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Contro la ritenuta natura giurisdizionale dei provvedimenti di ammissione e di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato e contro l’ipotizzata bifasicità eventuale del procedimento di revoca.
In tema di patrocinio a spese dello Stato in materia civile, il riconoscimento della natura giurisdizionale del decreto di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato comporta che il procedimento di revoca è di primo (e unico) grado è a struttura bifasica eventuale e a contraddittorio differito. L’opposizione al decreto, ex art. 170 d.P.R. 115/2002, non introduce un giudizio di impugnazione in un grado superiore, non essendo ammissibile un primo grado di giudizio senza contraddittorio, ma apre a una fase in prosecuzione nell’unico grado con la costituzione del contraddittorio tra l’opponente, che contesta la legittimità della revoca del patrocinio, e l’opposto (amministrazione della giustizia).
Di Antonio Mondini -
Sommario: 1. Ammissione al patrocinio, revoca del provvedimento di ammissione e opposizione alla revoca (ex art. 170 d.P.R. 115/2002): le tesi della Corte Costituzionale e quelle della Corte di Cassazione e della dottrina. 2. Critica. Ammissione (diniego di ammissione) e revoca come atti amministrativi. 3. L’opposizione come primo momento giurisdizionale. 4 Due precisazioni.
1.La Corte Costituzionale, con la sentenza in epigrafe, ha dichiarato inammissibili, in quanto involgenti scelte discrezionali riservate al legislatore, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’appello di Torino, con ordinanza 22 giugno 2001, n.92, in riferimento agli artt.3 e 97 della Costituzione, dell’art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”) e dell’art. 15 d.lgs. 1° settembre 2011, n.150 (“Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69”), nella parte in cui prevedono, in caso di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la competenza monocratica del «capo» dell’ufficio giudiziario cui appartiene il «magistrato» che ha emesso il provvedimento opposto, anche ove il «magistrato» sia un giudice collegiale ([1]).
Nel punto 2.1. della motivazione, la Corte ha affermato che, all’esito di una “significativa evoluzione sulla questione … della natura dei provvedimenti del giudice in tema di patrocinio a spese dello Stato, che, sino a un certo momento … sono stati ritenuti, anche se promananti dall’autorità giudiziaria, di natura non strettamente giurisdizionale, in quanto assimilabili a forme di giurisdizione volontaria”, si è giunti a ritenere che detti provvedimenti abbiano “naturagiurisdizionale” ([2]).
Al successivo punto 2.2., la Corte ha affermato che, al contrario, “non ha natura giurisdizionale” il provvedimento di ammissione o non ammissione al patrocinio, adottato dal Consiglio dell’ordine degli avvocati (COA) ([3]).
Al punto 3, infine, si legge quanto in massima.
La Corte di Cassazione si è espressa concordemente rispetto alla prima affermazione ([4]); non si è espressa sulla natura del provvedimento del COA; ha sempre parlato dell’opposizione alla revoca, ex art.170, come di un mezzo di impugnazione ([5]) ([6]).
La dottrina è, per lo più, in linea con la Corte di Cassazione ([7]).
2.Le tesi della Consulta, salvo che per quanto concerne la natura amministrativa del provvedimento di ammissione o non ammissione adottato dal COA, non convincono. E neppure, in riferimento all’aspetto di non coincidenza con esse, ossia alla natura dell’opposizione, convincono quelle della Corte di legittimità e della dottrina quasi totalitaria.
Per la Consulta (il Giudice di legittimità e la pressoché unanime dottrina), il provvedimento riguardo alla ammissione o non ammissione al patrocinio non ha natura giurisdizionale se è preso dal COA mentre ha natura giurisdizionale se è preso dal giudice che procede.
Il provvedimento è esattamente identico e l’attività ad esso prodromica (di valutazione dei presupposti per l’ammissione) è la medesima ([8]).
La natura di un provvedimento e la natura dell’attività ad esso prodromica non cambiano a seconda di chi adotta il primo e svolge la seconda ([9]). E’ vero piuttosto il contrario: chi adotta un provvedimento e svolge una certa attività assume differente veste (amministrativa o giurisdizionale) a seconda della natura (amministrativa o giurisdizionale) dell’uno e dell’altra ([10]).
