Contraddittorio e “pregiudizio effettivo” dopo la Riforma Cartabia

Di Clarice Delle Donne -

Sommario 1.- Il nuovo volto dell’art. 101 c.p.c. 2.- “Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio”. 3.- La torsione involutiva e autoritaria: il giudice assicura sì il rispetto del contraddittorio, ma la relativa violazione è rimediabile solo se ne sia “derivata una lesione del diritto di difesa.” 3.1.- La lezione pretoria del “pregiudizio effettivo” in due cavalli di battaglia: la conoscenza “materiale” del processo in capo al “contumace che si costituisce” ex art. 294 c.p.c… 3.2.- Segue… e il contraddittorio a valle del processo come “non innovativo” 4.- “Pregiudizio effettivo”, art. 101 c.p.c., c. 2 e poteri di rilievo ufficioso 5.- Qualche finale riflessione: il tramonto del contraddittorio segna la fine dei “substantialia processus”?

 

 

 

1.- Il nuovo volto dell’art. 101 c.p.c.

Il Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149[1], reso in attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206[2], ha come noto riscritto, nell’ambito del suo ambizioso disegno, numerose disposizioni del Libro I del codice di rito civile.

Anche l’art. 101 c.p.c., cardine del processo, è stato modificato[3] con l’inserimento di un nuovo periodo nel c. 2 a mente del quale “Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni”.[4]

La modifica muove, secondo la Relazione Illustrativa, dalla necessità di attuare il criterio di delega[5]che prevede il coordinamento delle disposizioni modificate con quelle non direttamente incise dalla Riforma, “(…) per rafforzare le garanzie processuali delle parti nel nuovo “modulo” del rito ordinario (a trattazione scritta anticipata rispetto alla prima udienza di comparizione delle parti davanti al giudice), così come – laddove occorra – se vi sia necessità di ripristinare la parità delle armi nel nuovo rito semplificato”.

La chiosa, è bene dirlo subito, avvolge in uno slogan limpido e tranquillizzante una realtà ben diversa perché l’art.101 c.p.c. post-riforma è tutt’altro che limpido nel contenuto precettivo e di certo non tranquillizzante proprio sotto il profilo delle garanzie della difesa di cui dovrebbe, invece, essere alfiere.

Il periodo di nuovo conio che la Riforma premette al secondo comma consta infatti di due proposizioni: a) il giudice assicura il rispetto del contraddittorio; b) e adotta i provvedimenti opportuni ove ne verifichi la violazione (solo) se accerta che ne è derivata una lesione del diritto di difesa delle parti.

Ora, di funzione di consolidamento delle garanzie potrebbe parlarsi[6] se la modifica si limitasse alla prima proposizione.

Tutt’altro scenario, dai confini potenzialmente illimitati, si apre se invece si aggiunge, come fa la Riforma, la seconda proposizione. Essa, depotenziando il valore precettivo della prima, la avvince al contrario in una morsa involutiva ed autoritaria.

2.- Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio”

Se la Riforma avesse conchiuso il suo intervento nella proposizione “Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio” l’inserimento nella sedes codicistica dedicata proprio al principio del contraddittorio, lungi dall’essere pleonastica, avrebbe assunto un notevole rilievo sistematico in senso spiccatamente garantista.

La struttura dell’art. 101 c.p.c. nella versione ante-riforma mostrava infatti un andamento “per fasi” processuali. Il suo primo, e in origine unico comma, prescriveva cioè il contraddittorio nella sola fase genetica del processo mostrando scarsa consapevolezza della sua indispensabilità in ogni “stato e grado”, come poi prescritto dalla Costituzione (art. 24 Cost.). La versione riformata nel 2009[7] applicava a sua volta il principio alla fase decisoria per scongiurare l’emissione di sentenze cd. “della terza via”, basate cioè su questioni rilevate d’ufficio per la prima volta in fase decisoria senza previo contraddittorio.

La storia racconta come la modifica del 2009 sia figlia del dibattito che proprio lungo le coordinate costituzionali del giusto processo aveva progressivamente condotto all’inserimento di analoghe prescrizioni prima nell’art. 183 c.p.c. (nel testo ante-riforma) per le questioni rilevate[8] ed i mezzi di prova disposti d’ufficio[9] in fase di trattazione nel rito ordinario di cognizione, e poi nell’art. 384[10] c.p.c. per i rilievi ufficiosi della Cassazione. A queste due disposizioni si guardava infatti quali viatici della necessità di provocare sempre il contraddittorio sulle questioni e sui mezzi di prova che, per essere rispettivamente rilevate e disposti d’ufficio, non erano già stati oggetto di dibattito tra le parti. E tuttavia la collocazione della prescrizione proprio nell’art. 101 c.p.c., nell’ambito cioè del Libro I del codice dedicato alle disposizioni generali, ne imponeva finalmente la lettura generalizzante, non limitata cioè a fasi particolari del processo[11] ma applicabile a qualsiasi fase e grado con qualsiasi rito.[12]

A leggere l’art. 101 c.p.c., c. 2 solo limitatamente alla prima proposizione, la portata dell’intervento normativo odierno appare addirittura più ampia perché abbraccia il contraddittorio nella sua multiforme fisionomia e non solo sotto il profilo del rilievo ufficioso di questioni. Contraddittorio è anche, per limitarsi ad una ipotesi che ha impegnato non poco la giurisprudenza di legittimità e di recente le Sezioni Unite[13], l’esercizio di tutte le attività difensive previste dal rito di riferimento, ivi incluse quelle “finali” consegnate alle comparse conclusionali e alle memorie di replica ex art. 190 c.p.c. (nel testo ante -riforma).

La prescrizione netta e onnicomprensiva che impone al giudice, senza se e senza ma, di assicurare il rispetto del contraddittorio posta significativamente tra il primo comma che la applica alla fase genetica e l’attuale secondo comma che la applica alla fase decisoria, sembra dunque chiudere finalmente, col sigillo normativo, un cerchio.

L’art. 101 c.p.c. sembra cioè cambiare pelle perchè abbandona la sua struttura stratificata per fasi,[14] e la prospettiva del rilievo ufficioso di questioni, a favore di una dimensione trasversale ed onnicomprensiva. In ogni stato e grado del processo, quale che sia il rito applicabile, il giudice è tenuto ad assicurare sempre il rispetto del contraddittorio anche laddove per singoli snodi processuali faccia difetto una specifica prescrizione normativa del tipo di quelle, ad esempio, dell’art. 183 c.p.c.[15]

Ma il rispetto del contraddittorio si impone ancora, secondo la recente lezione delle Sezioni Unite,[16]anche in riferimento agli scritti defensionali previsti dall’art. 190 c.p.c. per il rito ordinario di cognizione, i cui termini di scambio e deposito il giudice deve rispettare prima di assumere la finale decisione.

Tornando alla Relazione Illustrativa ed al suo riferimento ai riti ordinario e semplificato davanti al tribunale, la funzione di consolidamento delle garanzie delle parti è evidente sotto un duplice profilo.

Quanto alla trattazione pre-udienza nel rito ordinario, dove l’art. 171 bis c.p.c. già prevede esplicitamente la segnalazione delle questioni rilevabili d’ufficio, l’art. 171 ter c.p.c. le memorie per l’esplicarsi del contraddittorio ed infine l’art. 183 c.p.c. lo scambio di memorie per i mezzi di prova disposti d’ufficio, l’art. 101, c. 2, prima proposizione impone il rispetto di queste formalità prima delle pertinenti determinazioni giudiziali. La regola aurea impedisce cioè al giudice di ritenerle, con valutazione caso per caso, superflue. Ma essa opera anche in un altro senso: in qualunque momento del processo diverso da quello ante-udienza il giudice rilevi una questione, deve provocare il dibattito delle parti.

Per il rito semplificato di cognizione, alternativo al rito ordinario e collocato nel Libro II del codice, non essendo prevista nella sedes dell’art. 281 duodecies c.p.c. la sollecitazione del contraddittorio sulle questioni rilevate ed i mezzi di prova disposti d’ufficio, la norma generale dell’art. 101 c.p.c., c. 2 prima proposizione fuga ogni dubbio (ingiustificato a monte ma comunque possibile) imponendo anche nella fase di trattazione di questo rito, ed in qualsiasi altro momento del processo ciò avvenga, la sollecitazione, nei modi opportuni, della discussione tra le parti[17].

Va piuttosto rilevata la parzialità della visione della Relazione, posto che l’art. 101 c.p.c.  è, appunto, disposizione generale e non certo limitata, al di là delle intenzioni dei conditores, al primo grado di giudizio e a determinati riti di riferimento.

