Convenzioni per arbitrato amministrato concluse prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia e poteri cautelari degli arbitri

Di Federico Banti e Francesco Berardi -

Sommario: 1. La pronuncia del Tribunale di Milano. – 2. L’attribuzione agli arbitri del potere cautelare anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali. – 3. Il potere cautelare degli arbitri in caso di rinvio a regolamenti arbitrali precostituiti in forza di convenzioni arbitrali stipulate prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia. – 4. Conclusioni.

*il presente scritto è destinato alla pubblicazione sul prossimo fascicolo Rivista dell’Arbitrato

1. La pronuncia del Tribunale di Milano[1]. Con l’ordinanza del 4 gennaio 2025, il Tribunale di Milano è stato chiamato a pronunciarsi in merito alla propria competenza a concedere un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., richiesto in corso di causa dal convenuto, strumentale ad assicurare gli effetti della propria domanda riconvenzionale.

Rispetto a tale richiesta, l’attore aveva eccepito il difetto di competenza del Tribunale di Milano in favore del Tribunale Arbitrale[2], invocando a tal fine la clausola compromissoria contenuta nell’accordo posto a fondamento della pretesa fatta valere in via riconvenzionale, attributiva della competenza agli arbitri secondo il regolamento della Camera Arbitrale di Milano. Occorre precisare che il regolamento della Camera arbitrale di Milano in vigore dal 1° marzo 2023[3] e, dunque, già vigente al momento della proposizione dalla domanda cautelare, prevede all’art. 26 che «[s]alvo diverso accordo delle parti, il Tribunale Arbitrale, su domanda di parte, ha il potere di adottare tutti i provvedimenti cautelari, urgenti e provvisori, anche di contenuto anticipatorio, che non siano vietati da norme inderogabili applicabili al procedimento».

Il Tribunale, con una motivazione molto sintetica che, come vedremo, si presta a nostro avviso ad essere equivocata, ha rigettato l’eccezione sollevata dall’attore, confermando la propria competenza a emettere il provvedimento cautelare richiesto senza dare peso alla assenza di un Tribunale Arbitrale costituito (ciò che avrebbe comunque portato alla conferma della competenza cautelare del giudice statuale ai sensi dell’art. 818, comma 2, c.p.c.) ma andando a dare rilievo alla formazione della volontà compromissoria delle parti.

La ratio della decisione riposa sulla circostanza che la clausola compromissoria in esame nel caso di specie era stata stipulata antecedentemente alla riforma Cartabia e, quindi, nella vigenza del divieto per gli arbitri di emettere provvedimenti cautelari. In particolare, il Tribunale, nel valorizzare l’intenzione delle parti, ha ritenuto dirimente il fatto che al momento della stipulazione della clausola compromissoria “… non era previsto che fosse demandabile agli arbitri la competenza per i giudizi cautelari“, reputando pertanto irrilevante che il nuovo regolamento della Camera Arbitrale ratione temporis applicabile[4] attribuisca poteri cautelari agli arbitri, in conformità con quanto oggi consentito dall’art. 818 c.p.c.

La pronuncia qui annotata offre l’occasione per riflettere su un “problema di rilievo”[5] che la Riforma Cartabia dell’arbitrato pone in relazione al potere cautelare degli arbitri: quello della sorte delle convenzioni di arbitrato, anche (ma diremmo soprattutto) di quelle per arbitrato amministrato, che affidavano agli arbitri il potere di emettere provvedimenti cautelari, pur nella vigenza del previgente divieto, più o meno assoluto[6], sancito dall’art. 818 c.p.c., di concedere “sequestri” e “altri provvedimenti cautelari”. In tal caso, è lecito chiedersi se gli arbitri, nominati in forza di una siffatta clausola arbitrale, possano o meno ritenersi dotati del potere cautelare.

Diremo subito che rispetto a tale questione, la pronuncia qui annotata non pare poter rappresentare un precedente realmente spendibile. Dalla lettura del provvedimento risulta infatti che agli atti di causa fosse stato depositato il solo regolamento della Camera Arbitrale entrato in vigore a far data dal 1° marzo 2023, attualmente vigente, e non anche il “vecchio” regolamento entrato in vigore il 1° luglio 2020[7] e vigente all’epoca della stipulazione della clausola compromissoria invocata in giudizio che pure prevedeva all’art. 26 il potere cautelare per gli arbitri di “adottare” tutti i provvedimenti cautelari, urgenti e provvisori, nonostante il divieto sancito dal previgente art. 818 c.p.c.[8]. Si tratta di una circostanza nient’affatto trascurabile nella prospettiva “sostanziale” che il Tribunale sembra far propria, ossia nell’ottica di ricostruire quella che “deve ritenersi fosse l’intenzione delle parti” al momento della stipulazione della convenzione arbitrale[9].