Resta una alternativa: o si tratta di provvedimento e di attività di amministrazione o si tratta di provvedimento e di attività di giurisdizione.
Peraltro, da un lato, ove dovesse ritenersi che il COA, “ente pubblico associativo soggetto a vigilanza del ministero della giustizia” (art.24, l. 247/2012), nello svolgimento della funzione di cui all’art.126 t.u. assuma veste di giudice, l’art.126 verrebbe ad essere in contrasto con l’art.102, comma 2, Cost. che vieta la costituzione di giudici speciali; d’altro lato, il giudice può ben assumere veste di amministratore come avviene, oltre che per tutti i procedimenti di amministrazione della giurisdizione, per tutti i procedimenti di c.d. giurisdizione “costituzionalmente non necessaria” laddove il giudice “gestisce interessi” che “il legislatore ordinario potrebbe legittimamente rimettere, nella sua discrezionalità anche in toto … alla potestà amministrativa” ([11]) o, in altri termini, laddove “il giudice è chiamato ad intervenire non per esercitare il potere giurisdizionale sebbene per curare un interesse che la legge gli affida unicamente in considerazione delle sue qualità soggettive” ([12]).
Al fine di giustificare quanto sostenuto in favore del secondo corno dell’alternativa sopra individuata, la Corte Costituzionale, nel punto 2.1. della motivazione, ha affermato, in riferimento ai provvedimenti del giudice -ma, stante quanto detto sopra, l’affermazione dovrebbe valere anche in riferimento ai provvedimenti del COA, salvo il segnalato contrasto dell’art.126 t.u. rispetto all’art. 102 Cost.- che la “funzionalità di siffatti provvedimenti all’esercizio del diritto di azione e difesa in giudizio ha, nel tempo … portato a delinearne la natura giurisdizionale … in quanto, nel decidere se spetti il patrocinio a spese dello Stato, il giudice esercita una funzione giurisdizionale avente ad oggetto l’accertamento della sussistenza di un diritto, peraltro dotato di fondamento costituzionale”.
La frase non è conducente: quanto alla prima parte, i provvedimenti di ammissione o non ammissione al beneficio non sono funzionali al diritto di agire in giudizio; ciò che è funzionale al diritto di agire è il beneficio; dalla funzione del beneficio non si ricava in alcun modo la natura del provvedimento in forza del quale il beneficio è riconosciuto o negato. La parte della frase in esame introdotta dall’espressione “in quanto”, che nella costruzione sintattica dovrebbe spiegare come dalla “funzionalità dei provvedimenti” è stato possibile giungere a ritenerne la natura giurisdizionale, non serve allo scopo e, per quanto appena detto, non può servire allo scopo. Inoltre, in sé considerata, l’affermazione per cui l’attività di accertamento dei presupposti per il riconoscimento del patrocinio, per il solo fatto di essere svolta da un giudice, è un’attività giurisdizionale, non è corretta potendovi essere, come già ricordato, attività che, pur se svolte dal giudice, sono amministrative.
Al di là di quanto precede, sta il fatto che, in realtà, il giusto corno dell’alternativa non è secondo ma il primo.
L’intervento del COA a cui l’istanza sia proposta e l’intervento del giudice a cui l’istanza sia riproposta hanno natura amministrativa: l’interessato chiede di fruire di un’erogazione di denaro pubblico a carico della amministrazione della giustizia ([13]); il COA e il giudice, per legge -legge ispirata ad evidenti motivi di opportunità dati dalla vicinanza alla causa proponenda o proposta-, chiamati a svolgere un compito che altrimenti sarebbe spettato ad organi del ministero della giustizia, valutano se ricorrono i presupposti di legge per la concessione del beneficio e, a seconda dei casi, ammettono o non ammettono l’interessato a fruirne.
A monte dell’intervento del COA o del giudice vi è solo un interesse pretensivo nei confronti dell’amministrazione della giustizia e non un diritto o un interesse che tale amministrazione abbia leso e per cui si chieda tutela ([14]). L’attività del COA o del giudice si sostanzia nel gestire, in sostituzione del ministero della giustizia, l’interesse pubblico alla corretta ripartizione delle risorse erariali destinate al patrocinio dei non abbienti ([15]), non nel “dire il diritto nel caso concreto”, nel risolvere una controversia: mancano quindi sia il presupposto che la sostanza della giurisdizione([16]).
