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BREVI RIFLESSIONI SUL DISEGNO DI LEGGE N. 844 (AZIONE DI CLASSE) E SU ALCUNE PROPOSTE DI EMENDAMENTI
Di Giulia Mazzaferro -
Sommario: 1. Introduzione – 2. Ampliamento dell’ambito soggettivo e oggettivo della tutela – 3. Disposizioni che prevedono un favor per il ricorrente – 4. Regime dell’ordinanza di inammissibilità – 5. Proposte relative all’esibizione delle prove e ai danni punitivi.
1. Il 4 ottobre 2018 è stato trasmesso alla Presidenza del Senato della Repubblica, dal Presidente della Camera dei deputati, il disegno di legge A.S. 844 contenente disposizioni in materia di azione di classe. Il contenuto del provvedimento è in gran parte coincidente con la proposta di legge A.C. 791, la quale, approvata dalla Camera con modifiche, riproduceva a sua volta il testo frutto di un lavoro iniziato nella scorsa legislatura con l’atto Senato n. 1950.
Attualmente assegnato alle commissioni riunite 2ª e 10ª per la trattazione in sede redigente, il disegno di legge mira a trasferire la disciplina dell’azione di classe, al momento contenuta nel decreto legislativo n. 206 del 2005 (c.d. Codice del consumo) all’interno del codice di procedura civile[1], e al contempo a potenziarne l’ambito di applicazione e la portata.
Invero, la disciplina dell’azione di classe prevista dall’art. 140-bis del Codice del consumo fino ad oggi ha evidenziato diverse criticità nel suo funzionamento pratico e il fenomeno dell’azione di classe è rimasto in Italia uno strumento tutto sommato poco efficace a fini della tutela collettiva risarcitoria. Si tratta si una inadeguatezza funzionale che non è stata un effetto casuale, bensì il risultato prevedibile di un intervento normativo richiesto a determinate condizioni, in un dato momento storico-politico che imponeva al legislatore l’introduzione di un meccanismo di tutela risarcitoria collettiva in linea con le aspettative europee.
L’esiguo numero di azioni promosse durante questi anni, dovuto a tempi e costi della procedura, e soprattutto il difficile superamento della valutazione preventiva di ammissibilità delle azioni proposte, hanno indotto alla riscrittura dell’istituto secondo un ripensamento abbastanza radicale. Il disegno di legge propone infatti una profonda riforma dell’azione risarcitoria di classe. Esso induce a riflettere sulla sua adeguatezza, da un lato, rispetto all’esperienza pratica dei problemi concreti su cui la giurisprudenza interna ha avuto modo di confrontarsi nell’applicazione della disciplina collettiva risarcitoria e inibitoria e, dall’altro lato, rispetto alle prospettive de iure condendo del legislatore comunitario.[2] Dall’Unione europea provengono infatti linee guida in tema di tutela collettiva che si rinvengono nella Raccomandazione della Commissione 2013/396/UE[3] e nella successiva proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio COM(2018) 184.[4] Le valutazioni ivi previste prendono le mosse dalla necessità di adottare misure legislative che prevedano una strada comune per gli Stati membri nell’adozione e nell’utilizzo del ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria.[5]
2. Tra le novità più rilevanti introdotte dal disegno di legge sull’azione di classe, salta immediatamente agli occhi l’estensione dell’ambito di applicazione soggettivo, realizzata attraverso la previsione di una legittimazione attiva generalizzata e non più limitata alla sola categoria dei consumatori e utenti, nei confronti dei quali non viene fatto alcun riferimento nel testo del nuovo art. 840-bis.[6]
Tale apertura connota un evidente cambio di rotta dell’azione di classe: infatti, fino ad oggi la caratteristica di essere uno strumento indirizzato ad una categoria ben definita di soggetti era considerata uno degli elementi che distingueva l’azione di classe del nostro ordinamento dalla class action statunitense, la quale si configura come strumento neutro, applicabile ad ogni tipo di illecito.[7]
Peraltro, nonostante venga garantita la possibilità a ciascun componente della classe di esperire singolarmente l’azione, è stata mantenuta la legittimazione ad agire in favore delle organizzazioni o delle associazioni senza scopo di lucro.[8] A tal riguardo, ancora sul modello della class action nordamericana, viene introdotto il riscontro del requisito dell’adequacy, e la conseguente necessità che gli enti legittimati ad agire siano soltanto quelli iscritti in un elenco pubblico istituito presso il Ministero della giustizia.[9]
Conseguenza dell’estensione generalizzata a chiunque della legittimazione ad agire, è la possibilità di avvalersi dello strumento di tutela collettiva anche da parte delle imprese che abbiano subito un pregiudizio a seguito di condotte lesive poste in essere da grandi imprese private e/o pubbliche. Fin ad oggi, la scelta del legislatore interno era stata quella di limitare tale istituto alle sole controversie consumeristiche, e quindi escludere dal novero dei potenziali ricorrenti l’intera categoria delle imprese.
