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Sulla legalità costituzionale dei limiti alle innovazioni dirette all’abbattimento delle barriere architettoniche in un edificio condominiale.
Di Francesco Giacomo Viterbo -
Sommario: 1. Tre recenti casi concreti controversi sulla realizzazione di un ascensore nell’edificio condominiale. – 2. A) Cass., 28 marzo 2017, n. 7938: solidarietà condominiale e recessività dei limiti derivanti dal regolamento di condominio rispetto alla tutela di interessi costituzionalmente protetti. – 3. B) Cass., ord. 9 marzo 2017, n. 6129: solidarietà condominiale e legittimità dell’intervento innovativo che (non elimina, bensì) attenua sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione. – 4. C) Cass., 29 novembre 2016, n. 24235: recessività delle iniziative dirette a rendere «accessibile» l’edificio condominiale o la singola unità immobiliare rispetto al diritto anche di un solo condomino all’uso o al godimento di una parte comune o all’intangibilità del proprio diritto di proprietà. – 5. Carattere imperativo del divieto ex art. 1120, comma 4, c.c.? Ricadute applicative ..e dubbi di legittimità costituzionale. Analogie con la questione sollevata in relazione all’art. 1052 c.c. – 6. Segue. Poteri del singolo condomino e configurabilità di una atipica servitù coattiva per l’abbattimento delle barriere architettoniche nell’edificio.
1.Tre recenti casi concreti controversi sulla realizzazione di un ascensore nell’edificio condominiale.
Tre recenti pronunce della Corte di Cassazione sollecitano una riflessione sul tema dei limiti di fonte legale e negoziale alle innovazioni dirette all’abbattimento delle barriere architettoniche in un edificio condominiale. La questione delicata che si pone all’attenzione dell’interprete è quella di stabilire l’àmbito dei poteri riconosciuti a tal fine tanto al singolo condomino quanto all’assemblea condominiale in ordine all’installazione di un ascensore nelle parti comuni dell’edificio allo scopo di renderlo accessibile a tutti, nel bilanciamento con l’interesse di quei condomini il cui diritto sulle parti comuni o su parti di proprietà individuale può risultare compromesso da tale intervento[1]. Tale questione sarà analizzata nella duplice prospettiva offerta dall’interpretazione dell’art. 1120 c.c., tanto nella sua vecchia formulazione quanto nel suo testo riformato ed ora vigente[2].
Si espongono qui di séguito, in sintesi, i tre casi controversi.
2.A) Cass., 28 marzo 2017, n. 7938: solidarietà condominiale e recessività dei limiti derivanti dal regolamento di condominio rispetto alla tutela di interessi costituzionalmente protetti.
Nel primo[3], due condomini avevano eseguito – a proprie spese, senza un’apposita autorizzazione dell’assemblea – delle opere aventi ad oggetto la modifica dell’impianto di ascensore e la prosecuzione della scala condominiale sino al piano superattico, ma sono stati convenuti in giudizio dal condominio per il ripristino dello stato dei luoghi ed il risarcimento dei danni. Difatti, una clausola del regolamento condominiale vietava l’esecuzione di qualunque opera riguardante le strutture portanti, o che comunque alterasse l’aspetto architettonico dell’edificio ed ogni modifica agli impianti di uso generale, senza l’autorizzazione dell’assemblea dei condomini, limitando così ulteriormente il potere dei singoli condomini di apportare a proprie spese modificazioni necessarie per il miglior godimento delle parti comuni ex art. 1102 c.c.
Il giudice di primo grado si era limitato a condannare i condomini responsabili della suddetta modifica al risarcimento del danno provocato al condominio, in quanto i lavori eseguiti avevano inciso negativamente sul decoro architettonico dell’edificio ed avevano altresì determinato un pregiudizio derivante dal maggiore utilizzo dell’impianto di ascensore da parte degli ultimi appartamenti da esso serviti. La Corte d’Appello, invece, ha condannato detti condomini alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, rilevando che il divieto contenuto nella suddetta disposizione del regolamento condominiale doveva ritenersi assoluto e che non poteva in ogni caso trovare applicazione la normativa sulle barriere architettoniche, atteso che non era stata fornita la prova concreta che alcuno dei condomini o delle persone che vivevano all’ultimo piano dell’edificio avesse gravi difficoltà di deambulazione.
La Corte di Cassazione ha censurato integralmente il ragionamento svolto dai giudici di merito, delineando per il caso di specie una soluzione interpretativa del tutto diversa. Da un lato, ha riconosciuto che l’art. 1102 c.c., nel prescrivere che «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso», non pone una norma inderogabile e che perciò gli anzidetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale. Dall’altro, tuttavia, ha rilevato che «la Corte territoriale ha omesso di considerare la natura dei lavori, dichiaratamente rivolti alla eliminazione di barriere architettoniche, e dunque coinvolgenti diritti fondamentali dei disabili». Nello specifico, la Suprema Corte ha osservato che la legislazione relativa ai portatori di handicap, secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte costituzionale[4], non si è limitata ad innalzare il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma «ha segnato un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, tali da dover essere assunti dall’intera collettività». Sicché, nella valutazione del legislatore, quale si desume dalla l. n. 13 del 1989, l’installazione dell’ascensore o di altri congegni, con le caratteristiche richieste dalla normativa tecnica, deve ritenersi funzionale ad assicurare l’accessibilità degli edifici e la vivibilità delle relative unità immobiliari, costituendo così una dotazione imprescindibile per l’approvazione dei relativi progetti edilizi e, quindi, un elemento di carattere essenziale, indipendentemente dalla circostanza che gli edifici stessi siano o no effettivamente abitati o utilizzati da parte di persone disabili. Da ciò conseguono almeno tre punti fermi stabiliti dalla Corte.
