Informativa sul trattamento dei dati personali (ai sensi dell’art. 13 Regolamento UE 2016/679)
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Novità legislative per il processo civile
Di Alfredo Storto -
Il decreto-legge 7 ottobre 2020, 125, entrato in vigore il giorno successivo e ancora in fase di conversione, tra le “Misure urgenti strettamente connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza da COVID-19” ne prevede due specifiche per il processo civile.
L’art. 1, comma 3, lettera a) modifica l’art. 1, comma 3, del decreto-legge 30 luglio 2020, n. 83, convertito dalla legge 25 settembre 2020, n. 124, disponendo che, in quella norma, le parole «31 luglio 2020» sono sostituite da quelle «15 ottobre 2020».
A seguito della modifica chirurgica, la norma in questione oggi prescrive che «I termini previsti dalle disposizioni legislative di cui all’allegato 1 [al d.l. n. 83/2020] sono prorogati al 31 dicembre 2020 (…)».
L’art. 1, comma 3, lettera b), numero 7) del d.l. n. 125/2020 addiziona quindi l’Allegato 1 appena prorogato di un nuovo numero, il 33-bis, il quale include tra i termini prorogati al 31 dicembre 2020 anche quelli di cui all’art. 221, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.
Quest’ultimo, a sua volta, disponeva che, «tenuto conto delle esigenze sanitarie derivanti dalla diffusione del COVID-19, fino al 31 ottobre 2020 si applicano le disposizioni di cui ai commi da 3 a 10», cosicché oggi quel termine, giusta il rimando tabellare, va inteso come riferito al 31 dicembre 2020.
Le disposizioni prorogate (art. 221, in particolare i commi da 3 a 8 relativi al processo civile) riguardano:
a) il deposito degli atti e dei documenti nei processi civili innanzi a tribunali e corti di appello, nonché il pagamento degli oneri processuali (contributo unificato e anticipazioni forfettarie dai privati all’erario) esclusivamente con modalità telematica, salvo il caso di non funzionamento dei sistemi informatici del dominio giustizia (comma 3);
b) il deposito degli atti e dei documenti nei processi civili innanzi alla Corte di cassazione, nonché il pagamento del contributo unificato e delle anticipazioni forfettarie dai privati all’erario esclusivamente con modalità telematica (comma 5);
c) il potere del giudice di sostituire le udienze che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori col deposito, per via telematica, di note scritte (con applicazione dell’art. 181, primo comma, c.p.c. nel caso di mancata produzione), salva la possibilità delle parti di chiedere la trattazione orale (comma 4);[1]
d) la partecipazione alle udienze di parti o difensori, su istanza di questi, mediante collegamenti audiovisivi a distanza, purché siano salvaguardati il contraddittorio e l’effettiva partecipazione (comma 6), nonché il potere del giudice, col consenso delle parti, di disporre che l’udienza civile, ove non sia richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza (comma 7);
e) il potere del giudice di disporre che il giuramento del consulente tecnico avvenga con dichiarazione sottoscritta con firma digitale da depositare nel fascicolo telematico (comma 8).
Solo due settimane dopo, la progressione geometrica della pandemìa ha imposto l’adozione di nuove norme urgenti (decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, il c.d. decreto Ristori) sul processo, anche civile.
In particolare, l’art. 4 del d.l. n. 137/2020 (Sospensione delle procedure esecutive immobiliari nella prima casa) ha modificato l’art. 54-ter del d.l. n. 18/2020 disponendo che «è sospesa, fino al 31 dicembre 2020 [e non più fino al 30 ottobre 2020][2], ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore».
L’art. 4 prevede inoltre, nell’unico comma, che «è inefficace ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore, effettuata dal 25 ottobre 2020 alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Il successivo art. 23 (Disposizioni per l’esercizio dell’attività giurisdizionale nella vigenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19) ha poi dettato, per il periodo che va dal 29 ottobre 2020 «fino alla scadenza del termine di cui all’articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35»[3], nuove regole per i processi penale e civile.
