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Applicabilità dell’art. 127 – ter c.p.c. al processo del lavoro: la parola delle Sezioni unite
Di Margherita Pagnotta -
Cass. Sez. un., 30.06.2025, n. 17603
“La trattazione scritta delle udienze prevista dall’art. 127-ter cod. proc. civ. è applicabile anche nel processo del lavoro, sia in primo grado che in appello, a condizione che la sostituzione riguardi esclusivamente la fase decisoria del processo e non l’intera udienza di discussione. La sostituzione è ammissibile solo se nessuna delle parti si opponga espressamente e se le memorie depositate comprendano (oltre alle istanze e conclusioni) anche le argomentazioni difensive, così da assolvere la funzione propria della discussione orale”.
Con la decisione che qui si segnala le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato la compatibilità dell’udienza con trattazione scritta, disciplinata dall’art. 127-ter c.p.c., anche con le peculiarità del rito del lavoro. In particolare, tale norma consente che l’udienza sia sostituita dal deposito di note contenenti le richieste e le conclusioni delle parti. Il chiarimento interpretativo si riferisce al testo originario della disposizione, introdotto con la riforma n. 149/2022, ma le argomentazioni sviluppate dalla Corte mantengono piena validità anche rispetto all’attuale formulazione dell’articolo, come modificato dal d.lgs. n. 164 del 2024 (c.d. “correttivo”).
Con riguardo alla vicenda che ha portato le Sezioni unite a pronunciarsi su tale questione, occorre precisare quanto
segue.
La Corte d’Appello di Trento, in riforma della pronuncia di primo grado, accertava la natura discriminatoria del licenziamento intimato ad un lavoratore, dichiarandone la nullità. In conseguenza di ciò, ordinava la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e condannava la società datrice di lavoro al pagamento, a titolo di indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 18, secondo comma, della L. n. 300 del 1970, di una somma pari all’intera retribuzione globale di fatto maturata dalla data del recesso a quella dell’effettiva reintegra, oltre al versamento dei relativi contributi previdenziali e assistenziali.
La decisione veniva assunta all’esito di una trattazione scritta, realizzata mediante scambio di memorie tra le parti. Come si evince dalla motivazione della sentenza, tale modalità è stata disposta con provvedimento reso in applicazione della normativa emergenziale legata al Covid-19. La causa è stata definita con dispositivo la cui pubblicazione telematica è avvenuta nella medesima data fissata per l’udienza.
Avverso tale sentenza la società datrice di lavoro ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi.
Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto la nullità del procedimento e della sentenza, assumendo che la celebrazione dell’udienza mediante trattazione scritta, comportando l’omessa discussione orale della causa, abbia determinato una violazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonché dell’art. 6 CEDU, oltre che degli artt. 101, 128, 180, 429 e 420, quarto comma, e 437 c.p.c., e dell’art. 1, comma 60, della L. n. 92/2012. La società ha sostenuto, in particolare, che la trattazione scritta – pur stabilmente introdotta nell’ordinamento processuale dall’art. 127-ter c.p.c. – risulterebbe in contrasto con le specificità del rito del lavoro, che richiederebbe lo svolgimento di una discussione in udienza.
La Sezione lavoro della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 11898/2024, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente, affinché valutasse la rimessione del primo motivo di ricorso alle Sezioni Unite.
Nell’ordinanza, la Sezione rimettente ha sottolineato il rilievo sistemico della questione, anche in ragione dell’incertezza interpretativa derivante dalla normativa vigente, che ha condotto a prassi disomogenee nei diversi uffici giudiziari. È stato inoltre evidenziato il carattere trasversale dei principi suscettibili di affermazione – in particolare in relazione all’equilibrio tra oralità, pubblicità della discussione e lettura del dispositivo – i quali assumono rilievo non soltanto nel contenzioso lavoristico, ma anche in ambiti procedimentali affini, quali i giudizi locatizi e le opposizioni ad ordinanza-ingiunzione.
La questione sottoposta all’esame delle Sezioni unite, dunque, consiste nel determinare se la disciplina contenuta nell’art. 127-ter c.p.c. trovi applicazione anche al procedimento speciale del lavoro, regolato dal Titolo IV del Libro II del codice di rito (artt. 409 e ss. c.p.c.), nonché al particolare rito previsto dai commi 47 e seguenti dell’art. 1 della L. n. 92/2012. Per quest’ultimo, si ricorda, il legislatore ha previsto che, in assenza di disposizioni speciali, si applichino le regole proprie del processo del lavoro.
Sul punto, evidenzia la Corte, non riveste rilievo decisivo il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, alla “normativa relativa al Covid-19”. In realtà, la Corte d’Appello avrebbe fatto applicazione dell’art. 127-ter c.p.c., disposizione vigente al momento della pronuncia, come del resto correttamente evidenziato anche dalla parte ricorrente nei motivi di censura.