1a) L’installazione di un ascensore rientra nei poteri dei singoli condomini, ai sensi dell’art. 1102 c.c., «esigendo il rispetto dei soli limiti dettati da detta norma, comportanti il divieto di alterare la destinazione della cosa comune o impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto»[5].
1b) I «divieti del regolamento condominiale ulteriori rispetto ai generali limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c., appaiono recessivirispetto all’ipotesi di realizzazione di opere, quali l’ampliamento delle scale e l’adeguamento dell’ascensore, che devono ritenersi indispensabili ai fini di una effettiva abitabilità dell’immobile, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei condomini, o di chi comunque utilizza il condominio, ed il rispetto del benessere abitativo e di piena utilizzazione della propria abitazione, dovendo ritenersi chele disposizioni in materia di eliminazione di barriere architettoniche costituiscono norme imperative ed inderogabili, direttamente attuative degli artt. 32 e 42 Cost.» [6].
1c) Nell’applicare tale disciplina, il giudice deve tenere conto «del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale, che prescinde dall’effettività dell’utilizzazione da parte di costoro degli edifici interessati»[7].
3.B) Cass., ord. 9 marzo 2017, n. 6129: solidarietà condominiale e legittimità dell’intervento innovativo che (non elimina, bensì) attenua sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione.
Il secondo caso[8] trae origine dalla proposta avanzata da alcuni condomini di un edificio di installare un ascensore occupando una parte del sedime del giardino comune, a ridosso della facciata, ove è ubicato il portone d’ingresso dell’edificio, e, a tal fine, deducevano la difficoltà di deambulazione di due condomini. Tale proposta, tuttavia, veniva rigettata per due volte dall’assemblea dei condomini, sì che sulla questione si è dovuta pronunciare la magistratura civile.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Trieste accoglieva la domanda dei condomini ricorrenti, accertando il diritto degli stessi ad installare l’ascensore. La Corte d’Appello di Trieste, in riforma delle sentenza di primo grado, ha ritenuto che l’installazione dell’ascensore non fosse consentita né in base all’art. 1102 c.c., in quanto avrebbe compromesso la destinazione a giardino dell’area comune; né in base all’art. 2, comma 2, della l. n. 13 del 1989, in quanto «l’ascensore è manufatto diverso dal concetto di servoscala o altre strutture mobili e facilmente amovibili» cui detta legge fa riferimento. Inoltre, l’ascensore, così come in concreto progettato, comunque non avrebbe consentito ai condomini con problemi di deambulazione di raggiungere senza problemi i rispettivi appartamenti, dovendosi fermare sul pianerottolo dell’interpiano con dieci gradini da percorrere a piedi. Tale intervento doveva, quindi, ritenersi illegittimo in difetto di una deliberazione assembleare approvata con le maggioranze di cui all’art. 1136 c.c.
Anche in tale occasione la Corte di Cassazione ha ribaltato l’esito del giudizio di merito ed ha ribadito l’orientamento secondo il quale «l’installazione di un ascensore, allo scopo dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata su parte di aree comuni (nella specie, un’area destinata a giardino), deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c.», nonché in base a quanto stabilito dall’art. 2 della l. n. 13 del 1989, che consente ai portatori di handicap di «installare, a proprie spese, le strutture occorrenti al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages, fermo quanto disposto dall’art. 1120 c.c., comma 4, e art. 1121 c.c., comma 3, (all’esito delle modifiche introdotte dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220)». Inoltre, viene ribadito che, nel valutare il contrasto di tali opere con la specifica destinazione delle parti comuni sulle quali esse vanno ad incidere, «occorre tenere conto del principio di solidarietà condominiale». Da tali premesse, la Corte è pervenuta, quindi, alla conclusione che, ai fini della legittimità dell’intervento innovativo proposto, «è sufficiente che lo stesso […] produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge [sull’abbattimento delle barriere architettoniche], attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione».
4.C) Cass., 29 novembre 2016, n. 24235: recessività delle iniziative dirette a rendere «accessibile» l’edificio condominiale o la singola unità immobiliare rispetto al diritto anche di un solo condomino all’uso o al godimento di una parte comune o all’intangibilità del proprio diritto di proprietà.