Se da un lato tale novità viene salutata con favore dagli organismi di rappresentanza delle imprese impegnate nel commercio[10], d’altro lato sembra porsi in contrasto con la volontà del legislatore europeo che, nella predetta proposta di direttiva sui ricorsi collettivi, limita l’ambito d’applicazione di tali giudizi ai soli rapporti tra imprese e consumatori.[11]
Merita, altresì, rilievo la novità introdotta nell’impianto del d.d.l. in oggetto relativa all’estensione dell’ambito di applicazione delle azioni di classe anche dal punto di vista oggettivo. Un breve excursus sul punto chiarisce l’evoluzione dell’oggetto della tutela. La legge n. 99/2009 aveva delimitato l’oggetto del processo avviato con l’azione di classe ai diritti individuali “omogenei” facenti capo a consumatori e utenti, ma avendo altresì mantenuto il riferimento, in varie parti dell’art. 140-bis, al requisito dell’identità dei diritti, aveva generato profonde incertezze sul piano interpretativo.[12]
Era quindi invenuto il d. l. n. 1/2012, il quale oltre ad aver aggiunto il riferimento agli interessi collettivi – con lo scopo di tutelare attraverso l’azione di classe un interesse realmente diffuso tra la categoria dei consumatori – aveva altresì eliminato ogni riferimento alla nozione di identità, la quale, in conflitto con il concetto di omogeneità, causava altresì dubbi e incertezze giurisprudenziali.[13]
Con il disegno di legge in oggetto viene, in primo luogo, eliminato ogni riferimento alla tutela degli interessi collettivi, la quale già dai tempi della sua introduzione era parsa ad autorevole dottrina non in grado di essere garantita attraverso l’azione di classe. Era stato evidenziato, invero, che dal momento che gli interessi collettivi assumono rilevanza formale soltanto qualora si palesi l’esigenza di prevenire o evitare un danno, la tutela di questi viene maggiormente garantita nell’ambito di azioni volte ad ottenere provvedimenti inibitori.[14]
In secondo luogo, nel disegno di legge al vaglio del Senato scompare del tutto il riferimento ai limiti oggettivi di cui al comma 2 dell’art. 140-bis, che restringevano l’operatività dell’azione di classe all’ambito dei rapporti commerciali.[15] Eliminando i limiti entro i quali ricomprendere le situazioni giuridiche meritevoli di tutela collettiva, viene implicitamente riconosciuta l’estensione di tale disciplina risarcitoria alla generalità dei diritti omogenei.
A questo proposito, alcuni emendamenti presentati in Senato al disegno di legge hanno insistito nel ripristinare i limiti oggettivi pregressi, evidenziando come una tale estensione potrebbe portare a distorsioni dell’economia nazionale e paventando la possibilità di abusi nell’utilizzo dello strumento, causati dal potenziale esperimento di numerose azioni velleitarie irrealizzabili.[16]
3. Il disegno di legge in commento introduce, peraltro, alcune misure che sembrerebbero rendere l’azione di classe uno strumento potenzialmente sbilanciato in favore della parte ricorrente, stabilendo oneri eccessivamente gravosi in capo alle imprese.
Un elemento in tal senso si rinviene nell’introduzione del compenso di “quota lite”[17], un importo premiale che l’impresa condannata è tenuta a corrispondere direttamente all’avvocato del ricorrente.