2. L’attribuzione agli arbitri del potere cautelare anche mediante rinvio ai regolamenti arbitrali. Con l’introduzione della possibilità di affidare in via generalizzata agli arbitri il potere di concedere provvedimenti cautelari, è venuto (finalmente) a cadere il vecchio pregiudizio[10] su cui tradizionalmente si fondava il divieto sancito dal previgente art. 818 c.p.c.: quello della carenza di poteri coercitivi in capo ai giudici privati, la quale impedirebbe loro di emettere provvedimenti capaci di determinare un’immediata modificazione della realtà materiale[11].

Ai sensi del riformato art. 818 c.p.c. al fine di poter validamente attribuire agli arbitri la potestas cautelare, non è tuttavia sufficiente che le parti abbiano affidato agli arbitri la risoluzione della controversia tra di loro insorta, essendo all’uopo altresì necessario che con la medesima convenzione arbitrale o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale, le parti abbiano attribuito anche tale specifico potere. È dunque di regola richiesta un ulteriore e specifica manifestazione di volontà ad opera delle parti circa l’attribuzione del potere cautelare, in mancanza della quale riacquisterà vigore la competenza cautelare dei giudice statali[12].

Il sistema delineato dal riformato art. 818 c.p.c., se da un lato costituisce un apprezzabile «inversione di rotta»[13] rispetto al passato, tradisce ancora un certa «prudenza» del legislatore rispetto a una piena liberalizzazione della competenza cautelare arbitrale[14], richiedendo un atto volontaristico ulteriore rispetto alla generica attribuzione agli arbitri della competenza a decidere una determinata controversia, e dunque una specifica manifestazione di volontà in tal senso.

Per quanto riguarda l’arbitrato amministrato[15], la scelta del legislatore delegato è stata invece nel senso di ritenere sufficiente, per poter validamente investire gli arbitri del potere cautelare, il mero rinvio a un regolamento che conferisca agli arbitri poteri cautelari, senza necessità di alcuna ulteriore indicazione integrativa[16]. La disposizione appare coerente con il sistema delineato dall’art. 832 c.p.c. che al primo comma prevede che la convenzione d’arbitrato possa fare specificamente rinvio a un regolamento arbitrale precostituito. Chiaramente le parti rimarranno a loro volta libere, con la convenzione arbitrale o con atto successivo, di non attribuire agli arbitri la facoltà di provvedere in via cautelare, derogando in tal modo al regolamento arbitrale dalle stesse richiamato[17] o di attribuirla solo in parte, escludendo espressamente alcuni provvedimenti o consentendone espressamente solo alcuni[18].

3. Il potere cautelare degli arbitri in caso di rinvio a regolamenti arbitrali precostituiti in forza di convenzioni arbitrali stipulate prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia. Se dunque è possibile attribuire poteri cautelari agli arbitri mediante rinvio a regolamenti arbitrali, quid iuris della potestà cautelare degli arbitri in relazione a procedimenti arbitrali amministrati avviati nella vigenza del nuovo art. 818 c.p.c., ma in forza di una convenzione arbitrale stipulata precedentemente, laddove il regolamento arbitrale applicabile attribuisca una siffatta potestà cautelare in capo agli arbitri?

A questo proposito, occorre in primo luogo richiamare la norma di diritto transitorio della riforma Cartabia[19] che, in relazione al nuovo art. 818 c.p.c., stabilisce che la norma «ha effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applica ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti». È infatti tale regola intertemporale che legittima il “problema” in discussione. Di primo acchito verrebbe infatti da dire (soprattutto a fronte di clausole di arbitrato amministrato come quella oggetto della controversia decisa dal Tribunale di Milano): per risolvere una questione di competenza avente ad oggetto un procedimento avviato post riforma Cartabia trova applicazione il nuovo art. 818 c.p.c. e, in relazione ad una clausola arbitrale per arbitrato amministrato, il regolamento arbitrale vigente al momento dell’instaurazione del procedimento (nel caso di specie, quindi, il regolamento della Camera Arbitrale in vigore dal 1° marzo 2023).

Senonché, il Tribunale di Milano qui in commento, mostra di non considerare minimamente (almeno nell’ambito della propria sintetica motivazione) tale principio di diritto intertemporale, adottando un approccio sostanziale ed andando ad interrogarsi direttamente (ed unicamente) su quale fosse la volontà delle parti al momento della stipula della clausola arbitrale.

