecnico interviene con ‘determinazione’ solo ove vi sia una richiesta congiunta in tal senso delle parti, con l’ulteriore specificazione che tale determinazione avrà natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del codice di procedura civile a condizione che le parti medesime convengano ulteriormente espressamente di attribuirvi tale valore. Fuori di tale ipotesi la forma ordinaria di pronuncia obbligatoria del collegio consultivo tecnico resterebbe, invece, il parere (anche su istanza di una sola delle parti)», attiene alla necessità che le parti «convengono» di attribuire a tale determinazione la natura di lodo contrattuale.
Si può immaginare che la soluzione adottata dal Legislatore mediante il correttivo del 2024 sia stata assunta al fine di scongiurare il rischio di illegittimità costituzionale, dal momento che l’incompatibilità costituzionale dell’arbitrato obbligatorio sussiste anche in ipotesi di arbitrato irrituale, portando già la dottrina[14] a interrogarsi circa la legittimità costituzionale dell’art. 215 c.a.p. ante novella.
Sotto tale profilo, l’attenzione del legislatore sembra essere stata, invero, eccessiva, dal momento che la Corte costituzionale ha già avuto modo di evidenziare che «la legislazione potrebbe ancora evolversi tenendo conto, oltre che del coordinamento con la legislazione comunitaria, del principio essenziale della effettiva libera volontà di ciascuna parte sulla scelta della competenza nei casi in cui il contratto sia predisposto dalla pubblica amministrazione[15]».
Sembra(va)[16] infatti che già il precedente impianto ex comma 2°, art. 215 c.a.p. assumesse copertura di legittimità costituzionale laddove la Corte costituzionale, chiamata in più occasioni a pronunciarsi sull’illegittimità dell’arbitrato obbligatorio, aveva precisato che «anche qualora sia richiesto l’accordo delle parti per derogare alla competenza arbitrale, si rimette pur sempre alla volontà della sola parte che non voglia tale accordo derogatorio, l’effetto di rendere l’arbitrato concretamente obbligatorio per l’altro soggetto che non l’aveva voluto[17]».
Può allora concludersi che il CCT avrebbe assunto i profili di un arbitrato obbligatorio solo nella misura in cui ciascuna parte era in grado di costringere l’altra, in via unilaterale, a compromettere in arbitri ogni singola lite che insorgesse nel corso del contratto, ma non il contrario, dovendosi fare riferimento all’asimmetria della facoltà declinatoria[18].
La presentazione di un quesito scritto proveniente da ciascuna delle parti (di cui all’abrogato art. 3 all. V.2, oggi ritrasposto nell’art. 4 all. V.2) è infatti riconducibile alla struttura dell’atto bilaterale (trovando fondamento nella libera volontà di entrambe le parti), così come l’ipotesi della comunicazione dei quesiti di una sola parte pone(va) l’altra nella posizione di esprimere il proprio dissenso nel conferire potestas judicandi al Collegio. Nella sostanza, la devoluzione della controversia al Collegio per le determinazioni ex art. 808-ter c.p.c. rimane(va) nella disponibilità di entrambi i contraenti.
È opportuno poi osservare come l’art. 6 CEDU offra alcuni spunti in tema. Nella causa Deweer c. Belgio, la Corte EDU ha avuto modo di evidenziare che la rinuncia da parte di un cittadino alla giurisdizione statuale non è di per in sé in contrasto con l’art. 6 della Convenzione. Tuttavia, tale rinuncia deve avvenire, specie nei rapporti con le pubbliche autorità, al di fuori di qualsivoglia forma di costrizione.
Di conseguenza, il Legislatore si sarebbe potuto spingere al punto di prevedere normativamente l’obbligatorietà per le Stazioni Appaltanti all’arbitrato irrituale per le materie di competenza del CCT, lasciando solo all’operatore economico la possibilità di non aderire, dando maggiore spazio a soluzioni più aderenti alle necessità di celerità che il mercato impone alle imprese, perseguendo altresì l’obiettivo di efficienza a cui devono mirare le stazioni appaltanti.
Tuttavia, la prudenza assunta del Legislatore ha senso solo laddove la modifica di cui all’art. 216 c.a.p. si ricolleghi al tema dell’annullabilità del lodo, atteso che l’art. 217, comma 3° rimanda(va), per quelle determinazioni aventi natura di lodo contrattuale, al regime delle impugnazioni previste dall’art. 808-ter, comma 2°, c.p.c.[19]
Di conseguenza, la formulazione dell’abrogato comma 2°, art. 215 c.a.p. avrebbe potuto far sorgere questioni interpretative, basate sul silenzio assenso della strada ex art. 808-ter c.p.c., da far valere come errores in procedendoex art. 808-ter, comma 2°, c.p.c., in tutti quei casi in cui le parti in maniera non esplicita non avessero fatto concorde richiesta o riconfermato l’intenzione di attribuire a quella determinata valutazione valore di lodo irrituale[20]. Il tema, se da una parte sembra essere risolto, con la riformulazione dell’art 216 c.a.p., pur depotenziandone l’istituto, sembra essersi complicato, ai sensi dell’art. 225-bis, comma 5°, c.a.p. rubricato «ulteriori disposizioni transitorie», per i collegi costituiti e operanti al 31 dicembre 2024.
4. Resta da verificare infatti il valore da attribuire alle pronunce del Collegio in riferimento ai CCT già costituti e a quelli da costituirsi in forza di un bando di gara che sia stato pubblicato anteriormente all’entrata in vigore del decreto correttivo del 2024.
Il d.lgs. 36/2023, come modificato dal decreto legislativo correttivo, ha introdotto l’art. 225-bis, il quale – al comma 5° – prevede che le disposizioni contenute negli artt. da 215 a 219 e nell’all. V.2 del Codice trovino applicazione anche nei confronti dei Collegi Consultivi Tecnici già costituiti e operanti al 31 dicembre 2024, salvo che le parti non manifestino una volontà contraria. Tuttavia, è prevista un’eccezione con riferimento ai Collegi concernenti contratti di servizi e forniture già costituiti al momento della vigenza della norma, i quali rimangono esclusi da tale estensione.
La Relazione Illustrativa[21] del d.lgs. 209/2024 chiarisce infatti che la novella all’art. 225-bis, comma 5°, c.a.p. «è volta ad introdurre un nuovo articolo 225-bis del Codice al fine di ricomprendervi ulteriori disposizioni transitorie scaturenti dalle modifiche apportate dal decreto legislativo in esame. Trattasi, in particolare, delle […] modifiche apportate agli articoli dal 215 al 219 del Codice e all’Allegato V. 2, in materia di collegio consultivo tecnico, avuto riguardo alla composizione e relativo compenso. […] Sotto altro profilo, il comma 3 [comma 5] precisa che le modifiche apportate agli articoli da 215 a 219 e le modifiche di cui all’Allegato V.2 del codice, apportate successivamente alla data di entrata in vigore del codice, in assenza di una espressa volontà contraria delle parti, si applicano anche ai collegi già costituiti ed operanti alla medesima data».
Nella prospettiva illustrata dalla Relazione, emerge dunque, salvo espressa pattuizione contraria, che le nuove disposizioni si applicano anche ai collegi già operativi alla data di entrata in vigore delle modifiche, salvaguardando tuttavia l’autonomia negoziale delle parti coinvolte.
La norma non sembra dare indicazioni su come debba essere interpretato il silenzio di entrambe le parti, nel regime intertemporale, da parte del CCT, dal momento che, come sopra visto, le parti ex art. 216 c.a.p. devono oggi espressamente concordare l’efficacia ex art. 808-ter c.p.c. della determinazione, mentre nel regime previgente il CCT avrebbe dovuto ex art. 215 c.a.p., in assenza di una espressa volontà contraria, adottare determinazioni aventi natura di lodo contrattuale.
Di conseguenza, sarebbe opportuno per i CCT già costituiti – ancorché non previsto in alcuna norma del c.a.p. – convocare le parti al fine di ricevere la manifestazione formale e inequivoca della loro volontà in ordine alla natura delle determinazioni che il collegio dovrà assumere, ma più in generale alle norme che il collegio dovrà seguire, stante anche i nuovi oneri che lo interessano ex art. 216 c.a.p. e art. 3 all. V. 2 c.a.p., evitando altresì azioni ex art. 808, comma 2°, c.p.c.
Meno complessa sembra invece la situazione in cui la costituzione del Collegio sia prevista come obbligatoria (ai sensi degli artt. 215, comma 2°, e 216 novellati del c.a.p.), ma il relativo bando di gara sia stato pubblicato anteriormente all’entrata in vigore del decreto correttivo. Resterebbe, infatti in questo caso, impregiudicato, in assenza di espresse regole transitorie, il principio generale del tempus regit actum, essendo irrilevante lo jus supervenies, essendo inscindibili la fase di affidamento e quella di esecuzione ai fini dell’individuazione del quadro regolatorio applicabile[22]. Pertanto, deve ritenersi nell’ipotesi in parola, che continuerà ad applicarsi la disciplina previgente, anche qualora il Collegio non sia stato ancora formalmente costituito, ferma la volontà delle parti di esprimere la volontà, inequivocabile, di avvalersi della novella ex d.lgs. 209 del 2024.
5. La disciplina, ancorché rivisitata ex art. 216 c.a.p., operata dall’art. 63 del decreto correttivo del 2024 che ne ha ridefinito non solo la sostanza normativa ma anche la rubrica, ora intitolata «Pareri e determinazioni obbligatorie» (in luogo della precedente «Pareri obbligatori»), solleva questioni applicative in relazione sia alla sfera di competenza – dunque alla varietà delle situazioni su cui il CCT può pronunciarsi – sia alla natura delle decisioni adottate dal collegio.
