Considerazioni critiche contro il diritto giurisprudenziale

Di Filippo Vari -

Sommario: 1. Introduzione. ­̶ 2. Il diritto giurisprudenziale oggi. ­̶  3. I rischi del diritto giurisprudenziale. ­̶   4. Alcuni strumenti per migliorare la situazione attuale. ­̶  5. Conclusioni: le virtù alla base della democrazia e l’umiltà alla base dei rapporti tra autorità politica e giudici.

Abstract: Lo scritto riprende l’intervento dell’autore al Convegno di studi “La giustizia al servizio del Paese. Il principio di legalità”, tenutosi a Firenze nel novembre 2024, e analizza il tema del diritto giurisprudenziale. Dopo aver constatato la crescita del ruolo della giurisprudenza nell’Occidente, sono esaminati alcuni degli strumenti alla base di tale espansione. Sono, poi, affrontate le conseguenze di questo fenomeno e le tensioni che si possono porre con il principio democratico. Infine, s’indicano alcuni strumenti utili per tentare di ricondurre il rapporto tra potere legislativo e potere giurisdizionale nell’alveo tracciato dalla Carta costituzionale.

 

1.Introduzione

Giorgio La Pira riteneva racchiusa “tutta la tradizione giuridica romana”[1]  in questo passo di Cicerone: “Legum ministri magistratus, legum interpretes iudices, legum denique idcirco omnes servi sumus ut liberi esse possimus”.[2] Si tratta, utilizzando la terminologia contemporanea, di una delle definizioni più cristalline della sovranità della legge e dell’importanza del rispetto del principio di legalità per il potere esecutivo e quello giudiziario e, in generale, per tutti i consociati. È interessante evidenziare come nella prosa dell’Arpinate tutto si tiene insieme: rispetto del principio di legalità da parte dell’esecutivo, da parte del potere giudiziario, da parte dei privati.

In questo lavoro la riflessione è focalizzata sui confini all’esercizio della funzione giurisdizionale, ma è evidente come il superamento degli stessi produce effetti anche in riferimento agli altri poteri e, dunque, al generale funzionamento del sistema democratico.

Si partirà da una breve constatazione su quanto sia cresciuto il ruolo della giurisprudenza nell’Occidente. Verranno, poi, analizzate le conseguenze di tale crescita e le tensioni che si possono porre con il principio democratico. Infine, si proverà a indicare alcuni strumenti che possono risultare utili per affrontare la problematica.

2.Il diritto giurisprudenziale oggi

Il punto di partenza, come appena ricordato, non può che essere la constatazione evidente e, dunque, ovvia che in tutto l’Occidente – e quanto meno dalla fine degli anni ’60 in Italia –  si è espanso il ruolo della giurisprudenza.

Si possono fare tanti esempi, a partire dal rilievo che hanno attualmente le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo. Oltretutto, esse in Italia acquistano addirittura un’efficacia erga omnes che non hanno nel sistema convenzionale: l’art. 117 Cost., primo comma, infatti, impone al legislatore di rispettare le norme della CEDU “nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione”.[3] Ci sono, poi, tanti esempi di sentenze di giudici interni su temi di straordinaria delicatezza: uno per tutti il caso Cappato. In esso la Corte costituzionale, allontanandosi dal limite delle famose “rime obbligate”,[4] ha riscritto la disciplina del fine vita prevista dal codice penale, seguendo un cammino aperto qualche anno prima del giudice di legittimità nel caso Englaro.[5]

Gli strumenti che hanno portato a questa espansione del ruolo del giudice sono molteplici e non possono ovviamente essere esaminati tutti in questa sede.