Si tratta di un approccio in astratto anche condivisibile, se consideriamo l’origine della attuale previsione dell’art. 818 c.p.c., ossia l’intenzione del legislatore della riforma di richiedere una manifestazione di volontà “ulteriore” (o comunque qualificata) per l’attribuzione “anche” della potestà cautelare agli arbitri.    Tuttavia, nell’apprezzamento di una clausola arbitrale che rinvia ad un regolamento arbitrale non si può non tener conto di quanto previsto dall’art. 832 c.p.c. sul “Rinvio a regolamenti arbitrali“, e segnatamente di quanto previsto al comma 3 di tale articolo: «Se le parti non hanno diversamente convenuto, si applica il regolamento in vigore al momento in cui il procedimento arbitrale ha inizio». Il che parrebbe riportarci su un piano processuale, con conseguente rilievo della norma di diritto intertemporale poc’anzi richiamata[20].

La norma appena richiamata stabilisce un principio di non poco conto, ossia prevede che, salvo diversa volontà delle parti, il rinvio ai regolamenti arbitrali debba considerarsi come rinvio “mobile”[21]. Detto in altri termini, con tale rinvio le parti esprimono la volontà di rimettere alla regolamentazione dell’istituto arbitrale prescelto ogni questione oggetto della medesima regolamentazione, prestando anticipatamente il proprio consenso ad assoggettarsi alla disciplina regolamentare futura, vigente al momento dell’insorgenza del conflitto da dirimere. Spesso, infatti, accade che la lite insorga molto tempo dopo la stipula della convenzione arbitrale con conseguente necessità di individuare la fonte regolamentare a cui fare riferimento, in caso di successione di diversi testi nel tempo[22].

Siffatto principio, letto alla luce del nuovo art. 818 c.p.c., che riconosce la validità dell’attribuzione della potestà cautelare mediante mero rinvio ai regolamenti arbitrali, consentirebbe di ritenere gli arbitri sempre investiti del potere cautelare, per il solo fatto che il regolamento richiamato dalla convenzione arbitrale in vigore al momento della proposizione della domanda, attribuisca loro un siffatto potere, senza necessità di indagare quale fosse la “volontà” delle parti al momento della stipula della convenzione arbitrale[23].

Tale soluzione pare del resto trovare conforto in una risalente pronuncia del Tribunale di Modena[24], avente ad oggetto la validità di una clausola compromissoria statutaria per arbitrato amministrato per contrasto con la previsione dell’allora vigente art. 34, comma 22, D.Lgs. n. 5/2003[25]. La clausola in questione stabiliva che le controversie fossero devolute ad “un collegio arbitrale da costituirsi e svolgersi secondo le norme della Camera arbitrale della Provincia di Modena“. Tale regolamento, nella versione in vigore all’atto dell’approvazione dello statuto, prevedeva, per tutte le tipologie di controversie, unicamente il classico metodo binario di nomina degli arbitri. Soltanto successivamente all’emanazione del D.Lgs. n. 5/2003, il regolamento della Camera arbitrale di Modena è stato modificato, prevedendo tra l’altro, all’art. 3, comma 10, che “in caso di arbitrato societario, anche in deroga a quanto previsto nella clausola compromissoria inserita in atto costitutivo o statuto di società, il Consiglio direttivo della Camera arbitrale nomina tutti i componenti del collegio arbitrale, designando un arbitro unico in tutte le ipotesi in cui non sia prevista nella clausola la nomina di un collegio arbitrale“.

Il Tribunale era dunque chiamato a verificare se fosse applicabile il precedente Regolamento della Camera arbitrale di Modena, oppure quello nuovo: nel primo caso, la clausola compromissoria statutaria sarebbe stata nulla per violazione dell’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003, mentre nel secondo caso la convenzione arbitrale sarebbe stata valida.

I giudici modenesi optarono per quest’ultima alternativa, sostenendo che «il legislatore del 2006 ha con l’art. 832, comma 3, c.p.c. inteso operare una fondamentale distinzione con specifico riguardo all’arbitrato cosiddetto precostituito […] tra convenzione di arbitrato e regolamento “processuale” dello stesso […] nel senso di rendere autonoma la convenzione di arbitrato con cui i paciscenti rimettono al giudice privato la lite tra di loro insorta, dalla “legge” processuale precostituita che lo deve governare». Si prosegue affermando che “il principio — in tutto simile a quello che è pacificamente applicabile con riferimento alla legge processuale statale — è quello cosiddetto del tempus regit actum […] cui alle disposizioni processuali non si applica la disciplina della successione delle leggi nel tempo di cui all’art. 11 disp. prel. e bensì lo ius superveniens».