Nell’ultimo dei casi in esame[9], i comproprietari esclusivi di un’area descritta come destinata a box auto ed ubicata all’interno di un edificio condominiale impugnavano una delibera dell’assemblea che aveva approvato la proposta di installazione di un ascensore all’interno dell’androne delle scale per l’abbattimento delle barriere architettoniche. A tal fine, sostenevano che l’innovazione deliberata era illegittima in quanto avrebbe pregiudicato il loro diritto di proprietà. La realizzazione dell’ascensore, difatti, avrebbe ridotto e, quindi, impedito l’accesso con l’auto all’area retrostante di loro proprietà e ai relativi box. Nei primi due gradi di giudizio, la domanda è stata rigettata. In particolare, nella pronuncia di secondo grado, si è rilevato, da un lato, che l’installazione dell’ascensore non avrebbe impedito l’accesso degli appellanti all’area di loro proprietà, lasciando libero a tal fine uno spazio (di poco) piú ampio di un metro; e, dall’altro, che l’espletamento della prova testimoniale aveva confermato che l’area di proprietà dei condomini appellanti e i manufatti ivi esistenti non erano mai stati utilizzati e, quindi, destinati a box auto. Da ciò si è dedotta l’insussistenza di pregiudizi al diritto dei condomini appellanti e l’infondatezza della invocata violazione dell’art. 1120, comma 2, c.c.
I giudici di legittimità, tuttavia, hanno ribaltato l’esito del giudizio, articolando il proprio ragionamento attorno a due punti essenziali.
In primo luogo, hanno chiarito che, nel valutare se l’innovazione abbia compromesso il godimento delle proprietà individuali degli attori, assume rilievo non l’uso che negli anni questi ne avevano fatto, bensí la natura e la destinazione economica dei beni stessi. In particolare, la circostanza, valorizzata dalla Corte territoriale, che i comproprietari esclusivi non fossero mai entrati con autoveicoli nell’area interna del palazzo e che non avessero mai utilizzato i manufatti di loro proprietà per il ricovero di autovetture doveva ritenersi del tutto priva di significato al fine di valutare la compromissione della facoltà di godimento dei beni di proprietà esclusiva, facoltà che, essendo inerente al contenuto del diritto di proprietà, non si estingue per non uso e che avrebbe potuto, perciò, risultare in concreto pregiudicata dall’installazione dell’ascensore.
Tanto premesso, si è affermato il principio per cui, se è vero che l’installazione dell’ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche, costituisce innovazione che – ai sensi della l. n. 13 del 1989, art. 2 – può essere approvata dall’assemblea con la maggioranza ex art. 1136 c.c., commi 2 e 3, tuttavia tale innovazione non può comportare una deroga al limite previsto dal comma 2 dell’art. 1120 c.c.
Il riferimento è qui al testo dell’articolo anteriore alla riforma del 2012, il cui secondo comma – divenuto ora quarto comma e lasciato immutato nella sua formulazione, nel testo vigente – precisava che «sono vietate le innovazioni» che «rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino»[10]. Sulla base di queste argomentazioni, la Suprema Corte conclude per l’accoglimento del ricorso con rinvio, per la decisione della controversia, ad altra sezione della Corte territoriale competente.
Il ragionamento della Corte lascia intendere che l’innovazione deliberata dai suddetti condomini non possa che ritenersi vietata e, quindi, illegittima perché lesiva, per le ragioni sopra indicate, dei diritti del condomino ricorrente sulla porzione di sua proprietà esclusiva, «indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative»[11].
5.Carattere imperativo del divieto ex art. 1120, comma 4, c.c.? Ricadute applicative ..e dubbi di legittimità costituzionale. Analogie con la questione sollevata in relazione all’art. 1052 c.c.
La casistica esaminata suggerisce di analizzare distintamente l’ipotesi nella quale l’assemblea dei condomini approvi con un’apposita delibera la realizzazione delle innovazioni atte ad eliminare le barriere architettoniche, dall’ipotesi in cui l’assemblea ometta di deliberare sul punto o adotti una delibera di rifiuto dell’intervento proposto, sì che l’iniziativa a tal fine diretta sia assunta da uno o più condomini disposti a provvedervi a proprie spese.
Si prenda in considerazione la prima ipotesi.
Come è noto, prima della riforma del 2012, trovava applicazione l’art. 2, comma 1, della l. 9 gennaio 1989, n. 13[12], che consentiva l’approvazione delle delibere aventi ad oggetto le innovazioni dirette ad eliminare le barriere architettoniche, in prima e in seconda convocazione, con le maggioranze (agevolate) previste dall’art. 1136, commi 2 e 3, c.c. Con l’entrata in vigore delle modifiche introdotte dalla l. n. 220 del 2012, trova applicazione l’art. 1120, comma 2 n. 2), c.c. che consente espressamente ai condomini – con la sola, e perciò più difficoltosa, maggioranza ex art. 1136, comma 2, c.c. – di disporre le innovazioni aventi ad oggetto «le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche»[13]. Immutato, invece, è rimasto il limite previsto dall’ultimo comma dell’art. 1120 c.c., che vieta le innovazioni «che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino»[14].
Il modo di operare dei limiti stabiliti in tale disposizione ha dato luogo finora a soluzioni interpretative talvolta contraddittorie da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità.
