Ancora sull’utilizzabilità in giudizio dei documenti ottenuti o prodotti in violazione della privacy.

1. Introduzione. 2. Gli spunti offerti dal Regolamento UE 2016/679 e dal nuovo Codice della privacy (d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, così come modificato dal d. lgs. n. 10 agosto 2018, n.101). 3. L’esame delle «pertinenti disposizioni processuali nella materia civile» (art. 160-bis nuovo Codice privacy). 4. Gli orientamenti giurisprudenziali in tema di utilizzabilità di prove illecite per violazione della privacy. 5. Breve resoconto delle differenti posizioni dottrinali sull’argomento, in particolare della tesi del divieto di utilizzo delle prove illecite per violazione della Costituzione. 6. Il bilanciamento “mobile” tra diritto alla prova e diritto alla riservatezza. 7. Il criterio-guida della “necessità”, da requisito per l’ordine di esibizione istruttoria ex art. 210 c.p.c. ad attuale limite per l’utilizzabilità della prova illecita per violazione della privacy.

Di Paola Chiara Ruggieri -
1.Proseguendo una riflessione avviata dieci anni orsono[1], ci si occuperà qui nuovamente della questione dell’(in)utilizzabilità dei documenti ottenuti o prodotti violando la privacy[2] della parte contro la quale la prova è fatta valere, alla luce delle recenti modifiche normative e dell’osservazione delle odierne tendenze giurisprudenziali[3]. Nel processo civile l’utilizzabilità delle prove illecitamente acquisite rappresenta un tema tradizionalmente dibattuto, stante il difetto di una disciplina positiva[4]. Invero, mentre l’articolo 191, comma 1, c.p.p., fissa il principio dell’inutilizzabilità delle prove assunte «in violazione dei divieti stabiliti dalla legge», per . . .