Da tale punto di vista si può anzi dubitare che il legislatore delegato si sia limitato ad un mero intervento di coordinamento/razionalizzazione. Più plausibile è l’idea che l’art. 101c.p.c. sia stato direttamente inciso in attuazione del c. 1 dell’art. 1 della legge delega, che per ogni intervento normativo, anche di riassetto globale, prescrive il “rispetto della garanzia del contraddittorio”. Allo scopo, cioè, di espungere definitivamente dall’ordinamento zone franche in cui: a) da un lato si possa postulare il carattere recessivo del preventivo dibattito delle parti su ogni questione e su ogni mezzo di prova influenti sulla finale decisione a prescindere dal fatto che il rito di riferimento disponga in tal senso; b) dall’altro si possa sostenere la superfluità del dibattito preventivo delle parti ogni volta che invece il rito di riferimento lo preveda, in qualunque forma[18].

3.- La torsione involutiva e autoritaria: il giudice assicura sì il rispetto del contraddittorio, ma la relativa violazione è rimediabile solo se ne sia “derivata una lesione del diritto di difesa.”

Lo scenario evocato, e la forza rivitalizzante del contraddittorio che parrebbe derivarne, devono però misurarsi con la seconda proposizione di cui si compone il periodo di nuovo conio.

Se infatti ci si chiede quali siano le conseguenze del mancato rispetto del contraddittorio così solennemente e incondizionatamente sancito, ci si avvede che il giudice è tenuto ad adottare i pertinenti provvedimenti se, e solo se, accerta che dalla sua violazione è “derivata una lesione del diritto di difesa”.

Il che significa, se non mi inganno, che il giudice non deve limitarsi a constatare la violazione del contraddittorio prima di disporne la (ri)attivazione postuma. Tra l’accertamento del fatto violazione e l’adozione dei provvedimenti volti alla riparazione, si pone un ulteriore requisito: l’accertamento che la violazione ha arrecato una lesione al diritto di difesa.

La fattispecie costituiva del potere-dovere di adottare i provvedimenti di ripristino del circuito del contraddittorio è dunque complessa, derivando dalla sommatoria tra violazione e offensività.

Verrebbe da chiedersi: il contraddittorio e il diritto di difesa sono entità diverse?[19] La tutela giurisdizionale cioè, dal duplice punto di vista del potere di azione e della risposta del chiamato (art. 24 Cost., c. 1 e 2) non assume sempre, per sua natura, carattere contraddittorio (art. 111 Cost., c. 2)? Può dunque assumersi la violazione del primo senza che anche la seconda ne risulti menomata?

Il dubbio pare oramai consegnato alla storia. Il nuovo art. 101 c.p.c., c. 2 chiarisce oggi che vi sono violazioni del contraddittorio che, pur essendo tali (la violazione rientra pur sempre nella fattispecie costituiva del potere-dovere di riparazione) restano sostanzialmente irrilevanti, e violazioni che invece, mostrando anche una concreta offensività, devono essere rimediate.

Per riprendere l’esempio del precedente paragrafo ed il pertinente riferimento della Relazione illustrativa, se durante la trattazione con rito semplificato di cognizione (art. 282 duodecies c.p.c.) il giudice dispone mezzi di prova d’ufficio o rileva questioni senza sottoporle al fuoco del contraddittorio e nel segmento processuale di prossimità una delle parti eccepisce la nullità del procedimento per violazione del contraddittorio, il giudice non dovrà solo verificare l’esistenza della violazione. Egli dovrà anche “accertare” che quella violazione, che comunque c’è stata, ha anche leso le garanzie della difesa e il relativo onere probatorio grava sulla parte che chiede (la dichiarazione di nullità e) la rinnovazione.

Nello stesso senso, se il giudice decide prima che siano scaduti i termini per lo scambio di comparse conclusionali e memorie di replica ex art. 190 c.p.c. (nel testo ante-riforma) o senza provvedere all’assegnazione di tali termini, la parte che impugna la sentenza per nullità derivata dalla violazione del contraddittorio dovrà dimostrare, se vuole ottenerne l’annullamento con conseguente rinnovazione del processo a partire dallo snodo inficiato dal vizio, che l’impossibilità di depositare gli scritti finali ha provocato una menomazione della difesa.

La torsione in senso restrittivo della prima proposizione, “Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio”, è evidente. Quest’ultimo finisce infatti col mostrare due livelli di effettività a seconda del momento in cui viene in rilievo.

Se si osserva cioè il processo nella dimensione astratta e preventiva delle regole che lo assistono, l’art. 101 c.p.c., c. 2, nel prescrivere che il giudice assicura il rispetto del contraddittorio, spazza via ogni possibilità di impedire alle parti di interloquire in via preventiva sul materiale di fatto e di diritto su cui il giudice dovrà fondare la decisione o sui mezzi di prova che dovranno sostenere le loro pretese. E ciò a prescindere dal fatto che il rito di riferimento o le regole del grado di giudizio prevedano il potere-dovere del giudice di provocare la discussione prima di assumere le pertinenti determinazioni. La disposizione in commento impone altresì, rendendolo ineludibile, il rispetto delle regole del processo che, in ogni sua fase, prescrivono il dibattito preventivo delle parti prima che il giudice decida la controversia, senza che tale dialettica possa considerarsi, con valutazione postuma caso per caso, superflua.

La regola audiatur et altera pars si impone dunque, ed in modo incondizionato, laddove ne difetta una enunciazione espressa ed è corroborata nella sua ineludibilità laddove già esiste.

Se ci si pone invece nella prospettiva della parte che eccepisce la nullità endoprocessuale o impugna la sentenza per nullità derivata dalla violazione del contraddittorio, il livello di garanzia si abbassa notevolmente perché ciò che in via preventiva è imposto sempre e comunque, il contraddittorio nella sua multiforme tipologia, può essere ripristinato ex post solo subordinatamente ad una condizione: la dimostrazione che (anche) il diritto di difesa è stato leso.

Il passaggio dall’assenza di condizioni (prima proposizione) alla verifica della offensività (seconda proposizione) si spiega con la circostanza che, tra il prima e il dopo, si colloca lo svolgimento di un segmento processuale e/o l’emissione di una sentenza. Il piatto della bilancia pende perciò dal lato della conservazione delle attività già compiute e a maggior ragione della sentenza. Entrambe finiscono dunque col nutrirsi di una sorta di “presunzione di validità” superabile solo attraverso la prova (contraria) di offensività della violazione, perché sono divenute prevalenti le esigenze legate all’economia processuale ed alla ragionevole durata del processo.[20]

Data la sedes e la formulazione generalizzante, il primo periodo del c. 2 dell’art. 101 c.p.c., riguardato nella sua interezza, ha dunque ricadute dirompenti ed irradiantisi in modo potenzialmente illimitato sui processi e le regole che li assistono sia in punto di rilievo endoprocessuale delle nullità derivanti dal vulnus al contraddittorio che di impugnazione della sentenza per lo stesso motivo.

Tanto per limitarsi ad un profilo di immediata evidenza, la nuova disposizione muta l’assetto interno del secondo periodo del secondo comma che prescrive la nullità della sentenza cd. della “terza via.” E’ questo, infatti, un tipico caso in cui la violazione del contraddittorio, anche se acclarata, fa i conti con un processo conclusosi con sentenza. Valori (percepiti come) prevalenti dunque, vale a dire economia processuale e ragionevole durata del processo, si ergono a vessillo della presunzione di validità della decisione (quale viatico della sua giustizia), scaricando sull’impugnante l’onere di provare, pena il rigetto dell’impugnazione, se ed in che misura sia stato leso nelle garanzie della difesa.

La Riforma codifica dunque per la prima volta espressamente una distinzione non (sol)tanto tra regole “forti” del processo da rispettare a pena di nullità e regole “deboli” la cui violazione resta innocua, ma tra un contraddittorio “forte” e un contraddittorio “debole”.

Del primo si può parlare in relazione al già visto profilo preventivo delle regole del processo cui si applica la prima proposizione: il giudice assicura il rispetto del contraddittorio[21].

Il contraddittorio “debole” è invece quello di tutti gli altri infiniti casi in cui la legge prescrive, nel corso del processo ed in qualunque forma, il dibattito delle parti su un tema prima che il giudice assuma le pertinenti determinazioni (che si tratti di mezzo di prova disposto d’ufficio o di decisione finale della controversia). Qui la violazione, pur acclarata, resta rimediabile solo previa dimostrazione della sua offensività in concreto.