Questo punto è stato oggetto di diverse proposte di emendamenti al d.d.l., che denunciandone la natura di strumento fortemente punitivo nei confronti della parte soccombente, hanno evidenziato che una svolta in tal senso potrebbe incidere in modo negativo soprattutto sulla solvibilità delle piccole imprese. Peraltro, le stesse Relazioni hanno altresì rilevato l’evidente contrasto di detto strumento con la Raccomandazione della Commissione 2013/396/UE, sui meccanismi di ricorso collettivo: detta Raccomandazione, infatti, suggerisce agli Stati membri di provvedere affinché gli onorari degli avvocati e il relativo metodo di calcolo non creino incentivi ad avviare contenziosi non necessari dal punto di vista dell’interesse di ciascuna delle parti. Secondo quest’orientamento, il compenso premiale, e parimenti la facoltà per il giudice di aumentare fino al 50% la somma riconosciuta al rappresentante comune degli aderenti[18], dovrebbero essere espunti dall’attuale testo normativo poiché rischiano di incentivare in modo improprio la classe forense a promuovere azioni di classe spinte unicamente dalla chance di guadagno in caso di esito favorevole.
Altre proposte di emendamenti al d.d.l. in commento, hanno prospettato la necessità di modificare l’art. 840-quinquies, dedicato al procedimento, sopprimendone il terzo comma che prevede l’obbligo della parte resistente di anticipare le spese e l’acconto sul compenso spettanti al consulente tecnico d’ufficio eventualmente nominato.
L’osservazione trae spunto dalla circostanza che, così facendo, verrebbe meno la stessa natura della CTU, mezzo di prova espletato nell’interesse comune delle parti: infatti, porre l’anticipo delle spese che ne derivano esclusivamente a carico dell’impresa, creerebbe un onere ingiustificato nei confronti di questa.[19] Parte della dottrina si è dimostrata, invece, di contrario avviso sull’argomento, rilevando che la previsione dell’anticipo dei costi della CTU a carico della parte resistente costituisce uno strumento consustanziale all’effettività del diritto di azione. Invero, per determinati tipi di controversie i costi di una preliminare valutazione circa la possibilità di agire sarebbero talmente elevati e proibitivi che precluderebbero automaticamente l’esercizio dell’azione stessa.[20]
Nel disegno di legge A.S. 844/18 sono previste altresì norme che sanciscono,per l’azione di classe e per l’azione inibitoria collettiva, rispettivamente all’art. 840-quinquies e all’art. 840-sexiesdecies, un regime probatorio agevolato, che consente al tribunale di avvalersi di dati statistici e presunzioni semplici ai fini dell’accertamento della responsabilità del resistente.
È stato evidenziato come ciò costituisca un notevole alleggerimento dell’onere della prova in favore esclusivamente del ricorrente, rendendo l’azione di classe un giudizio atipico, in contrasto con alcuni principi cardine del nostro ordinamento giuridico, tra cui quello dell’onere della prova che incombe in capo al ricorrente, e che può subire deroghe e/o attenuazioni solo in circostanze specifiche: nel caso di specie, i fautori dell’eliminazione di questa agevolazione ritengono che, mantenendo un tale favor, si determinerebbero situazioni di evidente disparità tra coloro che scelgono di agire individualmente e coloro che agiscono in forma collettiva.[21]
La novità che ha destato più perplessità e suscitato critiche in dottrina è la possibilità, consentita dal nuovo impianto normativo, di aderire all’azione di classe anche dopo la sentenza di accoglimento, in aggiunta all’unico momento di adesione previsto, prima della trattazione del merito della causa, dall’attuale art. 140-bis del Codice del consumo.[22] L’adesione successiva, invero, pone seri problemi.
In primo luogo, si riscontra anche in questa fattispecie un eccesso di favor nei confronti dei ricorrenti, i quali, in questo modo, avrebbero la possibilità di avvalersi di una pronuncia favorevole sul merito della controversia, senza aver preventivamente corso il rischio di subire gli effetti negativi di un eventuale provvedimento di rigetto della domanda. Si tratta di una circostanza che, oltre a violare potenzialmente il principio di parità delle armi nel processo, genera un’oggettiva incertezza sull’effettiva dimensione della classe, dalla quale derivano una serie di conseguenze pregiudizievoli per le imprese.[23]
Inoltre, l’attuazione di tale meccanismo di adesione depotenzierebbe l’eventuale possibilità di risolvere in via transattiva il contenzioso: del resto, l’impresa resistente non sarebbe incentivata a concludere una transazione con una parte degli aderenti, rimanendo esposta alle possibili pretese di coloro che, intervenuti in un momento successivo alla stipula dell’accordo, non hanno avuto accesso allo stesso.