In talune pronunce si sottolinea il carattere imperativo dei divieti previsti con riguardo alle innovazioni, non superabili né dall’assemblea nella sua autonomia collegiale, né dai singoli condomini mediante l’assunzione a proprio esclusivo carico delle relative spese di realizzazione e manutenzione. In tal senso deporrebbe l’espressa previsione di inderogabilità dell’art. 1120 c.c. da parte del regolamento di condominio, ex art. art. 1138 , comma 4, c.c. Per vero, indubitabile sembra il carattere inderogabile e imperativo del limite rappresentato dall’esigenza che non siano pregiudicati la stabilità e la sicurezza dell’edificio. Ne consegue che le questioni inerenti l’an e il quomodo della realizzazione di un’innovazione – quale è, nei casi concreti esaminati, l’installazione di un impianto di ascensore – ancor prima di poter essere considerate sotto il profilo giuridico, necessitano di essere valutate sul piano tecnico, perché in concreto la realizzazione del vano ascensore e degli impianti per il suo funzionamento può risultare anche molto difficile a causa delle condizioni statiche e strutturali dell’edificio, oppure in certi casi può implicare una scelta fra soluzioni progettuali molto diverse tra loro ed alternative: si pensi, ad esempio, alla possibilità che l’ascensore sia installato all’interno dell’edificio, nella tromba delle scale o in un cortile, oppure all’esterno, ben visibile anche dalla pubblica via.
Più incerto, invece, appare il carattere inderogabile e imperativo del divieto di innovazioni che alterino il decoro architettonico o rendano talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino. Proprio la casistica relativa alle opere necessarie per eliminare le barriere architettoniche pone l’interrogativo se tali limitazioni debbano essere operanti sempre per tutte le innovazioni o possano subire in certi casi dei temperamenti.
Si prenderà qui in considerazione il limite della “inservibilità” della parte comune sulla quale si propone di realizzare l’opera o l’intervento[15]. Per giurisprudenza costante, tale espressione fa riferimento ai casi nei quali la lesione lamentata da uno o più condomini non sia né trascurabile, né temporanea o saltuaria, ma dia luogo ad una sensibile menomazione delle utilità che anche un solo condomino può ricavare dalla parte comune secondo l’originaria destinazione d’uso[16]. Al fondo di tale orientamento vi è il radicato convincimento che le norme in materia di condominio vietano all’assemblea di disporre dei diritti individuali dei condomini[17].
Coerentemente a tale indirizzo, con riguardo agli interventi per eliminare le barriere architettoniche, in giurisprudenza si possono distinguere le decisioni che considerano valida la delibera relativa all’installazione dell’ascensore, anche in contrasto con la volontà di altri condomini, ogni qual volta ciò non procuri eccessivi disagi all’uso e al godimento delle parti comuni e di proprietà individuale[18], dalle decisioni che invece sacrificano la volontà in tal senso della maggioranza qualora l’intervento comporti una grave compromissione dei diritti di proprietà esclusiva su altre unità immobiliari comprese nell’edificio o la concreta inutilizzabilità della parte comune secondo la sua naturale fruibilità. In quest’ottica si colloca l’ultima delle pronunce esaminate (Cass., n. 24235/2016), ma già in precedenza era stata confermata dalla Cassazione una decisione di merito di annullamento delle delibere adottate in un condominio per l’approvazione di un progetto di installazione di un ascensore nell’edificio in base alla considerazione che tale impianto avrebbe comportato una grave lesione del diritto dominicale esclusivo di un condomino e un sensibile deprezzamento della sua unità abitativa[19].
Non si registra, dunque, un vero e proprio contrasto interpretativo in seno alla giurisprudenza di merito e di legittimità. Si registra semmai qualche incertezza sulla individuazione del “confine” superato il quale deve ritenersi operante il limite del pregiudizio al diritto «anche di un solo condomino», previsto dall’art. 1120, comma 4, c.c. E tale confine lo si identifica talvolta nel sensibile deprezzamento del suo diritto di proprietà individuale, talaltra nel sostanziale venir meno delle utilità connesse alla destinazione d’uso della parte comune condominiale sacrificata.
Ma è proprio il bilanciamento degli interessi imposto da tale norma a suscitare non pochi dubbi di coerenza ai principi e ai valori costituzionali, se valutato in relazione a quei casi particolari nei quali l’attuazione dell’intervento innovativo si correla strettamente e inscindibilmente con la realizzazione dei bisogni primari della persona.
Con la pronuncia n. 167 del 1999, la Corte costituzionale ha chiarito che l’accessibilità – definita dalla legge come la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia – «è divenuta una qualitas essenziale degli edifici privati di nuova costruzione ad uso di civile abitazione, quale conseguenza dell’affermarsi, nella coscienza sociale, del dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici»[20]. Pertanto, l’accessibilità a fini abitativi costituisce non solo un interesse del disabile ma un’utilità ed un carattere intrinseco dell’immobile, direttamente riferibile agli artt. 2, 3, 32 e 42 cost., in particolare al principio personalista e al principio di solidarietà economica e sociale[21], in funzione dei quali possono essere giustificate limitazioni al diritto di proprietà o, più in generale, il sacrificio di altri interessi di natura patrimoniale in concreto eventualmente coinvolti.
In attuazione di tali principi il legislatore, nel riformulare l’art. 1120 c.c., ha previsto nell’ambito delle innovazioni che possono essere adottate con una maggioranza più agevole (benché, come detto, in senso peggiorativo rispetto alla disciplina ex art. 2 l. n. 13 del 1989) anche le opere e gli interventi per eliminare le barriere architettoniche. Ma, lasciando invariato l’ultimo comma del medesimo articolo, ha stabilito la recessività di tali interventi, finalizzati a rendere l’edificio condominiale e le relative unità abitative accessibili, rispetto al pregiudizio del diritto dominicale dei singoli condomini.