La nuova formulazione, più ampia e onnicomprensiva, determina un sensibile ampliamento delle ipotesi in cui il coinvolgimento del CCT diventa necessario, ben oltre i casi di sospensione dell’esecuzione originariamente contemplati dall’art. 216 c.a.p. ante novella.
Nel testo vigente, infatti, l’art. 216, comma 1°, stabilisce l’obbligatorietà di intervento del Collegio all’ipotesi di iscrizione di riserve tecniche, di proposte di variante e in relazione ad ogni altra disputa tecnica o controversia che dovesse insorgere durante l’esecuzione di lavori superiori alla soglia europea, nonché ai sensi del comma 2°, l’obbligatorietà del parere anche ai casi di risoluzione contrattuale[23].
La disposizione viene completata dalla previsione secondo la quale, laddove le parti abbiano inteso attribuire natura di lodo contrattuale alle determinazioni del CCT (ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c.), si esclude la possibilità di attivare l’accordo bonario in merito alle riserve.
Ciò comporta che il CCT abbia competenza a pronunciarsi in un perimetro piuttosto ampio rispetto alle vicende che possono interessare fisiologicamente il contratto di appalto, con una conseguente espansione della sua sfera di azione e un carico procedurale che, in molti casi, si rivela difficilmente conciliabile con l’obiettivo di celerità e snellezza nella risoluzione delle controversie di cui al comma 1° dell’art. 215 c.a.p.
Nel caso delle riserve, ci si muove su un terreno già consolidato dalla giurisprudenza, che le qualifica come strumento imprescindibile per la contestazione della contabilità dei lavori redatta dalla stazione appaltante. Il correttivo, sotto questo profilo, conferma il quadro normativo previgente, imponendo all’appaltatore l’onere dell’iscrizione delle riserve e, in caso incidano sulla regolare esecuzione dei lavori all’omissione del relativo quesito al CCT, resta legittimato il RUP, sembrando così superarsi il principio della domanda.
Inoltre, la norma non chiarisce le conseguenze derivanti dalla mancata proposizione del quesito da parte del RUP, lasciando aperti solo scenari di responsabilità interna o, in via estrema, di natura erariale, in assenza di poteri officiosi in capo al CCT – che non può pronunciarsi senza una domanda espressa delle parti, pena la nullità delle decisioni assunte ex art. 4, comma 1°, quarto periodo, all. V.2.
Sul fronte delle varianti, l’obbligo di acquisire il parere del Collegio si presenta come una novità particolarmente significativa. Tuttavia, l’efficacia pratica della previsione appare dubbia, specie nei casi in cui la variante sia imposta ex lege per sopravvenienze normative, scenario in cui il coinvolgimento del CCT potrebbe risultare ridondante, se non addirittura confliggente, con i poteri propri del RUP e del Direttore dei Lavori. Tuttavia, il sistema così configurato presenta un’evidente rigidità, in quanto impone l’intervento del CCT anche per questioni che, nella prassi operativa, vengono usualmente risolte in via diretta dal RUP o dal Direttore dei Lavori, generando un aggravio che rischia di compromettere l’efficienza gestionale del contratto.
Quanto alla risoluzione del contratto, la nuova formulazione dell’art. 216 introduce un vincolo formale preventivo: senza il parere del Collegio, le parti non possono sciogliere il vincolo contrattuale. Tuttavia, questa previsione appare suscettibile di generare criticità applicative, specie nell’ipotesi di risoluzione di diritto, per la quali risulta sovrabbondante il parere del CCT.
Ancor più generica e problematica è la disposizione che impone l’obbligatorietà del parere per «ogni altra disputa tecnica o controversia», configurandosi come una norma di chiusura la cui portata, ampia e indeterminata, rischia di assorbire ogni questione insorta nella fase esecutiva, svuotando di contenuto qualsiasi distinzione tra ipotesi obbligatorie ex art. 216 c.a.p. e facoltative ex art. 217 c.a.p.
6. Altro aspetto rilevante concerne il contenuto delle decisioni CCT, che sono caratterizzate da apprezzamenti tecnico-discrezionali e di opportunità.
Pur non assumendo mai una configurazione propriamente giurisdizionale, le determinazioni del CCT si dovrebbero concretizzare in una valutazione orientata all’individuazione della soluzione più idonea a garantire la tempestiva e corretta esecuzione dell’opera, secondo canoni di regola d’arte. Tale carattere operativo e finalistico richiama in modo evidente una logica di ponderazione tra interessi eterogenei, in cui risulta prevalente quello correlato alla funzione tipica dell’amministrazione attiva, funzione che resta peraltro sottoposta a forme strutturate di controllo – come dimostra l’obbligo, in capo ai presidenti dei Collegi, di trasmettere le determinazioni assunte all’ Osservatorio ex art. 6 all. V.2.
Al riguardo deve anche osservarsi che il Collegio, laddove investito del potere di emettere lodo irrituale, per meglio assicurare il risultato, potrebbe assumere un lodo secondo le regole di diritto per determinare quale delle parti abbia ragione, ma potrebbe ricercare anche una «amichevole composizione».
La giurisprudenza di legittimità[24] è granitica nel ritenere che l’arbitrato irrituale può non limitarsi a cristallizzare, come nel negozio di accertamento, una situazione già in essere, comportando piuttosto addizioni alla fattispecie giuridica compromessa. Escludendo da un lato che l’arbitrato irrituale, alla stregua di una composizione amichevole, importi l’accoglimento di tutte le pretese di una sola parte, e dall’altro che il medesimo obblighi sempre a procedere ad un aliquid datum, aliquid retentum. Inoltre, in mancanza di limiti specificamente indicati, gli arbitri irrituali hanno gli stessi poteri dispositivi dei mandanti in ordine alla definizione del rapporto controverso; pertanto essi possono adottare una qualunque soluzione compresa fra i due estremi della transazione[25], da una parte, e del negozio di mero accertamento, dall’altra[26].
Di conseguenza, se nel genus dell’arbitrato irrituale ben possono coesistere le due species sopra individuate dalla giurisprudenza di legittimità per decidere la controversia, non c’è ragione per non estendere al collegio la possibilità di definire la lite con una composizione amichevole[27], stante per di più il richiamo al comma 2° dell’art. 215 c.a.p. all’attività di mediazione e conciliazione laddove rappresenti la migliore soluzione per la tempestiva realizzazione dell’opera a regola d’arte.
Infine, il correttivo non risolve poi la disciplina relativa ai rapporti fra soluzione stragiudiziale della lite adottata dal CCT e ricorso al giudice. Ai sensi dell’ art. 4, comma 4°, all. V.2 del Codice – che ripropone pedissequamente quanto disposto dal precedente art. 3, comma 4° del medesimo allegato – si dispone esclusivamente che, nel caso in cui il giudice si pronunci sulle medesime questioni oggetto di determinazione del collegio consultivo, laddove il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della determinazione assunta in precedenza dal CCT, vengono escluse la ripetizione delle spese del giudizio della parte, ancorché vincitrice nel giudizio, che non ha osservato la determinazione, fermo quanto previsto dagli artt. 92 e 96 c.p.c.[28].
Dalla formulazione della disposizione in parola sembra che le parti possano comunque rivolgersi al giudice in pendenza del procedimento per ottenere la determinazione dal CTT, o attivare quest’ultimo in pendenza di giudizio.
Si reputa tuttavia che i rapporti fra CCT – in tutti quei casi in cui le parti hanno determinato di attribuire alle determinazioni valore di lodo ex art. 808-ter c.p.c. – e processo andranno risolti mediante i criteri elaborati dalla giurisprudenza[29] in tema di exceptio compromissi irrituale, posto che l’eccezione di arbitrato irrituale, pur non integrando questione di competenza, attiene alla proponibilità della causa nel merito, in quanto, per il tramite di una clausola compromissoria, le parti pattuiscono una preventiva rinuncia alla giurisdizione in favore di una risoluzione negoziale di eventuali future controversie. Per altro, in caso di arbitrato irrituale non risulta applicabile l’art. 819-ter, comma 2° c.p.c. in punto di translatio iudicii.
7. Il nuovo art. 2 dell’all. V.2 disciplina i requisiti di nomina e le ipotesi di incompatibilità, in conformità a quanto disponevano le Linee guida emanate dal MIMS il 17 gennaio 2022, richiamate ora dall’art. 1, comma 6°, limitatamente alle questioni attinenti alla determinazione dei compensi.
La norma prevede che non possono essere nominati membri del CCT coloro che: si trovino in una situazione di conflitto d’interesse[30]ex art. 16 c.a.p.[31]; siano dipendenti pubblici e si trovino in situazioni di incompatibilità o cumolo di impieghi e incarichi ex art. 53 d.lgs. 53/2001; abbiano svolto, per la parte pubblica o per l’operatore economico, attività di controllo, verifica, progettazione, approvazione, autorizzazione, vigilanza o direzione dell’esecuzione dei lavori in relazione al contratto di appalto o alle sue fasi pregresse, salvo che l’attività sia stata svolta nell’ambito di organi collegiali consiliari; abbiano svolto l’incarico di consulente tecnico d’ufficio; con riferimento al presidente del Collegio, abbiano svolto con riguardo ai lavori o servizi oggetto dell’affidamento, attività di collaborazione nel campo giuridico, amministrativo o economico per una delle parti.
In particolare, si deve evidenziare che il Legislatore del correttivo del 2024 ha optato per una formulazione ampia e generica delle ipotesi di incompatibilità. Infatti, a ben vedere, la norma non opera distinzioni ad esempio – con riferimento al comma 3° lett. b, art. 2 all. V. 2 c.a.p. – né in relazione alla natura del ruolo assunto dal soggetto nell’ambito dell’attività di verifica, né con riferimento alle modalità con cui tale incarico sia stato conferito.
