Brevi note sulla nomofilachia nei cento anni della Cassazione unitaria

Di Giuseppe Miccolis -

Sommario:   1. La funzione nomofilattica della Cassazione prima della soppressione delle Corti regionali – 2. La riforma del 1923 – 3. L’art. 65, primo comma, della legge sull’Ordinamento giudiziario e la consacrazione della funzione nomofilattica della Cassazione – 4. La Costituzione, l’art. 111 e la conservazione della unitarietà della Corte – 5. Il codice del 1940 e la convivenza tra le due funzioni della Corte – 6. La crisi della Cassazione e le riforme susseguitesi dal 2006 – 7. L’implementazione della funzione nomofilattica con il nuovo art. 363 bis c.p.c.

1.La funzione nomofilattica della Cassazione prima della soppressione delle Corti regionali

La Corte di cassazione non nacque con lo scopo di esercitare la funzione nomofilattica. Il Tribunale de cassation è nato in Francia nel 1790, all’indomani della Rivoluzione, quale longa manus del potere legislativo, per il controllo sul potere giudiziario, che, ancora legato all’ancien régime, avrebbe potuto, attraverso l’interpretazione delle nuove leggi, vanificare il vento nuovo portato dalla Rivoluzione[1].

Successivamente la Cassazione, pur rientrando nei ranghi della giurisdizione (Court de cassation), non cambiò la sua funzione originaria, limitandosi a cassare la sentenza contra legem del giudice di merito, senza esprimere l’interpretazione corretta o il “principio di diritto” a cui oggi il giudice di merito deve conformarsi[2].

In quest’ultima connotazione, la Cassazione è stata importata in Italia negli Stati preunitari.

Dopo l’Unità d’Italia sopravvissero le quattro corti c.d. regionali (Torino, Firenze, Napoli, Palermo), a cui si è aggiunta nel 1875 la Corte romana, che aveva una limitatissima competenza esclusiva extraterritoriale (in materia di procedimenti disciplinari per i magistrati)[3].

L’art. 122 r.d. 6 dicembre 1865, n. 2626 (prima legge sull’Ordinamento giudiziario dell’Italia unita) prevedeva soltanto che «La corte di cassazione è istituita per mantenere l’esatta osservanza delle leggi». Il che diceva tutto e non diceva nulla, giacché tutti i giudici dovrebbero assolvere a questa funzione. Osservava Calamandrei che questa, più che una definizione, è ciò che il legislatore si aspetta dalla Cassazione: è come dire che i Tribunali sono istituiti per dare giustizia[4]. In tale definizione non v’è ancora traccia del riconoscimento della funzione nomofilattica esercitata della Corte di cassazione.

Del resto con le corti regionali la funzione nomofilattica, ossia «l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale», avrebbe potuto essere assicurata solo da una ulteriore corte sovraordinata.

Nel 1877 nacquero le sezioni unite presso la Cassazione romana, che, costituendo un organo sovraordinato, avrebbe potuto esercitare la funzione nomofilattica di uniformare l’interpretazione della legge su tutto il territorio nazionale. Sennonché in quell’epoca Calamandrei non era ancora nato e ben altri erano i problemi che l’unificazione stava ponendo. Infatti, alle sezioni unite, al fine, appunto, di risolvere questi altri problemi, furono, con la l. 31 marzo 1877, n. 3761, attribuite soltanto le questioni di giurisdizione ed in particolare quelle relative ai conflitti di attribuzione tra autorità giudiziaria e pubblica amministrazione, che nulla hanno a che vedere con la funzione nomofilattica. L’obiettivo specifico era quello di attribuire alle sezioni unite, vicine alla neonata governance italiana, il potere, per il tramite della dichiarazione del difetto di giurisdizione in favore della pubblica amministrazione, di definire il processo nel merito negando all’attore il diritto. Ciò determinò un ritorno alle origini della Cassazione, giustificato dalle medesime ragioni che avevano portato alla nascita nel 1790 del Tribunale del cassation, quale organo di controllo sul potere giudiziario ancora legato all’ancien régime. Basti considerare le ragioni politiche, prima che giuridiche, che furono addotte per giustificare l’introduzione, con la legge del 1877, del mezzo straordinario e preventivo, riprodotto, poi, nel codice del 1940, negli artt. 41, secondo comma e 368 c.p.c., fortemente “caldeggiato” da Pasquale Stanislao Mancini che prevalse sul giurista Giuseppe Mantellini, nonostante la strenua opposizione di questo[5], al fine di sottrarre alle corti regionali, soprattutto del Sud Italia legate al latifondismo locale, le cause risarcitorie che avrebbero potuto determinare il “default” del neonato Stato unitario[6]. Ciononostante, questa legge determinò un passo avanti rispetto alla disciplina precedente regolata dalla l. 20 novembre 1859, n. 3780, che, sopravvissuta in forza dell’art. 13 l. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, risolveva i conflitti di attribuzione, affidando alla stessa pubblica amministrazione il potere di decidere se si fosse trattato di un diritto politico o civile[7].