Senonché, una verifica di “compatibilità” tra quanto previsto dal regolamento arbitrale applicabile al momento dell’instaurazione del procedimento e la “volontà” (più e meno esplicitamente) espressa dalle parti nella convenzione arbitrale, ci pare ineludibile, alla luce del principio sancito al comma 2 del medesimo art. 832 c.p.c. che dà rilievo prevalente alla volontà pattizia desumibile dalla convenzione arbitrale[26]. È quindi rilevante chiedersi, quanto meno per completezza di indagine, quale fosse la comune intenzione delle parti al momento della stipula della convenzione arbitrale, in applicazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.[27].

Da questo angolo visuale assumono rilevanza eventuali previsioni contenute nel regolamento precostituito in vigore al momento della conclusione della convenzione arbitrale: se il regolamento arbitrale richiamato per relationem dalla convenzione già prevedeva, nonostante il previgente divieto sancito dall’art. 818 c.p.c., la possibilità per gli arbitri di emettere provvedimenti cautelari[28], appare difficilmente sostenibile che la volontà delle parti consacrata nella convenzione arbitrale fosse “contraria” all’attribuzione della potestas cautelare agli arbitri. Per cui la convenzione arbitrale non potrà ritenersi in “contrasto”, quanto al conferimento agli arbitri del potere di concedere provvedimenti cautelari, con il regolamento in vigore al momento della instaurazione del procedimento arbitrale.

Il fatto che tale volontà sia stata espressa nella vigenza del divieto sancito dal “vecchio” art. 818 c.p.c., non può invece costituire a nostro avviso un valido argomento per giungere ad una diversa soluzione[29].

Innanzitutto, il divieto in parola non inficiava una eventuale pattuizione contraria contenuta nel regolamento arbitrale precostituito richiamato nella convenzione arbitrale, essendo tale divieto rivolto direttamente agli arbitri. Una tale pattuizione era da ritenersi comunque valida e produttiva di un qualche effetto: addirittura pieno, laddove l’arbitrato governato dal regolamento fosse radicato in ordinamento straniero che consentiva l’attribuzione della potestas cautelare agli arbitri[30], ovvero limitato a provvedimenti di valenza puramente “negoziale” (e, come tali, incoercibili), in caso di arbitrato radicato in Italia[31]. Non si può in ogni caso non evidenziare che se anche si reputasse invalida la pattuizione per contrasto con il previgente art. 818 c.p.c.[32], la sopravvenuta abolizione del divieto ad opera della riforma Cartabia, verrebbe a configurare un tipico esempio di “validità sopravvenuta”[33] della pattuizione regolamentare richiamata dalla convenzione arbitrale.

Inoltre, nel ricostruire la “comune intenzione delle parti” al momento della conclusione della convenzione arbitrale, non si può non tenere conto del fatto che lo stesso art. 818 c.p.c. previgente consentiva la derogabilità, seppur ex lege, del divieto. Per cui, in un prospettiva puramente interna, l’attribuzione dei poteri cautelari agli arbitri in forza del rinvio operato dalla convenzione arbitrale nella vigenza del divieto in parola, non avrebbe senso se non nell’ottica di una futura ed eventuale “deroga” del divieto stesso. Il principio di conservazione sancito dall’art. 1367 c.c. impone di interpretare la convenzione arbitrale (e il suo rinvio al regolamento all’epoca in vigore) in modo che un qualche “effetto” lo abbia e, quindi, nell’ottica proprio di una rimeditazione, generalizzata o settoriale, da parte del legislatore, del divieto di concedere provvedimenti cautelari in sede arbitrale. In altre parole, l’intenzione delle parti non poteva che essere quella di conferire agli arbitri il potere di adottare misure cautelari, laddove ciò fosse stato consentito al momento della proposizione della domanda.

A conclusione opposta dovrebbe invece pervenirsi nell’ipotesi in cui il regolamento arbitrale richiamato nella convenzione, in vigore al momento della conclusione della convenzione stessa, non contenga alcuna previsione attribuiva del potere cautelare agli arbitri. In tal caso, infatti, potrebbe ragionevolmente sostenersi che la “volontà” delle parti, per come consacrata nella convenzione arbitrale, non includesse anche l’intenzione di deferire agli arbitri il potere di provvedere sulla cautela. Un regolamento sopravvenuto che prevedesse invece la possibilità per gli arbitri di concedere provvedimenti cautelari, dovrebbe quindi ritenersi in contrasto con la “volontà” (ancorché inespressa) delle parti[34].