Quanto a quest’ultimo (con regole estese anche agli arbitrati rituali), l’art. 23, comma 1, «ferma l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 221 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 43 (…) ove non espressamente derogate dalle disposizioni del presente articolo», prevede che:
a) «le udienze dei procedimenti civili (…) alle quali è ammessa la presenza del pubblico si celebrano a porte chiuse, ai sensi (…) dell’articolo 128 del codice di procedura civile (…)» (comma 3);
b) il giudice può disporre che le udienze civili di separazione consensuale e di divorzio congiunto «siano sostituite dal deposito telematico di note scritte di cui all’articolo 221, comma 4, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (…), nel caso in cui tutte le parti che avrebbero diritto a partecipare all’udienza vi rinuncino espressamente con comunicazione, depositata almeno quindici giorni prima dell’udienza, nella quale dichiarano di essere a conoscenza delle norme processuali che prevedono la partecipazione all’udienza, di aver aderito liberamente alla possibilità di rinunciare alla partecipazione all’udienza, di confermare le conclusioni rassegnate nel ricorso e, nei giudizi di separazione e divorzio, di non volersi conciliare» (comma 6);
c) in deroga all’art. 221, comma 7, del d.l. n. 34/2020, «il giudice che si trovi in condizioni di quarantena o di isolamento fiduciario per COVID-19 può partecipare all’udienza anche da un luogo diverso dall’ufficio giudiziario» (comma 7);
d) «le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto» e «il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge» (comma 9, primi due periodi).
Non è chiaro, per la verità, nell’intreccio tra vecchie e nuove norme (d.l. n. 125 e d.l. n. 137), se anche le disposizioni dell’art. 221 cit., ove non derogate dal nuovo art. 23, siano state nuovamente prorogate fino al 31 gennaio 2021, come francamente sembrerebbe indurre a credere quantomeno il fatto che, altrimenti, soltanto alcuni commi di questo articolo (quelli derogati dall’art. 23) avrebbero durata più lunga, con un sostanziale disallineamento di una disciplina che, invece, sembra essere stata costruita come un microsistema processuale dell’emergenza.[4]
Un’ulteriore considerazione, per la verità predicata da quanto fin qui osservato, non può che riguardare, sul piano generale, il drafting normativo.
L’emergenza pandemica ci ha abituati ad una produzione torrenziale di fonti e atti secondari che, procedendo dai decreti-legge e proseguendo coi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, coi decreti ministeriali, le ordinanze dei Presidenti di Regione e dei Sindaci e le circolari, arriva fino alle linee guida e alle FAQ (Frequently Asked Questions, cioè le risposte alle domande ricorrenti, normalmente su aspetti applicativi dei documenti normativi e amministrativi richiamati). La novità legislativa oggi in esame si inserisce pienamente, per modalità e lessico, nel solco di questa azione di governo.
Occorre peraltro registrare che, durante la pandemia, mentre anche i diritti costituzionalmente garantiti sono stati regolati in senso restrittivo con fonti secondarie come i d.P.C.m., le regole processuali sono state sempre declinate per ogni giurisdizione con legge primaria, ancorché urgente.
A questo dato, senz’altro rivelatore di un’attenzione particolare al mondo della Giustizia, ha tuttavia fatto da contraltare una certa approssimazione nell’uso del lessico e delle categorie giuridiche, della quale è oggi un formidabile emblema proprio la rubrica dell’art. 4 del d.l. n. 137/2020.[5] Per la verità, la mancanza di un uso rigoroso delle categorie giuridiche specialistiche, così come di un corredo definitorio compiuto, al pari di una palpabile asistematicità di alcuni interventi, va indubbiamente imputata a due fattori tra loro concorrenti.
Da un lato, sta il carattere generale e sostanzialmente onnicomprensivo delle fonti, che hanno dovuto ridisciplinare in chiave pandemica praticamente tutti i settori della vita privata e pubblica, con una miriade di norme tra loro sicuramente eterogenee se filtrate con la tradizionale lente utilizzata per il concetto di omogeneità per materia.
Dall’altro, ha assunto un valore dirimente il fattore tempo, tenuto conto che la manomissione di discipline spesso consolidate nei decenni, è stata effettuata con tempi di stesura serrati e, talvolta, senza esaurire tutta la filiera delle interlocuzioni e dei consueti controlli sulla qualità della normazione, ancorché d’urgenza.