Con la l. 6 dicembre 1888, n. 5825 furono ampliate le attribuzioni alle sezioni unite, ma si era sempre lontani dall’organo deputato a presidio della uniforme interpretazione della legge su tutto il territorio nazionale.

Peraltro, la Cassazione nemmeno vincolava, almeno in prima battuta, il giudice del rinvio, come oggi avviene ai sensi del citato art. 384, secondo comma, c.p.c. Il meccanismo prevedeva che il giudice del rinvio non fosse vincolato a quanto statuito dalla Corte regionale. Avverso la sentenza che non si era uniformata alla Corte regionale era possibile ricorrere alle sezioni unite romane (giudice di quinta istanza) che, in caso di cassazione della sentenza, avrebbero vincolato il giudice del secondo rinvio, che «… se eventualmente nell’uniformarsi incorreva in qualche diverso errore di diritto, di nuovo questa sentenza era impugnabile dinanzi alla Cassazione regionale, e la trafila ricominciava …»[8].

 

2.La riforma del 1923

Il r.d. 24 marzo 1923, n. 601, con efficacia dal 1° novembre successivo, abolì le quattro corti regionali. Conseguentemente al vertice della “catena giudiziaria” rimase la unica Corte di cassazione con sede in Roma, ancorché articolata nelle sezioni semplici e nelle sezioni unite.

«Mussolini, dunque, in pochi mesi riuscì a fare quello che non si era riusciti a fare in sessant’anni, sopprimere, per di più in un sol colpo, quattro corti di cassazione e, soprattutto, degradare, ancorché sull’altare della nomofilachia, quattro primi presidenti e quattro procuratori generali»[9].

Nello stesso anno con una «infame norma ad personam»[10] (art. 3, secondo comma, r.d. 3 maggio 1923, n. 1028), furono messi a riposo d’ufficio tutti i primi presidenti e i procuratori generali delle  Corti di cassazione (non solo di quelle soppresse), che, però, dal 1° novembre sarebbero stati solo quelli della unica Cassazione del Regno, ossia rispettivamente gli “scomodi” Lodovico Mortara (figlio del Rabbino di Mantova) e Raffaele De Notaristefani (noto antifascista).

È assai probabile, quindi, che l’affermazione della funzione nomofilattica non fu lo scopo primario della unificazione della Corte di cassazione, giacché l’art. 61 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 2786 riprodusse integralmente l’ambiguo testo del precedente art. 122 r.d. 6 dicembre 1865, n. 2626, con la sola aggiunta che «ed è unica per tutto il regno, con sede in Roma», senza alcun riferimento alla naturale funzione nomofilattica che la Corte romana, in quanto, appunto, «unica per tutto il regno», era naturalmente destinata a svolgere.

Come è stato esattamente osservato, questa noncuranza verso la funzione nomofilattica della Corte suprema, anche dopo l’abrogazione delle corti regionali, è comprensibile considerando la funzione originaria della Cassazione[11]. Peraltro, nel 1923 Calamandrei, poco più che trentenne, nonostante avesse tre anni prima pubblicato i due volumi de La Cassazione civile, aveva un peso ed un’autorevolezza che non erano certamente quelli di cui avrebbe goduto quindici anni dopo.