A metà del guado parrebbero collocarsi, quantomeno in linea teorica, le numerose disposizioni speciali, disseminate nel codice, che presidiano il rispetto del contraddittorio nella fase genetica del processo conferendo al giudice poteri di rilievo d’ufficio: si pensi, solo per limitarsi ad esempi eclatanti, alle nullità dell’atto introduttivo e/o della sua notificazione (artt. 164 c.p.c., 291 c.p.c.) o a quelle legate all’integrità del contraddittorio (art. 102 c.p.c.). Occorre infatti chiedersi dove e come si colloca il rilievo ufficioso: esso è regolato dalla prima proposizione, “il giudice assicura il rispetto del contraddittorio”, o dalla seconda proposizione, che ne subordina la restaurazione alla offensività?

Se, in altre parole, il giudice rileva d’ufficio un vizio del contraddittorio, ad esempio ex art. 164 c.p.c. o 291 c.p.c. o ancora ex art. 102 c.p.c. deve limitarsi a dichiarare la nullità e adottare i conseguenti provvedimenti (logica della prima proposizione) o prima valutare la concreta offensività del vizio (logica della seconda proposizione)?

Ma prima ancora: il giudice mantiene il potere di rilievo ufficioso?

La logica della offensività della violazione sembra infatti a perfetta tenuta se la legittimazione al rilievo della nullità è solo della parte colpita dal vizio. Se però la legittimazione si estende al giudice quella logica entra in crisi non potendosi facilmente immaginare che questi abbia elementi per valutare l’impatto del vizio sulle prerogative della difesa in assenza di costituzione della parte nel cui interesse è posto il requisito mancante.

Qual è, allora, il rapporto tra l’art. 101 c.p.c. c. 2 e, ad esempio, gli artt. 164, 291 e 294 c.p.c.? Possono questi ultimi considerarsi normativa speciale rispetto al primo e come tale in grado di derogarvi in punto di (perdurante) esercizio dei poteri ufficiosi?

Per rispondere con una certa dose di realismo a questo interrogativo occorre inerpicarsi lungo i sentieri della lezione pretoria del cd. “pregiudizio effettivo”.

3.1.- La lezione pretoria del “pregiudizio effettivo” in due cavalli di battaglia: la conoscenza “materiale” del processo in capo al “contumace che si costituisce” ex art. 294 c.p.c…

Al sistema non è mai stata sconosciuta, in effetti, la nozione di offensività concreta della violazione di norme processuali.

Il “pregiudizio effettivo” quale viatico della dichiarazione di nullità appartiene alla storia stessa delle nullità processuali e del dibattito che nei secoli ne ha plasmato, con esiti alterni, il regime normativo.[22] E proprio nella storia affonda anche la lezione pretoria del pregiudizio effettivo che da tempo la giurisprudenza di legittimità impartisce, in modo sempre più pervasivo, nei più svariati settori del processo civile in funzione di depotenziamento del regime legale delle nullità processuali.

Un esempio emblematico si rinviene proprio nella interpretazione giurisprudenziale degli artt. 164 c.p.c. e 291 c.p.c., in relazione all’art. 294 c.p.c.

In quest’ambito è in particolare l’argomento della conoscenza “materiale” del processo a limitare la possibilità: a) per il “contumace che si costituisce” in primo grado in presenza di nullità della citazione o della sua notificazione (art. 294 c.p.c.) di beneficiare delle difese sottoposte a preclusioni in limine; e b) per il contumace in primo grado che deduce con l’atto d’appello la nullità della sentenza, di beneficiare proprio in appello di tutte le prerogative processuali che le nullità della citazione e/o della notificazione gli avevano precluso in primo grado.

Sono le Sezioni Unite[23] a ribadire la portata dirimente della conoscenza “materiale” del processo in una recente sentenza a scioglimento di un contrasto di giurisprudenza: “ Allorché venga dedotta come motivo di appello la nullità della citazione di primo grado per vizi della vocatio in ius (nella specie, per l’inosservanza dei termini a comparire), non essendosi il convenuto costituito e neppur essendo stata la nullità rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 164 c.p.c., il giudice d’appello, non ricorrendo una ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, deve ordinare, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti compiuti in primo grado, potendo tuttavia il contumace chiedere di essere rimesso in termini per compiere attività ormai precluse a norma dell’art. 294 c.p.c., e dunque se dimostra che la nullità della citazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo”.

La scelta è giustificata con il rilievo che permettere al convenuto che in primo grado ha patito una nullità per vizi della vocatio in ius non impedienti la conoscenza del processo di ripetere interamente il processo in appello spiegando difese oramai precluse, significherebbe incoraggiarne strategie dilatorie. Egli avrebbe infatti ben potuto chiedere la restituzione nell’interezza delle sue prerogative costituendosi tempestivamente[24] nel giudizio di primo grado invece di attenderne l’esito ed impugnare. Attingere ad opposte conclusioni sarebbe perciò una “(…) reazione ordinamentale (…) sproporzionata rispetto alla lesione del diritto di difesa addebitabile all’attore”.

L’orientamento applica, al giudizio di appello, una logica che ritiene insita nell’art. 294 c.p.c. per il giudizio di primo grado. Una volta ivi dichiarato contumace, il convenuto che abbia patito una nullità della citazione o della sua notificazione non potrebbe semplicemente costituirsi in qualunque momento e chiedere la fissazione di una nuova prima udienza invocando l’art. 164 c.p.c. ma dovrebbe soggiacere al (più restrittivo) regime asseritamente imposto, appunto, dall’art. 294 c.p.c. Potrebbe cioè essere rimesso in termini per le difese già precluse solo se dimostrasse che le lamentate nullità gli hanno anche inibito la conoscenza del processo. Il che, a sua volta, sarebbe da escludere in tutti i casi in cui la nullità derivi da vizi diversi dalla omessa od incerta indicazione del giudice adito nell’atto introduttivo.

La tesi è tuttavia insostenibile per le stesse ragioni che la rendono, a prima vista, così suggestiva.

Da un lato propugna infatti una conoscenza del processo che, proprio per essere “materiale”, è attinta aliunde in modo casuale ed incontrollabile, a prescindere cioè da un atto introduttivo valido e validamente entrato nella sfera giuridica del destinatario, come la legge prescrive. Dall’altro, e per implicazione necessaria, presuppone che il destinatario, ricevuto un atto introduttivo privo, ad esempio, di petitum/causa petendi o di avvertimento ex art. 163, c. 2, n. 7 c.p.c. o ancora irrispettoso del termine per comparire prima ne apprenda il contenuto e poi, ricostruitane la parte mancante, assuma le conseguenti determinazioni costituendosi[25] in giudizio.

Il punto è però che tali circostanze, ammesso che si verifichino, sarebbero oggettivamente inconoscibili dal giudice in assenza di costituzione del convenuto né potrebbero mai essere dimostrate dalla controparte. La conoscenza “materiale” implica infatti, ed in ciò risiedono al contempo la carica suggestiva e l’insostenibilità della tesi che la propugna, una attività cognitiva in capo al destinatario dell’atto che, proprio in quanto tale, mai potrebbe condizionare la genesi della litispendenza. La relativa fattispecie legale è infatti agganciata a requisiti formali dell’atto introduttivo e della sua notificazione perchè sono gli unici che il giudice può verificare secondo parametri ex ante. Ecco perché la loro presenza ingenera quella presunzione di valida instaurazione del contraddittorio che consente al processo di progredire verso la sua meta finale (la pronuncia di merito) a prescindere dalla costituzione del convenuto. Ed ecco perché l’assenza di uno o più requisiti fa invece venire meno quella presunzione imponendo al giudice che le conseguenti nullità dichiari di ordinare la rinnovazione dell’atto introduttivo e/o della sua notificazione, con ripartenza del processo dalla prima udienza.

La valida instaurazione della litispendenza può cioè predicarsi in base alla verifica del rispetto dei requisiti imposti a pena di nullità e non certo alla verifica della conoscenza “materiale” che il destinatario abbia attinto dalla lettura dell’atto. Ne consegue che la mancanza di quei requisiti invalida la litispendenza perché altrimenti che essi vi siano oppure no sarebbe del tutto indifferente ai fini della validità dell’atto introduttivo e del processo e non avrebbe alcun senso la disciplina delle nullità.