Ne consegue che sembra potersi ravvisare nella formulazione attuale dell’art. 1120 c.c. una questione di legittimità costituzionale analoga a quella relativa all’art. 1052 c.c. In quest’ultimo caso la norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che la servitù coattiva di passaggio in favore di un fondo non intercluso possa essere concessa dall’autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità dell’edificio, non quindi soltanto per le esigenze dell’agricoltura e dell’industria cui fa riferimento la lettera del suo secondo comma. Nel caso dell’art. 1120 c.c., il suo ultimo comma potrebbe essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui vieta le innovazioni finalizzate a rendere l’edificio condominiale e le relative unità abitative accessibili, qualora possano recare pregiudizio a interessi anche di un solo condomino di natura esclusivamente patrimoniale. Sembra qui alquanto evidente il contrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 42 cost., ovvero con la gerarchia dei valori stabilita dalla Costituzione e dalla giurisprudenza costituzionale[22].
Nei casi in cui l’intervento possa realizzarsi su una parte comune dell’edificio condominiale, l’interesse a rendere l’immobile accessibile dovrebbe considerarsi prevalente indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative, ed indipendentemente dalla eventuale modificazione della destinazione d’uso della parte comune sempre che non vi siano soluzioni tecniche che ne consentano il pur parziale mantenimento[23].
Nei casi nei quali – come in quello deciso da Cass., n. 24235/2016 – l’impianto debba realizzarsi su un’area di proprietà esclusiva di uno o più condomini, sembra invece potersi configurare un vero e proprio peso imposto su un bene escluso dalle parti comuni per l’utilità dell’intero edificio condominiale e delle relative unità immobiliari, i quali acquistano in tal modo la qualitas dell’accessibilità, essenziale per garantire a tutti i condomini l’esercizio dei diritti fondamentali. Sembra, quindi, potersi configurare una vera e propria servitù – costituita in virtù della delibera della maggioranza assembleare adottata sulla base dell’art. 1120, comma 2, c.c. –, direttamente fondata sulla disciplina condominiale, sulle citate norme costituzionali e sulla legislazione in tema di abbattimento delle barriere architettoniche.
Se così è, l’assunto secondo il quale le norme in materia di condominio vietano all’assemblea di disporre dei diritti individuali dei condomini sembra poter essere messo in discussione, specialmente quando sono in gioco i diritti fondamentali della persona.
6.Segue. Poteri del singolo condomino e configurabilità di una atipica servitù coattiva per l’abbattimento delle barriere architettoniche in edificio condominiale.
Si prenda ora in considerazione l’ipotesi in cui l’assemblea ometta di deliberare sulla proposta di realizzazione di un impianto di ascensore per eliminare le barriere architettoniche, oppure adotti una delibera di rifiuto dell’intervento proposto, sì che l’iniziativa a tal fine diretta sia assunta da uno o più condomini disposti a provvedervi a proprie spese.
In tal caso, trova applicazione la norma generale di cui all’art. 1102 c.c., secondo la quale «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune» e, a tale fine, «può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa» medesima, «purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto». Ricorrendo tali condizioni, il singolo condomino, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta, avrebbe la facoltà di realizzare l’installazione di un impianto di ascensore, in quanto modificazione intrinsecamente necessaria per rendere l’edificio condominiale accessibile[24]. Sotto questo profilo, la giurisprudenza di legittimità tende sempre più ad allinearsi alla prospettiva delineata dalla giurisprudenza costituzionale nel riconoscere ai singoli condomini la facoltà di apportare a proprie spese una modifica alla cosa comune, suscettibile di utilizzazione anche da parte degli altri condomini, volta a rimuovere un grave ostacolo alla fruizione di un primario bene della vita – quello dell’abitazione – da parte di persone versanti in condizioni di minorazione fisica[25]. In tal senso si è orientata la Corte di Cassazione anche nel caso, sopra analizzato, deciso con l’ordinanza n. 6129/2017, ove si puntualizza che, nel valutare il contrasto delle opere e dell’intervento innovativo con la specifica destinazione delle parti comuni sulle quali essi vanno ad incidere, occorre tenere conto altresì del principio di solidarietà. Del tutto minoritaria sembra, invece, la posizione che nega al singolo condomino la suddetta facoltà tutte le volte che ne derivi un pregiudizio serio e grave di natura patrimoniale ad altri partecipanti al condominio[26].
Dai più recenti orientamenti della giurisprudenza e della dottrina si evince, pertanto, che l’ordinamento considera valide e meritevoli di tutela le iniziative volte all’eliminazione delle barriere architettoniche assunte anche dal singolo condomino, sulla base di una mera notifica all’amministratore e all’assemblea, purché, ovviamente, egli se ne assuma integralmente le spese, indipendentemente dalla circostanza che ne venga accertata la stretta necessità per la sua mobilità all’interno della struttura condominiale[27].