Identica natura amministrativa va riconosciuta alla revoca. Essa può essere disposta per sopravvenuto superamento della soglia reddituale di ammissione o per accertata assenza ab origine delle condizioni di ammissione ([17]). Nel primo caso, la revoca è ancora espressione del costante potere-dovere del giudice di curare l’interesse pubblico alla corretta ripartizione delle risorse erariali destinate al patrocinio dei non abbienti. Nel secondo caso, la revoca è altresì espressione del concorrente potere di sanzionare l’abusivo ricorso al beneficio. In ogni caso è un atto autoritativo.
3.Su queste basi non può condividersi la tesi per cui l’opposizione alla revoca “apre a una fase in prosecuzione nell’unico grado di giudizio” che inizia su atto d’impulso dell’amministrazione finanziaria (o della Guardia di Finanza) o su autonomo impulso d’ufficio, passa per il provvedimento di revoca e prosegue fino alla decisione di conferma o di revoca della revoca stessa; e deve anche negarsi che l’opposizione sia (come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina maggioritaria) un giudizio di secondo grado che segue quello sulla revoca (e tende a rivalutarne i presupposti).
L’opposizione è il giudizio (monofasico) di primo ed unico grado, di impugnazione del provvedimento amministrativo di revoca. E’ il controllo di legalità su atto amministrativo. Costituisce attuazione dell’art.113 della Costituzione.
La Corte avrebbe dovuto risolvere le questioni di legittimità sottopostele dalla Corte di Appello di Torino in riferimento all’art.3 Costituzione ([18]) mediante la semplice riproposizione dell’argomento contenuto nella propria sentenza 28 gennaio 2005, n. 52 ([19]) con cui fu dichiarata “infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, 3º comma, d.leg. 30 maggio 2002 n. 113, come riprodotto nel d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, nella parte in cui dispone che nel processo di opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello stato o di revoca dell’ammissione già accordata, l’ufficio giudiziario procede in composizione monocratica, anche quando tali provvedimenti siano stati adottati da un giudice collegiale, in riferimento agli art. 3 e, in relazione all’art. 7 l. 8 marzo 1999 n. 50, come modificato dall’art. 1 l. 24 novembre 2000 n. 340, 76 Cost. In quella sentenza la Corte argomentò come segue: “E’ sufficiente osservare che il provvedimento sul quale si pronuncia il giudice dell’opposizione è un provvedimento amministrativo, anche se adottato da un organo giudiziario, con la conseguenza che … nessuna irragionevolezza è ravvisabile nella scelta del legislatore di affidare la cognizione di un provvedimento amministrativo ad un giudice monocratico”.
4.Due precisazioni.
Paiono infine opportune due precisazioni.
La prima: quanto detto per l’opposizione al provvedimento di revoca vale anche per l’opposizione al provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione adottato dal giudice a cui l’istanza sia riproposta dopo essere stata rigettata o dichiarata infondata dal COA ([20]). Un ricorso in opposizione contro il provvedimento del COA sarebbe invece inammissibile per difetto di interesse (art.101 c.p.c.) avendo l’istante la possibilità di riproporre la domanda di ammissione al giudice.
La seconda: contro la decisione ammissiva del COA o del giudice e contro la decisione del giudice di non revocare l’ammissione malgrado l’atto di impulso ricevuto dalla amministrazione finanziaria (o della Guardia di Finanza) ex art.127 d.P.R.115/2002, non è prevista né ipotizzabile alcuna opposizione: il COA e il giudice agiscono in sostituzione dell’amministrazione della giustizia e pertanto quest’ultima non può attivare un sindacato giurisdizionale contro gli atti dell’uno o dell’altro.