L’art. 294 c.p.c. si riferisce, del resto, alla mancata conoscenza del processo quale conseguenza della nullità della citazione e/o della sua notificazione. L’idea che della nullità occorra dimostrare anche la forza inibente la conoscenza “materiale” del processo, e lo stesso concetto di conoscenza “materiale”, non sono affatto implicati in modo necessario né dal testo né dalla logica della norma. E’ infatti ben più plausibile supporre che la conoscenza del processo sia concepita, dall’art. 294 c.p.c., come variabile dipendente da un dato formale, la validità dell’atto introduttivo e/ della sua notificazione, e sia dunque formale anch’essa, da intendersi cioè quale conoscenza legale (o presunzione di conoscenza). Nessun rilievo, d’altra parte, è dato da questa disposizione né dall’art. 164 c.p.c. al distinguo tra vizi impedienti e vizi non impedienti la conoscenza del processo tutti avendo, al contrario, lo stesso peso quali fattori inficianti la validità dell’atto e della sua notificazione intese quali idoneità a radicare la litispendenza. In questo microsistema la conoscenza “materiale” del processo opera dunque quale sanatoria dei vizi genetici solo se il convenuto, malgrado le nullità, si costituisce in giudizio inverando la cd. convalidazione oggettiva o soggettiva. La sua incidenza è dunque eventuale e postuma perchè legata alle opzioni difensive spiegate in concreto dalla parte colpita dalle nullità, cui è rimessa la scelta in ordine alla opportunità di avvalersi della restituzione completa nelle sue prerogative processuali. Il che è dimostrato dalla circostanza che, malgrado la valida instaurazione del contraddittorio, il “contumace che si costituisce” può comunque essere rimesso in termini per il compimento di attività che gli sarebbero precluse solo se dimostra che la mancata costituzione è dipesa da causa non imputabile e non invece dalla mancata conoscenza del processo (art. 294 c.p.c.)[26]..

La plausibilità di queste conclusioni è confermata da un dato tecnico: e cioè che il rilievo di qualunque vizio previsto dall’art. 164 c.p.c. avviene d’ufficio in ogni stato (e grado) del processo. A seguire la tesi della “conoscenza materiale” si arriverebbe invece alla conclusione che esiste un potere di rilievo ufficioso di nullità dell’atto introduttivo e della sua notificazione più ampio, in senso cronologico, di quello della stessa parte colpita dalla nullità.

L’argomento della conoscenza “materiale” del processo non è dunque ricavabile, tantomeno in modo necessario, dal microsistema degli artt. 164, 291 e 294 c.p.c. e avrebbe dovuto essere dimostrato ex novo e sulla base di ben diversi (e più sicuri) indici normativi. Indici che, in particolare, spiegassero perché quasi tutte le ipotesi legali di nullità dell’atto introduttivo previste dall’art. 164 c.p.c. (ad eccezione cioè, secondo la giurisprudenza, della mancata identificazione del giudice adito) fossero da considerare inidonee a ledere le prerogative della difesa del convenuto dopo la sua dichiarazione di contumacia in primo grado.

Profilo, questo, per il quale la lezione della conoscenza “materiale” del processo va ben oltre quella del “pregiudizio effettivo”. E ciò nella misura in cui nega in radice che vizi dell’atto introduttivo diversi dalla incertezza sull’ufficio giudiziario adito possano anche solo in astratto ledere il diritto di difesa così escludendo il convenuto che li eccepisca[27] dal recupero completo delle sue prerogative processuali[28].

Il quadro precedente alla Riforma induceva dunque a credere che l’argomento della conoscenza “materiale” del processo fosse frutto di una torsione interpretativa che, in ossequio alla ragionevole durata del processo, privava la maggior parte delle nullità dell’atto introduttivo della propria ratio di sanzione per il mancato rispetto di una delle garanzie fondamentali del giusto processo[29].

3.2.- Segue… e il contraddittorio a valle del processo come “non innovativo”

Altre ed importanti sono tuttavia le epifanie del “pregiudizio effettivo” nella lettura giurisprudenziale del sistema legale delle nullità processuali. Un settore dove se ne riscontra una certa incidenza è ancora e proprio quello del contraddittorio, stavolta a valle del processo.

Due ipotesi, tra le tante, illustrano in modo emblematico il mood giurisprudenziale.

La prima è quella del mancato rispetto, da parte del giudice, dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica (art.190 c.p.c. nel testo ante-riforma) o della mancata assegnazione del termine prima della finale decisione. Per un orientamento di legittimità, poi sconfessato dalle Sezioni Unite,[30] ai fini della dimostrazione della lesione subita l’impugnante ha l’onere di indicare le tesi difensive contenute nello scritto depositato successivamente alla data di decisione che, ove prese in considerazione dal giudice, avrebbero potuto condurre ad una decisione diversa da quella in concreto resa.[31] Ciò sul presupposto che le comparse conclusionali e le memorie di replica sono meramente illustrative di ragioni che le parti hanno già sviluppato aliunde.

La seconda ipotesi è quella della mancata fissazione dell’udienza di discussione in appello, pure chiesta dalla parte.[32] La Cassazione, sul presupposto da un lato che la denuncia di violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, e dall’altro che la discussione nel giudizio di appello secondo il rito del lavoro ha una funzione meramente illustrativa delle posizioni già assunte nei precedenti atti difensivi e non è sostitutiva delle difese scritte di cui all’art. 190 cod. proc. civ., ritiene che “(…) per configurare una lesione del diritto di difesa non basta affermare, genericamente, che la mancata discussione ha impedito al ricorrente di esporre meglio la propria linea difensiva, ma è necessario indicare quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o di approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi.”[33]

La concreta lesione del diritto di difesa è in sintesi esclusa sulla base di una pretesa superfluità degli scritti defensionali finali (comparse e memorie ex art. 190 c.p.c.) o della discussione in appello, in quanto inidonei per legge ad apportare nova alla materia del contendere.

L’argomento però, pur estremamente suggestivo, non ha pregio sotto due profili strettamente connessi. Esso collega infatti la lesione del diritto di difesa alla sola idoneità degli strumenti processuali che veicolano il dialogo tra le parti ad allargare in qualche modo la materia del contendere. Nel far questo trascura però che proprio il dialogo tra le parti, nella misura in cui la legge lo assicura, invera il contraddittorio in modo coerente con il segmento processuale in cui è collocato. Esso è cioè quel diritto di difesa che la Costituzione impone in ogni stato del processo (art. 24 Cost.) e che in virtù del contesto non può essere sempre uguale a sé stesso.

Se dunque il dialogo è veicolato da scritti finali o dalla discussione prima della decisione come nelle pronunce citate, la sua imprescindibilità risiede nella idoneità a (ri)leggere e (re)interpretare la materia del contendere già ampiamente cristallizzatasi (eventualmente anche) alla luce dell’istruttoria dandone una chiave di lettura postuma volta ad orientare in senso favorevole la decisione. Da questo punto di vista la dinamica dialogica mostra proprio nello scambio degli scritti finali e nella discussione tutta la sua intrinseca originalità proprio nel non essere foriera di nova. Proprio, cioè, nel guardare alla materia del contendere non quando è ancora in itinere ma nella prospettiva più distesa del dopo, la stessa del giudicante.

La logica del contraddittorio nel segmento finale del processo è dunque ribaltata rispetto a quella che vi rintraccia la Corte ed è proprio la sua portata non ampliativa dell’esistente a renderla intrinsecamente insurrogabile perché capace di una prospettiva a campo largo non attingibile in fasi precedenti del processo.

Neppure convince la giustificazione generale della scelta. In assenza fino ad oggi di appigli normativi,[34] la giurisprudenza soleva ripetere che la denuncia di vizi fondati sulla (pretesa) violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio al diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Con la notevole conseguenza che la sanzione di nullità, pure prevista dall’ordinamento, potrà scattare solo se l’erronea/mancata applicazione della regola processuale abbia comportato una lesione del diritto di difesa.[35]

L’argomento mostra tuttavia la sua fallacia proprio nell’incontestabilità delle premesse.

Che la denuncia delle nullità processuali non veicoli l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria  ma all’eliminazione del pregiudizio al diritto di difesa è infatti affermazione tanto vera quanto incapace di reggere l’inferenza che occorra, di volta in volta, dimostrare la offensività concreta del vizio.

Al contrario, è altrettanto plausibile supporre che proprio la sanzione di nullità che colpisce l’atto affetto da quel vizio attesti che l’ordinamento ne ha prevalutato la lesività per il diritto di difesa al punto da legittimare senz’altro la parte lesa a pretenderne la restaurazione.[36] Il che è ulteriormente dimostrato dal fatto che non ogni irregolarità, intesa quale discrepanza dal modello legale, determina anche la nullità dell’atto.[37]

La necessità di provare l’esistenza di un pregiudizio effettivo non poteva dunque radicarsi, come pretendeva la giurisprudenza nel contesto normativo precedente alla Riforma, nel sistema legale delle nullità degli atti processuali se non a prezzo di piegarne il contenuto precettivo ad altre e diverse esigenze.

Ed esattamente come nel caso della conoscenza “materiale” del processo, quelle esigenze non sono imposte dalla lettera e dalla ratio delle norme che sanciscono le nullità, che anzi tradiscono, ma dall’incubo della ragionevole durata del processo.[38]

4.- “Pregiudizio effettivo”, art. 101 c.p.c., c. 2 e poteri di rilievo ufficioso

E’alla luce di questi rilievi che va affrontato il quesito del rapporto tra l’art. 101 c.p.c., c. 2 e le numerose disposizioni che presidiano il rispetto del contraddittorio nella fase genetica del processo conferendo al giudice poteri di rilievo d’ufficio.