3.L’art. 65, primo comma, della legge sull’Ordinamento giudiziario e la consacrazione della funzione nomofilattica della Cassazione

Il riconoscimento giuridico della funzione nomofilattica della Cassazione giunse con l’art. 65, primo comma, r.d. 30 gennaio 1941, n.12, T.U. sull’Ordinamento giudiziario, tutt’ora in vigore, in virtù del quale «la corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza della legge e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale»[12].

Si fa “verbo” l’idea di Calamandrei, «autorevole ma anche (almeno allora) non poco sensibile al clima autoritario»[13], tanto da avere il compito di scrivere la Relazione al Re al codice di procedura civile, firmata dall’allora Guardasigilli Dino Grandi[14].

Questa disposizione indica le due anime della funzione della Corte di cassazione: quella di assicurare, per il passato, l’esatta osservanza delle leggi sì da evitare che l’ordinamento e le parti subiscano, da parte dei giudici di merito, decisioni contra legem e, per il futuro, una guida interpretativa unitaria offerta non solo ai giudici, ma anche a tutti gli altri operatori del diritto.

Del resto, la Corte di cassazione, dal momento in cui è unica ed è il giudice dell’ultima istanza, svolge la doppia funzione: quella attinente allo ius litigatoris, diretta a valutare, nella fattispecie concreta, la corretta applicazione e interpretazione della norma di legge da parte del giudice di merito, pronunciando, appunto, l’ultima parola su chi ha torto e chi ha ragione nel caso sottoposto alla sua attenzione, e quella attinente allo ius constitutionis, mediante la pronuncia del principio di diritto,  ossia quella attinente alla funzione nomofilattica[15].

4.La Costituzione, l’art. 111 e la conservazione della unitarietà della Corte

I nostri Padri costituenti, nelle discussioni sull’art. 102, poi diventato art. 111, secondo comma ed oggi settimo comma, Cost., si posero la questione se ripristinare, oppure no, le cassazioni regionali. La unitarietà della Cassazione scontava il peccato originario, ossia la paternità di Mussolini. Infatti, da una parte, per il ripristino delle cassazioni regionali, era schierato in prima fila Palmiro Togliatti, mentre, dall’altra, per il mantenimento della unitarietà della Cassazione, è facile intuire, in veste, questa volta di Padre costituente, era schierato in primissima fila Piero Calamandrei. Nell’adunanza del 27 novembre 1947 dell’Assemblea costituente, è memorabile l’accorata difesa di Calamandrei per la unicità della Cassazione, il quale, nel “rimpiangere” ironicamente il periodo della Cassazione fiorentina, raccontava che questa teneva una udienza settimanale in cui si discuteva un solo ricorso, per il quale gli avvocati erano costretti a discutere per almeno tre ore per non arrecare dispiacere ai giudici, i quali, altrimenti, avrebbero dovuto ritornare a casa troppo presto; ma poi tuona, di certo non ironicamente, affermando che «voler parlare di una Cassazione plurima è una mostruosità!» e che sarebbe stato meglio piuttosto abolire la Cassazione, rinunciando alla nomofilachia, che renderla plurima[16].

Per fortuna, ma in realtà “non vi fu partita”, prevalse Calamandrei[17].

Risolta tale querelle restava il nodo della impugnabilità in Cassazione non solo di tutte le sentenze pronunciate dagli organi giurisdizionali ordinari, ma anche di tutte quelle pronunciate dagli organi giurisdizionali “speciali”. La questione fu risolta, come è noto, con l’inserimento, nell’attuale settimo comma dell’art. 111, delle sentenze pronunciate dai giudici speciali, ma con la limitazione, posta dall’attuale ottavo comma, per Consiglio di Stato e Corte dei conti alle “decisioni” per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.

