Informativa sul trattamento dei dati personali (ai sensi dell’art. 13 Regolamento UE 2016/679)
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[1]1.I due provvedimenti che si annotano risolvono in senso opposto la questione della possibilità di sospendere l’efficacia di una delibera assembleare di una società per azioni, pur partendo da premesse (condivisibili e) condivise, frutto degli approdi ormai prevalenti delle sezioni specializzate in materia di impresa e, segnatamente, di quella del tribunale capitolino.
La fattispecie riguarda l’impugnazione di una delibera per mezzo della quale l’assemblea aveva approvato l’impegno a sottoscrivere un “accordo-quadro” che contemplava, al fine di attuare una operazione di “salvataggio” di una banca partecipata, direttamente e indirettamente, dalla medesima società: (i) l’azzeramento della partecipazione detenuta nella banca e l’aumento del capitale di quest’ultima da sottoscriversi a cura di altri soggetti, con conseguente estromissione della prima dalla compagine societaria; (ii) l’impegno a versare una cospicua somma a favore della banca partecipata a copertura di perdite e a sottoscrivere un successivo aumento di capitale a pagamento.
Avverso tale delibera insorgeva il socio titolare del 24,5% del capitale sociale, deducendone l’illegittimità per violazione del diritto di informazione del socio, violazione del quorum deliberativo, conflitto di interessi di altro socio il cui voto era stato determinante per l’approvazione della delibera.
Nell’ambito di tale giudizio, l’attore depositava ricorso per la sospensione dell’efficacia della delibera impugnata ai sensi dell’art. 2378 c.c.
Il giudice designato si concentra, preliminarmente, sulla questione relativa alla “applicabilità della sospensione con riferimento alle delibere eseguite”. La società convenuta, nel costituirsi, aveva eccepito per l’appunto la improcedibilità della domanda per essere stata la delibera compiutamente eseguita con la firma dell’accordo-quadro.
In proposito, il giudice si mostra consapevole della nota querelle circa la natura conservativa o anticipatoria della misura cautelare sospensiva, dicotomia alla quale viene ricondotto il connesso problema della capacità della sospensione di incidere sull’efficacia della delibera o sulla sola sua “esecuzione”, come continua a prevedere l’art. 2378 c.c. (anche dopo la riforma del 2003) diversamente dall’analoga previsione in materia di giudizi arbitrali di impugnazione di delibere assembleari, di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 5 del 2003 (sopravvissuto all’abrogazione pressoché totale del processo c.d. societario e nel quale si fa, invece, riferimento alla sospensione dell’efficacia). Aderendo alla prospettiva, sostenuta da una parte della dottrina, che vede nella misura cautelare de qua un provvedimento di natura anticipatoria degli effetti della sentenza, il rimedio sarebbe invocabile anche con riferimento alle delibere che non necessitano di esecuzione (c.d. delibere self-executing) ovvero già materialmente eseguite, in tutto o in parte, ma che continuano a manifestare effetti sull’organizzazione societaria e sulla posizione dei soci. Sempre secondo questa ricostruzione, la sospensione opererebbe sul piano giuridico e non su quello meramente materiale, con la conseguenza che le modificazioni della realtà nelle more prodottesi si dovranno conformare alla nuova realtà giuridica derivante dalla misura cautelare, con i connessi effetti restitutori e ripristinatori, salvi soltanto i casi di compiuta produzione degli effetti giuridici dell’atto impugnato, che comporti esiti irreversibili[2].
Da queste premesse, il tribunale muove i passi ulteriori del suo ragionamento per affermare che la sottoscrizione dell’accordo-quadro, avvenuta in esecuzione della delibera, non è altro che “il primo atto di una complessa operazione, che prevede numerosi passaggi successivi volti a far entrare terzi investitori .. nella compagine sociale della Banca”, operazione, questa, da realizzarsi non mediante semplice cessione di partecipazioni sociali, bensì attraverso l’azzeramento del capitale della banca e il suo successivo aumento senza diritto di opzione ai soci, con conseguente perdita di controllo da parte della società la cui delibera era stata impugnata.
Su tali rilievi, il giudice conclude che “non può ritenersi che la delibera impugnata sia già stata interamente eseguita”, essendo la sottoscrizione dell’accordo-quadro, già intervenuta, solo “il primo atto esecutivo della delibera”. Sicché, “non risultando ancora prodotti tutti gli effetti giuridici della delibera impugnata con esiti irreversibili, la istanza di sospensione della sua efficacia risulta ancora ammissibile”.