[1]La sentenza è stata pubblicata in Foro it. 2020, I, 2229, con nota di richiami; in Dir. e pratica lav.,2020, 1337 e in il processocivile.it, fascicolo 28 maggio 2020 con nota di Scalera, Non è incostituzionale la disciplina sull’opposizione alla revoca del patrocinio a spese dello Stato
[2] La Corte cita come precedenti conformi le ordinanze 6 marzo 2019, n. 35, in Foro it. anno 2019, parte I, col. 1512; e 1 giugno 2016, n. 128, in www.cortecostituzionale.it, 2016. V. altresì in senso conforme sentenza 19 novembre 2015, n.237, in Foro it., 2016, parte I, col. 13, in www.cortecostituzionale.it, 2015, in Questioni dir. famiglia, 2015, fasc. 11, 22, in Riv. neldiritto, 2016, 298, in Cass. pen., 2016, 974 e in Rass. forense, 2015, 917; sentenza 24 settembre 2015, n.192, in Foro it. 2016, parte I, col. 739; ordinanza 14 aprile 1999, n.144, in Giur. costit., 1999, 1156 (quest’ultima relativa a dubbi di legittimità costituzionale dell’art.1, comma 8, della legge 30 luglio 1990, n. 217, nella parte in cui esclude(va) il patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei procedimenti penali concernenti contravvenzioni, tranne quando questi siano riuniti o connessi a procedimenti per delitti).
[3] Ai sensi dell’art. 126 d.P.R. 115/2002, il COA, “nei dieci giorni successivi a quello in cui è stata presentata o è pervenuta l’istanza di ammissione … verificata l’ammissibilità dell’istanza, ammette l’interessato in via anticipata e provvisoria al patrocinio se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista, ricorrono le condizioni di reddito cui l’ammissione al beneficio è subordinata e se le pretese che l’interessato intende far valere non appaiono manifestamente infondate”. La norma parla di ammissione “in via anticipata e provvisoria al patrocinio“. Tuttavia, posto che, a differenza di quanto avveniva nella vigenza della l. 30 luglio 1990, n. 217, come modificata dalla l. 29 marzo 2001, n.134, art. 15 terdecies («Pronuncia del giudice sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato») allorché il giudice era sempre chiamato a confermare, modificare o revocare il provvedimento del COA, nell’attuale assetto normativo il giudice interviene solo ove sussistano le condizioni della revoca previste dall’art.136 del d.P.R. 115/2002, le decisioni del COA “solo formalmente continuano a definirsi «provvisorie» e «anticipate» ma di fatto sono definitive” (il virgolettato è di Scarselli, Il nuovo patrocinio a spese dello Stato nei processi civili ed amministrativi, Padova 2003, p. 242).
[4] Cass., SU 20 febbraio 2020, n. 4315, in www.lanuovaproceduracivile.com, 2020; in Guida al dir., 2020, fasc. 29, p.82, con nota di Sacchettini. Ex art.125 d.P.R.115/2002, la revoca può essere disposta dal giudice su richiesta dell’ufficio finanziario. E’ discusso se analogo potere di iniziativa spetti alla Guardia di Finanza alla quale, in base alla lettera del medesimo articolo, spetta solo di compiere, su delega del giudice, “la verifica della posizione fiscale dell’istante e dei conviventi” onde accertare se il primo abbia avuto e abbia mantenuto le condizioni reddituali di ammissioni. In dottrina si ritiene che la Guardia di Finanza possa solo notiziare l’ufficio finanziario degli esiti dei controlli fatti e sollecitare l’ufficio affinché quest’ultimo si attivi presso il giudice (Vaccari, Il patrocinio a spese dello Stato, Milano 2015, 67; Scalera, La revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, in processocivile.com). La Corte di legittimità, tuttavia, ha affermato il contrario (Cass. 15 dicembre 2011, n. 26966, in www.italgiure.web) sia pure con motivazione centrata sulla applicabilità -qui ritenuta ma, in più occasioni negata dalla stessa Corte- al processo civile delle disposizioni riguardanti il processo penale. E’, al contrario, indiscusso che la revoca possa essere disposta anche dal giudice d’ufficio allorché i dati emergenti o dalle produzioni richieste dal giudice stesso alla parte o dal materiale istruttorio della causa o dalle verifiche presso l’anagrafe tributaria ne evidenzino i presupposti (in dottrina Vaccari, ibidem, 69; Mondini, Sulla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in materia civile, in pubblicazione su www.giustiziacivile.it.; in giurisprudenza, oltre alla sentenza in commento, Cass. 15 dicembre 2011, n.26966, in wwwitalgiure.web). Come si dirà oltre nel testo, la revoca è espressione di quello stesso potere-dovere del giudice di curare, in sostituzione dell’amministrazione della giustizia, l’interesse pubblico alla corretta ripartizione delle risorse erariali destinate al patrocinio dei non abbienti, che si esprime con l’atto autoritativo di ammissione. Il principio di persistenza o continuità della cura dell’interesse pubblico (art.97 Cost) è la ragione per cui sull’iniziativa d’ufficio non possono esservi dubbi.