Vale la pena, però, richiamare, con riferimento al sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la dottrina del c.d. living instrument, ovverosia l’identificazione della CEDU con “uno strumento vitale… destinato ad evolversi al mutare della società in cui deve essere applicato”[6]. Nell’ordinamento interno, per ciò che concerne il potere giudiziario, un ruolo determinante è svolto da un uso distorto dello strumento dell’interpretazione conforme a Costituzione, sulla quale “si è fatto leva per sostenere la necessità di una sempre più netta emancipazione degli interpreti dal testo della legge, allo scopo di massimizzare la realizzazione dei «valori» costituzionali”.[7] Quanto, poi, al giudice delle leggi, occorre rimarcare lo sviluppo di sofisticate tecniche decisionali.[8]

Gli esempi di pronunce creative sono innumerevoli – tanti casi sono riportati in un libro di qualche anno fa di Giuseppe Valditara[9] – e una parte della dottrina con entusiasmo magnifica il c.d. diritto giurisprudenziale. Ci sono in Italia addirittura sentenze che evocano un ruolo della giurisprudenza quale “autonoma fonte del diritto”, sia pure temperando la portata di tale affermazione con un richiamo al carattere “semi-aperto” del sistema e al ruolo delle clausole generali.[10] Si tratta, peraltro, di una giurisprudenza che è stata oggetto di considerazioni critiche da parte dello stesso giudice di legittimità.[11]

 

3. I rischi del diritto giurisprudenziale

Nel momento in cui la sentenza di un giudice si distacca da una norma prescritta e si pone sullo stesso piano delle fonti del diritto prodotte dal titolare del potere normativo, sia esso un trattato internazionale come la CEDU, la Costituzione o anche la legge, si sottopone a forte tensione il principio democratico.

Ciò vale con più evidenza nel momento in cui il giudice si trova a decidere sulla base di una Carta, come la CEDU, che non ha una legittimazione democratica a proprio fondamento.[12] Essa, infatti, costituisce il frutto dell’accordo tra più governi su un testo che, in quanto trattato e, dunque, accordo tra le parti, dovrebbe essere interpretato secondo la volontà delle parti stesse, come richiesto dalla Convenzione di Vienna sui Trattati. Diversamente, il testo della Convezione è sottoposto a una continua opera d’interpretazione creativa di diritti. Senza poter in questa sede indugiare sul (connesso) grave problema della selezione dei giudici della Corte,[13] per il tema qui in esame appaiono molto interessanti le considerazioni svolte in una dissenting opinion in occasione della decisione Fedotova della Corte EDU.[14] In particolare, il giudice Wojtyczek ha evidenziato, con riferimento alla considerazione della Convenzione come living instrument, che “è incompatibile con i valori che sottostanno alla CEDU inserire diritti non inizialmente garantiti dalla Convenzione in essa, senza che tali diritti siano accettati dalla maggioranza – a livello nazionale in tutti gli Stati interessati – nelle procedure di conclusione dei trattati, come previste nel diritto costituzionale interno degli Stati contraenti”.[15] In altri termini, perché un diritto non riconosciuto direttamente dalla CEDU possa essere protetto dalla Corte di Strasburgo sarebbe indispensabile passare attraverso le procedure previste per le modifiche/approvazioni dei trattati nei singoli Stati, pena la violazione del principio democratico a fondamento delle diverse liberal-democrazie che fanno parte del Consiglio d’Europa.

Con riferimento, poi, al diritto giurisprudenziale che rinviene nella Costituzione diritti non direttamente sanciti dalla medesima, occorre inevitabilmente confrontarsi con un’enunciazione presente nella decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti nel famoso caso Dobbs,[16] ma espressa anche nel caso New York State Rifle & Pistol Association.[17] Secondo la Corte statunitense “le decisioni che individuano nella Costituzione principi o valori che non vi possono essere correttamente letti usurpano l’autorità del popolo, perché rappresentano scelte che il popolo non ha mai fatto e che non possono essere modificate seguendo il procedimento legislativo”.[18]

Già questi rilievi sono sufficienti per convenire con quanto da tempo evidenziato da Massimo Luciani: “una comunità politica ha la responsabilità di decidere sulle questioni che la agitano attraverso i propri organi politicamente responsabili, non può sempre scaricare sul circuito della giurisdizione il fardello della soluzione dei problemi”.[19]

In effetti, uno dei postulati delle liberal-democrazie contemporanee[20] è rappresentato dalla distinzione, per riprendere la nota terminologia di Vezio Crisafulli,[21] tra disporre e provvedere. Il primo si traduce (anche) nell’attività legislativa, volta a stabilire norme e  riservata agli organi del circuito democratico-rappresentativo, liberamente eletti; mentre il secondo si sostanzia nell’applicazione delle norme al caso concreto, appannaggio invece di organi dotati di legittimazione tecnocratica, in particolare per quel che qui interessa dei giudici.