Infine, è sotto gli occhi di tutti il fatto che l’attività normativa, già fortemente incisa da questi fattori, ha dovuto subire l’ulteriore difficoltà costituita dall’incalzare di un contesto sanitario quantomai rapido nella sua mutevolezza e foriero di continui adeguamenti delle regole, anche processuali, in un sempre precario equilibrio tra l’esigenza di tutela della salute e quella del mantenimento dell’efficienza dei servizi pubblici.
Il processo civile – e sommamente quello espropriativo – hanno inoltre arricchito la complessità del quadro regolatorio, immettendo con forza nel discorso giuridico anche le istanze provenienti dal mondo economico e da quello produttivo, soprattutto in punto di circolazione dei beni immobili e di immissione sul mercato dei flussi di denaro ricavati dalle vendite forzate.
In questa contingenza, dunque, l’intervento del Consiglio Superiore della Magistratura,[6] nonché delle circolari e delle linee guida dei capi degli Uffici giudiziari, seppure può aver determinato alcune frammentazioni in prassi già omogenee, ha tuttavia avuto l’indiscusso merito di combinare elementi di interpretazione e di applicazione della disciplina nazionale con la realtà economica e sanitaria dei contesti locali, rivelandosi – almeno in potenza – come un fattore di migliore perseguimento di efficienze processuali.
Fatta questa breve premessa sul contesto nel quale si inseriscono le norme oggi in esame, vale la pena di concentrare l’attenzione proprio sull’art. 4 del d.l. n. 137/2020, il quale, come abbiamo visto, ha prorogato fino a dicembre la sospensione delle esecuzioni immobiliari dell’abitazione principale del debitore.[7] Ciò che riproduce, senza risolverne alcuno, tutti gli interrogativi in ordine al reale oggetto della sospensione che l’ormai arcinota atecnicità della locuzione normativa («ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare») ha suscitato.[8]
Quanto ai processi incisi dalla norma, sappiamo che il pendolo dell’interpretazione ha oscillato tra l’idea della sospensione, nel periodo considerato, delle sole procedure pendenti alla data della sua entrata in vigore (30 aprile 2020) e quella della “inibizione” tout-court dell’esercizio o della prosecuzione dell’azione esecutiva, con la sospensione di quella già spiegata, a tale data, mediante la notificazione dell’atto di pignoramento seguita dalla sua trascrizione e dall’iscrizione a ruolo e col divieto di compiere nuovi pignoramenti sull’abitazione principale del debitore.
La conclusione più ragionevole sembra confermarsi quella mediana,[9] ispirata dagli evidenti indici teleologici che emergono dall’incipit della norma, innervandone la gittata. Se infatti la disposizione in parola è stata confezionata «al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19», è evidente che il suo scopo non è affatto quello di inibire l’apposizione del vincolo di destinazione che scaturisce dal compimento del pignoramento e che, di per sé, non impedisce all’esecutato di continuare ad abitare la propria casa; piuttosto, essa mira ad evitare che, nella contingenza della pandemìa, la quale impone particolare rigore nel distanziamento e nella cautela sociale delle condotte, il processo di privazione dell’abitazione principale e i suoi esiti (il rilascio, la ricerca di una nuova abitazione) possano innescare evidenti e diffuse violazioni proprio dei protocolli sanitari stabiliti a presidio del diritto alla salute tutelato dall’art. 32 Cost.
Proprio alla luce dell’apertura lessicale operata dalla locuzione utilizzata dalla norma e, in particolare, dal suo riferimento a «ogni procedura esecutiva», si può allora ragionevolmente continuare a sostenere che quella disposizione non produce l’effetto di inibire lo spiegamento dell’azione esecutiva sull’abitazione principale del debitore. Rimane anzi consentita, anche dopo il 30 aprile 2020, la possibilità di notificare e trascrivere il pignoramento, nonché di iscrivere a ruolo il processo esecutivo, producendosi anche su tali «procedure», al pari di quelle già pendenti a tale data, la sospensione ex lege che dovrebbe percorrere l’intero processo.
