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Procedura monitoria e mediazione
Sommario: 1. Posizione del tema. – 2. L’ordinanza di trasmissione alle Sezioni Unite. – 3. La posizione della dottrina. – 4. La decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. – 5. Lettura costituzionalmente orientata operata dalla Cassazione. – 6. Considerazioni conclusive.
Di Piero Sandulli -
1.Posizione del tema.
Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19596 del 18 settembre 2020, hanno riscritto le regole dell’esperimento del procedimento di mediazione, finalizzata alla conciliazione della vertenza, a seguito dell’emanazione di un provvedimento monitorio[1].
Prendendo le mosse dalla natura delle procedure integranti un filtro all’azione ed alla luce dei principi costituzionali sul tema[2], i giudici della Suprema Corte hanno posto in capo alla parte creditrice, che ha agito in sede monitoria, l’onere di dar corso alla procedura di mediazione, in presenza di una opposizione al decreto ed esaurite le pronunce in merito alla provvisoria esecuzione di esso.
Chiarisce, inoltre, la Corte di Cassazione che la sanzione alla mancata proposizione della procedura di mediazione è costituita dalla revoca del decreto ingiuntivo.
2.L’ordinanza di trasmissione alle sezioni unite.
La terza sezione civile della Suprema corte, con la decisione n. 18741 del 12 luglio 2019, “in assenza di un chiaro fondamento normativo”, ha ritenuto di dover disattendere l’orientamento in precedenza sostenuto dalla Corte di Cassazione con la sentenza 3 dicembre 2015, n. 24629.
Invero, l’ordinanza di rimessione ha considerato che le posizioni, fino a quel momento, espresse da giurisprudenza[3] e dottrina[4] erano “proiezione di principi costituzionali, che la stessa decisione ha così sintetizzato: “Per quanto concerne la tesi dell’onere a carico del debitore opponente il principio di riferimento è stato illustrato da Cass. 3 dicembre 2015, n. 24629[5] nei seguenti termini: “attraverso il decreto ingiuntivo l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. E’ l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’ dunque sull’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice”. Si fa quindi riferimento in questo caso, oltre che alle ragioni proprie del procedimento monitorio, ispirate ad efficienza ed economia processuale, al principio costituzionale di ragionevole durata del processo. Per quanto concerne la tesi dell’onere a carico del creditore opposto l’esigenza che viene in rilievo è quella che l’accesso alla giurisdizione condizionata al previo adempimento di oneri non può tradursi nella perdita del diritto di agire in giudizio tutelato dall’art. 24 Cost., come affermato da Corte cost. 16 aprile 2014, n. 98.”
Alla luce delle due differenti tesi l’ordinanza della Suprema Corte ha puntualizzato le diverse conseguenze che da tali orientamenti derivano sul processo.
Invero, se si aderisce alla tesi che pone in capo al debitore l’onere di istaurare il procedimento di mediazione, finalizzato alla conciliazione della vertenza, sulla base del dato letterale del secondo comma dell’articolo 645 del codice di rito, in virtù del quale è il debitore attraverso l’atto di opposizione (citazione o ricorso per i giudici di lavoro) a dar vita ad un giudizio di cognizione sul diritto di credito vantato, allora la conseguenza della mancata proposizione del procedimento di mediazione è costituita dalla improcedibilità del processo di cognizione, non ritualmente istaurato, per la mancata ottemperanza all’onere della instaurazione della procedura conciliativa, con il conseguente acquisto di definitività da parte del decreto ingiuntivo.
Propendendo, invece, per la differente tesi, in base alla quale l’onere della attivazione del procedimento di mediazione ricade sul creditore che ha agito in via monitoria, la sanzione della inattività, rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo n. 28 del 2010, deve incidere su di esso determinando la revoca del decreto ingiuntivo[6].