Nel momento in cui il giudice, anziché applicare una regola preesistente, la crea, finisce per sottrarre spazi alla sovranità popolare, sostituendo, per riprendere le parole di Aristotele,[22] alla sovranità di una regola quella di un uomo.

E ciò è ancor più rischioso nel momento in cui questo intervento viene legittimato appellandosi al criterio della coscienza sociale e alla sua evoluzione. Non solo la storia del ‘900 ha dimostrato i pericoli insiti in questo richiamo. Ma nelle liberal-democrazie contemporanee, allorquando la coscienza sociale cambia veramente, è prevista una via maestra perché tali mutamenti si riflettano nell’ordinamento: la strada è quella del confronto parlamentare e della relativa decisione delle istanze democratiche.

Oltretutto, come emerge anche nella dissenting opinion poc’anzi citata nel caso Fedetova, i diritti di libertà hanno una chiara vocazione antimaggioritaria. Pensiamo alla libertà di manifestazione del pensiero. Essa ha la funzione non (sol)tanto di garantire “pensieri condivisi, quanto quella di proteggere anzitutto pensieri poco graditi alla maggioranza dei consociati” e, dunque, scomodi, urticanti, in contrasto con la coscienza sociale.[23] In questa prospettiva è noto l’insegnamento della Corte Suprema degli Stati Uniti, secondo la quale “se c’è un principio fondamentale alla base del Primo emendamento, è quello per cui i poteri pubblici non possono proibire l’espressione di un’idea semplicemente perché la società trova tale idea offensiva o non condivisibile”.[24] Il criterio della coscienza sociale non offre, al contrario, garanzia rispetto a diritti che non siano condivisi dalla maggioranza.

Quanto, poi, al sistema CEDU, nel momento in cui ci si affida alla coscienza sociale – che a livello di Corte di Strasburgo si sostanzia nel consenso degli Stati e vale a restringere il margine di apprezzamento degli altri Paesi in cui alcune discipline non sono presenti – occorre chiedersi, come fa la dissenting opinion già citata, se sia “compatibile con i valori sottostanti alla CEDU per l’esercizio di diritti previsti dalla Convenzione da parte una minoranza” il fatto che esso sia “condizionato al suo essere accettato nella legislazione interna della maggioranza degli Stati”.[25]

A queste considerazioni di natura generale si può aggiungere che anche sul piano empirico il diritto giurisprudenziale pone significativi problemi. Come evidenziato da Roberto Nania, i casi etici dimostrano come “l’intervento innovativo sull’ordinamento giuridico” non può che “essere di esclusiva spettanza del potere rappresentativo, nonostante tutte le riserve che si volessero avanzare nei confronti della tradizionale lettura sillogistica dell’attività applicativa del diritto nel quadro degli ordinamenti giuridici contemporanei”, giacché per il giudice, soprattutto sulle questioni sensibili, “la pressione del caso concreto può rivelarsi talmente forte da precludere la possibilità di iscrivere il tema in un orizzonte valutativo più ampio che riesca a condurre a soluzioni le più equilibrate”.[26] Ciò è dovuto inevitabilmente proprio alla struttura del processo, nel quale sono spesso rappresentati soltanto alcuni dei più numerosi interessi in gioco invece nel procedimento legislativo. Conferma di quanto detto si ha da alcune decisioni su temi sensibili rese in processi in cui attore e convenuto hanno sostenuto la medesima posizione, favorevole all’attore, senza che vi fosse la possibilità di rappresentare in giudizio interessi antagonisti nella vicenda all’esame del giudice.

È evidente, infine, che il c.d. diritto giurisprudenziale rischia di tradursi in una forma di casuistica, giacché nel nostro ordinamento, in quanto sistema di civil law, nonostante alcune innovazioni legislative relativamente recenti,[27] non vige il principio dello stare decisis. La creazione di norme a opera del giudice finisce, dunque, per condurre a una notevole incertezza del diritto, specie per il cittadino comune,[28] con una conseguente possibile lesione del principio d’eguaglianza.