In questa prospettiva, appare evidente come la finalità della norma sia quella di prevenire qualsiasi interferenza derivante da un precedente coinvolgimento nella fase di programmazione, progettazione o affidamento del contratto, che possa compromettere – anche solo potenzialmente – «l’indipendenza del giudizio» che il CCT è chiamato a rendere nella fase esecutiva, in relazione a controversie insorte su prestazioni o attività eventualmente già svolte dal medesimo soggetto[32].
In tale maniera, il principio dell’indipendenza del giudizio e della valutazione dettato dal nuovo art. 215, comma 1°, c.a.p. dovrebbe elevarsi a parametro di riferimento dell’intero istituto.
Tuttavia, un conto è il requisito dell’indipendenza richiesto al giudice e rilevante ex artt. 111 cost. e 6 CEDU, cha ha il carattere dell’oggettività, un altro è l’indipendenza di giudizio, che è un modello di condotta da assumere durante le discussioni e le procedure decisionali[33].
Di conseguenza, l’indipendenza oggettiva e il requisito soggettivo-comportamentale di indipendenza di giudizio sono tra loro distinti, in quanto il primo requisito riguarda l’oggettiva condizione degli interessati, mentre l’indipendenza di giudizio trascende le condizioni oggettive, giacché concerne una ragionevole previsione sul suo comportamento nell’esercizio delle proprie funzioni decisorie.
Stante il tenore letterale della norma, sembrerebbe dunque che ai membri del CTT venga richiesto un grado di indipendenza debole da ricercarsi esclusivamente nel loro stato mentale individuale.
Che il CCT difettasse di qualsivoglia requisito di terzietà o indipendenza era stato già segnalato da autorevolissima dottrina[34], tanto meno il Legislatore del correttivo ha inteso risolvere il problema.
Se tuttavia da un lato è chiaro che, accettando l’incarico, i membri designati a comporre il CCT assumono l’obbligo di dirimere la controversia insorta tra le parti con correttezza exart. 1175 c.c., e buona fede exart. 1375 c.c., dall’altro è pacifico[35] che la garanzia di indipendenza del giudicante, dunque anche del CCT, sia essenziale alla definizione stessa dell’organo[36], costituendo un preciso limite di ordine pubblico, poiché non si può avere qualsivoglia tipologia di giudizio/procedimento senza che questo sia dato da persona al di sopra delle parti[37].
La garanzia di indipendenza di colui che è chiamato a decidere una controversia costituisce, infatti, l’estrinsecazione e l’attuazione di precisi valori costituzionali[38] con riferimento a qualunque tipo di attività procedimentalizzata che definisce una controversia[39], potendo pur essere compresso, in tema di arbitrato, purché le parti siano state debitamente informate e messe nella condizione di valutare nel concreto gli aspetti che attengono a tale specifico e non trascurabile aspetto[40].
8. Il nuovo impianto normativo sembra infatti porre taluni problemi in ordine alla trasparenza posta a presidio della garanzia di imparzialità (di giudizio) dei componenti del CTT; problema di non poco rilievo quando lo stesso è chiamato a emettere una decisione avente efficacia di lodo, ancorché irrituale, sottraendo nel merito la controversia alla giurisdizione ordinaria e precludendo altresì l’esperibilità dell’accordo bonario per la decisione sulle riserve ex art. 210 c.a.p.
Deve rilevarsi che l’utilizzo delle norme dettate dal codice civile in materia di contratto di mandato risultano palesemente insufficienti a garantire l’indipedenza del Collegio chiamato a decidere ex art. 808-ter c.p.c. Infatti, nelle ipotesi in cui il collegio risolve la controversia con lodo irrituale, deve evidenziarsi che, seppure stia operando con un meccanismo contrattuale, lo fa attraverso un istituto procedimentalizzato[41]; di conseguenza, non del è tutto inutilmente richiamabile in materia il principio del giusto processo, di cui è conseguenza immediata l’imparzialità del giudicante.
Dal momento che le previgenti Linee guida MIMS restano in piedi per la sola parte relativa alla determinazione dei compensi, in attesa e comunque fino all’adozione delle nuove, sembrerebbe che non sussista più alcun obbligo per i membri del Collegio di dichiarare ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000, di non ricadere in nessuna delle cause di incompatibilità o di dichiararlo al momento dell’accettazione dell’incarico, per come era disciplinato dall’art. 3.1.3 lettera a delle Linee guida, poiché non recepite nella novella.
Le Linee guida colmavano[42] una lacuna normativa presente nel d.l. Semplificazioni, che non prevedeva esplicitamente l’obbligo per i componenti del Collegio di rendere una dichiarazione di indipendenza, sul modello di quanto stabilito per gli arbitri nelle procedure camerali o nel nuovo art. 813 c.p.c., che avrebbe potuto trovare, invece, idonea sede nell’art. 2 dell’all. V.2, ritornando con il correttivo del 2024, dunque, al passato.
Tuttavia, sembra potersi ritenere che l’obbligo di disclosure possa desumersi in via generale mediante rinvio all’art. 813 c.p.c. per come novellato dal d.lgs. 149/2022, e comunque in tutti quei casi in cui lo preveda il singolo regolamento interno della Stazione appaltante,[43] ai sensi dell’art. 832 c.p.c.
Nonostante l’opinione tradizionale[44] individui infatti nell’arbitrato irrituale un fenomeno esclusivamente negoziale, assimilandolo come sopra visto talvolta alla transazione e talvolta al negozio di accertamento ed escludendolo dall’area della giurisdizione[45], autorevole dottrina ritiene – coerentemente con il sistema processuale delineato dalla riforma del 1994 – la possibilità di applicare all’arbitrato irrituale talune norme previste dal codice di rito per l’arbitrato rituale,[46] e di conseguenza l’applicazione[47] delle norme relative all’arbitrato rituale, tra cui l’art. 813 c.p.c.
Opinare diversamente significherebbe non ammettere – ingiustificatamente – in materia di CCT, la disclosure, o di confinarla, al più, solo in capo al dipendente della stazione appaltante ai sensi dell’art. 6, comma 1°, del D.P.R. n. 62/2013, il quale deve dichiarare, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, l’insussistenza di situazioni di conflitto di interessi, obbligo che in ogni caso non si estenderebbe al membro del CCT designato dall’operatore economico, né a lui dovrebbe essere ostesa la dichiarazione del dipendente della stazione appaltante in assenza di un’istanza di accesso agli atti, lasciando insoddisfazione sul punto.
Di conseguenza, anche laddove nel verbale di insediamento, ex art. 3, comma 2°, all. V.2 non è richiesto che i membri del CCT dichiarino ogni circostanza rilevante ai sensi dell’art. 2 dell’all. V.2, potrebbe essere conveniente che gli stessi, rendendosi parti diligenti, perlomeno nei casi in cui i legali rappresentanti delle parti abbiano reso dichiarazione di attribuire alle pronunce valore di lodo contrattuale, effettuino la disclosure, al fine di precludere l’azione di cui all’art. 808-ter, comma 2°, c.p.c. (in quanto espressamente richiamato dall’art. 217, comma 3°, c.a.p.). Posto, per di più, che le parti non avrebbero avuto modo di proporre istanza di ricusazione in tutti quei casi in cui non potevano avere contezza della sussistenza di cause di incompatibilità dei membri del CCT, con eccezione dei fatti notori.
9. Ulteriore questione si pone in ragione dei motivi che le parti possono utilmente invocare per ricusare i membri del CCT, o da richiamare nella disclosure, stante quanto disposto dal comma 4° dell’art. 2 all.V.2, secondo il quale la sussistenza delle cause di incompatibilità dei membri del CCT può essere fatta valere dalle parti mediante istanza di ricusazione ex art. 810 c.p.c.
L’ultimo comma dell’art. 2 dell’all. V.2 sembra lasciare spazio alla ricusazione esclusivamente per le cause di incompatibilità di cui al comma 3° del medesimo articolo, non dando apparentemente spazio alle ulteriori cause previste dal comma 1° dell’art. 815 c.p.c. Di conseguenza, la formulazione della norma spingerebbe l’interprete ad adottare un criterio improntato sulla cautela, tale da ricomprendere, nel perimetro dei casi di ricusazione, solo gli incarichi, le collaborazioni o le funzioni pregresse che possano, anche in astratto, interferire con l’imparzialità comunque richiesta nello svolgimento delle funzioni attribuite al CCT, nonché le cause di conflitto di interessi ex art. 16 c.a.p.
In tale chiave sistematica, occorrerebbe dunque privilegiare un approccio sostanzialistico nella ricostruzione dell’ambito soggettivo e oggettivo della fattispecie, attribuendo rilievo all’effettivo espletamento delle attività previste dalla norma tali da incidere nel complesso sull’indipendenza di ogni singolo componente del CCT.
Aderendo all’interpretazione più classica[48], si dovrebbe ritenere che gli altri casi non previsti dal comma 3° dell’art. 2 all. V.2 potrebbero essere fatti valere attraverso un ordinario giudizio di cognizione avente ad oggetto la revoca del mandato all’arbitro, ai sensi degli artt. 1723 e 1726 c.c., concernente la mancanza di indipendenza dell’arbitro.
Tuttavia, stante la previsione contenuta nell’art. 5, comma 4° all. V.2, ai sensi del quale i componenti del CCT non possono essere revocati successivamente alla costituzione del collegio[49], garantendo così che in caso di contrapposizione, venendo meno il rapporto di fiducia proprio della figura di mandato ex art. 1703 e ss. c.c. tra un membro del CCT e la parte contrattuale, quest’ultima possa revocarlo ad nutum; verrebbe altresì in rilievo quella giurisprudenza[50] che nega l’operatività dell’art. 1723, comma 2°, c.c. quando il processo di arbitrato sia già in corso, vale a dire quando gli arbitri siano stati nominati e abbiano accettato, rendendo sempre irrevocabile la nomina dell’arbitro una volta che egli abbia accettato l’incarico[51] – il che rende la via del giudizio di cognizione avente ad oggetto la revoca del mandato all’arbitro impraticabile.