Sennonché, la finalità «sanitaria» (e quella sociale alla prima connessa) che ispira la norma non dovrebbe di per sé sola coinvolgere anche tutte quelle attività processuali che, non inibite in via generale da altre norme emergenziali, non determinino lo spossessamento dell’abitazione principale del debitore ovvero non consentano il contatto personale di questi con gli ausiliari della procedura e di tutti costoro coi potenziali acquirenti. In altre parole, proprio la peculiare tecnica di drafting normativo che connota finalisticamente l’art. 54-ter potrebbe finire per irraggiare l’intero percorso processuale espropriativo, individuando, con l’area di intervento, anche i limiti della disposizione. Seguendo questa linea di indagine, invece di uno stato di sospensione generale, si dovrebbe allora concludere che la norma produce la sospensione di «ogni procedura esecutiva» nei soli limiti in cui l’attività processuale e quella procedurale mettano in pericolo il contenimento degli «effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19». Così, i sopralluoghi, le visite e il rilascio, anche dopo la vendita,[10] sarebbero senz’altro vietati. Sarebbero invece consentite – ove non vietate da altre specifiche norme[11] e, comunque, con le cautele di volta involta imposte dall’emergenza – le udienze, la vendita, la distribuzione, gli incidenti oppositivi (compresa la decisione sulla sospensione), la conversione, la riduzione, la dichiarazione di cessazione dell’efficacia del pignoramento.
A complicare questo già complesso dibattito si aggiunge oggi l’innesto, ad opera dell’art. 4 del d.l. n. 137/2020, di una previsione transitoria e stravagante rispetto al corpo dell’art. 54-ter, alla stregua della quale, come si è visto, «E’ inefficace ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore, effettuata dal 25 ottobre 2020 alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Innanzitutto, la data iniziale di operatività della norma: il 25 ottobre 2020.
Secondo il calcolo dei termini per mesi, l’efficacia della sospensione disposta dall’art. 54-ter sarebbe venuta meno il 30 ottobre 2020, mentre la data anticipata del 25 ottobre 2020 non sembra corrispondere a nessuna delle miriadi di termini incrociati finora prodotta dal prolifico normatore; e neppure regge la spiegazione correlata ad un errato calcolo del periodo di sospensione, effettuato per 180 giorni piuttosto che per sei mesi, posto che esso produrrebbe comunque il diverso termine del 27 ottobre 2020. Forse, l’unica spiegazione plausibile risiede nella necessità, tutta pratica, di evitare il congestionamento di pignoramenti sulla prima casa del debitore in un arco di tempo nel quale la bozza provvisoria del decreto-legge, poi approvato nella seduta del Consiglio dei ministri del 27 ottobre e pubblicato solo il giorno successivo, circolava già tra gli addetti ai lavori.
Preso allora atto che il meno congestionato legislatore dell’autunno 2020 ha perso l’occasione sia di fare chiarezza sul pregresso, sia di essere più puntuale nel confezionamento delle nuove norme, non si può non notare come, a differenza dell’art. 54-ter, l’art. 4 del d.l. n. 137/2020 non dispone alcuna sospensione delle procedure esecutive immobiliari sull’abitazione principale del debitore (ché essa, fino al 31 dicembre 2020, è già prevista dal primo periodo di quest’ultima norma), ma dispensa «l’inefficacia» delle medesime procedure espropriative «effettuate» tra il 25 ottobre e la data di entrata in vigore della legge di conversione la quale, secondo quanto disposto dall’art. 77, terzo comma, Cost., deve intervenire entro domenica 27 dicembre 2020 e, cioè, tre giorni prima della scadenza del termine di sospensione.
Il disallineamento dei termini produce dunque un duplice effetto, retroattivo rispetto ai processi espropriativi intrapresi nei quattro giorni che intercorrono tra il 25 e il 29 ottobre (data di entrata in vigore dell’art. 4), anticipatorio rispetto alla data del 30 dicembre, di cessazione della sospensione delle procedure esecutive.
Esso produce anche un’incoerenza, laddove, mentre proroga la sospensione delle espropriazioni immobiliari sull’abitazione principale del debitore fino a fine anno, per un segmento di esse ne dispone anche l’inefficacia in un tempo quasi interamente sovrapponibile con quello del percorso parlamentare di conversione del decreto-legge che l’ha prevista.