Anche queste perplessità hanno dato luogo a proposte di interventi correttivi – presentati in Senato e tuttora oggetto di discussione in commissione – finalizzati a ripristinare l’impianto precedente, ritenuto più equilibrato e rispettoso del principio del contraddittorio. Nelle rispettive Relazioni si rileva, inoltre, che la possibilità di attendere l’esito favorevole del giudizio prima di aderire all’azione non consente alle imprese di avere contezza neppure degli effetti patrimoniali derivanti dalla conclusione del giudizio risarcitorio.
4. Alcune brevi considerazioni merita anche la disciplina del filtro preliminare di ammissibilità dell’azione di classe, che postula la trattazione del merito della causa ad un momento successivo, all’esito della verifica dell’utilità del giudizio.
Rileva, in particolare, la modifica subita dal regime di impugnazione dell’ordinanza che pronuncia sull’ammissibilità. Nell’attuale disegno di legge è scomparsa l’espressa previsione, presente nell’originario progetto di legge presentato alla Camera, all’art. 840-ter dalla possibilità di ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza di ammissibilità dell’azione emessa dalla Corte di appello in sede di reclamo.
Taluni autori hanno rilevato come tale eliminazione sia dovuta all’adeguarsi della disciplina legislativa ai recenti orientamenti giurisprudenziali di legittimità che hanno sancito, attraverso una serie di pronunce, la non ricorribilità, ex art. 111 comma 7 Cost., dell’ordinanza che dichiara inammissibile un’azione di classe finalizzata ad ottenere tutela risarcitoria di un pregiudizio subito dai singoli appartenenti alla classe e non anche di un interesse collettivo. La logica di tale preclusione appare poco chiara, ma in linea con le attuali posizioni della Corte Suprema.
5. Tra le proposte di interventi correttivi finalizzati a rendere il nuovo impianto normativo più efficace in termini processuali, rientrano anche due emendamenti di grande impatto.
Il primo è stato presentato in relazione all’art. 840-quinquies, comma 5 e ss., in cui viene prevista la possibilità per il ricorrente di chiedere al giudice di ordinare al resistente l’esibizione delle prove rilevanti che rientrano nella sua disponibilità.
Ferma la censura integrale, da parte di alcune proposte, a tale procedimento istruttorio[24] nella disciplina delle azioni collettive risarcitorie, e la conseguente richiesta di eliminazione dall’articolo predetto dei commi relativi a tale procedura, si discute altresì della condanna, di cui al comma 11 della stessa norma, al pagamento di una sanzione amministrativa in favore della Cassa delle ammende da parte del resistente che rifiuta senza giustificato motivo di rispettare l’ordine di esibizione.[25]
In realtà, la possibilità dell’ordine di esibizione è attualmente prevista nel codice di procedura civile (art. 210), ma, dal rifiuto di esibire, il giudice può solamente trarre argomenti di prova, giacché non costituendo l’ordinanza titolo esecutivo, il mancato rispetto della stessa non è assistito da alcuna sanzione.
Per garantire il rispetto degli ordini emessi dal giudice in sede di giudizio collettivo, ed assicurare così la collaborazione dell’impresa nello svolgimento del giudizio, invece, è stato suggerito, attraverso le proposte di modifica in oggetto, di adottare una misura più idonea e convincente rispetto alla sanzione amministrativa in favore della Cassa delle ammende, ossia una strategia di private enforcement che imponga all’impresa resistente, che rifiuta di adempiere all’obbligo suddetto, di pagare in favore del ricorrente una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza successiva e per ogni ritardo nell’esecuzione della prestazione. Si tratta, a ben vedere, di uno strumento di coercizione indiretta ricalcato sul funzionamento del provvedimento di cui all’art. 614-bis c.p.c., che più facilmente potrebbe favorire l’adempimento di quegli obblighi.