La questione giuridica viene esaminata, quindi, con riferimento al testo dell’art. 127-ter c.p.c. nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal D.lgs. 10 aprile 2024, n. 164 (c.d. decreto correttivo), recante Disposizioni integrative e correttive al D.lgs. n. 149/2022.
Come anticipato, il decreto correttivo ha apportato modifiche rilevanti, tra gli altri, agli artt. 127-ter e 128 c.p.c., su cui si tornerà più avanti. È però intanto utile premettere che, ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, tali novità si applicano esclusivamente ai procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023. Nel caso oggetto di esame dinanzi alla Corte, tuttavia, il giudizio di reclamo è stato proposto prima di tale data, e il decreto di sostituzione dell’udienza con trattazione scritta reca la data dell’8 febbraio 2023.
Va comunque segnalato che la Relazione illustrativa del decreto legislativo correttivo ha esplicitamente chiarito come le modifiche apportate all’art. 127-ter c.p.c. siano volte a risolvere le incertezze interpretative emerse, in particolare proprio in ordine alla possibilità di sostituire l’udienza di discussione con il deposito di note scritte anche nel processo del lavoro e, più in generale, nei procedimenti che prevedono la comparizione personale delle parti per un confronto diretto con il giudice. In tale prospettiva, le modifiche – pur non applicabili ratione temporis – assumono, quindi, comunque rilevanza sul piano interpretativo, offrendo un criterio utile a orientare l’esegesi del testo previgente nella direzione di una continuità logico-sistematica.
L’art. 127-ter c.p.c., nella versione applicabile ratione temporis, disciplina il Deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza. Esso prevede che:
“L’udienza, anche se già fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte contenenti esclusivamente istanze e conclusioni, se la presenza in udienza è limitata a difensori, parti, pubblico ministero e ausiliari del giudice.
Nei medesimi casi, la sostituzione è automatica su richiesta congiunta di tutte le parti costituite. Il giudice, con il provvedimento di sostituzione, assegna un termine perentorio non inferiore a quindici giorni per il deposito delle note. Ogni parte può opporsi entro cinque giorni dalla comunicazione; il giudice decide nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile, e se la richiesta è congiunta, dispone in conformità.
In presenza di ragioni di urgenza motivate, i termini suddetti possono essere ridotti. Il giudice decide entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note.
Se le note non vengono depositate nel termine assegnato, il giudice può fissare un nuovo termine o una nuova udienza. Se anche il secondo termine decorre inutilmente o le parti non compaiono all’udienza, il processo è cancellato dal ruolo e dichiarato estinto.
Il giorno di scadenza del termine per il deposito delle note è considerato, a ogni effetto, come data di udienza.”
Tale norma va letta in coordinamento con l’art. 128 c.p.c., che disciplina la pubblicità dell’udienza di discussione, prevedendo che:
“L’udienza in cui si discute la causa è pubblica a pena di nullità, salva la possibilità per il giudice di disporre lo svolgimento a porte chiuse in presenza di ragioni di sicurezza dello Stato, ordine pubblico o buon costume.”
Evidenzia la Corte che dal combinato disposto degli artt. 127-ter e 128 c.p.c. non si evince alcun ostacolo normativo alla sostituzione dell’udienza pubblica con il deposito di note scritte, anche nei casi in cui la trattazione debba avvenire pubblicamente. Tale osservazione è particolarmente significativa alla luce dell’art. 84 disp. att. c.p.c., secondo cui “le udienze del giudice istruttore non sono pubbliche”. Tale regola è giustificata, secondo l’impostazione tradizionale, dal fatto che nel processo ordinario di cognizione il giudice istruttore non è chiamato a decidere nel merito. Ne discende che sono invece da considerarsi pubbliche tutte le udienze decisorie.
Nel processo del lavoro, ogni udienza assume valore decisorio: l’art. 420 c.p.c. qualifica ciascuna udienza come “udienza di discussione della causa”, nella quale, una volta ultimata l’istruttoria, “il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto” (art. 429 c.p.c.).
In questo contesto, la possibilità di sostituire anche tali udienze con la trattazione scritta – come previsto dall’art. 127-ter c.p.c. – costituisce l’oggetto principale del dubbio interpretativo rimesso al vaglio delle Sezioni unite.
Per l’appello si applica lo stesso principio. L’art. 437 c.p.c. stabilisce che “nell’udienza il giudice manda in relazione orale la causa: quando non interviene secondo l’art. 436‑bis c.p.c., il collegio, sentiti i difensori, emette la sentenza e ne legge il dispositivo nella stessa udienza”.