4. Alcuni strumenti per migliorare la situazione attuale

La situazione ora descritta è anche amplificata dal fenomeno di progressiva stratificazione tra ordinamenti determinato, da un lato, dall’integrazione eurounionale e, dall’altro, dagli approdi del costituzionalismo multilivello.

In questa sede non è possibile analizzare a fondo tutte le cause di tale situazione, alcune delle quali legate al DNA dello Stato contemporaneo.[29] Può essere utile, però, soffermarsi qui su due problemi particolari: il primo è legato alla debolezza strutturale della politica; il secondo all’indipendenza della magistratura.

Esemplificativa del primo tema è la vicenda del caso Cappato. In presenza di un’inerzia del legislatore, il giudice delle leggi, come già evidenziato, ha finito per riscrivere la normativa sul fine vita. In una recente audizione al Senato sul tema[30] ho avuto chiara la percezione di come, nella problematica del fine vita, si sia invertito il rapporto tra potere legislativo e giudice delle leggi. Non si considera più il secondo agire in via d’eccezione per stigmatizzare gli eccessi del primo, ma si ritiene che il primo debba semplicemente interrogarsi sugli spazi che a esso restano dopo un intervento creativo del secondo. L’obiezione, da me formulata durante l’audizione, per cui il giudicato costituzionale in realtà ha un valore limitato, vincolando esclusivamente in relazione alla “situazione normativa”, e cioè al “complesso dei materiali, normativi e fattuali, considerati nelle loro reciproche interconnessioni ed idonei a variamente comporre la «questione» ed a confluire nel giudizio di costituzionalità”,[31] mi sembra abbia suscitato nell’uditorio, più che favore, smarrimento.

Di fronte all’eccesso di potere giurisdizionale, la politica ha provato la strada del conflitto d’attribuzioni tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale. È noto che la risposta della Consulta è stata tranchant: lo strumento del conflitto “non può essere trasformato in un atipico mezzo di gravame avverso le pronunce dei giudici”, giacché “l’ammissibilità di un conflitto avente ad oggetto atti giurisdizionali sussiste «solo quando sia contestata la riconducibilità della decisione o di statuizioni in essa contenute alla funzione giurisdizionale, o si lamenti il superamento dei limiti, diversi dal generale vincolo del giudice alla legge, anche costituzionale, che essa incontra nell’ordinamento a garanzia di altre attribuzioni costituzionali» (ordinanza n. 359 del 1999; nello stesso senso … sentenze n. 290, n. 222, n. 150, n. 2 del 2007)”.[32]

La principale soluzione ai problemi, dunque, non può venire che dalla politica stessa. Essa deve trovare la forza per riassumere la funzione che le è propria secondo il disegno costituzionale. Si tratta di un percorso complesso, che passa attraverso snodi delicatissimi e fondamentali: dalla ricomposizione del sistema partitico,[33] anche attraverso la reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti[34] – ai quali oggi sono attribuiti, sia con il sistema del 2 per mille sia con contributi da parte di Camera e Senato ai gruppi parlamentari, meno di 75 milioni l’anno a fronte dei quasi 200 della Germania[35] – all’introduzione di meccanismi in grado di stabilizzare la forma di governo, garantendo al contempo al cittadino elettore la possibilità di selezionare adeguatamente la classe politica.

È inutile nascondersi, però, che i tempi sono lunghi. Nell’attesa, è importante –  e così si viene al secondo profilo – ribadire la necessaria indipendenza del giudice. Il silete in munere alieno non vale solo per i fautori del diritto giurisprudenziale nei confronti delle scelte riservate al popolo sovrano, ma anche per quest’ultimo di fronte alla giurisdizione. È chiaro che essa, come non può andare a compiere scelte riservate agli organi politici, così non può assumere una funzione ancillare rispetto a questi. L’esercizio in posizione d’indipendenza della funzione giurisdizionale non soltanto non può essere considerato un ostacolo alla democraticità del sistema, ma al contrario serve proprio a preservare quest’ultima e i diritti dei singoli, che anzi sono messi a repentaglio da un uso politico della giustizia.