Ma anche in un simile contesto, bisognerebbe comunque fare i conti con il tenore letterale della clausola arbitrale in esame. Di fronte ad una clausola di mero rinvio al regolamento arbitrale, parrebbe comunque opinabile poter rinvenire l’esistenza di una «previsione» della convenzione arbitrale in contrasto con «quanto previsto dal regolamento», come richiesto dall’art. 832, comma 2, c.p.c., e bisognerebbe comunque tenere in considerazione il chiaro disposto del comma successivo del medesimo articolo, che salvo diversa previsione (espressa), dispone l’applicazione del “regolamento in vigore al momento in cui il procedimento arbitrale ha inizio“.

4. Conclusioni.

La decisione del Tribunale di Milano, nella sua prospettiva di indagine della volontà delle parti, pare senz’altro influenzata dalla mancata analisi del Regolamento della Camera Arbitrale in vigore al momento della stipula della convenzione arbitrale. La succinta motivazione non consente poi di comprendere se il Tribunale abbia o meno preso in considerazione gli ulteriori profili sopra richiamati.

La questione resta di estremo interesse in quanto destinata verosimilmente a riproporsi, visto che difficilmente le parti delle convenzioni arbitrali già concluse prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia, metteranno mano alle convenzioni stesse per renderle “conformi” al nuova realtà normativa (soluzione questa teoricamente idonea a risolvere il problema alla radice, ma chiaramente poco realistica, soprattutto in un contesto culturale in cui alle convenzioni di arbitrato si presta spesso frettolosa attenzione[35]).

L’auspicio è che si giunga presto ad una univocità di vedute in merito alla soluzione da adottare, quale che essa sia, in modo da fornire agli operatori un criterio chiaro e inequivoco per l’individuazione dell’organo, giudiziale o arbitrale, a cui rivolgere la domanda cautelare.

Come opportunamente osservato da autorevole Dottrina[36], mentre sul piano sostanziale è fisiologica e doverosa l’evoluzione giurisprudenziale e l’adeguamento ai valori sociali ed economici, sul piano processuale i valori prevalenti consistono nella certezza delle regole e nella uniformità della loro interpretazione. La stabilità delle regole del processo soddisfa, infatti, l’interesse alla predeterminazione dei rischi e dei costi, oltre che ad una più rapida ed efficiente risposta di giustizia, contribuendo in tal modo alla deflazione del contenzioso.

L’esigenza di rapidità connaturata ai provvedimenti cautelari, rende maggiormente pregnante la necessità di poter contare su regole certe ed uniformemente interpretate, che possano contribuire ad assicurare l’effettività della tutela.

[1] Il provvedimento è reperibile su www.arbitratoinitalia.it

[2] Nell’ordinanza si legge che l’attore aveva eccepito l’incompetenza del Tribunale di Milano «[…] in favore del Tribunale di Milano», ma si tratta evidentemente di un refuso.

[3] https://www.camera-arbitrale.it/upload/documenti/arbitrato/REG2023_ROSSO.pdf

[4] L’art. 45, comma 2, del Regolamento stabilisce che “Se le parti non hanno diversamente convenuto, il nuovo Regolamento è applicato ai procedimenti  instaurati dall’entrata in vigore del medesimo“.

[5] cfr. Salvaneschi, I poteri cautelari degli arbitri e l’arbitrato amministrato, in questa Rivista, 4, 2023, 834.

[6] Si ricorda che l’art. 818 c.p.c. nella versione precedente la Riforma Cartabia recitava: «Gli arbitri non possono concedere sequestri, né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge». Per una disamina delle varie posizioni espresse in Dottrina circa l’assolutezza o meno del divieto sancito dal previgente art. 818 c.p.c., cfr. Carosi, Arbitrato e tutela cautelare: limiti di possibile derogabilità dell’art. 818 c.p.c. e relativi effetti, in questa Rivista, 1, 2021, 43 ss.

[7] https://www.camera-arbitrale.it/upload/documenti/arbitrato/Regolamento%20arbitrale%20CAM-luglio2020.pdf

[8] L’art. 26 del Regolamento CAM adottato nel luglio 2020 recitava, per quanto qui interessa: «1. Il Tribunale Arbitrale, su domanda di parte, può pronunciare tutti i provvedimenti cautelari, urgenti e provvisori, anche di contenuto anticipatorio, che non siano vietati da norme inderogabili applicabili al procedimento. 2. In ogni caso, salvo diverso accordo delle parti, il Tribunale Arbitrale, su domanda di parte, ha il potere di adottare determinazioni di natura provvisoria, con efficacia vincolante per le parti sul piano negoziale […]».

[9] v. infra, al paragrafo 3.

[10] Così Bove, La riforma dell’arbitrato, in Giur. It., 2023, 452.