Se in linea puramente teorica dovrebbe immaginarsi un rapporto tra lex generalis (l’art. 101 c.p.c. c.2) e lex specialis (artt. 164 c.p.c., 291 c.p.c., 294 c.p.c.) tale da conferire alla seconda il potere di derogare alla prima,[39]la pervasività della lezione pretoria del “pregiudizio effettivo” depone per la conclusione opposta.

Il nuovo c. 2, primo periodo, dell’art. 101 c.p.c. fornisce infatti quella sicura base normativa alla teoria della conoscenza “materiale” del processo che finora mancava.

Non solo. Se fino ad oggi anche le Sezioni Unite[40] sembravano fare salvo il regime normativo del rilievo ufficioso dei vizi genetici del contraddittorio, è verosimile supporre che proprio la leva dell’art. 101 c.p.c., c. 2 porti, da oggi in poi, a ritenere che l’impossibilità per il giudice che rilevi il vizio di motivarne anche solo in astratto la lesività, si rifletta sulla stessa esistenza concreta del potere di rilievo, escludendola.

Se, insomma, la legittimazione della parte colpita dal vizio sussiste ma la mancata prova della lesività comporta il rigetto dell’eccezione (o della impugnazione), allora chi la prova non può acquisire d’ufficio, il giudice, semplicemente vede il suo potere di rilievo, se pure in astratto ancora esistente, in concreto svuotato di contenuti.

Non è anzi difficile immaginare una recessione del rilievo ufficioso persino per i vizi di integrità del contraddittorio di cui all’art. 102 c.p.c.

La Cassazione[41] ha infatti affermato, ben prima dei nova in commento, in una ipotesi di impugnazione dell’ordinanza di liquidazione dei compensi al CTU ex art. 170 dpr 115/2002, che “l’omessa notifica del ricorso in opposizione e del decreto di comparizione ad una delle parti determina la nullità del procedimento e della decisione”. E tuttavia ha respinto il ricorso poichè “il ricorrente si è limitato a denunciare la violazione dell’art. 102 c.p.c. senza prospettare l’erroneità, nel merito, della decisione impugnata e, soprattutto, senza indicare quali facoltà difensive siano state pregiudicate, non potendo vantare un interesse astratto alla regolarità del giudizio senza evidenziarne i riflessi pratici sulla decisione adottata. (…). L’eventuale accoglimento del ricorso determinerebbe – in sostanza- l’unico effetto di consentire un nuovo esame della controversia, con il rischio di un uso strumentale delle regole processuali e di un vulnus delle ragioni di celere definizione e ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. (…). In sostanza, a seguito della costituzionalizzazione del principio del giusto processo, la violazione delle regole processuali, per assumere rilievo, deve tradursi nella lesione di specifiche facoltà difensive che compete alla parte allegare e la sua deduzione deve essere sorretta da un interesse pratico, restando esclusa la necessità di regolarizzare il processo qualora non sia riscontrabile alcuna concreta contrazione dei diritti sostanziali e processuali.”

La pronuncia cattura in maniera perfetta il nuovo primo periodo del c. 2 dell’art. 101 c.p.c. e le sue illimitate potenzialità applicative. Essa ne rappresenta anzi l’applicazione ante litteram. Sicchè, pur riferendosi all’impugnazione, rende evidente che se la prova della lesività è indispensabile persino per i vizi più gravi immaginabili, essa non potrebbe mai essere acquisita dal giudice che li rilevi d’ufficio sicchè tale rilievo pare destinato a restare lettera morta.

5.- Qualche finale riflessione: il tramonto del contraddittorio segna la fine dei “substantialia processus”?

La pronuncia da ultimo citata è emblematica di quanto la giurisprudenza sia andata avanti, malgrado un contesto normativo cui era alieno il concetto di “pregiudizio effettivo”, nell’opera di rifondazione dell’ordinamento sotto il profilo della considerazione delle regole processuali e del regime delle nullità a presidio del loro rispetto. [42]

Oggi che il concetto di offensività della violazione è entrato nell’ordinamento dalla porta principale a condizionare la declaratoria di nullità del procedimento e della sentenza per violazione del contraddittorio, occorre fare i conti con la sua forza espansiva.

Proprio la pronuncia da ultimo citata mostra come sia possibile insinuare tra la violazione del contraddittorio e la dichiarazione di nullità della sentenza e del procedimento (legittimanti la rinnovazione) la offensività del vizio, imponendo la relativa allegazione e prova pena il rigetto dell’impugnazione, persino per i vizi genetici del contraddittorio, quelli, per intenderci, del c. 1 dell’art. 101 c.p.c.

L’odierno intervento riformatore, che codifica questo modo di intendere, si irradia perciò[43] sul primo comma dell’art. 101 c.p.c.  Che il giudice non possa assumere alcuna decisione senza che la parte nei cui confronti è proposta la domanda sia chiamata in giudizio sembra dunque valore irrinunciabile solo in via preventiva. Svoltosi il processo e resa la sentenza esso recede. La realtà (ciò che è reale è anche valido, si potrebbe chiosare) conferisce a questi ultimi una presunzione di validità superabile solo con la dimostrazione che il valore sacrificato ha avuto anche una portata offensiva delle prerogative della difesa.

Se dovesse generalizzarsi questo scenario, come è plausibile presagire in base alla giurisprudenza citata, il contraddittorio e il diritto di difesa imboccherebbero strade separate che solo eventualmente, in caso cioè di prova dell’offensività, tornerebbero ad incontrarsi[44].

La nullità per violazione del contraddittorio cesserebbe allora di essere sanzione dell’ordinamento per la lesione di una garanzia fondante e presupposto per la relativa restaurazione per degradare a semplice congegno di procedura uguale a tanti altri, elemento costitutivo di una più ampia fattispecie cui solo lo sfuggente connotato della offensività[45] dà giuridica pregnanza.

Quest’ultima a sua volta, dovendo essere dimostrata, inciderebbe sui poteri di rilievo che la legge riconosce al giudice nella fase genetica del processo, di fatto elidendoli.

Al contrario di quanto enfaticamente afferma la giurisprudenza di legittimità, applicata al contraddittorio, la logica dell’offensività è ben lungi dall’inverare lo spirito del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., c.  1 e 2. Essa diviene, al contrario, la leva che ne scardina l’equilibrio interno, fondato su un contraddittorio che, per dover essere in condizioni di parità, fronteggia un giudice terzo ed imparziale, argine ed alter ego di questa imparzialità. In quella norma, infatti, tutti le componenti hanno uguale peso e devono coesistere in un equilibrio perfetto. Compresa, è appena il caso di rilevare, la ragionevole durata.

Se invece il contraddittorio sbiadisce, nel giudice si concentra una posizione di prevalenza sulle parti. Egli diviene arbitro del recupero della dialettica processuale solo se ritenga, caso per caso, raggiunta la prova della offensività del vizio lamentato. Solo, cioè, se le esigenze legate alla ragionevole durata gli appaiano in concreto recessive. Nel che si annida, al fondo, anche uno sbilanciamento a favore di una delle parti, quella cioè che si è avvantaggiata nel segmento processuale o è risultata vittoriosa nel processo che ha violato le garanzie del contraddittorio perché la controparte non è riuscita a provare la offensività del vizio.[46]

Il rischio è dunque che il processo finisca con il perdere la sua anima, quel contraddittorio “in condizioni di parità” che è lo specchio della terzietà/imparzialità del giudicante.[47] Dissolvendosi nell’indistinta dimensione solo procedimentale che pervade l’ordinamento giuridico e che pure ha trainato verso aperture sempre più garantiste[48], esso potrebbe in futuro distinguersi solo per l’imprescindibilità della ragionevole durata, oramai unico specchio del ruolo (di supremazia) del giudice.

L’auspicio è che, nonostante tutto, questo rischio non si traduca in realtà.

 

[1] In G.U. n. 243 del 17 ottobre 2022. Il D. Lgs. è entrato in vigore il 18 ottobre 2022.

[2] Recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”.

[3] Dall’art. 3, c. 7 del D. Lgs n. 149/2022

[4] La disposizione di nuovo conio ha effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applica ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applica invece la precedente versione dell’art. 101 c.p.c: così l’art. 35, c. 1, del d. lgs. n. 149/2022, recante appunto la disciplina transitoria, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025..

[5] Dettato dal c. 22 dell’art. 1 della L. n. 206/2021.