Oltretutto in dottrina[52] si è escluso che il rapporto parte-arbitro sia riconducibile al contratto di mandato, né tanto meno si intravedono ragioni per ricondurle al CCT, perlomeno nei casi in cui decide la controversia con lodo irrituale, poiché ogni singolo componente del CCT non agisce per conto, cioè nell’interesse dell’una o dell’altra parte, bensì come giudice super partes, ritenendo che il rapporto vada considerato come prestazione d’opera intellettuale.
Potrebbe ancora sostenersi che per far valere ulteriori fattispecie, non espressamente previste dall’art. 2, comma 3°, all. V.2, la parte potrebbe esperire ex post il rimedio dell’impugnazione per nullità[53].
Tuttavia, sarebbe del tutto illegittimo – e per nulla efficiente – impedire alle parti, prima che quel lodo sia pronunciato, il ricorso alla ricusazione[54]ex art. 815 c.p.c., con le ipotesi in quella sede previste, perlomeno in tutti quei casi in cui il CCT decide la controversia ex art. 808-ter c.p.c.
D’altro canto, si è anche sostenuta l’ammissibilità della ricusazione degli arbitri irrituali osservando che essa si configurerebbe come un vero e proprio giudizio autonomo di cognizione sul rapporto contrattuale tra le parti medesime e gli arbitri – così, nella sostanza, come una azione volta a ottenere in sede giurisdizionale il corretto adempimento delle obbligazioni, tra cui l’essere indipendente ed imparziale, di cui al patto compromissorio[55]. Questo salvo il caso in cui si ritenga che l’indipendenza debba essere garantita unicamente del presidente del collegio mediante il rinvio al principio maggioritario nell’assunzione delle determinazioni ex art. 4, comma 4°, all. V.2 c.a.p., con conseguente prevalenza del voto del presidente, ossia del componente che dovrebbe essere il soggetto terzo e imparziale e che finirebbe, nella sostanza, a essere arbitro unico, disperdendo i benefici della collegialità[56].
In tal senso, potrebbe trovare fondamento l’idea di riconoscere al CCT il modello dell’arbitrato bipartisan[57], in cui si assiste alla costituzione di un collegio disomogeneo composto da un arbitro terzo e da rappresentanti scelti (difensori aggiunti) ognuno da ciascuna delle parti in causa[58], se non fosse che l’art. 215 c.a.p., anch’esso riformulato dal correttivo del 2024, prevede oggi, come sopra osservato, che ciascuna parte può chiedere la costituzione di un collegio consultivo tecnico, formato secondo le modalità di cui all’all. V.2 in modo da garantire, quanto meno per ogni membro, l’indipendenza di giudizio e valutazione[59].
Per di più, anche quando si sposti l’attenzione sul ruolo del presidente, il tema che verrebbe in rilevo sarebbe quello delle modalità previste per vigilare sulla effettiva attuazione di sistemi di selezione imparziale tramite procedure trasparenti[60], così da evitare il rischio di nomine pubbliche secondo criteri meramente fiduciari o comunque non trasparenti.
Al riguardo, non può essere utilmente richiamato quanto disposto dall’art. 810 c.p.c., novellato dal d.lgs. 149/2022, nella parte in cui dispone che il presidente del tribunale nomina l’arbitro «nel rispetto di criteri che assicurano trasparenza, rotazione, ed efficienza e, a tal fine, della nomina viene data notizia sul sito dell’ufficio giudiziario», dal momento che l’art. 1 dell’all. V.2 al comma 2° dispone che «Nel caso in cui le parti non trovino un accordo sulla nomina del presidente entro il termine indicato al comma 1 dell’articolo 3, questo è designato entro i successivi cinque giorni dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere di interesse nazionale, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano o dalle città metropolitane per le opere di rispettivo interesse», lasciando di conseguenza, anche qui, insoddisfazione sul punto, né tanto meno sembra essere risolutivo l’art. 6 dell’all. V. 2.
Se si ammette l’interpretazione sistematica offerta nel paragrafo precedente, ovvero la possibilità di applicare all’arbitrato irrituale talune norme dettate dal codice di rito per l’arbitrato rituale[61], troverebbe automatico riconoscimento l’applicazione[62] dell’art. 815, comma 1°, c.p.c., anche laddove non richiamato dall’art. 2 dell’all. V. 2 c.a.p.
Solo così verrebbe garantito il principio del giusto processo a tutto vantaggio dell’effettiva applicazione dei principi informatori che devono orientare la Stazione Appaltante nella realizzazione del principio del risultato, per cui non vi è ragione per non farvi rientrare anche la risoluzione delle controversie, posto che è del tutto evidente che queste impattano nell’esecuzione del contratto, nonché a vantaggio dell’istituto del CCT in termini di affidabilità per le parti coinvolte e di percezione per l’osservatore esterno.
10. Nel complesso, sussistono numerosi elementi che inducono a ritenere che il CCT possa costituire, e dovrebbe anzi auspicabilmente configurarsi, quale strumento di giustizia complementare – se non addirittura alternativo – rispetto ai rimedi giurisdizionali ordinari, idoneo a tutelare con immediatezza le posizioni soggettive coinvolte, in un ambito complesso quale quello dei lavori pubblici.
Tuttavia, non pare che il Legislatore abbia attribuito pari rilievo alle diverse finalità del CCT, con la conseguenza che il relativo sviluppo appare disomogeneo. Se da un lato è evidente come l’intervento correttivo abbia prodotto un potenziamento significativo dell’assetto pubblicistico del sistema, sul versante privatistico permane invece irrisolta la questione centrale, rappresentata dall’effettiva possibilità di accesso pieno alle funzionalità del CCT e di un raccordo armonico con la disciplina dell’arbitrato irrituale.
La scelta legislativa di subordinare la valenza di lodo contrattuale delle determinazioni del CCT alla doppia e concorde manifestazione di volontà delle parti finisce per depotenziare lo strumento, rendendolo scarsamente utilizzabile nella prassi quale reale rimedio alternativo per la risoluzione dei conflitti.
Se l’obiettivo di fondo era il potenziamento dell’istituto, al momento non si riesce a intravedere con chiarezza la ricaduta pratica delle novità introdotte.
Analogamente, permane irrisolta la questione della terzietà e dell’indipendenza del Collegio. In assenza di una regolamentazione stringente il rischio è quello di lasciare spazio a valutazioni soggettive, che dovranno essere colmate dalla giurisprudenza e dalla dottrina tutte le volte che insorgano patologie nel rapporto tra le parti e i membri del CCT.
Nel complesso, si può affermare che il CCT, nella configurazione attuale, risponde solo parzialmente agli obiettivi perseguiti dai sistemi di dispute resolution board. A ben vedere, il CCT rappresenta senz’altro un tentativo evolutivo verso forme di giustizia contrattuale più rapide ed efficienti; tuttavia, la sua effettiva operatività resta condizionata a quei presupposti e limiti in queste pagine evidenziati, che ne riducono sensibilmente l’efficienza.
Appare di conseguenza auspicabile una riflessione di sistema, orientata a un ulteriore intervento legislativo che semplifichi le regole di funzionamento, chiarisca i rapporti tra le varie fonti regolative (codice, allegati, linee guida e rapporti con le norme dettate dal codice di rito in materia di arbitrato), rafforzando le garanzie di imparzialità, e renda effettiva la vocazione del CCT a costituire un reale strumento alternativo alla giurisdizione; in definitiva, che il legislatore si appresti a un nuovo intervento riformatore, cercando di superare le ambiguità ancora presenti e definisca in maniera univoca la funzione principale da attribuire al CCT.
[1] Sul tema, in generale, Aniello, Il collegio consultivo tecnico come arbitrato obbligatorio? Spunti di riflessione, in Riv. Arb., 2022, p. 517 ss.; Carbone, L’inopinata “resurrezione” del collegio consultivo tecnico, in Riv. Trim. App., 2019, p. 1135 ss.; Id., La disciplina del collegio consultivo tecnico dopo il decreto del Mims 17 gennaio 2022 n. 12, Santarcangelo di Romagna, 2022; Caruccio, Collegio consultivo tecnico, in Commentario al Codice dei contratti pubblici, a cura di Villata e Ramajoli, Pisa, 2024, p. 1002 ss.; Cianflone-Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, Milano, 2021, p. 2686 ss.; Francario, La natura giuridica delle determinazioni del collegio consultivo tecnico, in L’amministrativista, 2021; Id., Il Collegio consultivo tecnico. Misura di semplificazione e di efficienza o inutile aggravamento amministrativo?, in Giustizia insieme, 2022; Id., “To be or not to be”. Il collegio consultivo tecnico. Misura di semplificazione e di efficienza o inutile aggravamento amministrativo?, in L’amministrativista, 2022; Id., Il Collegio consultivo tecnico, organismo atipico di mediazione e di conciliazione in ambito pubblicistico, in Giustizia insieme, 2023; Frontoni, Il Collegio consultivo tecnico, Sant’Angelo di Romagna, 2022; Lombardini, Riflessioni sul nuovo Collegio Consultivo Tecnico negli appalti pubblici, in Riv. Arb., 2020, p. 843 ss.; Id. , Il difficile presente dell’arbitrato nei contratti pubblici e l’introduzione di altri nuovi rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale: il collegio consultivo tecnico (ex art. 1, commi 11-14 del d.l. 18 aprile 2019, n. 32 coordinato con la legge di conversione 14 giugno 2019, n. 55), in Riv. arb., 2019, p. 84 ss.; Macchia, Alla ricerca di esperti… Rimedi alternativi ed esecuzione dell’appalto, in Giorn. dir. amm., 2024, p. 19 ss.; Otranto, Dalla funzione amministrativa giustiziale alle ADR di diritto pubblico. L’esperienza dei dispute boards e del collegio consultivo tecnico, Napoli, 2023; Volpe, Il Collegio consultivo tecnico. Un istituto ancora dagli incerti confini, in giustizia-amministrativa.it, 2020; Goisis, Il collegio consultivo tecnico come strumento di conciliazione e di arbitrato nell’interesse della celere ed esatta esecuzione del contratto, in Riv. it. dir. pubb. com., 2024, p. 147 ss.