Queste elementari considerazioni sono presenti sin dalle origini del costituzionalismo, come in  The Federalist Papers,[36] allorquando si analizza la figura del giudice, ponendo in stretto legame la soggezione del primo alla legge con la sua indipendenza.

Non è questa la sede per dibattere dei meccanismi per rafforzare tale indipendenza: dalla separazione delle carriere alla riforma del sistema di elezione dei membri del CSM e, più in generale, degli organi di autogoverno delle diverse magistrature e delle normative che tali organi di autogoverno sono chiamati ad applicare. Si tratta di tematiche spinose, che necessitano anch’esse di tempo per analisi raffinate e non grossolane.

5. Conclusioni: le virtù alla base della democrazia e l’umiltà alla base dei rapporti tra autorità politica e giudici

Visto che i tempi, dunque, sono lunghi, forse molto lunghi, occorre chiedersi, nella prospettiva che guida le riflessioni in cui questo lavoro s’inserisce, e cioè “La giustizia al servizio del Paese”, cosa si può fare intanto.

Già la sapienza antica, sia pure con una venatura aristocratica, ha sottolineato l’importanza delle virtù per la vita pubblica.[37] Questa importanza è di profonda attualità, come emerge anche dal dilemma di Böckenförde.[38] E tra le virtù un ruolo importante spetta all’umiltà. Essa, insieme all’amore per il popolo, deve guidare i politici, secondo quanto di recente ricordato anche da Papa Francesco.[39] Con riferimento alla funzione dei giudici può essere d’aiuto l’esempio di umiltà di Rosario Livatino. Egli, da un lato, ha sempre rivendicato l’importanza di proteggere l’indipendenza del magistrato; dall’altro, teneva, però, a sottolineare che il giudice “altro non è che un dipendente dello Stato al quale è affidato lo specialissimo compito di applicare le leggi, che quella società si dà attraverso le proprie istituzioni” e che è il giudice a dover piegare “le proprie convinzioni alla legge e non questa a quelle”.[40]

* Questo testo riprende, con integrazioni e aggiunta di note, l’intervento dell’autore alla Tavola rotonda tenutasi a Firenze il 21 novembre 2024, nell’ambito del Convegno “La giustizia al servizio del Paese. Il principio di legalità”, i cui atti sono in corso di pubblicazione in un Quaderno della Rivista della Corte dei conti.

[1] G. La Pira, Premessa, in Principî, 1940, 5, ripubblicato nel volume a cura del Centro per gli studi su Diritto romano e sistemi giuridici del Consiglio Nazionale delle Ricerche, con il titolo Principî, Torino, 2001.

[2] M.T. Cicerone, Pro Cluntio, 146: “Neque me illa oratio commovet, quod ait Accius indignum esse facinus, si senator iudicio quempiam circumvenerit, legibus eum teneri: si eques Romanus hoc idem fecerit, non teneri. Ut tibi concedam hoc indignum esse, quod cuius modi sit iam videro, tu mihi concedas necesse est multo esse indignius in ea civitate quae legibus contineatur discedi ab legibus. Hoc enim vinculum est huius dignitatis qua fruimur in re publica, hoc fundamentum libertatis, hic fons aequitatis: mens et animus et consilium et sententia civitatis posita est in legibus. Ut corpora nostra sine mente, sic civitas sine lege suis partibus, ut nervis et sanguine et membris, uti non potest. Legum ministri magistratus, legum interpretes iudices, legum denique idcirco omnes servi sumus ut liberi esse possimus”.

[3]  Così Corte cost., sent. 24 ottobre 2007, n. 348. Sui rapporti tra diritto interno e sistema CEDU v., per un quadro riassuntivo, M. Olivetti, Diritti fondamentali, II ed., Torino, 2020, 79 ss.; A. Morrone, Fonti normative. Concetti generali, problemi, casi, II ed., Bologna, 2022, 130 ss.; sia, inoltre, consentito il rinvio  a F. Vari, A (ben) cinque anni dalla sentenze gemelle (appunti su) due problemi ancora irrisolti, in Federalismi.it, n. 18/2012.