[11] Per una ricostruzione delle varie opinioni espresse in merito al fondamento del divieto previsto dal previgente art. 818 c.p.c. v. Carlevaris, Lettera c) provvedimenti cautelari, in Aa. Vv., Commento ai principi in materia di arbitrato, in questa Rivista, 2022, 37 ss.; nonché Carosi, Finalmente la potestà cautelare degli arbitri: vecchie e nuove questioni con una postilla sull’arbitrato irrituale, in www.judicium.it.

[12] Così Farina, Arbitrato, in Tiscini (a cura di), La riforma Cartabia del processo civile, Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Pisa, 2023, 1193.

[13] cfr. Carlevaris, Competenza cautelare esclusiva degli arbitri e autonomia privata, in questa Rivista, 1, 2023, 85. Di vera e propria “rivoluzione copernicana” parla Salvaneschi, Le nuove norme in materia di arbitrato, in Riv. Dir. Proc., 2023, 750.

[14] v. Bove, La riforma dell’arbitrato, cit., 452, secondo cui «[…] il legislatore avrebbe potuto stabilire, posta l’intima correlazione di strumentalità tra tutela cautelare e tutela dichiarativa, in quanto quella garantisce l’effettività di quella». Cfr. altresì Silvestri, Il potere  cautelare degli arbitri, in Aa. Vv., L’arbitrato dopo la riforma Cartabia, Bologna, 2024, 90 ss., per cui «uno sguardo di insieme alle legislazioni straniere in materia di arbitrato rileva una prevalente tendenza ad adottare la soluzione opposta a quella italiana, configurando la potestà cautelare degli arbitri come la regola e l’espressa esclusione di tale potestà ad opera delle parti come l’eccezione». Contra Briguglio, Il potere cautelare degli arbitri, introdotto dalla riforma del rito civile, e la inevitabile interferenza del giudice (“evviva il cautelare arbitrale!”, ma le cose non sono poi così semplici), in www.judicium.it, nota 6, che ritiene invece «equilibrata» la scelta del legislatore.

[15] La regola vale anche per l’ipotesi, non molto ricorrente nella prassi, in cui le parti abbiano voluto riferirsi alle regole procedurali di una data istituzione arbitrale, ma per attuare una arbitrato ad hoc. Sulla distinzione tra arbitrato amministrato e mero rinvio ai regolamenti delle istituzioni arbitrali cfr. Luiso, Il nuovo art. 832 c.p.c., in Rass. arbitrato, 2007, 349 ss.; Biavati, Rinvio a regolamenti arbitrali (commento sub art. 832), in Carpi (diretto da), Arbitrato, Bologna, 2007, 870 ss. e Zucconi Galli Fonseca, La nuova disciplina dell’arbitrato amministrato, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 2008, 993 e ss.

[16] Così Salvaneschi, Le nuove norme in materia di arbitrato, cit., 751. Nello stesso senso cfr. Briguglio, La clausola di attribuzione agli arbitri del potere di concedere misure cautelari, in questa Rivista, 2, 2024, 304, per il quale “il testo dell’art. 818 … è dovuto ad una più che lecita aggiunta integrativa-attuativa della legge di delega da parte del legislatore delegato, ed è inequivoco: la relatio è in proposito efficace anche quando si riferisca genericamente al regolamento, e non solo quando le parti abbiano specificamente richiamato la disposizione regolamentare sulla “cautela arbitrale”“.

[17] Sono del resto gli stessi regolamenti il più delle volte  contenere una clausola di salvezza della diversa volontà dalle parti. E’ il caso, per esempio, del regolamento della Camera Arbitrale di Milano che all’art. 26.

[18] Cfr. Briguglio, Il potere cautelare degli arbitri, introdotto dalla riforma del rito civile, e la inevitabile interferenza del giudice (“evviva il cautelare arbitrale!”, ma le cose non sono poi così semplici), cit., 3. Nello stesso senso cfr. Silvestri, Il potere cautelare degli arbitri, cit., 91.

[19] Art. 35, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.

[20] Per una critica alla scelta operata dal legislatore del 2006 cfr. Carratta, sub Art. 832 c.p.c., in Chiarloni (diretto da), Le recenti riforme del processo civile, II, Torino, 2007, 1900 per il quale «l’opportunità di salvaguardare la volontà delle parti avrebbe dovuto suggerire al legislatore delegato la soluzione esattamente opposta: solo in caso di espressa previsione, all’arbitrato si sarebbe applicato il regolamento esistente al momento dell’inizio del procedimento: mentre nel silenzio o nell’incertezza su quale regolamento applicare, la prevalenza avrebbe dovuto essere accordata senz’altro a quello conosciuto dalle parti al momento della stipula della convenzione».