[6] Non limitatamente, peraltro, ai riti ordinario e semplificato di cognizione, come sostiene invece la Relazione illustrativa.

[7] Con l’aggiunta di un secondo comma ad opera dell’art. 45, c. 8, della l. n. 69/2009.

[8] L’art. 183 c.p.c. venne modificato, nel senso di prevedere per il giudice la indicazione delle questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione, già dalla L. n. 581/1950.

[9] La prescrizione del rispetto del contraddittorio anche per i mezzi di prova disposti d’ufficio è invece frutto di una consapevolezza più recentemente acquisita, essendo stata inserita nell’art. 183 c.p.c. dal d. l. n. 35/2005, conv., con mod., in l. n. 80/2005, come modificata dalla l. n. 263/2005.

[10] Come modificato dall’art. 12 del D. lgs. n. 40/2006.

[11] Quelle, appunto di trattazione nel rito ordinario e davanti alla Cassazione.

[12] Così, con il consueto nitore, Sassani-Tiscini, Sub art. 101, in Commentario alla riforma del codice di procedura civile, a cura di Saletti e Sassani, Torino, 2009, 58 ss.

[13] Mi riferisco a Cass., S.U. 25 novembre 2021, n. 36596, in www.judicium.it, 23 dicembre 2021, con nota di Santagada, Le Sezioni Unite sulla nullità della sentenza emessa prima della decorrenza dei termini ex art. 190 c.p.c. (note a prima lettura a Cass., sez. un., 25 novembre 2021, n. 36596), e in Giustiziainsieme.it, 4 gennaio 2022, con nota di Capponi, Buone notizie dalle Sezioni unite sulle nullità processuali (e sul rapporto tra norme e principi), e 15 febbraio 2022, con nota di Biavati, Tutela del contraddittorio e pregiudizio effettivo; in Foro it. 2022, I, 117 ss., con nota di Capasso, Quando la nullità «fait nécessairement grief»: le sezioni unite e l’intrinseca offensività della nullità da violazione del contraddittorio, che enuncia il seguente principio di diritto: “La parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero per replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto ai difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo”. V. altresì le considerazioni di Mazzei, L’intrinseca nullità della sentenza emessa prima della decorrenza dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., in Judicium, 2022, 243 ss.

[14] E dovuta ad un intervento successivo del legislatore sul testo originario limitato al primo comma, come già rilevato.

[15] Nel testo ante- riforma con riferimento alle questioni ed ai mezzi di prova, in quello attuale in riferimento solo a questi ultimi.

[16] Cass., S.U. 25 novembre 2021, n. 36596, cit.

[17] Ulteriori osservazioni sul punto in Donzelli, Note sul nuovo art. 101 c.p.c., in corso di pubblicazione in Riv. dir. proc., 2023 (testo consultato per cortesia dell’A.).

[18] V. le pregnanti considerazioni di Donzelli, Note sul nuovo art. 101 c.p.c., cit.

[19] La risposta a questa provocatoria domanda non potrebbe essere positiva neppure nei casi (su cui amplius infra, la nota 41), in cui il giudizio di impugnazione (segnatamente di legittimità) venga chiuso in rito per inammissibilità del ricorso o quest’ultimo sia rigettato per infondatezza, senza che venga prima integrato il contraddittorio ex art. 331 c.p.c. Qui infatti l’integrazione è superflua non perché si verifica una biforcazione tra contraddittorio (indubbiamente violato) e difesa (asseritamente intatta) ma perché, chiuso il processo di impugnazione, si consolida il provvedimento favorevole alle controparti pretermesse nel giudizio di legittimità, le quali dunque ricevono la massima tutela possibile. Perciò, in sintesi, neppure può parlarsi di violazione del contraddittorio in un giudizio la cui chiusura va a vantaggio (consolidandone la vittoria) proprio di chi non vi ha partecipato.

[20] V. in tal senso, ed a titolo meramente esemplificativo del mood giurisprudenziale, Cass. 25 luglio 2019 n. 20152, in www.judicium.it, con nota di Scarselli, Sulla necessità di avere un codice di procedura civile e sul dovere dei giudici di rispettarlo e farlo rispettare. Rileva condivisibilmente Donzelli, Pregiudizio effettivo e nullità degli atti processuali, cit., 75 ss., a commento della lezione pretoria sul “pregiudizio effettivo”, che sembra quasi che la prova di aver subito una lesione serva a rimuovere una presunzione di superfluità della regola processuale violata.

[21] Per Donzelli, Il nuovo art. 101 c.p.c., cit., “(…) la norma, letta nella prospettiva funzionale che la innerva, implica anche il dovere del giudice di adottare i «provvedimenti opportuni» proprio al fine di assicurare «il rispetto del contraddittorio» ed impedire che si determini una «lesione del diritto di difesa”.

[22] Il rinvio è d’uopo alla ampia e documentata monografia di Donzelli, Pregiudizio effettivo e nullità degli atti processuali, Napoli, 2020, ove completa ricostruzione anche storico-comparatistica, nell’ambito della quale l’A. fa notare, tra l’altro, come, malgrado a conoscenza del dibattito che aveva progressivamente condotto l’ordinamento francese ad adottare la regola “pas de nullité sans grief”, il legislatore italiano abbia scelto consapevolmente un’altra strada. V. altresì Id., Sul “principio del pregiudizio effettivo”, in Riv. dir. proc., 2020, 548 ss.

[23] Cass., S.U. 26 gennaio 2022, n. 2258, in www.altalex.it del 7 febbraio 2022, con nota di Baroncini, Nullità della citazione per vizi della vocatio in ius rilevati in appello: rimessione in termini del contumace ex art. 294 c.p.c.

[24] O quantomeno alla prima udienza. L’art. 294 c.p.c. fa infatti riferimento al “contumace che si costituisce” sicchè, posto che nel regime ante -riforma le condizioni legittimanti la dichiarazione di contumacia maturano alla prima udienza, sarebbe proprio questo il momento in cui la costituzione del convenuto potrebbe ancora consentire l’applicazione dell’art. 164 c.p.c. invece dell’art. 294 c.p.c.

[25] Tempestivamente o comunque entro la prima udienza.

[26] Può rivelarsi a questo proposito utile anche il confronto con quanto previsto, ad esempio, dall’art. 663 c.p.c. in tema di mancata comparizione o mancata opposizione all’intimazione di licenza o sfratto. Qui il giudice, in ragione delle gravi conseguenze legate alla mancata comparizione dell’intimato, ha il potere di ordinare che sia rinnovata la citazione “se risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa (o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore)”. Il presupposto della rinnovazione non è la nullità della citazione (come mostra il riferimento alla impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore) ma le circostanze del caso concreto cui il legislatore ritiene di dare eccezionalmente peso: ad esempio, la notifica della citazione ad uno studente nella città universitaria dove studia da fuori sede in un momento dell’anno in cui è plausibile supporre che abbia lasciato la sede per tornare a casa propria (festività o vacanze estive). Qui la presunzione di conoscenza legale è raggiunta in base alla validità della citazione e della sua notificazione, ma vi è ragione di credere che la conoscenza effettiva sia mancata per le circostanze particolari del momento: così Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2021, IV, 184 ss.

[27] Si intende: dopo il maturare delle condizioni legittimanti la dichiarazione di contumacia.

[28] Su questi profili v. amplius, si vis, Delle Donne, Appello per nullità dell’atto introduttivo del primo grado e attività soggette a preclusione: gli opposti fronti delle Sezioni Unite e della recente riforma del processo civile, in www.judicium.it.

[29] V. le pregnanti considerazioni di Panzarola, Processo, procedimento e iudicium (brevissime osservazioni a margine di una celebre dottrina), in Judicium, 2021 2, 217 ss, ed ora in Procedimento e processo, Metodi di ponderazione di interessi e risoluzione di conflitti, a cura di Martino, Panzarola e Abbamonte, Milano 2022, 411 ss.

[30] Cass., S.U. 25 novembre 2021, n. 36596, cit.

[31] Cass. 13 novembre 2003, n. 17133, in Gius, 2004, 1149; Cass. 23 febbraio 2006, n. 4020; Cass. 9 aprile 2015, n. 7086; Cass. 10 ottobre 2018, n. 24969.

[32] Cass,. II, ord. 14 luglio 2021, n. 20067, in Guida al diritto, 2021, n. 34, 59. Cass., I, ord., 6 settembre 2021, n. 24002, in Guida al diritto, n. 42, 77.