Verificata, poi, la concreta sussistenza del fumus con particolare riferimento al conflitto di interessi di un altro socio, la cautela viene concessa stante il grave pregiudizio, incombente sul socio impugnante, derivante dall’azzeramento della sua partecipazione (indiretta, attraverso la società) nella banca; pregiudizio ritenuto prevalente nella comparazione imposta dall’art. 2378 c.c. su quello derivante alla società dalla concessione della misura cautelare, invero nella specie reputato insussistente proprio a causa del conflitto di interessi sommariamente accertato e dei benefici che la sottoscrizione dell’accordo-quadro avrebbe comportato solo per soggetti estranei alla società.
2.A opposte conclusioni giunge invece il collegio, a seguito del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., proposto dalla società.
Nell’ordinanza emessa, in accoglimento del reclamo, il tribunale svolge anzitutto un preambolo sulle peculiarità della misura sospensiva rispetto alle altre misure cautelari del codice di rito, emergenti dalla necessità (ribadita dal legislatore del 2003) che l’istanza venga proposta solo dopo l’introduzione del giudizio impugnatorio (o contestualmente a essa)[3] e dalla deroga al principio secondo cui il pregiudizio deve essere esaminato e valutato con riferimento alla sola sfera del ricorrente, dovendosi per contro effettuare la ridetta valutazione comparativa circa gli effetti che la concessione o meno della invocata tutela potrebbero prodursi in capo alle contrapposte parti del giudizio.
Il collegio passa, poi, a esaminare la “dibattuta questione della sospendibilità o meno della deliberazione impugnata”, condividendo, in premessa, la distinzione richiamata dall’ordinanza gravata circa l’efficacia e l’esecutività della delibera, e ribadendo l’adesione al prevalente orientamento che interpreta l’art. 2378, terzo e quarto comma, c.c., “in senso estensivo anche alla sospensione dell’efficacia delle deliberazioni impugnate, quando l’esecuzione della deliberazione mantiene la potenzialità di continuare ad esplicare effetti giuridici, alla cui inibizione è finalizzata la richiesta di sospensione”. Anche muovendo dal dato letterale dell’art. 35, d.lgs. n. 5 del 2003, il tribunale conclude che “sino a quando perdura l’efficacia della deliberazione, il provvedimento cautelare di sospensione previsto dall’art. 2378, 3° e 4° comma, c.c. può ritenersi ammissibile”.
Tuttavia – e qui cominciano i “distinguo” rispetto alla prima ordinanza – ad avviso del collegio nel caso di specie la delibera impugnata avrebbe avuto “integrale esecuzione da un punto di vista materiale”. In particolare, in attuazione del deliberato, l’amministratore unico della società (a mezzo procuratore) aveva già sottoscritto l’accordo quadro ed era già intevenuto nella assemblea di un’altra partecipata (titolare della residua quota di capitale della banca) per esprimere il voto favorevole alla sottoscrizione anche da parte di tale soggetto dell’accordo-quadro e alla connessa operazione di “salvataggio” della banca. Tra gli impegni assunti in forza della delibera e della conseguente sottoscrizione dell’accordo-quadro vi erano l’impegno (in solido con la partecipata, detentrice della restante quota del capitale della banca) a versare nelle casse della banca il cospicuo importo di circa 6 milioni di euro e quello a sottoscrivere una aumento di capitale riservato. Tuttavia, rileva il collegio, tali impegni e più in generale gli effetti sulla società discendenti dalle singole e diverse fasi in cui si articolava l’operazione di salvataggio della banca partecipata, non deriverebbero più “dalla deliberazione autorizzativa del 4/12/2018, ma dal sottoscritto contratto quadro o meglio dalle singole fasi esecutive previste nel sottoscritto contratto quadro, che vede il coinvolgimento anche di soggetti terzi”, firmatari del medesimo accordo. Gli effetti della delibera, in questa prospettiva, sarebbero “terminati nel momento in cui, proprio in forza dei poteri conferiti, si è proceduto alla sottoscrizione del contratto quadro”.