[21] Cfr.  Biavati, sub art. 832, cit., 870, per cui «salvo diversa volontà delle parti, il rinvio non è materiale, ma formale e mobile, nel  senso che è richiamato il regolamento, con tutte le sue possibili modificazioni future».

[22] Cfr. Zucconi Galli Fonseca, Lezioni di diritto dell’arbitrato, Bologna, 2021, 60.

[23] Propendono per la soluzione «maggiormente liberale» Salvaneschi, I poteri cautelari degli arbitri e l’arbitrato amministrato, cit., 836, per la quale «[…] il nuovo testo dell’art. 818 c.p.c. sminuisce totalmente con riferimento all’arbitrato amministrato la volontà delle parti nell’affidare la tutela cautelare all’arbitro o al giudice, basandosi esclusivamente sulla scelta effettuata dal regolamento prescelto, a prescindere quindi persino dalla consapevolezza che le parti abbiano circa le sue ricadute in tema di tutela cautelare»; nonché Briguglio, La clausola di attribuzione agli arbitri del potere di concedere misure cautelari, cit., 307, il quale opportunamente osserva che l’art. 818, comma 1, « […] non è disposizione sulla convenzione arbitrale, bensì disposizione prevalentemente processuale e suoi poteri degli arbitri in corso di procedimento arbitrale, e non vi è dunque alcun motivo per postulare deroghe implicite, oltretutto difficilmente giustificabili anche in astratto, alla generale disposizione transitoria ex art. 35, c. 1° del d.lgs.».

[24] Cfr. Trib, Modena, 5 febbraio 2010, in Giur. It., 11, 2010, 2392, con nota di Corsini, Clausola compromissoria statutaria per arbitrato amministrato, opposizione a decreto ingiuntivo e mutamento sopravvenuto del regolamento arbitrale.

[25] La medesima disposizione è stata trasfusa con la riforma Cartabia all’art. 838-bis, comma 2, c.p.c.

[26] cfr. Colesanti, Volontà delle parti e regolamenti arbitrali (con particolare riguardo a quello della Camera Arbitrale di Milano), in Riv. Dir. Proc., 2, 2011, 245 ss., il quale ravvisa «[…] nella norma or ora richiamata la disposizione che regola, delimitandola, l’incidenza del “regolamento precostituito” sulla libera esplicazione della volontà delle parti che pur a quel regolamento abbian voluto far riferimento; così valendo a smentire, quanto meno nella sua assolutezza, l’idea poc’anzi ritenuta come semplicistica dell’integrale “assorbimento” della volontà pattizia nelle disposizioni regolamentari pur richiamate. Invero, nel momento stesso in cui pon mente: da una parte all’arbitrato secondo regolamenti precostituiti; e dall’altra, a un eventuale ma possibile “contrasto” tra quanto ivi previsto e quanto liberamente pattuito dalle e fra le parti nella convenzione d’arbitrato; nel momento stesso in cui ciò prevede, espressamente accordando la prevalenza a quel che risulta dalla convenzione arbitrale, la norma manifestamente vale a negare la “totalitaria” soggezione delle parti alle disposizioni regolamentari sol perché quell’arbitrato è da esse medesime voluto come disciplinante la loro vicenda. Il rinvio – come si esprime l’art. 832, comma 1º – a un regolamento precostituito, insomma, è lungi dal poter escludere “proprie” determinazioni delle parti, e la stessa “ricezione” del regolamento non è preclusiva (quanto meno in guisa totalitaria) di ogni diversa pattuizione».

[27] Sul tema della applicabilità alla convenzione arbitrale, in quanto “negozio giuridico”, dei criteri di ermeneutica contrattuale, cfr. ex multis Punzi, Disegno sistematico dell’Arbitrato, I, Padova, 2000, 421 ss. e, più recentemente,  Briguglio, Questioni aperte in tema di interpretazione della volontà compromissoria e regime di impugnazione del lodo irrituale, in questa Rivista, 3, 2024, 495 ss., nonché i riferimenti dottrinali e giurisprudenziali ivi richiamati.

[28] Si tratta dell’ipotesi nella prassi maggiormente ricorrente (come anche nel caso esaminato dal Tribunale di Milano: si veda infatti il Regolamento della Camera Arbitrale del luglio 2020). I principali regolamenti arbitrali, infatti, sia a livello internazionale, ma anche nazionale, prevedevano già da tempo e prima dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 818 c.p.c. la possibilità per gli arbitri di emettere provvedimenti cautelari. V. sul punto Salvaneschi, I poteri cautelari degli arbitri e l’arbitrato amministrato, cit., 829 ss.