Di certo allora nessuno avrebbe mai potuto immaginare la crescita esponenziale del contenzioso in Cassazione degli anni successivi e soprattutto le conseguenze disastrose dell’inserimento dell’inciso «o speciali» nel settimo comma, che ha determinato, come tutti sanno, l’invasione dal 1992[18], dopo 44 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, dei ricorsi tributari; conseguenze disastrose solo parzialmente mitigate dalla istituzione nel 1999 della V Sezione della Corte dedicata, appunto, ai ricorsi tributari.  Fatto sta che oggi questi intasano per oltre il 50% i ruoli della Cassazione civile.

5.Il codice del 1940 e la convivenza tra le due funzioni della Corte

Il codice del 1940, contestuale al r.d. n. 12 del 1941, che, come si è detto, ha consacrato la funzione nomofilattica della Cassazione, contiene, almeno sino alla riforma del 2006, solo qualche riferimento a tale funzione. Le uniche tracce erano contenute negli artt. 363, 374, secondo comma e 142 disp. att. c.p.c. Il codice del 1940 introdusse, però, l’efficacia vincolante per il giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, c.p.c., del principio di diritto enunciato dalla Corte unitamente alla cassazione della sentenza.

Pertanto, nonostante fossero oramai trascorsi quasi vent’anni dalla istituzione della Cassazione unitaria e l’autorevolezza di Piero Calamandrei, non vi fu una vera e propria “spinta” normativa sulla funzione nomofilattica della Cassazione, che è, comunque, esercitata naturalmente in quanto unitaria e posta al vertice della “catena giudiziaria” [19]. Tanto è vero che l’art. 363 c.p.c., intitolato “Ricorso nell’interesse della legge” è rimasta sino al 2006 una norma pressoché inutilizzata. L’art. 374, secondo comma, c.p.c. (non modificato dalla riforma del 2006) affida, come è giusto che sia, la funzione nomofilattica alle sezioni unite, soprattutto allorché vi è contrasto tra le sezioni semplici.

Il che trova piena conferma nell’art. 142 disp att. c.p.c., in virtù del quale, prima della riforma del 2006, nell’ipotesi in cui non tutte le questioni trattate fossero di “competenza” delle sezioni unite, era necessaria la doppia decisione, quasi a non volere contaminare la decisione nomofilattica delle sezioni unite, con le questioni di “competenza” delle sezioni semplici. Sennonché in virtù di una saggia prassi[20], anche prima della riforma del 2006, le sezioni unite decidevano sempre il ricorso interamente.

6.La crisi della Cassazione e le riforme susseguitesi dal 2006

La crisi della giustizia civile determinata dall’elevato numero di giudizi pendenti non può che riflettersi, per il tramite dell’art. 111, settimo comma, Cost., nella crisi della Cassazione, che, conseguentemente, è costretta a “cimentarsi” con un numero elevatissimo di ricorsi, anche bagatellari.

Come detto, un grosso contribuito alla crisi della Cassazione è dato dall’inserimento nel settimo comma dell’art. 111 Cost. dell’inciso «o speciali» che causa l’intasamento dei ruoli con i ricorsi avverso le decisioni delle Commissioni tributarie regionali, pari ad oltre il 50% dell’intero contenzioso in Cassazione. Un discreto contributo l’ha dato anche l’interpretazione offerta in passato dalla stessa Cas­sazione che, nella stagione in cui la crisi della giustizia civile non “mordeva” e il numero delle cause pendenti in Cassazione era evidentemente ancora tollerabile, ha aperto a larghe maglie il ricorso ex art. 111 Cost. anche per l’impugnazione di provvedimenti non targati “sentenza”, dilatando il concetto di natura decisoria e definitiva del provvedimento[21].

Sennonché la funzione nomofilattica esercitata dalla Corte suprema può essere naturalmente assicurata da un’impugnazione straordinaria, al­l’interno di un “tempio” composto da venti “sacerdoti” che indicano la via “spirituale[22], non già, come nel nostro caso, da un’impugnazione ordinaria costituzionalmente garantita per tutte le sentenze, nella forma e nella sostanza, all’interno di una ”fabbrica” con circa 180 addetti alla “catena di montaggio” che pronunciano circa 33/34.000 provvedimenti all’anno.