Occorre altresì ricordare che sia l’art. 127‑ter c.p.c., sia l’art. 127‑bis c.p.c. (udienze via audiovisivi) si inseriscono in un più ampio progetto di riforma del processo civile – concepito per delega legislativa – finalizzato a modernizzare e snellire il sistema. La legge delega n. 206/2021 ha esplicitato l’obiettivo di rendere i procedimenti più rapidi ed efficienti, in continuità con strumenti sperimentati nel periodo pandemico (vedi art. 87 D.L. 18/2020 e art. 221 D.L. 34/2020). Il d.lgs. 164/2024, richiamando l’art. 7, comma 1, sancisce che le modifiche al processo si applicano ai giudizi avviati dopo il 28 febbraio 2023. Le stesse hanno inciso – tra l’altro – sugli artt. 127‑ter e 128 c.p.c., armonizzando la disciplina alla norma sulla pubblicità dell’udienza. Come già ricordato, la Relazione illustrativa del decreto ha parlato di una “via di mezzo”, volta a incentivare l’utilizzo dell’art. 127‑ter c.p.c. quando la trattazione orale risulti superflua, ma preservando l’udienza pubblica quando necessaria per garantire dialogo, contraddittorio o possibilità di conciliazione. In tale contesto, il giudice può richiamare le parti in udienza.
Le modifiche principali sono due:
1.Se una parte si oppone alla sostituzione, l’udienza pubblica va convocata;
2.Il deposito delle note entro il giorno successivo al termine assegnato equivale alla lettura in udienza.
Analogo rinvio e integrazione sono introdotti nell’art. 128 c.p.c.
In sintesi, sia il testo originario dell’art. 127‑ter c.p.c. sia il correttivo del 2024 convergono nel ritenere compatibile la sostituzione dell’udienza pubblica con note scritte, purché l’udienza, così concepita, resti effettivamente pubblica.
Tuttavia, nel rito del lavoro, una lettura rigorosa degli artt. 420, 429 e 128 c.p.c. potrebbe portare a una diversa conclusione. Secondo una tesi contraria:
1.L’obbligo di lettura in udienza del dispositivo renderebbe incompatibile la sostituzione cartolare;
2.La forma delle note – limitata ad istanze e conclusioni – non garantirebbe la funzione argomentativa tipica della discussione orale.
L’ordinanza interlocutoria mette in luce il contrasto dottrinale tra chi sostiene la piena applicabilità dell’art. 127‑ter c.p.c. al lavoro (per ragioni di efficienza e adeguatezza al contesto) e chi la ritiene incompatibile, in nome di oralità, immediatezza e concentrazione, valori essenziali del rito lavoristico.
Con riguardo al profilo costituzionale, le Sezioni unite evidenziano come la Corte costituzionale abbia peraltro già ammesso eccezioni alla pubblicità dell’udienza (cfr. sent. n. 263/2017 e n. 73/2022), purché siano giustificate oggettivamente e garantiscano il contraddittorio e parità delle parti. Quanto alla lettura in udienza, essa è stata sospesa durante la pandemia, sostituita da deposito telematico del dispositivo, senza pregiudizio al giusto processo. Tale approccio è stato confermato anche nel rito Fornero.
Anche la Cassazione, sin dall’era emergenziale, ha affermato la compatibilità dell’art. 127‑ter c.p.c. nel rito lavoristico (cfr. sent. 32358/23, 15999/22, 13176/24), equiparando il deposito telematico al momento decisorio in udienza, dichiarandosi infine contraria alla declaratoria di nullità in difetto di pronto deposito delle motivazioni.
All’opposto una corrente minoritaria, invece, nega valore al deposito tardivo, per una lettura più rigida del provvedimento. Tuttavia, essa è residuale e in contrasto con la funzione sostitutiva scritta adottata in emergenza, modalità non derogata dal legislatore.
In conclusione, la Corte ritiene che nel processo del lavoro il diritto di partecipazione orale resta essenziale salvo che le parti abbiano concordato l’opzione scritta. Ciò vale se le note possono contenere, oltre a istanze e conclusioni, anche le argomentazioni di merito. In tal caso l’udienza scritta sostituisce la discussione orale, sempre che non emergano ambiguità tali da richiedere un’udienza chiarificatrice.
Nel caso specifico, la Corte d’appello ha disposto la sostituzione dell’udienza con scambio di memorie senza che risulti alcuna opposizione da parte delle parti, né risulta che siano state escluse le argomentazioni.
Pertanto, le sezioni unite, rigettando il primo motivo, affermano che l’art. 127‑ter, nella versione originaria e con le integrazioni interpretative, deve considerarsi compatibile con il rito lavoristico, purché:
-riguardi solo la fase decisoria,
-non incontri opposizione da parte delle parti,
– le note possano contenere anche argomentazioni,
– non sussistano esigenze di chiarimento che richiedano un’udienza orale.