[2] Il risultato ex art. 1 c.a.p. è stato configurato in termini aziendalistici o come soddisfazione materiale della pretesa del cittadino, o come economicità del valore della pretesa del cittadino, o come soddisfazione delle pretese giuridicamente fondate, o come presa in considerazione di tutti gli interessi in gioco. In un tentativo ricostruttivo più articolato, si è sostenuto che il risultato – già considerato dalla legge che attribuisce a un centro di competenza l’esercizio di un potere amministrativo, in vista della produzione di un effetto tipizzato dalla stessa disposizione legislativa, pertanto parte integrante della norma – sia il conseguimento di un determinato assetto degli interessi in gioco che, a seguito dell’esercizio del potere amministrativo, assurga da generico bene della vita a bene giuridicamente rilevante. Il risultato diventa dunque elemento della fattispecie normativa. Sul tema del principio di risultato si vedano Iannotta, La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo: dall’interesse legittimo al buon diritto, in Dir. proc. amm., II, 1998, p. 299 ss.; Id., Previsioni e realizzazione del risultato nella pubblica amministrazione: dagli interessi ai beni, in Dir. amm., I, 1999, p. 57 ss.; Id., Principio di legalità e amministrazione di risultato, in Amministrazione e legalità. Fonti normative e ordinamento, Milano, 2000, p. 38 ss.; Romano Tassone, Sulla formula “amministrazione per risultati”, in Scritti in onore di Elio Casetta, Napoli, 2001, p. 813 ss.; Iannotta, Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare), in Dir. e proc. amm., I, 2005, p. 1 ss.; Romano Tassone, Analisi economica del diritto e “amministrazione di risultato”, in Dir. e proc. amm., 1, 2007, p. 63, ss.; Cammelli, Amministrazione di risultato, in Annuario AIPDA, Milano, 2002, p. 107 ss.; Cassese, Presentazione in Dirigere e governare. Una proposta per reinventare la pubblica amministrazione di Osborne e Gaebler, Milano, 1995; La Barbera, La previsione degli effetti. Rilevanza giuridica del progetto di provvedimento, Torino, 2001; Spasiano, Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, 2003.
[3] La relazione illustrativa al d.lgs. 36/2023 (p. 250) lo ha qualificato come rimedio generale finalizzato ad anticipare e risolvere i contenziosi tra committente e appaltatore, al fine di non compromettere la regolare esecuzione dell’appalto, diventando obbligatorio per gli appalti di lavori di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea e per le forniture e servizi di importo pari o superiore a un milione di euro.
[4] Cfr. Lombardini, Spunti ricostruttivi sulla disciplina del Collegio Consultivo Tecnico nel nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), in Riv. arb., 2023, p. 991.
[6] Cfr. ad esempio DRBF, Practices and Procedures for Dispute Review Boards, Dispute Resolution Boards, Dispute Adjudication Boards, par. 1.1, http://www.drb.org/manual/Section_1_ QuickPrint_11-07.pdf. secondo cui «DRB as a board of impartial professionals formed at the beginning of the project follow construction progress, encourage dispute avoidance, and assist in the resolution of disputes for the duration of the project». Le statistiche del DRB, che riassumono il numero di controversie risolte da tali comitati (che si sarebbero trasformate in controversie arbitrabili), mostrano un quadro del tutto performante dell’istituto in ambito internazionale. I dati forniti alla 24a Conferenza internazionale annuale della DRBF, Dispute Boards – Realising the Potential for Dispute Avoidance (Singapore, maggio 2024) hanno fatto riferimento a un tasso di risoluzione «superiore al 98%»: cfr. McGough, Growth of Dispute Boards Around the World: DRBF Database, in drbf.org, 2024.
[7] Auletta, Sulle conseguenze possibili e le implicazioni non necessarie dell’opzione in favore della natura del lodo contrattuale per le determinazioni del Collegio consultivo tecnico, in Riv. arb., 2022, p. 485 ss.
[8] L’art. 3, comma 1°, primo periodo, dell’all. V.2 stabilisce che il CCT è costituito (e non «deve essere costituito a iniziativa della stazione appaltante», come nel testo del previgente art. 2, comma 1°, primo periodo, dell’all. V.2) «prima della data di avvio dell’esecuzione o comunque non oltre dieci giorni da tale data».
A tale riguardo, si ricorda che, nei casi di appalto integrato, la giurisprudenza ha ritenuto «illegittima la decisione della stazione appaltante di posticipare la nomina del C.C.T. ad una fase successiva a quella della consegna della progettazione (ossia all’inizio dei «lavori»)», venendo in rilievo un contratto con un «oggetto negoziale unico, consistente tanto nella progettazione quanto nell’esecuzione dei lavori» (così Tar Sicilia-Catania, sez. I, 20 giugno 2022, n. 1638).
L’inottemperanza o il ritardo nella costituzione del Collegio sono valutabili, nel caso di affidamenti di importo superiore alla soglia di rilevanza europea, sia ai fini della responsabilità dirigenziale ed erariale sia, nei rapporti tra la stazione appaltante e l’operatore economico, sotto il profilo della buona fede contrattuale. In particolare, in caso di inottemperanza o di ritardo imputabili all’operatore economico «è rimessa alla valutazione della stazione appaltante la violazione della buona fede contrattuale ai sensi dell’art. 1375 c.c. […] unitamente alla possibilità di ricorrere al Presidente del tribunale ordinario competente […] in una logica di perseguimento dell’interesse pubblico all’esecuzione dell’opera, dunque, conservativa della procedura di aggiudicazione svolta per l’affidamento del contratto […]» (cfr. delibera ANAC n. 265, 7 giugno 2022).
[9] In ragione di quanto oggi disposto dall’art. 1 dei Regolamenti Delegati (UE) n. 2023/2495, n. 2023/2496 e n. 2023/2497 della commissione del 15 novembre 2023.
[10] Quanto ai requisiti, possono essere nominati componenti del Collegio gli ingegneri, gli architetti, i giuristi e gli economisti, in possesso di comprovata esperienza nel settore degli appalti, delle concessioni e degli investimenti pubblici, anche in relazione allo specifico oggetto del contratto. L’esperienza e la qualificazione sono comprovate dal possesso di uno dei requisiti richiesti dall’art. 2, comma 1°, dell’all. V.2. Rispetto al sistema previgente, i requisiti richiesti per la nomina a presidente o a membro del Collegio sono ora i medesimi; è stata così superata la previsione contenuta nel previgente punto 2.4.2., lett. c, delle Linee guida MIMS, che escludeva la categoria professionale dei giuristi del libero Foro dal novero di coloro che potevano essere nominati presidenti del CCT, la cui efficacia, peraltro, era già stata sospesa con ordinanza dal Tar Lazio-Roma, sez. III, 19 aprile 2022, n. 2585. In tal senso, anche Tar Lazio-Roma, sez. III, 19 maggio 2025, n. 9437, atteso il rilievo ordinamentale che riveste l’attività forense alla luce dell’articolo 24 della Costituzione.
L’unico elemento di differenziazione riguarda il periodo temporale da prendere in considerazione per dimostrare il possesso dei requisiti: mentre il possesso del requisito deve essere comprovato con riferimento a un periodo minimo di cinque anni (e non più di dieci) per la nomina come membro del Collegio, per la nomina a Presidente il periodo minimo richiesto continua a essere di dieci anni (art. 2, comma 2°, all. V.2). La formulazione dell’art. 2, comma 1°, dell’all. V.2 non pare coerente e sembra, al contrario, foriera di problematicità.
La norma, in particolare per come formulata in corrispondenza della lett. a (n.d.r. «patrocinio o assistenza di parte pubblica o privata in contenziosi amministrativi o civili nel settore dei lavori pubblici»), non sembra consentire la spendita dell’esperienza maturata nello svolgimento dell’attività di consulenza stragiudiziale; il che, però, risulta piuttosto singolare, viste le regole di funzionamento del CCT e considerata, altresì, la qualificazione del medesimo in termini di «organismo consultivo e di mediazione e conciliazione» (cfr. Relazione illustrativa allo Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante «Delega al Governo in materia di contratti pubblici», p. 251.). Per quel che concerne invece i professori universitari nelle materie degli appalti, delle concessioni e degli investimenti pubblici (v. lett. d): mentre nel sistema previgente la qualifica di professore universitario di ruolo era richiesta per la sola nomina a presidente del CCT (v. punto 2.4.2., lett. b, c e d, delle Linee guida MIMS), nel sistema attuale la qualifica è estesa tout court anche per la nomina a componente, tant’è che non figura più tra i requisiti il possesso del titolo di dottore di ricerca di cui al punto 2.4.3., lett. b e c, delle Linee guida MIMS. Ciò parrebbe significare, all’atto pratico, che potranno spendere il requisito accademico solamente i professori di I e di II fascia. Infine, occorre tener presente che, nel caso di costituzione facoltativa del CCT in relazione ai contratti di appalto di servizi e forniture, i requisiti dei componenti del Collegio andranno ricavati in via analogica da quelli previsti dal Legislatore prendendo a riferimento il settore dei lavori pubblici.