[5] Come ricordato dalla Consulta (punto 2.3. della motivazione), l’unica disposizione del d.P.R.115/2002 sull’impugnazione della revoca, è quella dell’art. 113 “che però riguarda solo la revoca del beneficio in materia penale e solo uno dei casi tra quelli catalogati nell’art.112, comma 1”. In materia civile, la posizione secondo cui, in mancanza di espressa previsione normativa, sarebbero state applicabili per analogia le norme dettate in materia di procedimenti penali, “le quali, in virtù del combinato disposto degli artt. 113 e 112, primo comma, lettera d), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, prevedono l’impugnazione del decreto di revoca con il ricorso per cassazione ove la revoca avvenga d’ufficio o su richiesta dell’ufficio finanziario, dovendo negli altri casi il provvedimento essere impugnato con ricorso al presidente del tribunale o della corte d’appello ai quali appartiene il magistrato che ha emesso il decreto di revoca” (Cass.,15 dicembre 2011, n. 26966), è ormai abbandonata. Del pari è stata superata la tesi secondo la quale ove “la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio [fosse stata] adottata con la sentenza che definisce la causa, la stessa [avrebbe dovuto essere] impugnata con il rimedio ordinario dell’appello, senza che sia configurabile una separata opposizione ex art. 170 del d. P.R. n. 115 del 2002” (Cass.13 aprile 2016, n. 1791). La posizione consolidata della giurisprudenza della Corte è ormai quella espressa già con la sentenza 23 giugno 2011, n.13807: “In tema di gratuito patrocinio, il mezzo impugnatorio avverso il provvedimento di revoca della ammissione al patrocinio a spese dello Stato in sede civile, ai sensi dell’art. 136 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, deve individuarsi, in mancanza di espressa previsione normativa, non nella disciplina penalistica dettata dagli artt. 99, 112 e 113 del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, ma nell’art. 170 del medesimo decreto che, pur rivolto a regolare l’opposizione ai decreti di pagamento in favore dell’ausiliario, del custode e delle imprese private incaricate della demolizione e riduzione in pristino, deve ritenersi estensibile alle opposizioni ai provvedimenti di revoca dell’ammissione al detto patrocinio deliberati dal giudice civile, configurando tale disposizione un rimedio generale contro tutti i decreti in materia di liquidazione, che non sono provvedimenti definitivi e decisori, ma mere liquidazioni o rifiuti di liquidazione, e, quindi, esperibile necessariamente contro un decreto del magistrato del processo che la rifiuti”. Tra le più recenti massimate, v. Su 20 febbraio 2020, n.4315; sez.1, ord. 28/07/2020, n.16117; Sez.1, ord. 3/06/2020, n.10487; Sez. 3, ord. 8 febbraio 2018,n.3028; Sez. 2, sentenza 6 dicembre 2017,n.29228, tutte nel senso che “Il provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, comunque pronunciato (sia con separato decreto che all’interno del provvedimento di merito) deve essere sempre considerato autonomo e di conseguenza soggetto ad un separato regime di impugnazione ovvero l’opposizione ex art.170 del d.P.R. n. 115 del 2002 e 15 del d.lgs. n.150 del 2011”. V. altresì Sez.6-2, ord. 22 gennaio 2019. n. 1684, la quale ha precisato che “La revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato disposta non dall’organo collegiale che aveva pronunciato la sentenza passata in giudicato, ma solo dal suo Presidente, nonostante la legge non attribuisca a quest’ultimo tale potere, è nulla, ricorrendo un vizio di costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 c.p.c. Ne consegue che il giudice dell’opposizione ex art. 170 d.P.R. n.115 del 2002, rilevata anche in via ufficiosa la nullità di detta revoca, deve decidere la causa nel merito senza rimetterla al primo giudice, non ricorrendo alcuna delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 354 c.p.c.”.