Una seconda proposta significativa riguarda la possibilità di prevedere, all’art. 840-sexies del nuovo impianto normativo, la condanna della parte resistente al pagamento di una indennità onnicomprensiva, determinata in via equitativa, in favore di tutti gli aderenti, anche qualora non possa ritenersi provato un danno risarcibile, purché venga però accertato che l’autore dell’illecito abbia agito con dolo o colpa grave. Si tratta della previsione di danni punitivi[26], utilizzati come strumento deterrente per scoraggiare l’attuazione di condotte gravemente scorrette da parte delle imprese destinatarie. L’iniziativa di introdurre punitive damages nel nostro ordinamento si inserisce nel dibattito attuale in cui la giurisprudenza mostra caute aperture all’istituto. è vero che il legislatore italiano (in ciò fortemente condizionato da quello comunitario) ha perentoriamente escluso tali danni dal private enforcement antitrust, ma sorte diversa potrebbe subire la disciplina dell’azione di classe, la quale per essere assistita da maggiore effettività potrebbe aprirsi alla possibilità di normare positivamente la condanna ai danni punitivi, la quale in combinato disposto con la condanna ai micro danni tipici delle controversie consumeristiche, potrebbe costituire un efficace strumento deterrente.[27]
[1] Nel codice di rito, alla fine del libro IV dedicato ai procedimenti speciali, viene inserito un nuovo titolo VIII-bis “Dei procedimenti collettivi”, composto da 15 articoli (dall’art. 840-bis all’art. 840-sexiesdecies). La novità di inserire la disciplina dell’azione di classe all’interno del codice di procedura civile non ha soltanto un valore simbolico ma comporta altresì risultati pratici di notevole interesse.
[2] Queste considerazioni sono state sviluppate dal prof. Danilo De Santis in occasione di un seminario sulle tecniche di tutela giurisdizionale collettiva e le prospettive di riforma, tenutosi il 18 dicembre 2018 presso l’Università degli Studi Roma Tre in collaborazione con il Dottorato “Diritto e tutela” di Roma Tor Vergata.
[3] GU L 201 del 26.7.2013, p. 60. La Raccomandazione contiene la previsione di principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria negli Stati membri riguardanti violazioni di diritti conferiti dalle norme dell’Unione.
[4] Tale proposta è relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e abroga la direttiva 2009/22/CE relativa ai provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori.
[5] Il testo della proposta di direttiva 2018/0089 (COD) riporta che scopo della stessa “è consentire agli enti legittimati, che rappresentano gli interessi collettivi dei consumatori, di accedere, mediante azioni rappresentative, ai mezzi di tutela contro le violazioni delle disposizioni del diritto dell’Unione. Gli enti legittimati dovrebbero poter chiedere di far cessare o vietare una violazione, di far confermare l’avvenuta violazione e ottenere un risarcimento, ad esempio sottoforma di indennizzo, riparazione o riduzione del prezzo, a seconda di quanto previsto dalle legislazioni nazionali.”
[6] In dottrina, tra le fila di coloro che si sono da sempre manifestati favorevoli ad un’apertura alla legittimazione attiva generalizzata, il prof. Andrea Giussani, in occasione dell’incontro sul tema citato, ha rilevato però che tale estensione potrebbe potenzialmente creare problemi di coordinamento con le fattispecie di litisconsorzio, ex art. 102 c.p.c. In particolare, egli ritiene arduo ammettere che un litisconsorte necessario possa considerarsi ritualmente vocato in giudizio attraverso la figura della mera adesione: la costituzione come mero aderente, e non come parte del giudizio, non assicurerebbe l’integralità del contraddittorio.
[7] A. D. De Santis, La tutela giurisdizionale collettiva, Napoli, Jovene, 2013, p. 555
[9] Favorevole ad una svolta in questi termini la Prof.ssa Ilaria Pagni che, in un contributo trasmesso al Senato sul d.d.l. n. 844, ha prospettato come l’introduzione di tale meccanismo potrebbe scongiurare il rischio di azioni promosse da soggetti in cerca di facile pubblicità.
[10] In termini favorevoli a tale scelta legislativa si è espressa Confcommercio nella relazione sull’A.S. 844 trasmessa al Senato.
[11] Art. 2, comma 1: “La presente direttiva si applica alle azioni rappresentative intentate nei confronti di professionisti per violazioni delle disposizioni del diritto dell’Unione elencate nell’allegato I che ledono o possono ledere gli interessi collettivi dei consumatori.”
[12] R. Donzelli, L’azione di classe tra pronunce giurisprudenziali e recenti riforme legislative, in Corr. giur., 1/2013, p. 111
[15] Art. 140-bis, comma 2: “L’azione di classe ha per oggetto l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori. L’azione tutela: a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.”