[11] Cfr. Auletta, op. cit., con riferimento alle linee guida 2.3.3.; cfr. anche 2.2.5.
[12] Va segnalato che il d.l. Semplificazioni n. 76/2020, convertito con modificazioni in l. n. 120/2020, ha posto in essere una significativa deroga allo storico divieto per la Pubblica Amministrazione di avvalersi dello strumento del c.d. arbitrato irrituale o libero per la risoluzione delle controversie derivanti da contratti di appalto conclusi con privati (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2020, n. 7759) secondo cui «La formazione della volontà contrattuale della P.A. non può essere delegata a terzi estranei […] il perseguimento dell’interesse pubblico verrebbe affidato all’operato di soggetti sottratti ad ogni controllo, con l’effetto di rendere evanescente anche l’eventuale individuazione di qualsivoglia conseguente responsabilità»; ancora, cfr. Cass. civ., sez. I, 19 settembre 2013, n. 21468, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., sez. II, 7 maggio 2013, n. 10599, in Giust. civ. Mass., 2013; Tar Molise, sez. I, 16 dicembre 2010, n. 1552, in Foro amm. Tar, 2010, 3943.
[13] Cons. St., Commissione speciale, 2 dicembre 2024, parere n. 1463.
[14] Cfr. Lombardini, Spunti ricostruttivi, cit., p. 991 ss. Goisis, Il collegio consultivo, cit., pp. 557 ss.
[15] Cfr. ancora Corte cost., 9 maggio 1996, n.152.
[16] Cfr. Lombardini, Spunti ricostruttivi, cit. p. 991 e ss. «[…] per scongiurare il rischio che si configurasse una ipotesi di arbitrato obbligatorio, mantenevano cioè salva la diversa motivata volontà espressa in forma scritta dalle parti stesse, laddove prevedevano che “il Collegio può operare come collegio arbitrale ai sensi e per gli effetti dell’art. 808-ter c.p.c. soltanto se il consenso in tal senso sia stato ritualmente prestato dalle parti ai sensi dell’art. 6, comma 3°, quarto periodo”. […] La chiara ed espressa dichiarazione di volontà di ambedue le parti sul punto è quindi indispensabile per scongiurare il rischio che l’attività che verrà successivamente svolta dal CCT possa essere eventualmente invalidata lamentando il fatto che le determinazioni con valore di lodo contrattuale siano state adottate senza una positiva enunciazione in forma scritta di una volontà in tal senso […]». Cfr. anche Lombardini, Illegittimità, cit. Nota a Corte cost. n. 221 del 2005, in Giur. It., n. 7/2006, p. 1450 ss., spec. 1452 ss.; Aniello, op. cit., p. 527 ss.
[17] Corte cost., 9 maggio 1996, n.152, espressione di un principio oramai consolidato su cui, da ultimo, anche Corte cost. 8 giugno 2005, n. 221.
[18] Cfr. Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2024, n. 8863.
[19] Resta fermo che il lodo contrattuale è annullabile ex art. 808-ter c.p.c. anche nelle ipotesi in cui: la convenzione dell’arbitrato è invalida o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale; gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale; il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’art. 812, cioè se gli arbitri non hanno in tutto o in parte la capacità legale di agire; gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo; non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio.
[20] La dottrina sul punto suggeriva già di richiedere che ogni quesito posto al CCT in veste arbitrale sia sottoscritto da entrambe le parti, cosicché da riconfermare l’opzione arbitrale. Cfr. Lombardini, Spunti ricostruttivi, cit., p. 991 ss.; Goisis, Il collegio consultivo, cit., p. 557 ss. (nota 40).
[21]Relazione illustrativa Decreto, recante disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, p. 89, sub art. 61.
[22] Cfr. Tar Lazio, 5 novembre 2024, n. 19503, in senso conforme Cons. St. n. 1318/2020, Cons. St., Ad. Plen. 9/11 e sez. V, 31 luglio 2019, n. 5436, 25 marzo 2021, n. 2521, 07 giugno 2016, n. 2433, 12 maggio 2017, n. 2222.
[23] La giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sentenza n. 4650 del 2022) ha ritenuto nel vecchio impianto normativo che, malgrado l’inciso «per qualsiasi motivo», l’interpretazione preferibile induce a escludere la fattispecie della risoluzione per grave inadempimento dell’appaltatore, fattispecie che sembra superato dal nuovo comma 2° dell’art. 216 c.a.p.
[24] Cfr. Cass., sez. II, 13 aprile 2022, n. 12058.
[25] Cfr. art 215, comma 2°, del tutto in linea con l’orientamento della giurisprudenza prevalente, che attribuisce all’arbitrato irrituale anche una funzione eventualmente transattiva. Cfr. Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2021, n. 14986; Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2014, n. 16164; Cass. civ., sez. I, 1° aprile 2011, n. 7574.
[27] Per altro, anche la determinazione – diversa dal mero accertamento – potrà essere impugnata, rilevando l’errore di fatto essenziale che abbia inficiato la volontà degli arbitri per effetto di una falsa rappresentazione dei fatti dedotti. Cfr. App. Brescia, sentenza n. 63 del 2024. In dottrina, per l’ammissibilità del CCT di ricercare una composizione amichevole, cfr. Francario, Il Collegio consultivo tecnico, cit.; Macchia, Alla ricerca di esperti, cit., p. 19 ss.; Otranto, Dalla funzione amministrativa, cit.; Volpe, Il Collegio consultivo tecnico, cit., Pugliese, Poteri del collegio arbitrale e provvedimenti amministrativi, in AA.VV., Arbitrato e pubblica amministrazione, Milano, 1999, p. 77 ss. e Romano Tassone, Giurisdizione amministrativa e arbitrato, in Riv. Arb., 2000, p. 249 ss., secondo i quali l’arbitrato irrituale sarebbe lo strumento preferibile, per la sua tradizionale valenza transattiva, per la soluzione delle controversie nell’ambito degli accordi tra diverse amministrazioni, ove si realizza il c.d. coordinamento istituzionale.
[28] Non in maniera dissimile rispetto a quanto previsto dall’art. 13 d.lgs. 28/2010 in tema di mediazione. Cfr. ad esempio App. Palermo, 14 luglio 2023, n. 1334 in Dejure.
[29] Secondo la giurisprudenza, a differenza di quanto avviene per l’arbitrato rituale, nel caso in cui un compromesso abbia ad oggetto un arbitrato irrituale, la controparte sarà onerata ad eccepire il difetto di una condizione di decidibilità della controversia nel merito, non ponendosi un problema di giurisdizione né di competenza, quanto di rinuncia alla giurisdizione e di sussistenza del correlato interesse alla pronuncia del merito. Cfr., in tal senso, Cort. app. Venezia, 22 dicembre 2021, n. 2984; Cass. civ., sez. II, 8 agosto 2019, n. 21177; Trib. Napoli, sez. spec. impresa, 20 ottobre 2020; Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2011, n. 5265; Cass. civ., sez. un., 11 marzo 2008, n. 6423.
[30] Il fondamento costituzionale dell’istituto del conflitto di interessi si rinviene nell’art. 97 cost., il quale richiede che la pubblica amministrazione agisca nel rispetto della regola dell’equidistanza nei confronti dei destinatari dell’azione amministrativa. Ai fini della configurabilità di un conflitto di interessi, possono rilevare sia utilità materiali (ad esempio, di natura patrimoniale) che utilità immateriali, di qualsivoglia genere. L’art. 6-bis della legge n. 241 del 1990 (introdotto dall’art. 1, comma 41° della legge n. 190 del 2012 e applicabile come norma generale anche al settore dei contratti pubblici) prevede l’obbligo di astensione dell’organo amministrativo in conflitto di interessi «anche potenziale». Similmente, l’art. 53, d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo modificato dalla legge n. 190 del 2012, prevede la verifica o la dichiarazione di situazioni di conflitto di interesse anche potenziale. E ancora, l’art. 7 del D.P.R. n. 62 del 16 aprile 2013 prevede l’obbligo di astensione anche nel caso in cui sussistano «gravi ragioni di convenienza». Infine, l’art. 51 c.p.c. e 815 c.p.c. rimandano, a loro volta, a «gravi ragioni di convenienza» di cui all’art. 7.
[31] Dovendosi ritenere, dunque, che non può assumere l’incarico di CCT il soggetto che ha un interesse personale che può essere «percepito come una minaccia concreta ed effettiva alla sua indipendenza e imparzialità». La percezione potrebbe evocare alla mente il concetto secondo cui il giudice deve apparire imparziale. L’importanza per i giudici non solo di essere, ma anche di apparire imparziali nell’esercizio della propria funzione è stata infatti affermata per la prima volta dall’ordinamento inglese. Infatti, nella sentenza The King v. Sussex justices ex parte McCarthy, (1924) 1 KB 256, (1923), Lord Chief Justice Hewart afferma: « […] a long line of cases shows that it is not merely of some importance cut is of fundamental importance that justice should not only be done, but should manifestly and undoubtedly be seen to be done». Per un commento all’origine inglese del criterio in esame, cfr. Richardson Oakes – Davies, Justice must be seen to be done: a contextual reappraisal, in 37(2) Adelaide Law Review, 2016, p. 461; McKoski, Giving up Appearances: Judicial Disqualification and the Apprehension of Bias, in 4 British Journal of American Legal Studies, 2015, p. 35; Sunnqvist, Impartiality and independence of judges: the development in European case law, in 1 Nordic Journal of European Law, 2022, p. 67. L’apparenza di imparzialità aveva trovato legittimazione in alcune decisioni della Commissione europea dei diritti dell’uomo e del Comitato dei Ministri. Così, nei casi Ofner, Hopfinger, Pataki e Dunshirn, gli organi del Consiglio d’Europa avevano già sottolineato l’importanza delle percezioni esterne nel valutare il rispetto delle garanzie previste dall’art. 6, CEDU, tra cui anche l’imparzialità del giudice. Sul punto, cfr. Richardson Oakes – Davies, Process, Outcomes and the Invention of Tradition: The Growing Importance of the Appearance of Judicial Neutrality, in 51 Santa Clara Law Review, 2011, p. 573. Ora, non si comprende, in tema di indipendenza, come l’art. 16 c.a.p. possa coesistere con la previsione di cui all’art. 1, comma 2° dello stesso allegato, dal momento che prevede che i componenti del collegio possono essere individuati «anche tra il proprio personale dipendente ovvero tra persone a esse legate da rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione anche continuativa». È chiaro che il tema non attiene al rapporto di credito esistente tra le parti (di cui all’art. 51, n. 3 c.p.c.), non contemplato neanche dall’art. 815 c.p.c. per ovvie ragioni, quanto piuttosto alle ragioni di convenienza a che un soggetto che abbia rapporti di lavoro o di collaborazione continuativa possa essere designato come membro del CTT, senza neanche la previsione dell’obbligo della disclosure e la conseguente valutazione delle parti.