Se allora, ad un primo approccio, parrebbe doversi ricercare la ragione di questa previsione fuori dal malcerto collegamento temporale con l’art. 54-ter, cui pure l’unitarietà del luogo normativo (l’art. 4) rimanda con forza, a ben guardare invece l’esito ermeneutico finale non può che sortire proprio dalla combinazione delle due norme.
Utilizzando lo strumento dell’interpretazione secundum constitutionem, va immediatamente scartata una lettura troppo letterale della previsione in esame, dalla quale si ricaverebbe che, nel periodo considerato, è addirittura inibita l’effettuazione di qualsivoglia pignoramento.[12] Il forte limite imposto all’esercizio del diritto di azione costituzionalmente tutelato dall’art. 24 Cost., in questo caso, per quanto già sopra osservato, sarebbe non solo manifestamente non commisurato alla finalità sanitaria della norma prorogata, ma esporrebbe le ragioni dei creditori chirografari al pregiudizio della perdita dell’unica garanzia immobiliare del proprio credito, oggetto di possibili cessioni a terzi.
Pertanto, ancorché in non perfetto accordo con la lettera della legge («E’ inefficace ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare») – la quale pure contiene l’antinomia risultante dalla contestuale evocazione sia della procedura esecutiva (che esiste a valle dell’effettuazione del pignoramento), sia del pignoramento (che la precede e la sostanzia) – il significato della previsione potrebbe essere ridotto alla volontà legislativa di impedire non il compimento del pignoramento (notifica, trascrizione, iscrizione a ruolo), ma qualsiasi attività processuale espropriativa ad esso successiva, che risulterebbe pertanto inefficace. In tal modo, il tratto di innovatività della disposizione, saldandosi con la migliore ermeneutica dell’art. 54-ter, si sostanzierebbe nel fatto che, nel lasso di tempo necessario per la conversione parlamentare, la sospensione del processo esecutivo riguarderebbe tutte le attività processuali e non soltanto quelle volte a privare effettivamente il debitore della propria abitazione.
Dunque, in questo tempo anomalo, in un più ristretto accordo con la finalità dell’art. 54-ter, ben potrà essere eseguito il pignoramento ed iscritto a ruolo il processo esecutivo, la cui sospensione tuttavia dovrebbe riguardare indistintamente tutti i successivi atti d’esecuzione diversi da quelli puramente conservativi, pena la loro inefficacia.
Resta da capire, ma forse l’esercizio va troppo oltre la più fervida immaginazione, quale risultato di aggiustamento è progettato o atteso durante il periodo parlamentare della conversione.
Resta anche da capire di che inefficacia si discorra.
Certamente, l’aver escluso che la norma produca il divieto di effettuare il pignoramento e di instaurare quindi il processo espropriativo consente di concludere che l’inefficacia in questione, devolvibile al giudice dell’esecuzione col mezzo dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., costituisce questa volta per tutti gli atti esecutivi la conseguenza, esplicita e definitiva, della sospensione “aggravata” del processo espropriativo.[13]
Vale infine di spendere qualche parola anche sulla natura e sulle conseguenze della sospensione di cui si discorre (che è quella ex art. 54-ter, secondo la tesi qui sostenuta aggravata nelle conseguenze dall’art. 4 del d.l. n. 137/2020), senz’altro inquadrabile tra le sospensioni ex lege, concorrente con le altre fattispecie di sospensione regolate dal codice di rito,[14] e i cui effetti si producono direttamente per effetto del vigore della norma che le dispone, a prescindere cioè dalla mediazione ricognitiva del giudice.[15]
Ciò posto, c’è da chiedersi se, al venir meno del tempo della sospensione, il processo espropriativo vada riattivato d’ufficio ovvero vada riassunto a cura delle parti, come sembra già oggi adombrare qualche prassi locale[16] e l’opinione di chi evoca l’inderogabilità del precetto di cui all’art. 627 c.pc.[17]
A ben guardare, quest’ultima norma opera in un contesto molto diverso da quello odierno. Essa, più in particolare, delinea il meccanismo riassuntivo secondo tempi e modi che procedono da sospensioni, disposte dal giudice ovvero dalla legge (com’è il caso dell’art. 601 c.p.c.), per consentire lo svolgimento di incidenti processuali singolari e che lo collegano all’esito decisorio di essi. La scelta se riattivare il processo è in quel caso devoluta fisiologicamente alla parte, sulla scorta di una valutazione, tutta di parte appunto e perciò temporizzata, in ordine al proprio peculiare assetto di interessi.