[16] Nella propria relazione sull’A.S. 844, del 12 dicembre 2018, trasmessa al Senato, Confindustria si è pronunciata contrariamente all’estensione dell’ambito di applicazione oggettivo dell’azione di classe anche a tutte le ipotesi di illecito extracontrattuale, rilevando che operando in tal senso si rischierebbe di vanificare le finalità di economia processuale dello strumento e la sua effettività, giacché la concentrazione in un unico giudizio di diverse pretese extracontrattuali richiederebbe valutazioni e accertamenti personalizzati, incompatibili con una tutela di classe indirizzata a posizioni omogenee.
[17] Art. 840-novies, comma 6: “Con il medesimo decreto, il giudice delegato condanna altresì il resistente a corrispondere direttamente all’avvocato che ha difeso il ricorrente fino alla pronuncia della sentenza di cui all’articolo 840-sexies un importo ulteriore rispetto alle somme dovute a ciascun aderente a titolo di risarcimento e di restituzione. Il predetto importo, riconosciuto a titolo di compenso premiale, è liquidato a norma del primo comma. Tale compenso premiale può essere ridotto in misura non superiore al 50 per cento, sulla base dei criteri stabiliti al quarto comma.”
[19] Peraltro, la stessa proposta di emendamenti ipotizza, in alternativa alla precedente richiesta, che sia rivisto l’art. 840-ter, al cui terzo comma andrebbe aggiunto l’onere per il ricorrente di sostenere obbligatoriamente i costi di una consulenza tecnica di parte, con la finalità di evitare la proposizione di domande meramente pretestuose.
[20] Così, D. De Santis nella sua relazione in occasione del seminario citato. L’autore, in tema di mezzi probatori, ha altresì rilevato che sarebbe più opportuno incrementare il coordinamento tra il private e il public enforcement, ad esempio, tentando di sfruttare l’istruttoria che gli organismi indipendenti compiono in sede di public enforcement per poi trasferirne i risultati nel processo civile.
[21] Al riguardo occorre precisare che nel nostro ordinamento è già ammesso l’utilizzo da parte del giudice della prova statistica, ad esempio nelle controversie in materia di discriminazione disciplinate dall’art. 28 del d. lgs. n. 150/2011.
[22] La facoltà di aderire dopo la sentenza di merito viene assimilata da Giussani, nel corso del seminario cit., allo strumento statunitense di “one way intervention” (intervento a senso unico), affermato e utilizzato dalla giurisprudenza nordamericana a partire dagli anni ’40. Il meccanismo in esame, risulta per le associazioni imprenditoriali contrarie all’adozione del sistema dell’opt out, ben più pregiudizievole di quest’ultimo, giacché il sistema dell’opt in dopo la sentenza consiste in un’adesione senza rischi, in cui viene sempre assicurato il pagamento del premio di risultato nei confronti dei promotori della classe, i quali saranno interessati a pubblicizzare quanto più possibile l’adesione.
[23] In alternativa, Giussani (seminario cit.) ritiene che sia più equilibrata l’adozione del sistema fondato sull’onere di recesso, non trovando alcun fondamento i problemi di legittimità costituzionale. Peraltro, anche l’esperienza europea sembra aver superato le precedenti riserve sul sistema dell’opt out, e ad oggi diversi ordinamenti comunitari lo adottano. Per approfondimenti sull’argomento, v. A. Giussani, Il nuovo art. 140-bis c. cons., in Riv. dir. proc., 2010, pp. 607 ss.; nonché Id., Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, Il Mulino, 2008.
[24] Nella proposta di direttiva UE citata, pur non essendo previsto un vero e proprio ordine di esibizione, all’art. 13 si prevede che qualora emergano elementi di prova che rientrano sotto il controllo del convenuto, l’organo giudicante possa disporre che tali prove siano presentate da questo, salve le norme nazionali e comunitarie in materia di riservatezza.
[25] La norma così formulata prevede che l’importo della sanzione amministrativa pecuniaria vada da euro 10.000 e euro 100.000.
[26] Nonostante la recente proposta di direttiva non si esprima sull’argomento, occorre rilevare che in ambito europeo sussiste ancora diffidenza in tema di introduzione di danni punitivi: invero, la Raccomandazione 2013/396/UE suggerisce il divieto dei risarcimenti punitivi che hanno come conseguenza un risarcimento eccessivo a favore della parte ricorrente.
[27] Si è espresso in favore di questa possibilità il Cons. Roberto Simone (Trib. Di Venezia), in occasione del seminario sul tema cit.
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