Alla luce delle due diverse interpretazioni, di una norma, invero, poco lineare, la Suprema Corte ha rilevato che “entrambe le posizioni evidenziate sono assistite da valide ragioni tecniche ed appaiono essere la proiezione di diversi principi”. Riscontrando, inoltre, che sulla questione, oltre ad un ampio dibattito dottrinale[7] esiste “anche un tuttora non sopito contrasto nella giurisprudenza di merito, reso più acuto dalla frequenza delle questioni che in siffatta materia vengono sottoposte a giudizio”. Invero, l’ampiezza del contenzioso, interessato alla procedura di mediazione finalizzata, con intento deflattivo, alla conciliazione della lite, nonché il sempre più diffuso ricorso al procedimento di ingiunzione impongono l’intervento di una autorevole pronuncia nomofilattica delle Sezioni unite idonea a sciogliere in via definitiva il quesito.
3.La posizione della dottrina.
Come ricordato in precedenza anche la dottrina non ha dato al tema una soluzione univoca, anzi la stessa si è divisa optando per una triplicità di risposte al quesito in esame. Un primo orientamento dottrinario ha anticipato e poi seguito la tesi fatta propria dalla Suprema Corte con la sentenza, sopra ricordata, del 2015.
In base a tale opinione l’onere di instaurazione del procedimento di mediazione incombe sul debitore in quanto parte attorea del giudizio di opposizione e quindi gravato da detto onere. Tale tesi, che potremmo definire dell’attore apparente, ha riportato i consensi di una buona parte della dottrina.
Altra, altrettanto rilevante, tesi, detta anche dell’attore sostanziale, ha ritenuto di dover onerare dell’avvio della procedura di mediazione il creditore che aveva avviato il contenzioso facendo richiesta del decreto di ingiunzione al giudice[8] la tesi fatta propria dalla Suprema Corte con la sentenza sopra ricordata del 2015.
In base a tale opinione l’onere di instaurazione del procedimento di mediazione incombe sul debitore considerato parte attorea del giudizio di opposizione e quindi gravato da tale incombente. Tale tesi che potremmo definire “dell’attore apparente” ha riportato i consensi di una buona parte della dottrina.
Altra, altrettanto rilevante, tesi, detta anche “dell’attore sostanziale”, ha ritenuto di dover onerare dell’avvio della procedura di mediazione il creditore che aveva avviato il contenzioso facendo richiesta del decreto di ingiunzione al giudice.
Infine, la dottrina ha individuato – come visto in precedenza – una soluzione intermedia, cui può essere dato il nome di teoria “del maggior vantaggio”, in base alla quale l’onere di dar vita al procedimento di mediazione compete alla parte opposta, qualora non sia stata accordata, in sede di procedura monitoria, la provvisoria esecuzione, oppure sia stata disposta la sospensione di questa; mentre nell’ipotesi in cui sia intervenuta la concessione della (provvisoria) esecuzione del decreto, detto onere va a gravare sull’opponente.
In base a tale criterio è sulla parte che trae il maggior vantaggio dall’instaurazione della mediazione che incombe l’obbligo di instaurare tale procedura.
4. La decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte con la decisione in esame, ribaltando il precedente orientamento, hanno ricostruito il tema partendo dal quesito ad esse proposto dall’ordinanza n. 18741/2019 della terza sezione civile della Corte, che è stato letto dai giudici di legittimità iniziando la ricostruzione dal dato normativo, rilevando come le disposizioni del decreto legislativo n. 28 del 2010 non siano neutre, ai fini della risposta al tema proposto.
Infatti la Suprema Corte rileva come nel decreto legislativo vi siano alcune norme che “pur non affrontando direttamente il problema in esame, non potrebbero armonizzarsi con la tesi che pone l’onere di promuovere la procedura di mediazione a carico della parte opponente”. Al riguardo la sentenza della Corte muove dal secondo comma dell’articolo 4, nel quale individua il profilo giuridico dell’attore sostanziale e non quello del debitore chiamato a proporre l’opposizione di cui all’art. 645 del codice di rito civile, poiché vengono richieste all’istante la procedura di mediazione “l’oggetto e le ragioni della pretesa” caratteristiche queste che mal si conciliano – a detta della Corte – con le attività proprie del debitore che è chiamato ad instaurare l’eventuale contraddittorio, su di una pretesa non sua, ma da cui egli si difende.
Anche dal successivo articolo 5 la decisione dei giudici di legittimità trae auspici per sostenere la sua tesi. Invero, riscontra la Corte come nell’articolo in parola si affermi che colui il quale “intende esercitare in giudizio un’azione”, pertanto, assegna all’attore sostanziale della pretesa, l’onere di avviare la procedura integrante il filtro all’azione.