Quest’ultimo, dunque, “non può configurarsi come il primo atto esecutivo della ricordata serie di atti, in cui si articola la complessa operazione societaria, ma deve essere inteso come la fonte ‘normativa’ inter partes, che disciplina e disciplinerà le successive fasi esecutive..”.
L’apparato argomentativo del giudice del reclamo non si esaurisce qui. La soluzione individuata viene infatti ritenuta più coerente con l’orientamento del medesimo tribunale in merito agli effetti retroattivi della sentenza di annullamento, regola che conosce il temperamento della limitata possibilità di giuridica rispristinazione della situazione preesistente. Viene, sul punto, richiamata una sentenza della S.C. secondo cui se, da un lato, la concessione della sospensione vale a rendere illegittimi gli atti di esecuzione posti in essere nonostante la sua concessione, dall’altro, “la mancanza di un provvedimento di sospensione comporta la legittimità degli atti esecutivi, ancorché relativi a una delibera annullabile. E tale legittimità resiste anche al sopravvenire dell’annullamento”[4].
Da tali, opinabili, presupposti, l’ordinanza del tribunale romano trae le seguenti conseguenze: (i) che “l’eventuale successivo annullamento della delibera a monte non inciderebbe sulle deliberazioni adottate medio tempore, fino appunto all’eventuale provvedimento di sospensione”; (ii) “che l’eventuale annullamento della deliberazione 4/12/2018, a prescindere da ogni conseguenza nei confronti delle parti del contratto quadro, sottoscritto dall’a.u. di T.P. Spa in forza della qui impugnata deliberazione autorizzativa, non verrebbe verosimilmente ad incidere sulle successive deliberazioni che, in esecuzione del richiamato contratto quadro, sottoscritto prima del provvedimento di sospensione qui impugnato, fossero state nel frattempo adottate”.
3.Tanto il primo giudice che il collegio concordano, come si è ricordato, sulla lettura estensiva dell’art. 2378 c.c., ritenendo applicabile la sospensione non alla sola esecuzione della delibera ma alla sua efficacia; salvo concludere diversamente, sull’erogazione o meno della cautela, proprio sulla base di una valutazione in concreto degli effetti della delibera impugnata. La questione a monte sembra, invero, essersi ormai consolidata in giurisprudenza in senso estensivo e questa tesi, come ho sostenuto diversi anni orsono, quando l’opposto orientamento era tutt’altro che minoritario, trova solide basi in diritto[5].
Le divergenze insorgono con riferimento ai limiti in cui una delibera già eseguita possa ancora essere sospesa. Là dove il primo giudice ritiene che l’accordo-quadro sottoscritto in esecuzione della delibera impugnata sia solo “il primo atto di una complessa operazione, che prevede numerosi passaggi successivi volti a far entrare terzi investitori” nella compagine sociale della banca partecipata, sicché gli effetti giuridici della delibera “sono destinati ancora a prodursi e sono ancora idonei ad incidere sulla organizzazione societaria e sull’attività successiva, non essendo stata ancora portata a termine l’intera operazione”; il collegio invece afferma che gli effetti sulla società derivanti dalle singole e diverse fasi in cui si articolava l’operazione di salvataggio della banca partecipata, non sarebbero più dipendenti direttamente “dalla deliberazione autorizzativa del 4/12/2018, ma dal sottoscritto contratto quadro”, per giungere alla opposta conclusione del completo esaurimento degli effetti della delibera, dunque non più passibile di sospensione.
Al fine di dare una risposta corretta alla questione, occorre a mio avviso fare un passo indietro e muovere dalla natura delle deliberazioni societarie.
Secondo un’autorevole dottrina, le deliberazioni tendono a rispondere ad esigenze ed a perseguire finalità tipiche del fenomeno societario e del gruppo organizzato, che non trovano riscontro nel campo dell’azione individuale, dove opera lo strumento del negozio giuridico. Si è altresì rilevato che detti “valori societari” vengono realizzati sempre e soltanto in virtù della deliberazione, indipendentemente dal fatto che il risultato finale debba essere perseguito mediante atti di “esecuzione”[6]. Al riconoscimento della tendenziale idoneità della deliberazione a soddisfare i valori tipici del fenomeno societario, fa da pendant la sua tendenziale inidoneità a realizzare valori tipicamente individuali se non “degradando” a mera “decisione” di porre in essere un ulteriore atto, quest’ultimo di natura prettamente privatistica e tale da operare sul terreno negoziale[7].