Pertanto, l’esigenza di consentire alla Corte suprema di esercitare regolarmente la funzione nomofilattica, ha costituito il leit motiv delle riforme susseguitesi dal 2006 in poi, che, senza intaccare il settimo comma dell’art. 111 Cost, hanno partorito l’art. 366 bis prima e, con l’abrogazione di questo, l’art. 360 bis dopo; il potenziamento dell’art. 363, con la riscrittura del primo comma, che evidentemente, l’ha svegliato dopo 65 anni di torpore, l’inserimento dell’”odioso” terzo comma; il terzo comma dell’art. 374 e la rimodulazione dell’art. 142 bis disp. att.; l’inserimento dell’art. 420 bis, pressoché inutilizzato.

Sennonché dietro la “bandiera” della funzione nomofilattica, la Cassazione ha anche legittimato la rigidissima interpretazione, per l’ammissibilità del ricorso, in merito ai requisiti minimi del “quesito di diritto” e, abrogato questo, in merito ai requisiti minimi del ricorso per il rispetto della regola dell’autosufficienza. Sempre nell’esercizio della funzione nomofilattica la Cassazione era solita “apporre la ciliegina sulla torta dell’inammissibilità del ricorso” con la pronuncia del principio di diritto ai sensi dell’art. 363, terzo comma, c.p.c., semmai da parte della sezione semplice, nonostante il presupposto per l’applicazione della norma è che la “questione decisa” sia “di particolare importanza”. Giova precisare che quella “stagione” è oramai, per fortuna, alle spalle.

A fronte di questa “valorizzazione” e implementazione della funzione nomofilattica non vi è stato un corrispondente pieno affidamento di tale funzione, come è giusto che sia, alle sezioni unite, se si eccettua il terzo comma dell’art. 374 c.p.c.

Basti soltanto considerare le acrobazie terminologiche contenute nelle disposizioni normative per differenziare fattispecie sostanzialmente del tutto assimilabili, per le quali le sezioni unite sono, chiamate a decidere se il ricorso presenta «una questione di massima di particolare importanza» (art. 374, secondo comma, c.p.c.), mentre non lo sono necessariamente «quando la questione di diritto è di particolare rilevanza» (art. 375, primo comma, c.p.c. dopo la riforma Cartabia e prima di questa secondo comma), giacché in questa ipotesi sia le sezioni unite, sia la sezione semplice deve fissare l’udienza di discussione, o quando «la questione è di particolare importanza» (art. 363, terzo comma, c.p.c.), in cui, in caso di inammissibilità del ricorso, anche la sezione semplice può enunciare il principio di diritto in funzione nomofilattica. Occorre rilevare che in quest’ultima ipotesi, ossia in quella disciplinata dall’art. 363, terzo comma, c.p.c., la Corte enuncia il principio di diritto solo in funzione nomofilattica e solo quando, appunto, la «questione è di particolare importanza». è Bascorrere i repertori per rendersi conto che le pronunce ai sensi dell’art. 363, terzo comma, c.p.c. delle sezioni semplici sono ben superiori a quelle delle sezioni unite[23].

Ne consegue che la bandiera della “funzione nomofilattica” è ben sventolata quando serve ad alzare le barriere di ingresso, ma poi è spesso ammainata quando deve regolare il funzionamento interno della Corte[24].

7.L’implementazione della funzione nomofilattica con il nuovo art. 363 bisp.c.

La riforma Cartabia ha introdotto il rinvio pregiudiziale da parte del giudice di merito alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione di diritto quando questa: a) è necessaria per la risoluzione anche parziale del giudizio ed è inedita, ossia non è stata ancora risolta in cassazione; b) presenta gravi difficoltà interpretative; c) è suscettibile di porsi in numerosi giudizi.

È questa sicuramente una norma diretta a favorire la funzione nomofilattica della Corte, con le controindicazioni della sospensione del giudizio a quo e dell’inevitabile incremento dei ricorsi[25].

La norma, sin dalla legge delega, è stata accolta con favore[26], anche dalla Corte[27].