[6] Sono da segnalare le disomogenee pronunce rese dalla Corte in tema di opposizione a decreto di liquidazione delle spettanze del difensore. Isolata l’ordinanza 9/4/2019, n.9911, del tutto in linea con quanto affermato dalla Consulta nella sentenza in epigrafe,: “l’opposizione al decreto di liquidazione del compenso del difensore di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo” (L’ordinanza rinvia per confronto a “Cass. n. 19348 del 2015; Cass. n. 22704 del 2017”. Queste ultime, tuttavia, attengono ad altra materia). Con ordinanza 30 gennaio 2020, n.2206, preceduta dalla sentenza 22 gennaio 2018 n.1470, la Corte ha invece detto che “il ricorso avverso il decreto di liquidazione del compenso all’ausiliario del magistrato, nel regime introdotto dall’art.170 del d.P.R. n.115 del 2002 – come già nella vigenza della l. n 319 del 1980 -, non è atto di impugnazione, ma atto introduttivo di un procedimento contenzioso”.
[7] Vaccari, Il patrocinio a spese dello Stato nei processi civili, Milano, 2020 (il quale, in riferimento alla revoca, sostiene -sullo specifico punto ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità (da ultimo Sezioni Unite n. 4315/2020, cit.)- che la stessa, ove adottata d’ufficio o su sollecitazione dell’amministrazione finanziaria, presupponga che all’interessato sia data la possibilità di contraddire (p.205)) e Scarselli, op.cit., pp.242 ss.. (che parla della decisione del COA come “decisione amministrativa”, dei provvedimenti del giudice come provvedimenti di giurisdizione, della revoca, segnatamente, come di un “provvedimento a cognizione sommaria”. In merito al mezzo di impugnazione della revoca, peraltro, l’Autore, da un lato, ritiene che l’appello sia soluzione di difficile percorribilità in concreto, dall’altro, che l’opposizione sia soluzione, pur preferibile, che tuttavia non potrebbe essere adottata in virtà di applicazione analogica dell’art. 170 T.U. richiedendo invece una “dichiarazione di incostituzionalità dell’art.136 T.U. spese di giustizia nella parte in cui non contempla il rimedio di cui all’art.170 per i provvedimenti di revoca”. Merita sottolineare che, secondo l’Autore, dato il carattere amministrativo della pronuncia del COA, per evitare contrasti con l’art.102,comma 2, Cost., sarebbe imprescindibile che detta pronuncia fosse sottoposta al controllo dell’autorità giudiziaria il che imporrebbe di “considerare l’espressione dell’art.136, comma 2° t.u. «con decreto il magistrato revoca l’ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati se risulta l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione», come inciso che impone in ogni caso al giudice l’obbligo di verificare se vi è (o vi era) « l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione », e di provvedere con decreto alla eventuale revoca se risulta l’insussistenza dei presupposti oppure la parte ha agito con mala fede o colpa grave, oppure di dar cenno con la sentenza di merito che una simile indagine è stata compiuta e che non si ritengono sussistere i presupposti per provvedere alla revoca dell’ammissione al patrocinio (con un provvedimento che, così, indirettamente, provvede a «confermare» la decisione amministrativa assunta in « via anticipata e provvisoria » dai consigli degli ordini forensi nel rispetto dell’art. 102, 2° comma Cost..)”. Con particolare riguardo alla natura -ritenuta giurisdizionale- dei provvedimenti del giudice in materia di patrocinio e alla opposizione come strumento di impugnazione della revoca, nonostante la perplessità riguardo all’analogia legis fondante l’estensione del rimedio previsto solo per l’atto di liquidazione del compenso, v. altresì Cossignani, Tutela giurisdizionale e giusto processo in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, cit., 419 ss. Con riguardo alla qualificazione dell’opposizione come mezzo di impugnazione dei provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice in materia di patrocinio, v.altresì Scalera, L’avvocato non è legittimato ad impugnare il provvedimento di revoca del gratuito patrocinio, in www.ilprocessocivile.it. Sull’insieme delle problematiche in esame, in senso diverso, Luiso, Orientamenti giurisprudenziali sul patrocinio a spese dello Stato in materia civile, in www.judicium.it, le cui tesi di fondo -‘‘il diniego di ammissione e la revoca […] appartengono alla giurisdizione volontaria” e non hanno quindi portata decisoria e definitiva’’; sono “atti autoritativi”; nei loro confronti ‘‘è sempre possibile l’esperimento di uno strumento contenzioso, idoneo a garantire il controllo di legalità, costituzionalmente necessario contro tutti gli atti autoritativi’’-, sono sviluppate come nel testo.