[32] Cfr. Delibera Anac, adunanza del 22 gennaio 2025.
[33]Mutatis mutandis il tema può trovare qualche contatto con la disciplina dell’indipendenza dell’amministratore, di cui al d.m. 23 novembre 2020, n. 169, dove all’art. 15 viene introdotto il concetto di indipendenza di giudizio e valutazione. La dottrina in quella sede ha avuto modo di precisare che, al di là della (realmente) potenziale equivocità della classificazione della indipendenza di giudizio come «atteggiamento», risulterebbe di gran lunga preferibile ancorare l’autonomia di giudizio a parametri o situazioni oggettivamente misurabili, sia pure con l’inevitabile discrezionalità che la varietà della casistica pratica impone di considerare. L’invito a far prevalere la sostanza sulla forma è destinato a operare pur sempre nell’ambito della c.d. indipendenza in apparenza, non potendo, infatti ricercare la sostanza nello stato mentale individuale. Cfr. Cariello, Indipendenza sostanziale e codice di autodisciplina, in Rds, 2020 p. 639 (in particolare, note 93 e 94).
[35] In passato la giurisprudenza riteneva che in caso di arbitrato irrituale non dovesse trovare applicazione il limite della imparzialità degli arbitri; l’opinione prendeva origine dall’assimilazione dell’arbitrato irrituale alla transazione e si affermava così perfettamente legittimo un arbitrato irrituale in cui partecipavano in qualità di arbitri le parti (Cass., 7 marzo 1967, n. 529, in Giust. civ., 1967, I, p. 894); ovvero il direttore dei lavori per conto del committente (Cass., 27 ottobre 1966, p. 2659, in Rep. Giur. it., 1966, voce Appalto privato, n. 36; Cass., 19 luglio 1957, n. 3028, in Mon. trib., 1958, p. 207; Cass., 20 febbraio 1951, n. 419, in Giur. compl. Cass. civ., 1951, I, p. 563). Il punto però ha assunto una evidenza ancora più marcata a seguito della intervenuta modifica dell’art. 111 cost.; sul tema del giusto processo per un primo approfondimento, cfr. Chiarloni, Il nuovo art. 111 Cost. e il processo civile, in Riv. dir. proc., 2000, p. 1010, ove ulteriori riferimenti; qualche utile riferimento anche in Montesano, La garanzia costituzionale del contraddittorio e i giudizi civili di terza via, in Riv. dir. Proc., 2000, p. 929.
[36]Fazzalari, L’etica dell’arbitrato, in Riv. arb., 1991, p. 1; Id., Ancora sulla imparzialità dell’arbitro, in Riv. arb., 1998, p. 1; La China, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 1995, p. 63; Taruffo, Note sull’imparzialità dell’arbitro di parte, in Riv. arb., 1997, p. 481.
[37] Fazzalari, La imparzialità del giudice, in Riv. dir. proc., 1972, p. 193; Cecchella, L’arbitrato, in Giur. sist. dir. proc.civ., diretta da Proto Pisani, Torino, 1988, p. 111; Id., Disciplina del processo nell’arbitrato, in Riv. arb., 1995, p. 213; Bernardini, Arbitrato con pluralità di parti e designazione degli arbitri: uguaglianza delle parti e imparzialità degli arbitri, in Riv. arb., 1992, p. 101.
[39] La Corte costituzionale ha sottolineato che le soluzioni per garantire un giusto processo non devono seguire linee direttive necessariamente identiche per i vari tipi di processo; ciò tuttavia non deve pregiudicare la piena attuazione dei princìpi e delle correlate garanzie (Corte cost., 15 ottobre 1999, n. 387, in Foro it., 1999, I, c. 3442, con nota di Scarselli, La Consulta detta le nuove regole sull’incompatibilità del giudice nel processo civile; nonché Corte cost., 12 marzo 1998, n. 51, in Giur. it., 1999, c. 1787; Corte cost., 7 novembre 1997, n. 326, in Giur. it., 1998, c. 410, con nota di Consolo, Il giudice civile cautelare non diviene in via generale incompatibile a statuire sul merito secondo la Consulta). Sull’argomento cfr. anche Scarselli, Terzietà del giudice e processo civile, in Foro it., 1996, I, c. 3616, Comoglio, Commentario della Costituzione, a cura di Branca, artt. 24-26, Bologna-Roma, 1981, p. 101; nonché Ricci, Sul contraddittorio nell’arbitrato irrituale, in Rass. arb., 1987, p. 13.
[40] Cfr. Beg vs. Italia, dove la Corte EDU ha precisato che si può affermare che una parte rinunci al proprio diritto di contestare la parzialità dell’arbitro solo se il fatto, oltre a essere notorio, sia effettivamente conosciuto dalla parte stessa. In altri termini, se una parte promuove la ricusazione del professionista decorsi i termini di legge, basandosi su un fatto notorio ma scoperto tardivamente, non è possibile ritenere inammissibile la domanda di ricusazione adducendo a motivo la scadenza dei suddetti termini, a meno che non dimostri che la parte ricorrente fosse già a conoscenza del fatto al momento della nomina.
[41] Sulla natura procedimentale dell’arbitrato irrituale, così come disciplinato dal d.lgs. n. 40/2006, si vedano Bove, in Il nuovo processo civile, a cura di Bove e Cecchella, Milano, 2006, p. 59; Ricci, La delega sull’arbitrato, in Riv. dir. proc., 2005, p. 960; Carpi, Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’arbitrato, in AA.VV., Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’arbitrato, in Quaderni della rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Milano, 2006.
[42] Cfr. Lombardini, Spunti ricostruttivi, cit., nota 25.
[43] Si può rinvenire un norma analoga all’art. 813 c.p.c. nel regolamento Anas per la nomina dei componenti nei collegi consultivi tecnici e regole di funzionamento al punto 5.1.3 (liberamente consultabile in stradeanas.it/sites/default/files/pdf/Regolamento_nomina_componenti_CCT_e_regole_di_funzionamento.pdf), dove viene previsto che i membri, contestualmente all’accettazione, devono allegare la dichiarazione di Autonomia e indipendenza di cui all’allegato 2 del regolamento per la nomina dei componenti nei collegi consultivi tecnici e regole di funzionamento.
[44] Cfr. Rodorf, Il giusto processo arbitrale e la terzietà dell’arbitro di parte, in Riv. arb., 2024, p. 593 e ss., in specie nota 25. Dalmotto, in Giur. it., 1996, I, 2, c. 240, in nota a Trib. Biella, 26 luglio 1995, che respinge una domanda di ricusazione in sede di arbitrato irrituale adeguandosi così all’interpretazione tradizionale.
[45] Altra autorevolissima dottrina ritiene che «l’arbitrato è giurisdizione, sia esso rituale ovvero irrituale». Così, testualmente, Biavati, Sub art. 808-ter c.p.c., in Arbitrato, Commentario diretto da Carpi, p. 218.
[46] In dottrina si registrano opinioni diverse: ad esempio, Bove, in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Menchini, Padova, 2010, p. 72 e ss., reputa applicabile all’arbitrato irrituale unicamente il disposto dell’art. 808-ter c.p.c. e non anche gli articoli successivi riguardanti il solo arbitrato rituale; viceversa, Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2012, p. 622 e ss., è dell’avviso che i suddetti articoli del codice di rito opererebbero anche nell’arbitrato irrituale, a meno che le parti lo abbiano escluso (fatte comunque salve le norme di applicazione necessaria).
[47] Cfr. l’autorevolissima dottrina di Sassani, L’arbitrato irrituale, in Trattato del diritto dell’arbitrato, Napoli, vol. I, p. 314: dopo aver distinto le norme del codice di rito sicuramente applicabili, quelle sicuramente non applicabili e quelle di dubbia applicazione all’arbitrato irrituale, colloca nella prima categoria (tra gli altri) gli artt. 813 e 815, ossia proprio quegli articoli dai quali soprattutto si ricava la necessità dei requisiti d’indipendenza e imparzialità in capo agli arbitri.
[48] Cfr. Nanni, in Commentario c.c., a cura di Scialoja e Branca, sub art. 1723 c.c., p. 42 ss., nonché sub art. 1726 c.c., p. 164 ss.