[4] Locuzione, com’è noto, di V. Crisafulli, La Costituzione ha vent’anni, in Giur. cost., 1976, I, 1707.

[5] Cass., sez. I civ., sent. 16 ottobre 2007, n. 21748.

[6] M. Olivetti, Diritti fondamentali, cit., 79.

[7] M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, Milano, 2023, 156.

[8] Sul tema v. ora D. Tega, La traiettoria delle rime obbligate, in Sistema penale, 2021/2, 7 ss.

[9] G. Valditara, Giudici e legge, Roma, 2015.

[10] Cass. Sez. I civ., sent. 10741 del 2009. Al riguardo v. F. Di Ciommo, Giurisprudenza-normativa e ruolo del giudice nell’ordinamento italiano, in Foro it., I, 2010, 160.

[11] Corte cass., SS.UU. civ., sent. 30 dicembre 2022, n. 38162, in cui, al §. 7 dei Motivi della decisione, si legge che “la valutazione in sede interpretativa non può spingersi sino alla elaborazione di una norma nuova con l’assunzione di un ruolo sostitutivo del legislatore”, giacché  “la giurisprudenza non è fonte del diritto”.

[12] Cfr. al riguardo M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur. cost., 2006, 1663.

[13] Sul quale v. i lavori del Committee of experts on the system of the ECHR, disponibile su Internet all’indirizzo https://www.coe.int/en/web/human-rights-intergovernmental-cooperation/judges-of-the-european-court-of-human-rights-dh-sysc-jc#{%22128535522%22:[0]}.

[14] Grand Chamber, sent. 17 gennaio 2023, Case of Fedotova and Others v. Russia (Applications nos. 40792/10, 30538/14 and 43439/14), disponibile sul sito della Corte EDU all’indirizzo https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-222750%22]}.

[15] La traduzione è nostra. Il testo originale recita: “it would be incompatible with the underlying values of the Convention if rights not initially granted by the Convention could be inserted in it without being accepted by the majority – at the national level in all the States concerned – in the treaty-making procedure, as defined in the domestic constitutional law of the High Contracting Parties”.

[16] Dobbs v. Jackson Women’s Health Organizationm, no. 19-1392, Vol 597 U.S. (2022), sulla quale sia consentito il rinvio  a v. F. Vari – M. Vittori, Prime note sulla sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization della Corte Suprema degli Stati Uniti, in Foronews, 26 luglio 2022.

[17] New York State Rifle & Pistol Association Inc. v. Bruen, no. 20-843, Vol. 597 U.S. (2022). Al riguardo v. M. Luciani, Itinerari costituzionali della memoria, in Rivista AIC, 4/2022, 107.

[18] p. 45 della decisione. Il testo in inglese è il seguente: “decisions that find in the Constitution principles or values that cannot fairly be read into that document usurp the people’s authority, for such decisions represent choices that the people have never made and that they cannot disavow through corrective legislation”.

Su tale profilo, sia pure criticamente verso quanto stabilito dalla sentenza, v. M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, cit., 109.

[19] M. Luciani, Costituzionalismo irenico, cit., 1663 s.

[20] Sul punto v. A. D’Atena, Lezioni di Diritto costituzionale, III ed., Torino, 2012, 48 ss.

[21] V. Crisafulli, voce Atto normativo, in Enc. dir., vol. IV, Milano, 1959, 255; Id., voce Fonti del diritto, ibid., vol. XVII, Milano, 1968, 926 s., 949 s.; Id., Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, II ed. riveduta e accresciuta, Padova, 1971, p. 18 ss.

[22] Etica nicomachea, V, 6.

[23] M. Olivetti, Diritti fondamentali, cit., 294.

[24] Texas vs. Johnson, 491 U.S. 397 (1989). Anche qui la traduzione è nostra. Nel testo originale si legge: “if there is a bedrock principle underlying the first amendment, it is that the government may not prohibit the expression of an idea simply because society finds the idea offensive or disagreeable”.