[29] L’argomento è illustrato da Salvaneschi, I poteri cautelari degli arbitri e l’arbitrato amministrato, cit., 835, note 3,  che, operando un parallelismo con l’annosa vicenda dei procedimenti di impugnazione per nullità iniziati dopo l’entrata in vigore dell’artt. 829 c.p.c. come modificato dalla riforma del 2006 – su cui cfr. Cass., Sez. Un., 09 maggio 2016, n. 9341 in Giur. It., 2016, 6, 1449 con nota di di Majo -, ipotizza che possa sostenersi che la volontà delle parti all’atto della stipulazione della convenzione di arbitrato era quella di affidare la tutela cautelare al giudice dello Stato in virtù della norma imperativa contenuta nell’art. 818 c.p.c. l’Autrice in ogni caso esclude che tale argomento possa prevalere sulla diversa soluzione che si trae dal nuovo testo dell’art. 818 c.p.c. che «sminuisce totalmente con riferimento all’arbitrato amministrato la volontà delle parti nell’affidare la tutela cautelare all’arbitro o al giudice, basandosi esclusivamente sulla scelta effettuata dal regolamento prescelto, a prescindere quindi persino dalla consapevolezza che le parti abbiano circa le sue ricadute in tema di tutela cautelare».

[30] cfr. Briguglio, Potestas iudicandi in materia cautelare ed arbitrato estero, in questa Rivista, 1, 2010, 17 ss.

[31] cfr. Briguglio, La clausola di attribuzione agli arbitri del potere di concedere misure cautelari, cit.,  p. 303. Per una puntuale ricostruzione delle varie posizioni espresse in dottrina in merito all’efficacia di eventuali provvedimenti cautelari adottati nella vigenza del divieto sancito dall’art. 818 c.p.c. cfr. Carosi, Arbitrato e tutela cautelare: limiti di possibile derogabilità dell’art. 818 c.p.c. e relativi effetti, in questa Rivista, 1, 2021, 43 ss.; nonché Biavati, Spunti critici sui poteri cautelari degli arbitri, in questa Rivista, 2, 2013, 329 ss.

[32] Un parte della dottrina riteneva che la natura inderogabile del divieto sancito dall’art. 818 c.p.c., si riflettesse sulla validità del patto compromissorio che prevedesse l’attribuzione agli arbitri del potere di emettere provvedimenti cautelari, provocando la nullità dell’intera convezione arbitrale (cfr. in questo senso Ghirga, sub art. 818, in Menchini (a cura di), La nuova disciplina dell’arbitrato, Padova, 2010, 593) o, in ogni caso, la nullità se non addirittura le inesistenza del provvedimento eventualmente concesso (cfr. La China, L’Arbitrato. Il sistema e l’esperienza, in Milano, 2011, 163-164).

[33] L’ammissibilità della validità sopravvenuta del negozio giuridico non è pacifica, in dottrina come anche in giurisprudenza. Si sono  occupati del tema: Ferro Luzzi, Prolegomeni in tema di “validità  sopravvenuta” (considerazioni a margine delle modifiche al testo unico bancario), in Riv. dir. comm., 1999, 879 ss.; Carresi, Il contratto, in Tratt. Cicu Messineo, Milano, 1987, 623 ss.; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2013, 998; Nardelli, In tema di nullità e validità sopravvenuta, in Giur. it, II, 2003, 2035 ss.; Danusso, Norme  imperative sopravvenute e validità dei contratti, in Giur. it, 1987, 54; Maisto, Il “diritto  intertemporale”. La ragionevolezza dei criteri di risoluzione dei conflitti tra norme diacroniche, Napoli, 2007, 188 ss. e Ciatti, Retroattività e contratto, disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, Napoli, 2007, 220.

[34] Salvo ritenere, come si è autorevolmente sostenuto, che il potere di emettere provvedimenti cautelari sia un “elemento naturale” della tutela arbitrale, data la sua funzione giurisdizionale (cfr. Biavati, Spunti critici sui poteri cautelari degli arbitri, cit., 330). Se così è, il conferimento dei poteri cautelari agli arbitri dovrebbe ritenersi “insito” nella convenzione arbitrale, laddove la stessa si limiti a fare rinvio ad un regolamento arbitrale precostituito, perché in tal caso l’art. 818 c.p.c. non richiede alcuna ulteriore manifestazione di volontà in tal senso.

[35] Così Salvaneschi, I poteri cautelari degli arbitri e l’arbitrato amministrato, cit., pag. 830.

[36] Così Costantino, Tutela dei diritti e regole del processo, in Riv. Dir. Proc., 6, 2017, 1418 ss.