Ora – prescindendo completamente dalle diatribe in ordine all’opportunità di questa previsione, storicizzate attraverso argomentazioni oggi non dirimenti[18] – nel caso di specie, la sospensione per legge delle espropriazioni immobiliari sull’abitazione principale del debitore produce un automatico e generalizzato effetto di paralisi di una parte ovvero dell’intero processo espropriativo. In tal caso, la ripresa dell’attività esecutiva non è filtrata da una decisione giudiziale che compone in modo originale e nuovo gli interessi in gioco, ma piuttosto è la conseguenza, altrettanto automatica e generalizzata, del mero esaurirsi del tempo della sospensione. Rispetto a tale fenomeno, che costituisce il presupposto generale del riavvio della procedura, la possibilità del venir meno anticipatamente della causa di sospensione ovvero dell’interesse del creditore alla prosecuzione della procedura costituisce allora evenienza di rilievo individuale, che va devoluta singolarmente al giudice per produrne l’arresto definitivo, ma che non giustifica il rovesciamento della prospettiva, accollando a ciascun creditore il pesante onere della riassunzione.
Se così è, la ripresa delle procedure immobiliari all’esaurirsi del periodo di sospensione va considerata piuttosto una misura organizzativa generale cui ciascun giudice o Ufficio giudiziario dovrà attendere d’ufficio riorganizzando razionalmente il proprio ruolo.
Nel rimane dunque in attesa di ricevere dagli esiti della fase di conversione del decreto n. 137/2020 conferme o smentite a queste prime considerazioni, non si può che fare voti per una maggiore precisione giuridica della penna parlamentare rispetto a quella governativa. Infatti, se legis virtus haec est: imperare, vetare, permittere, punire, tutto ciò può realmente avvenire soltanto se il precetto normativo è almeno comprensibile.
[1] Su cui v., con particolare efficacia, Caroleo e Ionta, La trattazione scritta. Un arabesco (Art. 221, comma 4, l. n. 77/2020 di conversione al d.l. “Rilancio”), in giustiziainsieme, 29 luglio 2020.
[2] Il comma unico dell’art. 54-ter (Sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa), aggiunto nella fase di conversione del d.l. n. 18/2020 dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, così prevedeva: «Al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da CIVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore».
Quanto alla durata della sospensione inizialmente così prevista, la legge 24 aprile 2020, n. 27, giusta il disposto dell’art. 1, comma 4, è entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione in G.U., avvenuta il 29 aprile 2020, per cui l’art. 54-ter ha spiegato la propria efficacia dal 30 aprile immediatamente successivo, con conseguente scadenza del termine semestrale ivi previsto il 30 ottobre 2020.
Sul punto, tra i molti interventi, cfr. Amendolagine, La sospensione dell’esecuzione immobiliare per l’emergenza Covid-19, in judicium, 9 ottobre 2020; Sassani, Capponi, Panzarola, Farina, Sulla sospensione delle espropriazioni immobiliari aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, in judicium, 20 maggio 2020; Soldi, La sospensione della espropriazione immobiliare ai tempi del coronavirus, in judicium, 19 maggio 2020.
[3] Recita l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 19/2020: «Per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto previsto dal presente decreto, una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 gennaio 2021, termine dello stato di emergenza, e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus». Dallo stravagante (e francamente evitabile) riferimento “a sacco d’ossa” all’art. 1 del d.l. n. 19/2020 dovrebbe ricavarsi che le nuove norme troveranno applicazione fino al 31 gennaio 2021, data finale di efficacia dello stato di emergenza. Resta invece un mistero, nel caso di proroga dello stato di emergenza, se il rinvio così maldestramente operato dovrà intendersi riferito alla data fissa menzionata dalla norma ovvero a quella nuova deliberata dal Consiglio dei ministri. Il tema, tuttavia, potrebbe finire per avere un rilievo modesto ove, ripetendosi il vorticoso susseguirsi di norme della scorsa primavera, verosimilmente quella oggi in esame verrà doppiata da molte altre.