Ci si domanda quali poteri l’ordinamento riconosca al singolo condomino nell’ipotesi in cui l’impianto di ascensore, per ragioni di stabilità e di sicurezza, non possa essere realizzato su una parte comune condominiale e venga accertata la possibilità tecnica di realizzarlo su un’area di proprietà esclusiva di un terzo o su un’area di un edificio condominiale confinante.
Non sembrano, invero, poter trovare applicazione né le norme della disciplina condominiale né le norme della legislazione in tema di abbattimento delle barriere architettoniche. Si osserva, tuttavia, che l’interesse costituzionalmente protetto a rendere accessibile l’immobile potrebbe, anche in tal caso, giustificare una limitazione del diritto del proprietario di confine. Da una lettura congiunta degli artt. 1120 c.c., 2 l. n. 13 del 1989, 2, 32, e 42 cost., potrebbe evincersi il potere in capo al singolo condomino o al condominio di rivolgersi all’autorità giudiziaria per essere autorizzati a realizzare l’opera ed il relativo impianto sul suolo confinante di proprietà altrui per l’eliminazione delle barriere architettoniche. Gli effetti di tale provvedimento sarebbero del tutto assimilabili a quelli di una sentenza che costituisca coattivamente una servitù ex art. 1032 c.c. Dovrebbe, perciò, stabilire le modalità concrete di installazione dell’impianto, sulla base del progetto presentato dall’istante, e determinare l’indennità dovuta.
Da queste considerazioni si evince che talune “barriere” alla tutela dei fondamentali diritti delle persone più deboli attendono ancora di essere compiutamente eliminate[28].
[1] Per un’analisi più approfondita dell’evoluzione del pensiero dottrinale e degli orientamenti della giurisprudenza sull’argomento, sia consentito il rinvio a Viterbo, Bisogni primari della persona e disciplina condominiale dopo la l. n. 220 del 2012, in Rass. dir. civ., 4, 2014, p. 1266 ss.; Id., Bisogni primari della persona e diritti inviolabili: limiti dell’autonomia individuale e collegiale, in M. Costantino e Aa.Vv. (a cura di), Destinazioni d’uso e discipline inderogabili nel condominio, Milano, 2014, p. 147 ss. Cfr. G. Tucci, Note in tema di ascensore per disabili, in Giur. it., 2013, p. 2 ss.; Ferrari, Superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati e pubblici aperti al pubblico nella giurisprudenza del giudice delle leggi, amministrativo e ordinario, in Giur. merito, 2012, p. 1410 ss.; Izzo, L’ascensore per il disabile in condominio: una giusta e forse definitiva soluzione costituzionalmente orientata; in Riv. giur. edil., 2012, 1, p. 83 ss.; Virgadamo, La tutela risarcitoria del danno non patrimoniale patito dai disabili: dalle barriere architettoniche alla l. n. 67 del 2006, in Giust. civ., 2007, II, p. 263 ss.; Rago, Barriere architettoniche per i disabili: un muro da abbattere nel condominio, in Diritto e giustizia, 2005, n. 29, p. 26 ss.; Giardino, In tema di barriere architettoniche, in Foro it., 2001, II, c. 474 ss.; Vitiello, L’installazione dell’ascensore in immobile condominiale tra innovazioni e modificazioni della cosa comune, in Arch. loc. cond., 2000, p. 440 ss.; Avolio, Installazione dell’ascensore in un edificio condominiale: confronto fra l’applicazione delle norme del codice e quelle della legislazione speciale, in Riv. giur. edil., 1999, n. 2, p. 281 ss.; Ditta, L’evoluzione giurisprudenziale della normativa sul condominio: un caso emblematico (Il principio della funzione sociale della proprietà e l’abbattimento delle barriere architettoniche), in Riv. giur. edilizia, 1999, II, p. 35 ss.; Celeste, Solidarietà ed egoismi a 10 anni dall’entrata in vigore della legge sul superamento delle barriere architettoniche, in Arch. loc. cond., 1999, p. 565 ss.; Terzago, Eliminazione delle barriere architettoniche, ivi, 1996, p. 5 ss.; De Tilla, Installazione dell’ascensore nel condominio e norme dirette a favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche, in Giust. civ., 1995, I, p. 167 ss.
[2] Sull’art. 1120 c.c. come novellato dalla l. 11 dicembre 2012, n. 220, v. Vincenti, Le innovazioni, in Triola (a cura di), Il nuovo condominio, Milano, 2017, p. 235 ss.; Lazzarelli, Sub art. 1120, in G. Perlingieri, Carapezza Figlia (a cura di), Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Aggiornamento, Napoli, 2016, p. 414 ss.; Lisi, Il condominio: proprietà e prerogative del gruppo, Milanofiori Assago, 2015, p. 142 ss.; M. Di Marzio, Le innovazioni, in Id., Lazzaro, Petrolati, Codice del condominio, Milano, 2014, p. 97 ss.; Bonnì, in Pennasilico (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, Napoli, 2014, p. 133 ss.; Carnevale, Sub art. 1120, in Iannarelli, Macario (a cura di), Commentario del Codice civile, Della proprietà, artt. 1100-1172, Torino, 2013, p. 214 ss.
[3] Cass., 28 marzo 2017, n. 7938, in Giur. it., 2018, p. 69 ss., con osservazioni di Sicchiero, Dalla solidarietà costituzionale alla solidarietà condominiale, ivi, p. 72 ss.