[25] Il passo originale (§. 3 della dissenting opinion del giudice Wojtyczek nel Case of Fedotova and Others v. Russia) è il seguente: ““If one assumes that the case is indeed about the exercise of rights granted in the Convention, then the question arises whether it is compatible with the underlying values of the Convention for the exercise of Convention rights by a minority group to be made conditional on its being accepted in domestic legislation by the majority of States”.

[26] R. Nania, Osservazioni su profili costituzionali della “fecondazione eterologa”, in AA.VV., La fecondazione assistita tra Costituzione italiana e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Atti del seminario svoltosi a Roma, il 2 aprile 2012, a cura di F. Vari, Torino, 2012, 52.

[27] V. l’art. 374, comma 3, cpc per il quale, se una sezione semplice della corte di Cassazione “ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite” della medesima è tenuta a rimettere “a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso”; l’art 360 bis cpc, secondo il quale il ricorso per Cassazione è inammissibile allorquando “il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa”; l’art.. 117 del codice di giustizia contabile, il quale, sotto la rubrica Riproposizione di questione in caso di motivato dissenso, stabilisce che “la sezione giurisdizionale di appello che ritenga di non condividere un principio di diritto di cui debba fare applicazione, già enunciato dalle sezioni riunite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione dell’impugnazione”.

[28] G. Pino, La certezza del diritto e lo Stato costituzionale, 17.

[29] G. Pino, La certezza del diritto e lo Stato costituzionale, in Dir. Pubbl., 2018, 517 ss.

[30] Il video dell’audizione, svoltasi il 17 ottobre 2024 davanti alle Commissioni riunite 2ª Giustizia e 10ª Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale sui disegni di legge 65, 104, 124 ,570, 1083 (Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita), è disponibile nel sito Internet del Senato, al seguente link: https://webtv.senato.it/webtv/commissioni/disposizioni-materia-di-morte-volontaria-medicalmente-assistita-0. Il testo dell’audizione, con integrazioni e aggiunta di note, è in corso di pubblicazione con il titolo Ancora in tema di assistenza al suicidio ed eutanasia.

[31] A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, VII ed., Torino, 2022, 107.

[32] Così ord. 8 ottonre 2008, n. 334. Sul punto v. anche ord. 22 luglio 1999, n. 359; sent. 17 luglio 2007, n. 290.

[33] M. Luciani, Riforme e saggezza, in AA.VV., Riforme istituzionali e forme di governo, a cura di G. Pitruzzella, A. Poggi, F. Fabrizzi, V. Tondi della Mura, F. Vari, Torino, 2023, 260.

[34] Abrogato dal decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, recante Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore, convertito dalla l. 21 febbraio 2014, n. 13.

[35] V. I. Maroccia – I. Valpreda, Il finanziamento pubblico ai partiti, in https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-Il%20finanziamento%20dei%20partiti%20politici.pdf.

[36] V. in particolare, A. Hamilton, n. 78, il cui testo può essere letto nel sito della Library of Congress degli Stati Uniti d’America, al seguente indiritto Internet: https://guides.loc.gov/federalist-papers/full-text.

[37] Aristotele, Politica, libro VII, 1323b: “Ora resti però stabilito questo: che la vita migliore, e per l’individuo singolarmente preso e per le città come collettività, è la vita retta dalla virtù accompagnata da mezzi che rendano possibile la partecipazione a opere virtuose” (trad. it. a cura di C.A. Viano, III ed., Milano, 2008).

[38] E.W. Böckenförde, Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno all’Europa unita, a cura di G. Preterossi, Roma-Bari, 2007: lo Stato contemporaneo “da una parte può sussistere soltanto se la libertà, che concede ai suoi cittadini, si regola dall’interno, dall’interno della sostanza morale dei singoli e di una società omogenea. Dall’altra, esso non è in grado di garantire da solo queste forze di regolazione interna senza rinunciare al suo liberalismo”.

[39]  Omelia nella s. Messa del 13 settembre 2013, riportata dal quotidiano Avvenire, all’indirizzo Internet https://www.avvenire.it/papa/pagine/umili-per-chi-governa.

[40] R. Livatino, Il ruolo del giudice nella società che cambia, conferenza tenuta il 7 aprile 1984 a Canicattì.