Sul punto v. pure, ancorché commisurato al processo penale, il ragionamento di Agostini e Petrini, Decreto legge Ristori, le disposizioni emergenziali per l’esercizio della attività giurisdizionale, in giustiziainsieme, 30 ottobre 2020, i quali, facendo leva sul disposto dell’art. 221, comma 2, del d.l. 34/2020 (i cui commi da 3 a 10, per effetto di quanto sopra visto, trovano applicazione fino al 31 dicembre 2020), fatto salvo dall’art. 23, comma 1, del d.l. n. 137/2020, evidenziano il problematico coordinamento tra queste tre fonti e concludono nel senso per cui «si può ragionevolmente sostenere che le nuove misure emergenziali attinenti al settore penale previste dall’art. 23 decreto legge 137 del 2020 sono, allo stato, efficaci per trenta giorni dalla entrata in vigore del nuovo testo normativo, termine reiterabile sino al 31 gennaio 2021».
In proposito occorre tuttavia considerare che: 1) proprio l’art. 23, comma 1, secondo periodo, lascia ferme le disposizioni dell’art. 221 cit. «ove non espressamente derogate dalle disposizioni del presente articolo» quanto a contenuto e non quanto a durata, stabilita invece ex novo proprio dal primo periodo dell’art. 23 con esclusivo riferimento all’art. 1 del d.l. n. 19/2020; 2) quest’ultimo, come visto, prevede la possibilità di adottare, anche reiteratamente, per periodi non superiori a trenta giorni, «fino al 31 gennaio 2021, termine dello stato di emergenza» provvedimenti straordinari di limitazione di attività economiche e sociali, di servizi pubblici e privati, di comportamenti.
Alla luce di queste emergenze normative, sembra più coerente con la finalità della nuova norma intendere il richiamo «alla scadenza del termine di cui all’articolo 1 (…)» come riferito al termine finale unico del 31 gennaio 2021 considerato da quella norma e non anche alle possibili modulazioni inframensili che regolano una pluralità di attività sostanzialmente estranee al mondo della giustizia.
[4] Questa pare essere anche l’opinione di Caroleo, Decreto legge Ristori. Cosa cambia nei processi civili, in giustiziainsieme, 30 ottobre 2020.
[5] Come si è visto, la norma modifica l’art. 54-ter del d.l. n. 16/2020, come convertito, la cui rubrica iniziale (Sospensione delle procedure esecutive sulla prima casa) – che pure offriva elementi di contraddizione col contenuto della norma, la quale parla di «abitazione principale del debitore» – è stata malamente riprodotta nell’art. 4 del d.l. n. 137/2020 come “Sospensione delle procedure esecutive nella prima casa” che, generando un nuovo contrasto col contenuto, sembra evocare l’espropriazione mobiliare diretta più che quella immobiliare, al cui richiamo vale infine solo l’univocità del riferimento all’art. 555 c.p.c.
Significative critiche alla qualità della legislazione processuale civile dell’emergenza sono state mosse da molti autori. Sul tema, con specifico riferimento all’esecuzione forzata, v. E. Fabiani e Piccolo, Le misure per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid-19 in tema di processo esecutivo, in questa rivista, 2020, 360 s.
[6] Il riferimento è, in particolare, alla delibera plenaria del 4 giugno 2020 relativa a “L’organizzazione del settore delle procedure esecutive e concorsuali nella “fase 2” dell’emergenza COVID-19”.
[7] Sui contorni di questa non univoca indicazione, v. Fabiani e Piccolo, op. cit., 389 ss.
[8] V., sin da subito, Fanticini, La giustizia dell’animazione sospesa passa in terapia intensiva: gli sviluppi della legislazione d’emergenza nel processo civile, in giustiziainsieme, 10 aprile 2020.
[9] In questi termini, Sassani, Capponi, Panzarola, Farina, Sulla sospensione, cit.; Soldi, op. cit.; Fabiani e Piccolo, op. cit., 388 s.