[49] Quest’ultima precisazione sembra superare l’orientamento giurisprudenziale riconducibile alla pronuncia della I sezione del Tar Calabria-Catanzaro, 11 novembre 2024, n. 1582 che, nel dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di annullamento dell’atto di revoca dell’incarico di componente del CCT, aveva precisato quanto segue: «Se paritaria è la posizione dei contraenti, pubblico e privato, altrettanto è a dirsi rispetto al rapporto che si viene ad instaurare fra la parte contrattuale, sia essa pubblica o privata, da un lato, e i componenti di parte da essa scelti per la composizione del Collegio Consultivo Tecnico. Rapporto che […] può ricondursi alla figura del mandato (artt.1703 ss. c.c.) ed ha natura fiduciaria. Nella scelta del componente di parte da indicare per il costituendo Collegio Consultivo Tecnico, la stazione appaltante non esercita un potere pubblicistico bensì un potere di natura privatistica. Lo stesso è a dirsi per la decisione di revocare quella scelta, ove il rapporto di fiducia venga meno. Anche in questo caso, l’amministrazione esercita un potere privato il cui sindacato è sottratto alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto a venire in rilievo è una posizione di diritto soggettivo, non di interesse legittimo».
[50] Cfr. Cass., 12 gennaio 1956, n. 30, in Riv. dir. fall., 1957, II, p. 294, con nota di Vecchione, Compromesso in arbitri e fallimento; Cass., 4 agosto 1958, n. 2866, in Foro pad., 1958, I, c. 969; Cass., 18 maggio 1959, n. 1747, in Foro it., 1959, I, c. 1847; in dottrina sul punto, Bonsignori, Arbitrato irrituale e fallimento, in Riv. arb., 1996, p. 129.
[51] Cfr. Consolo, Elasticità convenzionale della disciplina della imparzialità dell’arbitro e nuovo art. 836 c.p.c., in Riv. arb., 2000, p. 437, spec. p. 448.
[52] Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988, p. 111; Montesano, Aspetti problematici dell’arbitrato irrituale dopo la riforma del 1983, in questa rivista, 1991, p. 442. Fazzalari, voce Arbitrato (teoria generale e diritto processuale civile), in Dig. disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, p. 398; Redenti, voce Compromesso (dir. proc. civ.), in Noviss. dig. it., III, Torino, 1938, p. 790, il quale ritiene che si tratti di un contratto misto avente ad oggetto l’opera professionale con elementi del mandato, poiché l’opus finale viene a coincidere con un atto giuridico; da ultimo cfr. Cecchella, L’arbitrato, cit., p. 118.
[53] A tale proposito, non si possono certamente far discendere differenze rilevanti dal diverso regime del lodo, soprattutto in punto di impugnazione (con ordinario giudizio di cognizione in primo grado, ex art. 808-ter c.p.c., per l’irrituale e con impugnazione per nullità ex art. 829 c.p.c. per il rituale). Dunque, l’attitudine del lodo rituale ad acquisire gli effetti della sentenza non può costituire elemento discretivo per escludere che, dopo la chiusura del procedimento, sia utilizzabile per il lodo irrituale la liquidazione dei compensi di cui all’art. 815 c.p.c. Così Luiso, Diritto processuale civile, Torino, 2023, pp.141-142. Non è questa la sede per indugiare sul tema, ampiamente dibattuto, della unitarietà dell’arbitrato, a prescindere dalla qualificazione come rituale o come libero; si rinvia soltanto agli scritti di Fazzalari, I processi arbitrali nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. proc., 1968, 459; Id., Fondamenti dell’arbitrato, in questa rivista, 1995, 1; Id., Arbitrato nel diritto processuale civile, in Dig. civ., Aggiornamento, Torino, 2000, p. 84 ss., p. 105; v. anche Cecchella, Arbitrato libero e processo (contributo ad una nozione unitaria dell’arbitrato italiano), in Riv. dir. proc., 1987, p. 885; contro la reductio ad unum del fenomeno arbitrale Marinelli, La natura dell’arbitrato irrituale. Profili comparatistici e processuali, Torino, 2002, p. 108 ss.; v. anche Bove, Sub art. 808-ter, in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Menchini, Padova, 2010, p. 65 ss., in part. 70, nonché, dello stesso Autore, lo studio Note in tema di arbitrato libero, in Riv. dir. proc., 1999, p. 688.
[54] Per l’applicabilità dell’art. 815 c.p.c. anche all’arbitrato irrituale, Sassani, L’arbitrato, cit., p. 314 ss.
[55] Consolo, La ricusazione dell’arbitro, in Riv. arb., 1998., p. 17. Tommaseo, In tema di ricusazione dell’arbitro libero: un ulteriore passo verso una disciplina comune dei processi arbitrali?, nota a Trib. Venezia, 29 novembre 1989, in Giur. it., 1991, I, 2, c. 50; Id., Arbitrato libero e forme processuali, in Riv. arb., 1994, p. 743.
[56] Che invece è garanzia di un giudizio più equilibrato e ponderato e ciò «[…] per l’ovvia considerazione che l’esame delle questioni di fatto e di diritto condotto da più persone riduce il rischio di errore, di omissione o di fraintendimento rispetto all’esame compiuto da un singolo […]». Cfr. Rodorf, Il giusto processo, cit., p. 593 ss., Azzali – Morera – Rojas Elgueta, Errori cognitivi e arbitrato, Bologna, 2018.
[57] Henry, Les obligations d’indépendance et information de l’arbitre à la lumière de la jurisprudence récente, in Rev. Arb., 1999, p. 212 ss.; De Bournonville, Droit judiciaire, L’arbitrage, Louvainla-Neuve, 2000, p. 141. App. Parigi, 20 novembre 1997, 3R c/ Phénix Richelieu, in Rev. Arb., 1999, p. 329; Cass. francese, 24 marzo 1998, in Rev. Arb., 1999, p. 255 e in JDI, 1999, p. 155, con nota di Kahn.
[58] In questi termini, Consolo, Àrbitri di parte non «neutrali»?, in Riv. arb., 2001, p. 15 ss.
[59] Questo concetto avrebbe richiesto, ad avviso della Commissione Speciale del Consiglio di Stato, un «completamento chiarificatore ulteriore, anche per dirimere i dubbi finora insorti sulla natura dell’istituto, tale da meglio precisare la detta posizione di indipendenza non solo in fase costitutiva, ma anche funzionale» (così Cons. Stato, Commissione Speciale, 2 dicembre 2024, parere n. 1463, sub punto 53.2.
[60] L’art. 6 dell’all. V. 2 stabilisce l’obbligo per i presidenti dei CCT di trasmettere determinati atti all’Osservatorio permanente istituito presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, al fine di consentire un’efficace attività di monitoraggio dell’operato dei collegi. Tra i compiti a cui è deputato, l’Osservatorio dovrebbe curare la tenuta di un apposito elenco dei soggetti esperti, che possono essere nominati presidenti dei CCT; può effettuare verifiche a campione per rilevare il mancato rispetto del principio di rotazione o degli altri requisiti richiesti per la nomina a membro o presidente del CCT; segnala eventuali violazioni normative alla stazione appaltante competente per l’adozione delle conseguenti determinazioni e all’ordine professionale di appartenenza ove le inadempienze siano da ricondurre a condotte dei componenti del CCT.
I presidenti dei CCT sono tenuti a trasmettere all’Osservatorio, sottoscritti digitalmente: l’atto di costituzione del Collegio; le variazioni di composizione, nonché lo scioglimento; le determinazioni assunte con valore di lodo arbitrale (entro cinque giorni dalla loro adozione).
Allo scopo di esercitare l’attività di monitoraggio, l’Osservatorio può richiedere alle stazioni appaltanti dati, informazioni e documenti relativi alla costituzione e al funzionamento del CCT.
La norma però non contempla gli effetti della mancata o ritardata comunicazione, senza giustificato motivo, delle informazioni obbligatorie, che può costituire grave inadempienza da parte dei presidenti dei Collegi Consultivi Tecnici e, ove reiterata, può costituire fattore preclusivo dell’assunzione di ulteriori incarichi di presidente o componente di CCT.
Infine, il comma 3° dell’art. 6, dispone che l’accesso agli atti detenuti dall’Osservatorio e dai Collegi è consentito «nei limiti di legge e salve le disposizioni del codice di procedura civile in relazione alle determinazioni dei collegi aventi natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del medesimo codice di procedura civile, mediante istanza formulata alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti in base agli articoli 35 e 36 del codice».
La previsione in esame pare, a una prima lettura, foriera di criticità. Da un lato, non è chiaro a cosa il Legislatore intenda riferirsi con l’inciso «salve le disposizioni del codice di procedura civile in relazione alle determinazioni dei collegi aventi natura di lodo contrattuale ai sensi dell’articolo 808-ter del medesimo codice di procedura civile». Dall’altro, il rinvio all’art. 36 del d.lgs. n. 36/2023 pare erroneo, considerato che tale disposizione reca una disciplina speciale e presuppone che l’accesso agli atti e ai documenti elencati in corrispondenza del comma 1° (n.d.r. offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, verbali di gara, atti, dati e informazioni presupposti all’aggiudicazione) abbia luogo senza la presentazione di alcuna istanza.
[61] In dottrina si registrano opinioni diverse: ad esempio, Bove, in La nuova disciplina, cit., p. 72 ss., reputa applicabile all’arbitrato irrituale unicamente il disposto dell’art. 808-ter c.p.c. e non anche gli articoli successivi riguardanti il solo arbitrato rituale; viceversa, Punzi, in Disegno sistematico, cit., p. 622 ss., è dell’avviso che i suddetti articoli del codice di rito opererebbero anche nell’arbitrato irrituale, a meno che le parti lo abbiano escluso (fatte comunque salve le norme di applicazione necessaria).
[62] Cfr. Sassani, L’arbitrato irrituale, cit., p. 314, dopo aver distinto le norme del codice di rito sicuramente applicabili, quelle sicuramente non applicabili e quelle di dubbia applicazione all’arbitrato irrituale, colloca nella prima categoria (tra gli altri) gli artt. 813 e 815, ossia proprio quegli articoli dai quali soprattutto si ricava la necessità dei requisiti d’indipendenza e imparzialità in capo agli arbitri.