[33] Una compiuta illustrazione della complessa morfologia che il “pregiudizio effettivo” assume nella giurisprudenza, e della relativa principale casistica esula dai limiti di questo lavoro. Sufficit perciò qui rinviare a Donzelli, Pregiudizio effettivo, cit., spec. 45 ss e passim, ove ampio spazio è dato all’esame delle principali ipotesi in cui si rinviene l’uso della lezione del “pregiudizio effettivo” per giustificare il rigetto di impugnazioni fondate su violazioni di norme processuali. V altresì Id., Sul “principio del pregiudizio effettivo”, in Riv. dir. proc., 2020, 548 ss.

[34] Dato pacifico e comunemente considerato non casuale ma frutto di una precisa opzione di politica del diritto: v. amplius Donzelli, Pregiudizio effettivo e nullità degli atti processuali, cit., passim.

[35] Avente riflessi sulla decisione di merito, lesione che è onere della parte allegare e dimostrare: così, a mero titolo di esempio e tra le più recenti, Cass. 13 luglio 2018, n. 18522.

[36] V., in tal senso, ad esempio, Capponi Buone notizie dalle Sezioni unite sulle nullità processuali (e sul rapporto tra norme e principi), cit., per il quale «la diversa regola, che vuole necessario ai fini dell’apprezzamento della nullità processuale anche il riferimento a un pregiudizio effettivo “altro” rispetto a quello a tal fine considerato dal legislatore, non è in alcun modo presidiata nell’ordinamento processuale italiano, a differenza di quel che accade (per esempio) nell’esperienza dell’ordinamento francese (art. 114 del Nouveau code de procédure civile)», su cui v. amplius Cadiet, Jeuland, Droit judiciaire privé, Parigi, 2016, 450; v. altresì Oriani, voce Nullità degli atti processuali: 1) Diritto processuale civile, in Enc. giur., XXIII, Roma, 1990, 11; Id., L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 121. Più di recente sul tema si sofferma la riflessione di Vaccarella, Sassani, Capponi, Editoriale, in Rass. es. forz., 2019, 597; di Scarselli, Sulla necessità di avere un codice di procedura civile e sul dovere dei giudici di rispettarlo e di farlo rispettare, cit.; di Capponi, Principi di diritto pronunciati d’ufficio su spedizione in forma esecutiva e interesse all’opposizione, in www.judicium.it. In tal senso v, altresì Donzelli, Sulla nullità della sentenza emessa in violazione dell’art. 190 c.p.c., Riv. dir. proc, 2022, 556 ss; Auletta, La nullità degli atti processuali ovvero … Taking (procedural) rights seriously, ivi, 546 ss.; Stella, La nullità della sentenza prematura, non preceduta dai termini ex art. 190 c.p.c., è in re ipsa, ivi, 571 ss.; Volpino, Violazione dei diritti processuali “essenziali” e nullità della sentenza, in Giusto proc. civ. 2022, 191 ss. Su questa lunghezza d’onda si pone, del resto, anche una certa giurisprudenza di legittimità: v., di recente, ad es., Cass. (ord.) 21 gennaio 2021, n. 1096, in www.ildirittoprocessualecivileitalianoecomparato.it, n. 4/2021, con nota di Giaquinto, La notificazione del titolo esecutivo condiziona la validità dell’esecuzione forzata, per la quale: a) il processo esecutivo, che sia iniziato senza essere preceduto dalla notificazione o dalla valida notificazione del titolo esecutivo e/o dell’atto di precetto, è affetto da invalidità formale che può essere fatta valere tramite l’opposizione agli atti esecutivi; b) la nullità dell’atto di precetto che non contenga l’indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo è frutto di una valutazione preventiva ed astratta da parte del legislatore del pregiudizio al diritto di difesa del debitore, al quale la legge intende assicurare la possibilità di raffrontare le pretese creditorie con il tenore del titolo esecutivo su cui le stesse si fondano, e può dunque esser fatta valere con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi a prescindere dalla deduzione di un pregiudizio effettivo subito dall’intimato in conseguenza del vizio medesimo.

[37] L’irregolarità è infatti profilo non confondibile con la nullità dell’atto, poiché esprime la carenza di un requisito non idonea di per sé a rendere l’atto inidoneo a raggiungere i suoi scopi istituzionali, e dunque non idoneo a determinarne la eventuale caducazione e rinnovazione: v., a titolo di esempio, per tutti, Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano, 2021, 424.

[38] Per dirla con Verde, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc., 2011, 520 ss; ma v. anche le perspicue considerazioni di Panzarola, Alla ricerca dei substantialia processus, ivi, 2015, spec. 693 ss.

[39] Concordo con le acute considerazioni di Donzelli, Note sul nuovo art. 101 c.p.c., cit., per il quale, premessa l’intentio di rafforzare le garanzie del contraddittorio ricavabile dalla Relazione Illustrativa al D. lgs. n. 149/2022 e l’assenza di delega in punto di contraddittorio e conseguenze della sua violazione,“(…) se si fosse inteso condizionare la declaratoria di nullità alla sussistenza di un pregiudizio effettivo, si sarebbe dovuto riscrivere il comma secondo dell’art. 157 c.p.c. in guisa tale da richiedere la sussistenza di un interesse concreto”. E tuttavia temo che proprio questa modifica trovi nella lezione pretoria del pregiudizio effettivo nelle sue oramai tante ramificazioni il proprio “anticipato commento”.

[40] Cass., S.U. 26 gennaio 2022, n. 2258, cit.

[41] Cass. 25 luglio 2019 n. 20152, cit. V. altresì Cass. 18 gennaio 2019, n. 24071 (ord.), con nota di Pagnotta, La decisione (discrezionale) del giudice di non integrare il contraddittorio per carenza di interesse alla rinnovazione del giudizio , in Judicium, 2020, 105 ss, la quale ha ritenuto di non accogliere il motivo di ricorso incentrato sulla nullità dei pregressi gradi di merito e della sentenza d’appello per non integrità del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., in riferimento ad una controversia in cui il ricorrente aveva chiesto l’accertamento dell’usucapione in suo favore di unità immobiliari nei confronti di alcuni soltanto dei comproprietari restando completamente soccombente. Per la Corte, in particolare, “(…) a fronte di una sentenza di secondo grado che abbia rigettato la domanda di usucapione, non può ritenersi sussistente alcun interesse alla rinnovazione del giudizio in contraddittorio con i comproprietari pretermessi, né in capo a questi ultimi, né in capo all’attore; (…) quanto ai comproprietari pretermessi, la suddetta sentenza non pregiudica in alcun modo i loro diritti, giacché essi, in sostanza, sono virtualmente vittoriosi nel giudizio in cui sono stati pretermessi; (…) quanto all’attore, per costui è irrilevante, in ragione del contenuto della sentenza (di accertamento negativo del suo diritto), la non opponibilità della stessa ai litisconsorti necessari pretermessi; (…)”. Ciò alla luce del fatto da un lato che il ricorrente avrebbe ben potuto rimediare al difetto di integrità del contraddittorio nei gradi di merito e dall’altro che le doglianze mosse alla sentenza d’appello sono infondate, sicchè la rinnovazione del giudizio a contraddittorio integro invererebbe un abuso del processo e un vulnus alla sua ragionevole durata in quanto condurrebbe allo stesso esito del giudizio viziato. Qui è insomma la infondatezza dei motivi di ricorso ad essere dirimente rendendo recessiva l’esigenza di rinnovare il giudizio di merito a contraddittorio integro. Ma è proprio questo l’elemento di debolezza della decisione posto che la valutazione di fondatezza delle domande va effettuata dal giudice di merito in contraddittorio di tutte le parti necessarie (come il caso di specie avrebbe imposto ab initio, trattandosi di ipotesi lampante di litisconsorzio necessario sostanziale).