[4] In particolare si fa espresso rinvio a Corte cost., 10 maggio 1999, n. 167, in Rass. dir. civ., 1999, 693, con osservazioni di P. Perlingieri, Principio «personalista», «funzione sociale della proprietà» e servitù coattiva di passaggio, ivi, 1999, 3, p. 688 ss.; in Corr. giur., 2000, con nota di Palmieri, Accesso all’abitazione e tutela dei disabili: nuovi orizzonti per l’art. 1052 c.c., ivi, p. 177 ss.; e in Riv. not., 1999, 978, con nota di Gazzoni, Disabili e tutela reale, ivi, p. 978 ss.; cfr. Vitucci, Il passaggio coattivo e le persone handicappate, in Giur. cost., 1999, p. 1615 ss. Tale sentenza ha dichiarato illegittimo l’art. 1052, comma 2, c.c., nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall’autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità – di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap – degli edifici destinati ad uso abitativo.
[7] Corsivi aggiunti. Sul punto, v. Sicchiero, o.c., p. 74, il quale sottolinea che «l’opzione concettuale della decisione è che le modifiche dirette al superamento delle barriere architettoniche siano obbligatorie in re ipsa, tanto che le disposizioni che regolano la materia ‘‘devono ritenersi vigenti indipendentemente dall’effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte di persone disabili’’ e consentire un accesso non ostacolato ‘‘anche alle persone che, in condizione dell’età avanzata, pur non essendo portatori di handicap, abbiano comunque disagi fisici e difficoltà motorie’’».
[8] Cass., ord. 9 marzo 2017, n. 6129, in Banca dati Pluris online.
[9] Cass., 29 novembre 2016, n. 24235, in Imm. proprietà, 2017, p. 51 s.
[10] In dottrina, per un’analisi della disposizione, v. Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. c.c. a cura di Scialoja e Branca, III, Bologna-Roma, 1954, p. 332 s.; Marina, Giacobbe, Condominio negli edifici, in Enc. Dir., VIII, Milano, 1961, p. 827 s.; Girino, Baroli, Condominio negli edifici, in Digesto civ., III, Torino, 1988, p. 410 s.
[11] Si v. il paragrafo 1.1 della motivazione in diritto, ove si richiamano, a supporto di quanto affermato, le seguenti precedenti pronunce: Cass. n. 20639/05, che ha ritenuto illegittima una delibera condominiale che, nel restringere il vialetto di accesso ai garages, rendeva disagevole il transito delle autovetture; Cass. n. 12930/12; Cass. n. 6109/94; e Cass. n. 28920/11.
[12] L’art. 2 di tale legge, recante «Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati», è confluito successivamente nell’art. 78 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, «Testo unico delle Disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia». In base all’art. 2 del d.m. 14 giugno 1989, n. 236, «Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche», per «barriere architettoniche» si intendono: «a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti; c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi».
[13] A riguardo, si è sottolineata, da parte della prevalente dottrina, la scelta infelice operata dal legislatore della riforma di modificare la disciplina nel senso che, per l’abbattimento delle barriere architettoniche, la delibera debba essere adottata con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio e non più, invece, con la maggioranza di un terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio in seconda convocazione (innalzando, quindi, il quorum deliberativo da 334 a 500 millesimi): cfr. Carnevale, o.c., p. 217 s.; Lazzarelli, o.c., p. 416; M. Di Marzio, o.c., p. 125.
[14] Tale disposizione – corrispondente al secondo comma dell’originaria formulazione dell’art. 1120 c.c. – è espressamente richiamata anche dall’art. 2, comma 3, della l. n. 13 del 1989. Nel testo vigente, è collocata al quarto (e ultimo) comma.
[15] Per quanto riguarda il limite derivante dalla lesione del decoro architettonico, sia consentito il rinvio a Viterbo, Bisogni primari della persona e diritti inviolabili, cit., p. 162 s.
[16] In giurisprudenza, sul punto, v. Cass. civ., 12 luglio 2011, n. 15308, in Arch. loc., 2011, p. 630, ove si afferma che il concetto di inservibilità della cosa comune non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione, ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità e che si può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino – solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo; Cass. civ., 21 ottobre 1998, n. 10445, in Riv. giur. edilizia, 1999, I, p. 249; Cass. 3 marzo 1963, n. 614, in Foro it., 1963, I, c. 1445, con nota di Branca. In dottrina, cfr. Vincenti, Le innovazioni, cit., p. 286; M. Di Marzio, Le innovazioni, cit., p. 115 s.; Salis, Liceità di innovazione (ascensore) pregiudizievole ad un condomino, in Riv. giur. edilizia, 1967, I, p. 868; Celeste, Portatori di handicap: quanti scalini devono ancora salire per raggiungere le proprie abitazioni?, in Foro it., 2008, I, c. 1601; Zuccaro, Installazione di ascensore: innovazione o modificazione?, in Giur. it., 2000, p. 2023, per la quale dovrebbe parlarsi di innovazione consentita ogni volta che la comparazione tra i vantaggi arrecati e i danni prodotti veda prevalere, anche per un solo condomino, i primi sui secondi.