[8] Nella relazione di accompagnamento al d.P.R.115/2002 si legge, a commento dell’art.126, che la “decisione del giudice ha funzione di “appello” rispetto alla decisione negativa del consiglio dell’ordine degli avvocati”. Il termine appello, significativamente messo tra virgolette, non può indurre a considerare tale decisione come provvedimento di impugnazione del provvedimento amministrativo del COA. Il testo dell’art.126 parla infatti di istanza che, se rigettata o dichiarata inammissibile dal COA, viene (ri)“proposta” al magistrato. In questo senso, v. Cass. 10/4/2019, n. 9038 e Cass. 04/09/2017, n. 20710, secondo cui “l’ordinamento non configura la proposizione dell’istanza di ammissione al magistrato competente per il giudizio, dopo che il consiglio dell’ordine ne abbia dichiarato il rigetto o l’inammissibilità, come un rimedio di carattere impugnatorio. Epperò, la ratio di garanzia dell’effettività del diritto di azione e difesa in giudizio del non abbiente impone di ritenere che il procedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato – quando articolato nella ripresentazione al magistrato competente, e senza soluzione di continuità, della medesima istanza già rigettata o dichiarata inammissibile dal consiglio dell’ordine – consenta, nella sua unitarietà, di esprimere uno strumento di controllo e di riesame nei confronti dell’atto del consiglio dell’ordine che abbia negato l’ammissione e, così, di rimediare, attraverso la successiva decisione affidata al magistrato, a una deliberazione iniziale errata dell’ordine professionale”.
[9] Sul punto, che malgrado una posizione dottrinaria del tutto isolata in contrario (Montesano, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, seconda ed., 1995, 19) pare imporsi per logica, v. la considerazione di Scarselli, La tutela dei diritti dinanzi alle autorità garanti, I, Giurisdizione e amministrazione, Milano 2000, p.199, secondo cui distinguere la funzione amministrativa dalla funzione giurisdizionale in base alla “qualità soggettiva di chi esplica l’attività” significherebbe vanificare “la stessa disciplina dell’art. 102 Cost. proprio perché è la stessa nozione di giudice speciale ad escludere che il criterio soggettivo possa essere accolto per distinguere giurisdizione da amministrazione. E infatti il criterio soggettivo inserirebbe nel sistema una logica secondo la quale o l’attività è svolta da giudice ordinario e allora non v’è problema, oppure è svolta dalla pubblica amministrazione, e allora non vi sarebbe problema ugualmente, in quanto tale attività costituirebbe per ciò solo, sempre e soltanto esercizio di una amministrazione e non di una giurisdizione. E’ ovvio invece che nella misura in cui la nostra Costituzione fa riferimento al giudice speciale, essa fa riferimento alla possibilità che funzioni giurisdizionali possano essere attribuite anche ad organi non riconducibili alla magistratura ordinaria e quindi la norma esclude che si possa individuare un potere attraverso l’analisi della qualità soggettiva di chi lo esercita”.
[10] A questa affermazione è sotteso che amministrazione e giurisdizione siano distinguibili sulla base di un criterio diverso da quello soggettivo o formale. In dottrina, pur nella varietà delle accentuazioni, viene fatto riferimento ad un criterio legato al presupposto e alla struttura o alla funzione dell’attività. La giurisdizione, a differenza dell’amministrazione, presuppone un conflitto ed ha la funzione specifica di comporlo (Carnelutti, Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1936, I, 230); la giurisdizione, altrimenti detto, segue al(la affermazione del) compimento di un illecito (Luiso, Diritto processuale civile, 2019, decima ed., IV, I processi speciali, p.309-310); essa è, dunque, un’attività “secondaria di attuazione del diritto nel caso concreto” (Calamandrei, Limiti tra giurisdizione e amministrazione nella sentenza civile, in Opere, Napoli, 1963, I, 63), laddove l’amministrazione non ha alle spalle un conflitto, non ha carattere sostitutivo ma è attività primaria diretta alla gestione dell’interesse pubblico specifico fissato dalla legge.