Altro argomento in suffragio della sua tesi, la Suprema Corte l’individua nell’articolo 643 del codice di rito civile, dove si stabilisce che la notificazione del decreto determina la pendenza della lite dando vita al potenziale contraddittorio[9].
Infine, un altro ulteriore punto in favore della tesi che pone l’obbligo di dar vita al procedimento di mediazione in capo al creditore che ha dato vita al procedimento monitorio, la Corte della legittimità lo individua nel sesto comma dell’articolo 5 del decreto n. 28 del 2010, dove si legge che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”. Tale affermazione, letta anche alla luce degli articoli 2943 e 2945 del codice sostanziale in materia civile, consente alla Cassazione di affermare che poiché tale vantaggio compete all’attore, anche l’onere di instaurare la procedura di mediazione, dopo la proposizione del procedimento monitorio, compete allo stesso attore, sulla base del brocardo “quius commoda eius inccomoda”.
A tali argomenti, tratti dall’esegesi della norma, la Suprema Corte unisce anche due argomentazioni di ordine logico.
La prima è costituita dalla circostanza pacifica in dottrina ed in giurisprudenza in virtù della quale “l’opposizione a decreto ingiuntivo non è l’impugnazione del decreto, ma ha natura di giudizio di cognizione piena che devolve al giudice dell’opposizione il completo esame del rapporto giuridico controverso, e non il semplice controllo della legittimità della pronuncia del decreto d’ingiunzione”.
La seconda riflessione sistematica nasce dall’analisi delle conseguenze dell’inerzia: rileva la Corte che se si pone l’onere di dar vita alla procedura di mediazione “a carico dell’opponente e questi rimane inerte, la conseguenza è che la pronuncia di improcedibilità farà seguito l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo; se l’onere, invece, è a carico dell’opposto, la sua inerzia comporterà l’improcedibilità e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo; il quale ben potrà essere riproposto, senza quell’effetto preclusivo che consegue alla irrevocabilità del decreto. Nella prima ipotesi, quindi, definitività del risultato; nella seconda, mero onere di riproposizione per il creditore, il quale non perde nulla”.
5.Lettura costituzionalmente orientata operata dalla Cassazione.
Afferma la sentenza della Corte di Cassazione che dall’esame delle varie pronunce sulla “giurisdizione condizionata” sulle quali la Corte Costituzionale è stata chiamata più volte a pronunciarsi[10] emerge un ulteriore decisivo argomento in base al quale dovendosi, comunque, garantire l’accesso alla giustizia, anche ritenendo legittimo il ricorso ad ipotesi di filtro all’azione, deve propendersi (pur nell’incertezza della normativa che consente entrambe le opposte interpretazioni) per la teoria che lascia, comunque, impregiudicata la possibilità di riproporre l’istanza monitoria, nel caso in cui il creditore opposto sia onerato dell’attivazione del procedimento di mediazione.
Sostiene, infatti, la Cassazione che propendere per la tesi opposta (quella di porre l’onere in capo al debitore/attore apparente) non consentirebbe una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame, poiché la sanzione dell’inammissibilità dell’azione, con la conseguente assunzione di forza di giudicato del decreto ingiuntivo, impedisce l’accesso al giudice violando l’articolo 24 della Carta Costituzionale[11]. In base a tutto quanto, sin qui, considerato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno emanato il seguente principio di diritto: “nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo”.
6.Considerazioni conclusive.
Prendendo le mosse dal dettato dell’articolo 24 della Carta Costituzionale, nel quale si garantisce a ciascuno la possibilità di agire o resistere in giudizio per la tutela delle situazioni giuridiche protette, la Corte di Cassazione ha ribaltato il precedente orientamento, assunto con la sentenza n. 2469 del 3 dicembre 2015.
Riflettendo sul ragionamento seguito dalla Suprema Corte e ricalcandone il percorso logico seguito dalla sentenza in esame, è possibile fare alcune riflessioni partendo dall’analisi del procedimento di mediazione, come è stato realizzato in Italia dal nostro legislatore delegato con il decreto legislativo n. 28 del 2010[12].