Complesso è, ad ogni modo, il rapporto della giurisprudenza di legittimità con le questioni legate all’integrità del contraddittorio. Va infatti anche citata la tendenza a considerare il contraddittorio integro quale presupposto dell’esame di ogni ulteriore questione (anche) di rito, persino quella di giurisdizione (e di competenza): v., esemplificativamente, Cass. 12 marzo 2020, n. 7005, in Foro It., news, 30 marzo 2020, con nota di Dalfino, Ordine delle questioni e regolamento di competenza. Molto diversa è invece l’ipotesi in cui l’integrità del contraddittorio ex art. 102 c.p.c. riguarda lo stesso giudizio di cassazione. Qui la Corte ha avuto modo di affermare l’inapplicabilità dell’art. 102, c. 2 c.p.c.: a) laddove il ricorso in Cassazione venga giudicato inammissibile sicchè la partecipazione dei pretermessi non apporterebbe alcun contributo alla giustizia (Cass. S.U. 3 novembre 2008, n. 26373, in Riv. dir. proc., 2009, 1684, con nota di Comoglio. La Corte, avendo valutato inammissibile il ricorso, ha ritenuto superflua la concessione di un termine per la notifica, omessa, del ricorso per cassazione alla parte totalmente vittoriosa in appello); b) laddove il ricorso venga giudicato infondato (Cass. 22 gennaio 2010 n. 2723, per la quale: “(…) E’ bensì vero che nella specie (giudizio di scioglimento di comunione) si versa in un caso di litisconsorzio necessario, anche nel grado di impugnazione, per cui sarebbe indispensabile l’impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti; con la conseguenza che dovrebbe disporsi, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari (…) a cui il ricorso non è stato in precedenza notificato (per inesistenza materiale o giuridica della notifica stessa). Senonchè, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2 e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti del l’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 cod. proc. civ., da sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129). In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi sub 3) prima, facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti totalmente vittoriose nei gradi di merito, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (…)”.  A ben vedere infatti la motivazione fondata sul bilanciamento di valori e prevalenza di quelli legati alla ragionevole durata del processo  nasconde dietro uno slogan il vero motivo tecnico che sorregge la (giusta) decisione: a) il giudice è tenuto a valutare prima i requisiti di ammissibilità dell’impugnazione, in difetto dovendo chiudere il processo con (nel caso specifico) passaggio in giudicato del provvedimento impugnato; b) proprio per questo, se i pretermessi nel giudizio di impugnazione sono controparti del ricorrente e completamente vittoriosi, essi ricevono dalla chiusura in rito del processo o dal rigetto del ricorso in cassazione per infondatezza una tutela massima perché si stabilizza il provvedimento a loro favorevole. Queste conclusioni sono confermate, nel contesto del processo amministrativo di primo grado, dall’art. 49, c. 2, c.p.a per il quale l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri cointeressati (in ipotesi di ricorso notificato alla PA e ad almeno uno dei controinteressati: artt. 27, c. 2, c.p.a e 49, c. 1, c.p.a) non è disposta se il ricorso è manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondato. Anche in tal caso infatti la presenza di un provvedimento amministrativo e la sua stabilizzazione in esito alla chiusura in rito del giudizio o al rigetto del ricorso dà ai controinteressati (coloro cioè la cui posizione si fonda sul provvedimento impugnato) la massima tutela possibile poiché li pone nella medesima condizione in cui si troverebbero in assenza di altrui impugnazione. Non così, evidentemente, se il vizio ex art. 102 c.p.c. si verifichi nelle fasi di merito e la Corte Suprema pretenda di ritenere superflua la rinnovazione del giudizio svoltosi inter pauciores perché le censure mosse alla decisione impugnata sarebbero infondate!! V. ad ogni modo, per una serie di considerazioni su queste diverse ipotesi, Fanelli, L’ordine delle questioni di rito nel processo civile in primo grado, Pisa, 2020, spec. 202 ss, e Pagnotta, Brevi note in tema di litisconsorzio necessario e decisione del giudice di non integrare il contraddittorio, in Scritti in onore di Bruno Sassani, Pisa, 2022, 179 ss.

[42] V., per una compiuta analisi di questi profili, per tutti, Verde, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc., 2011, 520 ss; Panzarola, Alla ricerca dei substantialia processus, ivi, 2015, spec. 693 ss; Vaccarella, Sassani, Capponi, Editoriale, in Rass. es. forz., 2019, 597; Scarselli, Sulla necessità di avere un codice di procedura civile e sul dovere dei giudici di rispettarlo e di farlo rispettare, cit.; Capponi, Principi di diritti pronunciati d’ufficio su spedizione in forma esecutiva e interesse all’opposizione, in www.judicium.it

[43] Non solo sul secondo periodo del c. 2 dell’art. 101 c.p.c. che regola le sentenze cd. della terza via, come già rilevato.

[44] Come già rilevato, Cass., S.U. 26 gennaio 2022, n. 2258, cit. mostra con nitore come alla violazione del contraddittorio inverata dalle nullità nella fase genetica del processo di primo grado consegua automaticamente, nel giudizio di appello instaurato dal contumace che tali nullità lamenti, la rinnovazione delle sole attività compiute dalla controparte o su sua richiesta ma non la restituzione nell’interezza delle prerogative processuali del contumace stesso. La nullità impone cioè di ripetere tutti gli atti compiuti dall’attore (o su sua richiesta) in primo grado nella contumacia (involontaria) del convenuto/appellante ma non consente a quest’ultimo di rispondere anche con difese già precluse in primo grado perché egli aveva comunque acquisito la conoscenza “materiale” del processo e dunque aveva l’opportunità di spiegare quelle difese in primo grado. Oggi che la lettura pare autorizzata dal c. 2 dell’art. 101 c.p.c. si pone anche un problema di coerenza con quanto dispone il riformato art. 354 c.p.c., in merito allo svolgimento del giudizio d’appello in casi di acclarata nullità del giudizio di primo grado non legittimante la rimessione al primo giudice. La nuova disposizione prevede infatti, al c. 3, che “Se il giudice d’appello riconosce sussistente la giurisdizione negata dal primo giudice o dichiara la nullità di altri atti compiuti in primo grado, ammette le parti a compiere le attività che sarebbero precluse e ordina, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti a norma dell’articolo 356.” Qui la dichiarazione di nullità dell’atto introduttivo comporta automaticamente il compimento di attività che sarebbero precluse e (poi) la rinnovazione degli atti compiuti dalla controparte in primo grado (il giudice “ammette” le parti etc. etc e “ordina” etc. etc.). Tra la dichiarazione di nullità e la restaurazione delle prerogative processuali dell’appellante non c’è soluzione di continuità, quid dunque?

[45] La giurisprudenza mostra, ad oggi, una oscillazione tra considerazione solo processuale del pregiudizio/lesione (imponendo alla parte che oppone la nullità dell’atto la prova che è stata privata di alcune difese previste dal rito di riferimento) ed una più ampia considerazione “sostanziale” (imponendo invece la ben più ardua prova che le difese precluse dalla nullità avrebbero potuto invertire il segno della decisione impugnata): v. in tal senso, ad esempio, Cass. 13 luglio 2018, n. 18522. Considerazione, quest’ultima, che la dice lunga sulla dequotazione delle regole processuali nella misura in cui trasforma censure di nullità in censure di ingiustizia della sentenza e ritiene attendibile quest’ultima solo perché ha deciso una controversia, anche se a prezzo delle regole che ne puntellano la formazione: v. amplius Panzarola, Alla ricerca dei substantialia processus, cit., 693; Donzelli, Pregiudizio effettivo, cit., 77 e passim; Auletta, La nullità degli atti processuali ovvero … Taking (procedural) rights seriously, cit., 546 ss; in giurisprudenza Cass., S.U. 25 novembre 2021, n. 36596, cit. Quanto poi al profilo dell’“accertamento”, resta sul tappeto se debba fermarsi ad una mera verosimiglianza o alla possibilità/probabilità fino ad arrivare addirittura alla certezza. Il tema è influenzato, in riferimento all’impugnazione della sentenza, dalle regole del processo di impugnazione e la relativa trattazione esula dai confini di questo breve commento. Qui può solo rilevarsi come più si accentua il grado di “certezza” maggiore è la criticità del sistema perché si trasforma la censura di invalidità in censura di ingiustizia. Il rinvio è ancora a Panzarola, Alla ricerca dei substantialia processus, cit., 693 e a Donzelli, Pregiudizio effettivo, cit., 77 ss e passim.

[46] Raccolgo qui le suggestioni di Panzarola, Processo, procedimento e iudicium (brevissime osservazioni a margine di una celebre dottrina), in Judicium, 2021 2, 217 ss, ed ora in Procedimento e processo, Metodi di ponderazione di interessi e risoluzione di conflitti, cit., 413 ss.

[47] V. il dialogo tra Panzarola, Processo, procedimento e iudicium (brevissime osservazioni a margine di una celebre dottrina), 411 ss, e Sassani, Il discorso interrotto. Il diritto processuale e il suo oggetto al tempo del right to a fair trial, 425 ss, entrambi in  Procedimento e processo, Metodi di ponderazione di interessi e risoluzione di conflitti, cit.

[48] E’ lo scenario paventato da Panzarola, Op. ult. cit., 420 ss, per il quale (provocatoriamente ma non troppo, direi) “Per una sorta di eteronimia dei fini, può capitare che la nozione unificante di procedimento (…) possa ripercuotersi negativamente sul processo quante volte si riversino su di esso moduli di azione e modelli di decisione sorti nel contesto del procedimento amministrativo (e che in esso trovano la propria esclusiva fonte legittimante). Chiediamoci, ad esempio: dietro la giurisprudenza che esclude l’autonomo rilievo delle nullità processuali vi è forse quell’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990 che limita l’annullamento del provvedimento amministrativo pure viziato?”