[11] Proto Pisani, Diritto Processuale civile, terza ed. 1999, p.10 e 727 s.
[13] Ex art. 185, comma 1, d.P.R. 115 del 2002, l’onere degli esborsi correlativi all’ammissione grava sul bilancio del ministero della Giustizia (ed è in concreto gestito attraverso aperture di credito a favore dei funzionari delegati).
[14] Per la precisione: a monte dell’intervento del COA o del giudice vi è certamente anche (la prospettazione di) un diritto o (di) un interesse leso e rispetto alla cui tutela il beneficio preteso è funzionale. L’interesse pretensivo di cui trattasi è tutt’altra situazione giuridica.
[15] Corte Costituzionale 6 marzo 2019, n.35, punto 3.1 «[i]n tema di patrocinio a spese dello Stato, è cruciale l’individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia».
[17] Ai sensi dell’art.136 del d.P.R.115/2002, “1.Se nel corso del processo sopravvengono modifiche delle condizioni reddituali rilevanti ai fini dell’ammissione al patrocinio, il magistrato che procede revoca il provvedimento di ammissione. 2.Con decreto il magistrato revoca l’ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati, se risulta l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione ovvero se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave. 3.La revoca ha effetto dal momento dell’accertamento delle modificazioni reddituali, indicato nel provvedimento del magistrato; in tutti gli altri casi ha efficacia retroattiva”. La lettera dell’art.136 fa riferimento alla revoca del solo provvedimento di ammissione emesso dal consiglio dell’ordine; è indubbio tuttavia che la norma si applica estensivamente al provvedimento di ammissione adottato, ai sensi dell’art.126, ultimo comma, dal giudice che procede al quale l’interessato abbia riproposto la domanda respinta o dichiarata inammissibile dal consiglio dell’ordine. Ad un’ipotesi di accertamento della insussistenza delle condizioni ritenute sussistenti ex ante, si riconduce la revoca conseguente alla ritenuta mala fede o colpa grave del beneficiario. Come sottolineato dalla Corte costituzionale in un passo della ordinanza 17 luglio 2009, n. 220, in Giur. costit., 2009, 2539 e in Giust. civ., 2009, I, 2341, la valutazione ex post della sussistenza della malafede o della colpa grave “si correla alla «meritevolezza» dell’azione o della difesa della parte beneficiaria dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato”. Questa valutazione, doppia e assorbe quella sulla non manifesta infondatezza della pretesa, già fatta ex ante, al momento della presentazione della domanda di ammissione. Sul provvedimento di revoca e sui relativi presupposti, v. in dottrina, oltre alle opere generali citate nella nota 7, Vaccari, La revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile alla luce di alcuni orientamenti giurisprudenziali inediti, in www.judicium.it.; nonché, con particolare riguardo alla giurisprudenza di legittimità, a firma di chi scrive, Sulla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in materia civile, in pubblicazione su www.giustiziacivile.it.
[18]Per le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art.97 valendo il rilievo di cui al punto 4.2. della motivazione per il quale, “secondo costante giurisprudenza costituzionale, il principio di buon andamento, di cui all’evocato parametro, è “riferibile all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all’organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, non all’attività giurisdizionale in senso stretto” (ex multis, sentenze n.90 del 2019 e n.91 del 2018)”.
[19] La sentenza che, invece, nel provvedimento in epigrafe è definita come espressiva di orientamento ormai superato, può essere letta in Foro it., 2005, I, 614; in Giust. pen., 2005, I, 189 e in Giur. Costit., 2005, 505.
[20] Cass. 11 settembre 2018, n. 21997; Cass. 11 novembre 2011, n. 23634; Cass. 17 ottobre 2011, n. 21400; Cass. 27 maggio 2008, n.13833.
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