Questa ricostruzione spiega anche la ratio dell’art. 2377 c.c., là dove stabilisce che in caso di annullamento della deliberazione, sono fatti salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede “in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione”: la norma non fa salvi, dunque, i diritti acquistati in base alla deliberazione, ma solo “in base ad atti distinti, che si pongano come titolo dell’acquisto”[8]. La conseguenza è che il principio della salvezza dei diritti dei terzi non si applicherà mai alle deliberazioni vere e proprie ma solo a quelle di carattere gestorio: nel primo caso, infatti, il legislatore, nel potenziale conflitto tra l’interesse del terzo e quello della società sceglie di privilegiare quest’ultimo facendo subire al terzo le regole dell’organizzazione[9].
4.Nel caso di specie la delibera impugnata aveva un contenuto complesso: si è approvato il testo di un accordo-quadro in forza del quale, da un lato, la società deliberante accettava l’azzeramento della propria partecipazione nella banca, con sottoscrizione di un aumento di capitale riservato ai nuovi soci; dall’altro, la società si sarebbe obbligata a sottoscrivere una quota di capitale della nuova banca e a versare in suo favore un ingente somma a copertura di perdite.
La natura della deliberazione sembrerebbe, prima facie, ambivalente: ove si guardi all’impegno assunto verso terzi con la sottoscrizione dell’accordo-quadro il cui testo era fatto oggetto di approvazione assembleare, si potrebbe sostenere il suo carattere (almeno in parte) gestorio; ove, invece, si privilegi l’impatto sulla ristrutturazione del principale asset della società (e la costituzione di un nuovo gruppo bancario), derivante dall’azzeramento della sua partecipazione, dall’impegno a sottoscrivere una nuova quota di capitale sociale e a versare nella casse della partecipata una rilevante somma a copertura di perdite, parrebbe prevalere la sua natura organizzativa.
Essa era infatti volta a una riorganizzazione societaria ancorché non direttamente riguardante la società deliberante ma la sua partecipata; a tal fine, la sottoscrizione dell’accordo-quadro con soggetti terzi costituiva un passaggio essenziale di tale progetto, da eseguirsi attraverso diversi atti e in momenti successivi. È vero che con la sottoscrizione di quel contratto la società si è impegnata all’esterno nei confronti di terzi, ma ciò non è forse sufficiente ad affermare che con quella sottoscrizione la delibera impugnata avesse esaurito i suoi effetti giuridici.
Se si accettano le premesse da cui siamo partiti, dovremo concludere che i terzi che sono “entrati in contatto” con l’organizzazione societaria ne hanno accettato le regole, sicché l’eventuale invalidazione, o sospensione, della delibera che ha consentito di dar seguito al progetto riorganizzativo, non può restare senza effetti sull’accordo sottoscritto in sua attuazione.
Ove, peraltro, diversamente opinando, si ritenesse che la delibera in esame avesse un contenuto gestorio e non organizzativo, ciò nondimeno la salvezza dei diritti dei terzi, a fronte di una invalidazione della delibera, sarebbe condizionata (oltreché all’acquisto di tali diritti in forza di un atto di esecuzione, che potrebbe essere rinvenuto nell’accordo-quadro) alla ricorrenza della buona fede in capo al terzo. Circostanza, questa, che, in tale diversa prospettiva, avrebbe potuto essere accertata nell’ambito del giudizio di impugnazione e oggetto di delibazione prognostica nella fase cautelare[10].
D’altra parte, là dove il legislatore ha voluto precludere l’annullamento di una delibera per impedire che la sua caducazione potesse ripercuotersi sull’atto di essa esecutivo – come nel caso della delibera di fusione, trasformazione o scissione (artt. 2504-quater, 2500-bis, 2506-ter c.c.)[11] – lo ha espressamente stabilito, così dimostrando di voler garantire, in questi specifici casi in misura evidentemente maggiore che negli altri, le esigenze di stabilità degli atti societari[12].
[1] Per un più diffuso e approfondito commento alle due ordinanze del Tribunale delle imprese romano, sia consentito di rinviare al mio Sospensione di delibere “eseguite” e retroattività della sentenza di annullamento, in corso di pubblicazione sull’edizione cartacea di Judicium.