Invero, quando, su impulso della normativa europea[13], il legislatore nazionale inserì nel nostro ordinamento l’istituto della mediazione, finalizzata alla conciliazione, dette vita ad un’ipotesi di filtro all’azione, nella speranza che tale procedimento potesse avere un impatto deflattivo sul processo, contribuendo così a risolvere la crisi della giustizia civile italiana[14].
Tuttavia tal operazione fu compiuta senza dedicare particolare attenzione alle materie che ritenne di dover assoggettare a detta giurisdizione condizionata (circostanza questa che ha prodotto, nel tempo, non pochi cortocircuiti nel sistema della tutela[15]) ed anche al coordinamento tra la fase prodromica di mediazione ed il successivo (eventuale) giudizio di merito[16].
La soluzione individuata dalla Corte di Cassazione interviene oggi a risolvere, ci si augura definitivamente, l’incertezza creatasi tra il procedimento finalizzato alla conciliazione della lite ed il procedimento monitorio, di natura speciale ed a contraddittorio eventuale, incertezza alimentata da non poche ondivaghe decisioni dei giudici di merito[17] che hanno imposto al giudizio, instauratosi a seguito dell’opposizione prevista dall’articolo 645 cpc, vincoli eccessivi, tali da impedire il ricorso al giudice statale sulla questione credito/debito avviata in via monitoria.
La tesi delle Sezioni Unite fa salva la possibilità (teorica) di ricorrere alla tutela del giudice della cognizione, ma costruisce una stretta concatenazione tra la fase preprocessuale di filtro all’azione e quella processuale rispetto alla quale il procedimento di mediazione, perdendo la propria finalità deflattiva, opera esclusivamente come condizione di proseguibilità del giudizio[18].
Così stando le cose c’è da chiedersi, de jure condendo, se, in questa ipotesi, non sia preferibile sottrarre alla giurisdizione condizionata le vertenze avviate con procedimento monitorio, lasciando alla conciliazione endoprocessuale, prevista dall’articolo 185 bis, la possibilità di dare una soluzione conciliata della lite ed evitando ricostruzioni che lasciano, comunque, perplessi, in quanto integrano il tentativo di razionalizzare una norma dettata dall’Esecutivo, delegato dalla legge n. 69 del 2009 (art. 60), in modo oscuro ed incomprensibile, e sicuramente mai completamente integrabile nel sistema processuale, stando all’attuale stato della normativa.
[1] La decisione della Suprema Corte a Sezioni Unite è pubblicata in questa Rivista con nota di M. Magliulo e in www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com La sentenza è stata, inoltre, annotata in Guida al Diritto 2020 n. 40, p. 72 da Marco Molinaro, decreto ingiuntivo, la mediazione obbligatoria ex lege deve essere avviata dall’opposto.
[2] Al riguardo vedi la sentenza della Corte Costituzionale del 9 aprile 2014 n. 98, in www.giurcost.org Nella quale si legge che va sempre garantito l’accesso al giudice anche se esso può essere assoggettato ad ipotesi di filtro all’azione, quali quelle di natura deflattiva (tra di esse il procedimento di mediazione ed anche la mediazione tributaria di cui all’art. 1 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013).
[3] La questione è stata sollevata e risolta in maniera difforme ad opera dei gradi di merito. La prima pronuncia rinvenibile è stata resa dal Tribunale di Varese, in data 18 maggio 2012, ed in essa si individua la soluzione ponendo l’obbligo di avviare la procedura di mediazione in capo all’opposto, “attore sostanziale dell’azione” di contro il Tribunale di Siena, il25 giugno 2012, riteneva che la domanda giudiziale cui fa riferimento il decreto legislativo n. 28 del 2010, è quella introdotta dall’opposizione prevista dall’art. 645 c.p.c. In tal modo ponendo l’onere in capo allo opponente, con la ulteriore conseguenza che, in caso di ottemperanza, il decreto emesso acquistava valore di definita incontrovertibile.