Questo nuovo istituto non può essere paragonato a quello previsto dall’art. 420 bis c.p.c. per l’interpretazione dei contratti collettivi, peraltro scarsamente utilizzato, in quanto in quest’ultimo istituto la Cassazione interviene sempre in via di impugnazione proposta dalla parte avverso la sentenza pronunciata in limine litis sulla questione pregiudiziale.

Il nuovo rinvio pregiudiziale costituisce una ulteriore ingerenza del giudice nell’attività tipica della parte quale ordinaria fonte di approvvigionamento del materiale con il quale la Corte suprema esercita la funzione nomofilattica.

La Corte di cassazione esercita normalmente, quale organo supremo e unitario della giustizia, la funzione nomofilattica, non in limine litis, ma alla fine del processo, dopo che hanno “parlato” addirittura ben nove stakeholders (due avvocati e un giudice in primo grado, due avvocati e un giudice in secondo grado, due avvocati e un procuratore generale in Cassazione). Per il corretto esercizio della funzione nomofilattica, il giudizio, soprattutto quando la questione in oggetto è inedita, presenta gravi difficoltà interpretative ed è destinata ad essere ripetitiva, deve percorrere l’intero tragitto nei gradi di merito, con il “fatto” sempre a fianco[28]. Il lavoro svolto nelle precedenti fasi di merito, da giudici e avvocati, è preziosissimo per la Cassazione, e funziona anche quale brain storming per la decisione e l’enunciazione del principio di dirittoPer contro, forse, il rinvio pregiudiziale avrebbe potuto avere una qualche utilità nel caso in cui sulla questione di diritto vi sia contrasto nella giurisprudenza della Cassazione; ossia nel caso in cui la fattispecie rientri nella prima delle due ipotesi previste dall’art. 374, secondo comma, c.p.c. In tale caso, non si correrebbe il rischio di rimettere «le gravi difficoltà interpretative», come dice Giorgio Costantino, «all’estro del singolo magistrato», ma queste sarebbero oggettive tanto che le sezioni semplici (o addirittura due collegi della stessa sezione) hanno offerto due diverse interpretazioni.

In tale ultima ipotesi, qualora il rinvio pregiudiziale sia stato preceduto dalla rimessione della stessa questione di diritto in altra causa alle sezioni unite da parte del Primo presidente ai sensi dell’art. 374, secondo comma, c.p.c., quest’ultimo restituirà prontamente la causa al giudice a quo, il quale, semmai, sospenderà di fatto la decisione in attesa della pronuncia delle sezioni unite. Nel caso in cui la questione non è ancora stata rimessa alle sezioni unite, il giudice con il rinvio pregiudiziale anticipa la rimessione, per favorire e accelerare la decisione nomofilattica delle sezioni unite, indispensabile considerato il contrasto giurisprudenziale.

Un’ultima considerazione.

Appare legittimo sostenere che la decisione debba, in ogni caso, essere assunta dalle sezioni unite, nonostante l’art. 363 bis c.p.c. consenta al Primo presidente la possibilità di assegnare la questione alla sezione semplice[29]. Del resto, non v’è alcun dubbio che questo istituto nasce con il “marchio di qualità” della funzione nomofilattica. Non fosse altro per il presupposto delle «gravi difficoltà interpretative» che deve presentare la questioni di diritto. E chi meglio delle sezioni unite esercita tale funzione per appore un milestone soprattutto per questioni che si preannunciano “seriali” (termine coniato da Briguglio)?

Il rinvio pregiudiziale, considerato che implica un “costo” per la Corte suprema, che deve fare fronte a tali nuovi ingressi, e per il processo in corso, che subisce l’inevitabile sospensione necessaria, deve costituire un’ipotesi eccezionale, da impiegare quando la questione di diritto è di particolare importanza e quindi nell’ambito applicativo dell’art. 374, secondo comma, c.p.c.

Inoltre, l’affidamento alla sezione semplice potrebbe rivelarsi una inutile perdita di tempo. Basti considerare l’ipotesi in cui contemporaneamente la stessa questione di diritto sia trattata da una diversa sezione o diversa composizione del collegio della medesima sezione[30] e sia decisa diversamente[31], proprio considerando la grave difficoltà interpretativa. In tale caso la decisione nomofilattica nascerebbe già “zoppa” e necessiterebbe, appena nata, dell’intervento delle sezioni unite per dirimere il contrasto.