[17] Sul punto v. Corona, Proprietà e maggioranza nel condominio negli edifici, Torino, 2001, pp. 179 e 194 s.
[18] In tal senso, v. Cass., 25 ottobre 2012, n. 18334, in Giust. civ., 2012, I, p. 2549 e in Giur. it, 2013, p. 294 ss. con il commento di G. Tucci, cit.
[19] Cass., 24 luglio 2012, n. 12930, in Guida dir., 2012, f. 41, p. 57. Nella specie, era stato valutato un deprezzamento dell’unità abitativa del condomino che aveva impugnato le delibere pari circa ad un quarto del suo valore.
[20] Corte cost., 10 maggio 1999, n. 167, cit.: v. punto n. 5 della motivazione in diritto.
[21] La Corte si sofferma soprattutto sul rilievo del principio personalista ex art. 2 cost., che «pone come fine ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana», e del diritto alla salute, «comprensivo anche della salute psichica», ex art. 32 cost.: v. Corte cost., 10 maggio 1999, n. 167, cit., punti 6 e 7 della motivazione in diritto. In dottrina, per tutti, si v. P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, II, Napoli, 2006, p. 433 ss.
[22] Sul punto, v. P. Perlingieri, Valori normativi e loro gerarchia, in Rass. dir. civ., 1999, p. 802 ss.
[23] In tal caso non dovrebbe, perciò, trovare applicazione l’art. 1117 ter c.c., ove si prevede che, per modificare la destinazione d’uso delle parti comuni, l’assemblea deve deliberare con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell’edificio. La modifica della destinazione d’uso di una parte comune per l’abbattimento delle barriere architettoniche troverebbe comunque giustificazione in «esigenze di interesse condominiale» di rilevanza costituzionale. Sull’argomento, v. Amagliani, La riforma del condominio negli edifici ed il rilievo delle destinazioni d’uso, in Rass. dir. civ., 2015, p. 1111 ss. Sulle innovazioni che comportano mutamento di destinazione d’uso, v. Vincenti, Le innovazioni, cit., p. 259 ss.; Lisi, Il condominio, cit., p. 148 ss., il quale osserva che la parte comune interessata dall’innovazione potrà esprimere nuove utilità ed assumere nuove destinazioni d’uso, purché esse risultino compatibili con quella originaria e sottolinea altresì che il nuovo art. 1117 ter c.c. non richiama il c.d. limite dell’inservibilità.
[24] In giurisprudenza cfr. Cass., 12 febbraio 1993, n. 1781, in Arch. loc., 1993, 524; cfr. Pret. Roma, 15 maggio 1996, in Arch. loc., 1996, 564; Trib. Foggia, 29 giugno 1991, in Giust. Civ., 1991, I, 3089; Trib. Milano, 11 maggio 1989, in Giur. merito, 1989, 1088; Pret. Milano, 19 maggio 1987, in Foro It., 1987, I, 2869, nella quale, con ordinanza ex art. 700 c.p.c., il Pretore ha autorizzato un condomino portatore di handicap motorio ad installare, a proprie spese, un ascensore nella tromba delle scale condominiali, pur essendosi l’assemblea opposta a tale opera, nel presupposto che «l’art. 1102 c. c. contempla anche le innovazioni nonostante spesso venga letto in contrapposizione all’art. 1120 c.c.».
[25] Così Cass., 14 febbraio 2012, n. 2156, in Giust. civ. 2012, 6, p. 1457, con nota di Izzo; Cass., 3 agosto 2012, n. 14096, in Vita not., 2013, 1, p. 203, nella quale si afferma che il principio secondo cui, negli edifici condominiali, l’utilizzazione delle parti comuni con impianto a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall’art. 1102 c.c. (divieto di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto) ma anche l’osservanza delle norme del codice in tema di distanze, non opera nell’ipotesi dell’installazione di impianti – come l’ascensore – che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell’appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l’apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui.
[26] Si v. Cass., 27 dicembre 2011, n. 28920, in Giust. civ., 2012, I, p. 1736, che conferma la decisione della Corte territoriale di escludere il diritto del condomino ad installare un ascensore esterno a sue spese con pregiudizio a carico della cosa comune (nella specie, l’installazione dell’ascensore avrebbe limitato lo spazio di manovra e di superficie di parcheggio nell’area del cortile condominiale ed avrebbe apportato una limitazione alle vedute e all’illuminazione di alcuni appartamenti dell’edificio).
[27] Sul punto, cfr. Lazzarelli, Sub art. 1120, cit., p. 419.
[28] La necessità di eliminare ulteriori “barriere” alla tutela delle persone disabili, presenti nella disciplina vigente, è evocata dalla stessa Corte costituzionale: «resta comunque fermo che, su un piano più generale e pur con i suoi limiti, la normativa vigente sulla eliminazione delle barriere architettoniche attende ancora di essere compiutamente attuata a salvaguardia dei fondamentali diritti delle persone disabili; ciò che postula il concorso di tutte le autorità pubbliche interessate, ciascuna nell’ambito della propria competenza legislativa ed amministrativa» (Corte cost., 4 luglio 2008, n. 251, in Giur. cost., 2008, 4, p. 2931 ss., punto n. 16 della motivazione in diritto).
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