[4] Anche le analisi della dottrina si dividono. Propendono per porre l’onere della istanza di mediazione in capo al debitore opponente: M.A. Lupoi, Ancora sui rapporti tra mediazione e processo civile, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. 2016, f. 1, p. 12. G. Trisorio Liuzzi, Sull’onere di promuovere la mediazione dopo l’opposizione a decreto ingiuntivo, in Giusto Proc. Civ. 2016, p. 1110. F. Santagada, La mediazione, Torino 2012, p. 73. E. Benigni, Mediazione e opposizione a decreto ingiuntivo, in Giur. It. 2016, 1, c. 73.
Hanno, invece, sposato la tesi opposta, in base alla quale l’onere di esperire la mediazione grava sul creditore opposto, in quanto attore sostanziale della pretesa: G. Balena, Opposizione a decreto ingiuntivo e mediazione obbligatoria, in Riv. Dir. Proc. 2016, p. 1284. G. Minelli, permane il contrasto su chi tra opponente ed opposto, sia onerato ad introdurre il tentativo obbligatorio di mediazione, in Società 2016, p. 1153. D. Dalfino, Mediazione e opposizione a decreto ingiuntivo: quando la Cassazione non è persuasiva, in Foro It. 2016, I, c. 1325. G. Cascella, La fase oppositiva ed i suoi esiti, in Il decreto ingiuntivo a cura di A.I. Natali, Milano 2017, p. 224. Infine vi è chi come M. Bove, La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, Padova 2010, p. 191 si è collocato a mezza strada sostenendo che l’onere compete alla parte che trae il maggior vantaggio dalla procedura. Vale a dire: l’opposto in caso di provvisoria esecuzione del decreto, ovvero l’opponente quando detta provvisoria esecuzione non è stata concessa.
[8] Oltre a quanto ricordato nella nota numero 4, vedi, per tutti, G. Trisori Liuzzi, sull’onere di promuovere la mediazione dopo l’opposizione a decreto ingiuntivo, in Giusto Processo Civile 2016, p. 111.
[9] Al riguardo vedi F.P. Luiso, Diritto processuale civile, Milano 2015, vol. V, p. 76.
[10] Vedi, al riguardo, F. De Stefano A. Valitutti, il decreto ingiuntivo e l’opposizione, Padova 2013, p. 442.
[11] Vedi sul punto la decisione della Corte Costituzionale, n. 272 del 2012, in Foro It. 2013, 4 , I.
[12] Come è noto la delega è stata dettata dall’art. 60 della legge n. 69 del 2009.
[13] Vedi, sul punto, la sentenza delle Sezioni Unite, in esame, nel paragrafo 5.3. Inoltre, validi argomenti la Suprema Corte ha tratto dalle decisioni della Corte di Cassazione numero 8240 e numero 8241 del 28 aprile 2020 relative a questioni “lato sensu assimilabili” a quella esaminata.
[14] Sarebbe stato auspicabile che l’inserimento delle procedure di mediazione, così come quelle di negazione assistita, nel nostro ordinamento avesse seguito la adozione di procedure, da avviare nelle Università, idonee a determinare la cultura della negoziazione, accanto a quella della lite consentendo ai fruitori del diritto di individuare e scegliere questa ulteriore ipotesi di tutela. Piuttosto che utilizzare le alternative al giudizio al solo fine deflattivo. In definitiva la mediazione e la negoziazione andavano promosse come opportunità di tutela piuttosto che come obblighi spesso non compresi dalle parti chiamate ad instaurare tali filtri all’azione.
[15] Si pensi, in particolare, alla materia della circolazione di veicoli ed alla responsabilità medica.
[16] Fattispecie questa che ha dato vita ad alcuni interventi della Cote Costituzionale (vedi al riguardo la decisione n. 272 del 2012 e la decisione n. 98 del 2014 in Giur. Cost. 2014, 2, 1723) decisivi al fine riordinare la materia.
[17] Anche la Corte d’Appello con due decisioni del 2019, la prima delle Corte di Palermo del 17 maggio e la seconda dei giudici del gravame di merito di Bologna del primo ottobre anche esse propendono per le tesi contrapposte i giudici felsinei ponendo l’onere sull’opposto, mentre quelli speciali sarà sull’opponente.
[18] Al riguardo vedi E. Zucconi Galli Fonseca, Profili attuali del procedimento d’ingiunzione, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. 2013, f. 1, p. 113; B. Capponi, Il Giudice, Extrema ratio?, in Questione Giustizia, 2016.
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