[1] P. Calamandrei, La Cassazione civile (Parte prima), ora in Opere giuridiche, VI, 1976, rist. Roma, 2019, 417 ss.

[2] V. C. Punzi, La Cassazione da custode dei custodi a novella fonte di diritto?, in Rivista di storia giuridica dell’età medioevale e moderna, http://www.historiaetius.eu – 1/2012 – paper 4.

[3] V. A. Briguglio, Appunti sulle sezioni unite civili, in Riv. dir. proc., 2015, 16 ss., spec. par. 2.

[4] P. Calamandrei, La Cassazione civile (Parte seconda), ora in Opere giuridiche, VII, cit., 20.

[5] Il Mantellini con riferimento all’art. 4 della legge, che corrisponde all’attuale art. 386 c.p.c., stigmatizza l’inserimento, avvenuto nel passaggio al Senato, dell’inciso «quando prosegua il giudizio», che avrebbe rischiato di attribuire alle ss.uu. il potere, per il tramite della questione di giurisdizione, di negare l’azione: v. G. Costantino, C’era una volta un re. Postilla a «Il giudice amministrativo come risorsa» di G. Montedoro ed E. Scoditti, in Questione giustizia, 2021, par. 3.

[6] V. l’ampio studio di Franco Cipriani con Il regolamento di giurisdizione, Napoli, prima edizione, 1977, 16 ss.

[7] G. Costantino, A. Carratta, G. Ruffini, Per la salvaguardia delle prerogative costituzionali della Corte di cassazione, in Foro it., 2018, V, 71 ss.

[8] Così P. Calamandrei nella discussione in Assemblea costituente sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana riportato nei Verbali dell’Assemblea Costituente nella Seduta pomeridiana del 27 novembre 1947, 2576.

[9] Così F. Cipriani, Storie di processualisti e di oligarchi. La procedura civile nel regno d’Italia (1866 – 1936), Milano 1991, 235.

[10] Id, op.ult.cit., 236 s.

[11] Così A. Briguglio, Appunti sulle sezioni unite civili, cit., 20 s.

[12] V. E. Lupo, La funzione nomofilattica della Corte di cassazione e l’indipendenza funzionale del giudice, in Cass. pen., 2020, 911 ss.

[13] Così C. Consolo, La Cassazione multifunzionale nella compiuta globalizzazione socio-economica (diagnosi e prognosi progredienti, al di là del puro anelito di nomofilachia), in Questione giustizia, 2017, 23. V. anche F. Cipriani, Piero Calamandrei e la Procedura civile. Miti, leggende, interpretazioni, documenti, Napoli, 2007, 89 ss.

[14] V. Cipriani, op.ult. cit., 125 ss.

[15]V. M. Taruffo, La Corte di cassazione e la legge, in Il vertice ambiguo. Saggi sulla Cassazione civile, Bologna, 1991, 64 ss.; L. Passanante, Il precedente impossibile. Contributo allo studio di diritto giurisprudenziale nel processo civile, Torino, 2018. V. anche G. Scarsel­li, Sulla distinzione tra ius constitutionis e ius litigatoris, in Questione giustizia, 2017, http://questionegiustizia.it/articolo/sulla-distinzione-tra-ius-constitutionis-e-ius-litigatoris_13-01-2017.php. Sulla prevalenza dell’una o dell’altra funzione della Cassazione v. E. Scoditti, La nomofilachia naturale della Corte di cassazione. A proposito di un recente scritto sulla «deriva della Cassazione», in Foro it., 2019, V, 415 ss..

[16] V. i Verbali dell’Assemblea Costituente nella Seduta pomeridiana del 27 novembre 1947, rispettivamente pagg. 2575 ss. (per Calamandrei) e 2581 ss. (per Togliatti).