[3] Orientamento prevalente, anche presso la sezione imprese del Tribunale di Roma: cfr. di recente Trib. Roma, ord. 3.8.2016, in www.judicium.it, con mia breve nota di commento. In dottrina, Vaccarella, Il rito ordinario, in Corr. giur., 2003, 1505; Arieta, De Santis, Diritto processuale societario, Padova, 2004, 424; C. Ferri, Le impugnazionidi delibere assembleari. Profili processuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., Suppl. al n. 1, 2005, 65; Dalfino, Tutela cautelare ante causam e sospensione della delibera assembleare, in Società, 2012, 831; Corea, Note in tema di tutela impugnatoria e tutela cautelare ante causam (a proposito degli artt. 2378 c.c. e 700 c.p.c.), in Giusto proc. civ., 2008, 527 ss.
[4] Trattasi di Cass. 27 febbraio 2013, n. 4946, che non risulta commentata prima d’ora e su cui si veda, in senso critico, la mia sopra citata nota di commento sull’edizione cartacea di Judicium.
[5] Corea, La sospensione delle deliberazioni societarie nel sistema della tutela giurisdizionale, Torino, 2018, passim, spec. 149 ss., studio a cui mi sia consentito il rinvio per una più diffusa illustrazione della questione.
[6] Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 987; Ferro-Luzzi, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge e all’atto costitutivo, Milano, 1993, 48 e ss.
[7] Più precisamente, si sostiene che vi sarebbero, sotto l’aspetto del valore da realizzare, “deliberazioni-fattispecie” che attengono ai valori societari ed alla “possibilità giuridica” di porre in essere “ulteriori atti”, e “deliberazioni-decisioni” che invece regolano la distribuzione di situazioni soggettive, operando con riferimento a valori propri della esperienza privatistica che non possono essere realizzati direttamente dalla delibera ma abbisognano della mediazione di una “dichiarazione” negoziale. Le prime potrebbero non richiedere alcuna “esecuzione”, le seconde hanno invece bisogno dell’intermediazione di un atto di natura privatistica, da cui sarebbero “attuate” o “seguite” piuttosto che “eseguite”, in quanto si tratterebbe di un atto dotato di autonomia non avente carattere esecutivo in senso tecnico (Ferro-Luzzi, La conformità, cit., 104 e ss.). Echi di questa distinzione, come di quella che contrappone le deliberazioni alle decisioni, si rinvengono nella dottrina pubblicistica: cfr. Giannini, Decisioni e deliberazioni amministrative, in Foro amm., 1946, I, 1, 159 e ss.). Rimane, comunque, al di là delle singole ricostruzioni offerte dagli autori che si sono occupati della materia, la possibilità di distinguere, su un piano generale, tra delibere a contenuto essenzialmente gestorio e delibere che invece esprimono un valore ed un’efficacia sul piano organizzativo, quest’ultime tipicamente rientranti nella competenza del sovrano organo assembleare (che vede oggi notevolmente ridotte, in favore dell’organo amministrativo, le competenze gestorie): v. per tale distinzione, Ragusa, Vizi del processo decisorio nelle formazioni organizzate e diritti dei terzi, Milano, 1992, passim.
[9] Rientrano in questa categoria le delibere di aumento del capitale, di emissione di obbligazioni, di nomina delle cariche sociali, di distribuzione di utili, di modifica dell’atto costitutivo.
[10] Al riguardo, si è sostenuto che il terzo può considerarsi in mala fede in due diverse ipotesi: (i) quando sia a conoscenza di elementi che rendono macroscopica l’invalidità della delibera; (ii) quando sia a conoscenza dell’impugnazione: Sacchi, Gli effetti della sentenza che accoglie l’impugnazione di delibere assembleari di s.p.a., in Banca, borsa, 2012, 141 ss., il quale preferisce la prima tesi sul rilievo che la seconda consentirebbe di pregiudicare il terzo anche in presenza di un’impugnazione strumentale.
[11] In tema, G. Scognamiglio, Le scissioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, Torino, 2004, 7**2, 365 e ss., per l’operatività della preclusione in tutti i casi di invalidità dell’atto di fusione, sia essa diretta o derivata dalle precedenti fasi del procedimento, ad iniziare dalla stessa delibera di approvazione del progetto.
[12] Conf. ancora Sacchi, Gli effetti della sentenza che accoglie l’impugnazione di delibere assembleari di s.p.a., cit., §2.