[10] In questo senso, proprio alla luce di un’interpretazione finalistica della norma, Sassani, Capponi, Panzarola, Farina, Sulla sospensione, cit.
[11] Il riferimento è soprattutto al dato, ormai storicizzato, dell’art. 11 del d.l. n. 23/2020, il quale aveva disposto la sospensione di «ogni altro atto avente efficacia esecutiva» tra il 9 marzo e il 31 agosto, e dell’art. 103 del d.l. n. 18/2020, secondo cui «l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al primo settembre 2020». Su questi temi v. Fabiani e Piccolo, op. cit., 378 ss. e, specialmente, 383 s.
[12] Su questi aspetti v. Sassani-Capponi-Panzarola-Farina, Il decreto Ristori e la giustizia civile. Una prima lettura, in judicium, 3 novembre 2020.
[13] Diversamente Sassani-Capponi-Panzarola-Farina, op. cit., i quali, sul presupposto che per effetto dell’art. 4 del d.l. n. 137/2020 «gli unici pignoramenti fatti salvi siano quelli iscritti a ruolo prima del 25 ottobre», assimilano l’inefficacia in questione a quella che consegue all’aggressione esecutiva di beni parzialmente impignorabili. Da tanto discenderebbe la devolvibilità al g.e. con l’opposizione ex art. 615, secondo comma, c.p.c., ovvero il rilievo ufficioso di questi, impugnabile ai sensi dell’art. 617 c.p.c. e non invece reclamabile secondo la rima dell’art. 630 c.p.c.
[14] Sassani, Capponi, Panzarola, Farina, Sulla sospensione, cit. Ritengono invece che si tratti di una sospensione discendente «da un provvedimento del giudice, ancorché non meramente discrezionale (…), ma obbligatorio, ossia subordinato esclusivamente alla verifica dei presupposti indicati dal legislatore (…)» Fabiani e Piccolo, op. cit., 396.
[15] Per questo profilo, cfr. la delibera del C.S.M. del 4 giugno 2020, cit., secondo la quale «Al fine di garantire la posizione del debitore e di individuare quali procedure esecutive debbano essere sospese ex art. 54 ter e quali, invece, possano proseguire (non rientrando nell’ambito applicativo della norma), è ipotizzabile che il giudice si avvalga dei suoi ausiliari (esperto stimatore, custode e professionista delegato) per effettuare subito una ricognizione generale delle procedure esecutive immobiliari che ha sul ruolo. Sotto questo profilo si può prospettare l’opportunità che il giudice proceda subito alla nomina di un custode per le procedure nelle quali non è stato ancora nominato, proprio allo scopo di accertare preliminarmente la situazione occupativa del bene».
[16] In questi termini le disposizioni, in data 23 giugno 2020, dei Giudici dell’esecuzione della Quarta Sezione civile del Tribunale di Roma i quali, con riguardo alle procedure espropriative sospese ai sensi dell’art. 54-ter che pendono in fase anteriore alla celebrazione dell’udienza ex art. 569 c.p.c. e/o 600 c.p.c., avevano previsto l’onere di riassunzione a carico del creditore ove l’udienza non fosse stata ancora fissata ovvero fosse stata già fissata o rinviata a data successiva al 30 ottobre 2020.
In senso contrario v., però, Trib. Aosta, 30 aprile 2020; ma anche Trib. Cassino 8 maggio 2020 e Trib. Lodi 14 maggio 2020, che hanno concluso per la rifissazione a cura dei professionisti delegati delle vendite eventualmente sospese, tutti richiamati da Fabiani e Piccolo, op. cit., 413 s., note 136 e 137.
[17] Soldi, op. cit., la quale fa leva anche sulle disfunzioni derivanti dalla possibilità del venir meno anticipatamente della causa di sospensione ovvero dell’interesse del creditore alla prosecuzione della procedura.
[18] V., per tutti i riferimenti, Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, in Giur. sist. dir. proc. civ., diretta da Proto Pisani, Torino, 2^ ed., 1993, 396 ss., che dà conto anche dell’opinione, peraltro risalente, di coloro che distinguevano tra atti di parte, per i quali sarebbe addirittura impossibile configurare il ricorso in riassunzione, e atti dell’ufficio, per i quali è invece richiesta l’istanza di parte.
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