[17] Per risolvere la crisi della Cassazione determinata anche dal varco tenuto sempre spalancato dell’art. 111, settimo comma, Cost., vi è chi, sul presupposto dell’art. 23 dello Statuto speciale della Regione Siciliana, in virtù del quale «Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione», attuato solo per il Consiglio di Stato, ha prospettato un ritorno alle Cassazioni regionali (cfr, in senso critico, Briguglio, Appunti sulle sezioni unite civili, cit., 41 ss.). Non sembra questa una soluzione condivisibile, senza necessariamente spingersi sino alle considerazioni formulate da Calamandrei in Assemblea costituente. Basti solo considerare che la crisi della giustizia civile coinvolge anche l’edilizia giudiziaria, che, oltre ad affrontare le problematiche inerenti all’allocazione dei tribunali e delle corti di merito, dovrebbe affrontare anche quella delle corti regionali di legittimità.

[18] Art. 62 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546

[19]V per tutti, con riferimento al valore del “precedente”, M. Taruffo, Dimensioni del precedente giudiziario, in Riv. trim. dir e proc. civ., 1994, 411 ss.; Id., Precedente e giurisprudenza, ibidem, 2007, 709 ss.; C. Consolo, Il valore del precedente tra interpretazione giuridica e scandaglio del fatto del caso concreto, in Diritto processuale amministrativo, 2018, 25 ss. (fasc. 1). V. anche l’ampio studio di L. Passanante, Il precedente impossibile, cit. V. anche G. Canzio, Le buone ragioni di un Memorandum, in Foro it., 2018, V, 66.

[20] A. Briguglio, Appunti sulle sezioni unite civili, cit., 40, definisce «salutare ed economico» la prassi di trattenere e decidere integralmente il ricorso.

[21] B. Sassani, La deriva della cassazione e il silenzio dei chierici, La deriva della cassazione e il silenzio dei chierici, in Riv. dir. proc., 2019, 43 ss. e in Judicium, 3 giugno 2019 cit. V. R. Tiscini, Il ricorso straordinario in Cassazione, Torino, 2005, 63 ss.

[22] Sassani, op. ult. cit., par. 1.

[23] V. il mio Nomofilachia, sezioni unite e “questione di particolare importanza”, in Questione giustizia, 2020.

[24] Cfr C. Consolo, La base partecipativa e la aspirazione alla nomofilachia, in Corr. giur., 2019, 1567 ss.

[25] B. Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, in Giustizia Insieme.

[26] P. Biavati, Note sul processo civile dopo l’emergenza sanitaria, in Giustizia Insieme; M Fabiani, Rinvio pregiudiziale alla corte di cassazione: una soluzione che non alimenta davvero il dibattito scientifico, in Riv. dir. proc., 2022, 197 ss., che, però, propone una soluzione intermedia e più soft; A. Giusti, in La riforma della giustizia civile. Prospettive di attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, a cura di Giorgio Costantino, Bari, 2022, 254 ss.;.In senso decisamente negativo, G. Scarselli, Note sul rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione di una questione di diritto da parte del giudice di merito, in Giustizia insieme, 2021.

[27] R. Frasca, Considerazioni sulle proposte della commissione Luiso quanto al processo davanti alla Corte di cassazione, in Giustizia insieme, par. 8.; A. Mondini, Il rinvio pregiudiziale interpretativo introdotto dal nuovo art. 363 bis c.p.c., in La riforma del processo ciivile, Foro it. Gli Speciali, 2022, 247 ss; V. anche le perplessità di E. Scoditti, Brevi note sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione, in Questione giustizia fasc. n. 3, 2021, il quale pone alcune questioni che potrebbero manifestarsi sulla vincolatività della decisione della Corte per il giudice rimettente, non sempre equiparabile alla vincolatività di cui all’art. 384, secondo comma, c.p.c. V. sull’argomento anche A. Briguglio Il rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di cassazione, in Judicium, par. 7.

[28] Cfr G. Trisorio Liuzzi, La riforma della giustizia civile: il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale, in Judicium, par. 5.

[29] Cfr. Scoditti, Brevi note sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione, cit., par. 4.

[30] Cfr. A. Briguglio, Il rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di cassazione, cit., par. 9

[31] Cfr. Scoditti, op.loc.ult.cit.